Guardate bene, magari ce n'è una vicino casa vostra e non lo sapevate!
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 20 marzo 2011
Un Berlusconi da Guinness!
Rostagno e la coperta di Linus di una generazione con i paraocchi.
Nell’Italia mediatica di oggi non c’è niente di più rassicurante e quindi di sicuro -meritevole del timbro della “verità indiscutibile” - di una tesi che mette d’accordo due antichi antagonisti sul palcoscenico della cronaca: le indagini di uno Stato che scopre i colpevoli mafiosi dell’omicidio Rostagno e il coro stonato dei nipotini di una stagione esaltante sul piano delle emozioni, ma fallimentare su quello politico, perché strizzava l’occhio alla violenza e definiva “giustizia” l’omicidio. Rassicurante a tal punto da coprire di insulti il lavoro giornalistico, lo stesso per il quale, secondo questa tesi, è morto Mauro Rostagno.
Quello che colpisce è il livore dei toni e la violenza verbale, ben oltre i confini della diffamazione. Ci hanno definiti "sciacalli","fiancheggiatori" della mafia, hanno chiamato "merda" il nostro lavoro, ci hanno persino accusati di prendere soldi – non si sa bene da chi – per depistare le indagini. Accuse di cui ciascun crociato di questa guerra santa della disinformazione on-line dovra’ – al piu’ presto - rispondere in Tribunale. Tutto questo perche’?
Noi de I Quaderni de L’Ora abbiamo provato semplicemente a mettere in fila dubbi e interrogativi, riproponendo ai nostri lettori un percorso giornalistico a 360 gradi per ricostruire un caso controverso della cronaca con le sue luci ed ombre, con tutte le sue sfaccettature. Non un fatto, un episodio, un verbale, non un solo dato della ricostruzione è stato contestato dal coro di nostalgici indignati: saremmo “depistatori” solo perché osiamo stimolare la riflessione su un movente e su mandanti ancora oscuri, come sostengono, allargando le braccia, gli stessi pubblici ministeri.
Il paradosso e’ che Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, e’ tra coloro che gridano ‘’merda’’ contro di noi per l’unica ragione che -dietro l’esecuzione di mafia - ipotizziamo una committenza piu’ alta nell’uccisione di suo padre. In trent’anni di mestiere e’ la prima volta che veniamo accusati dai familiari di una vittima di mafia per aver chiesto luce sui mandanti occulti. E’ come se il padre dell’agente Nino Agostino, che da undici anni non taglia la sua barba per testimoniare la sua aspettativa di giustizia, ci insultasse per aver scritto un articolo che chiede la verita’ completa sulla matrice, non solo mafiosa, dell’uccisione di suo figlio. E’ come se Giovanna Maggiani Chelli, madre di una delle ragazze ferite nella strage dei Georgofili, e presidente dell’associazione familiari delle vittime di quell’eccidio, ci bacchettasse ricorrendo addirittura al turpiloquio per aver posto domande sui committenti ancora misteriosi del tritolo del ’93. Noi rispettiamo il dolore di tutti i parenti di tutte le vittime di mafia, terrorismo, servizi "deviati" e di qualunque agenzia della violenza abbia seminato morte e lutti nel paese, ma non comprendiamo la ratio di questa aggressione violenta e immotivata. Le contumelie, gli insulti, le parolacce non sono certo l’espressione di una divergenza di opinioni – ovviamente legittima, anche se diventa una radicale contrapposizione di idee – serena e democratica.
Ma allora? Di che sono espressione? Perche’ questi toni scomposti? C'e' un'indagine aperta alla Dda di Palermo ancora oggi a caccia del movente e dei retroscena nascosti dell’omicidio Rostagno. Si scava dietro un delitto che riassume, in modo paradigmatico, tutti i misteri di una stagione ancora irrisolta dei rapporti tra mafia, terrorismo e servizi segreti. E' lecito -in assenza di certezze -porsi tutte le domande e i dubbi del caso? Agitare ancora lo striscione con lo slogan “la mafia è una montagna di merda” (azione utilissima negli anni ’70), oggi, nel 2011, può non bastare più e rischia di essere, questo sì, riduttivo e davvero depistante.
Significa non avere compreso struttura ed evoluzione di una Cosa Nostra trasformata, in questi anni, in una “Cosa Nuova”, nelle sue relazioni con apparati dello Stato - come tante indagini sulle stragi hanno portato a galla - individuando l’origine di questa mutazione proprio nella fine degli anni ’80, lo stesso periodo in cui il piombo mafioso ha ucciso Rostagno. Significa, per un giornalismo sensibile alle onde mediatiche diffuse da un’oggettiva saldatura di obiettivi, dimenticare che la prima regola del giornalista è riferire i fatti coltivando i dubbi.
Specie in presenza di un’indagine sui mandanti occulti del delitto Rostagno, che va oltre la mafia, come adesso scrivono anche numerosi colleghi nelle loro cronache. Nessuno mette in dubbio il livello mafioso, nell’ideazione e nell’esecuzione dell’omicidio Rostagno, ma il dubbio che per qualcuno possa trasformarsi in una coperta di Linus che riscalda le coscienze e copre tutti i buchi neri di un passato in cui Mauro fu protagonista, dopo quest’offensiva mediatica di insulti e contumelie, si rafforza.
http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=39
Due uomini alla moglie di Calcara ''Devi dire a Vincenzo di stare muto''.
L’hanno strattonata afferrandola per il bavero del giubbino. L’hanno sbattuta al muro di casa sua. Poi, ancora più minacciosi, le hanno gridato in faccia. “Devi dirci dov’è Vincenzo o ti facciamo schizzare sangue”. E ancora “ Devi dire a Vincenzo di stare zitto, di stare muto. Sta parlando troppo e non deve parlare più.” Con queste parole due uomini, molto alti e ben vestiti, parlando in dialetto siciliano molto marcato hanno minacciato, strattonandola, la moglie del pentito Vincenzo Calcara, ex pupillo del boss di Castelvetrano Don Ciccio Messina Denaro, poi diventato collaboratore di giustizia.E' accaduto nel nord Italia, nel paesino ai confini con la Francia, dove il pentito vive da anni con la moglie e le figlie, e l'episodio e' stato immediatamente denunciato ai carabinieri. La vittima dell’aggressione si chiama Caterina Durgoni e da diciotto anni è la moglie di Calcara, considerato uno dei “soldati” più promettenti della famiglia mafiosa castelvetranese, al punto che a lui venne affidato l’omicidio di Paolo Borsellino. Ma Calcara si rifiuto' e il 3 dicembre del 1991, si presentò in procura a Marsala chiedendo di parlare proprio con il giudice palermitano. “Dottore Borsellino” – gli disse – “mi hanno incaricato di ucciderla con un fucile di precisione o con un’autobomba.” Borsellino commosso lo abbraccio' e da quel momento inizio' a raccogliere le sue scottanti rivelazioni, che annotava nella sua agenda rossa.
Calcara parlò soprattutto di affari romani, di connessioni tra la Cosa Nostra siciliana e lo Ior di Paul Marcinkus, di rapporti con politici ed alti ufficiali dei Carabinieri. Dalle sue rivelazioni, pero', non e' mai nato alcun processo. Nel 1998 Calcara rinuncio' al programma di protezione, ma non a raccontare le sue verita' a qualsiasi magistrato sia andato ad interrogarlo. A fine dicembre Vincenzo Calcara è tornato per un giorno nella sua Castelvetrano, città sulla quale aleggia ancora oggi il fantasma dell’ultimo padrino, Matteo Messina Denaro, che alcuni vorrebbero addirittura fare sindaco. L’idea era quella di parlare ai giovani della città insieme al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Al dibattito però di giovani non se ne sono visti. C’era però l’ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino, ex mentore di Matteo Messina Denaro, più volte citato da Calcara nei suoi verbali come reggente della cosca castelvetranese durante le assenze di don Ciccio. Tra i due sono volate parole grosse. "Non e' normale che ad un assassino (cosi' Vaccarino ha definito Calcara, ndr) - ha detto l'ex sindaco - sia consentito di salire sulla cattedra della legalita". “E’ normale – ha ribattuto Calcara - che Vaccarino sia infastidito dalle mie dichiarazioni e voglia distruggere la mia credibilità. Non è normale che gli sia consentito farlo.”
Alla luce delle ultime pesanti minacce alla moglie però, sembra che le dichiarazioni di Calcara diano fastidio anche ad altri. “Quello che è successo a mia moglie è assurdo. Vogliono attaccare l’unica cosa a cui tengo, ovvero la mia famiglia. Vogliono farmi fare marcia indietro su molte cose che ho dichiarato e che potrebbero suggerire una nuova scrittura di certi passaggi della storia italiana”. Ma chi sono quei due signori con un marcato accento siculo che sono riusciti a rintracciare l’abitazione di Calcara, sita ancora oggi in una località segreta? Calcara non ha dubbi “Sono uomini di Matteo, uomini dei servizi deviati, che poi è la stessa cosa. Hanno capito che tutto quello che dico è riscontrabile e vogliono bloccarmi. Non toccano me perché sanno che sarebbe peggio e allora si concentrano sulla mia famiglia, dato che non abbiamo nessun mezzo per difenderci.” Calcara da alcuni anni ha nuovamente richiesto al Ministero di poter entrare nel programma di protezione. Richieste che però sono cadute nel vuoto. “Riconosco di aver fatto un errore a rifiutare lo status di testimone. Adesso però vorrei che almeno la mia famiglia possa essere al sicuro. Mia moglie da oggi è in stato di choc. E’ una situazione difficile ma dal ministero non mi è mai arrivata nessuna risposta. Sanno che il mio bagaglio di conoscenze è pericoloso per molti equilibri. L’impressione è che vogliano isolarmi negandomi la protezione come hanno già fatto con Gaspare Spatuzza.” La settimana prossima Calcara e' invitato a raccontare i dettagli delle sue rivelazioni a Modena insieme al senatore di Italia dei Valori Luigi Li Gotti.
I Quaderni de l'Ora / Ingroia, quella volta a palazzo Chigi...
Considerazioni.
Beppe Grillo scrive:
Quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, Mussolini almeno lo dichiarò dal balcone di Palazzo Venezia davanti a una folla oceanica. Ci mise, come si dice, la faccia dopo quasi un anno di attesa dall'inizio del conflitto europeo in cui, per starne fuori, si era inventato la "non belligeranza", né guerra, né pace. 71 anni dopo, nel giorno del 150° anniversario dell'Unità, siamo entrati in guerra con la Libia, un nostro ex alleato (in questi voltafaccia abbiamo una certa esperienza...) senza un pubblico dibattito o che Berlusconi o Napolitano sentissero il bisogno di andare in televisione a spiegarne i motivi. La Libia non è l'Afghanistan, con cui pure siamo in guerra senza saperne assolutamente i motivi. E' a due passi dalle nostre coste, è uno Stato che abbiamo riconosciuto fino all'altro ieri in modo plateale e anche cialtronesco. L'Italia ha fornito armi a Gheddafi, come pure molti Stati che ora si apprestano a bombardarla. I nostri interessi economici sono tali che, insieme alla Libia, stiamo costruendo da anni un gigantesco gasdotto, Greenstream, per collegarla all'Europa.
Ci troviamo in guerra e non sappiamo perché. E' vero che gli insorti di Bengasi rischiano di essere passati per le armi, è altrettanto vero che si tratta di una guerra civile, un fatto interno al Paese, in cui l'Italia poteva e doveva porsi come interlocutrice di entrambe le parti, come mediatrice. Il nostro ruolo non è quello di gendarmi del mondo o di reggicoda degli Stati Uniti. Gheddafi è un mostro? Forse. Ma la distruzione della Cecenia è da imputarsi alla Russia di Putin e l'occupazione del Tibet alla Cina di Hu Jintao, ma nessuno ha mosso, né muoverà un dito all'ONU. Nel Darfur è stato massacrato, stuprato, mutilato, un milione di persone nell'indifferenza della Nato. In Africa sono in corso guerre civili e tribali da 50 anni a partire dallo spaventoso genocidio del Ruanda.
Vi ricordate l'attacco a Lampedusa del 1986? Gheddafi lanciò allora due missili Scud contro un'installazione militare statunitense dopo il bombardamento di Tripoli voluto da Reagan. L'unico atto di guerra contro il nostro territorio da parte di uno Stato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quante basi americane ci sono sul nostro territorio? Ognuna è un bersaglio. Frattini ha dichiarato: "Daremo le basi, possibili nostri raid". Lo ha fatto con quell'aria stolida e tranquilla che lo accompagna dalla nascita. Qualcuno ha detto agli italiani che siamo in guerra e un missile libico potrebbe colpire in ogni momento una nostra città?
http://www.beppegrillo.it/2011/03/morire_per_bengasi.html#comments
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Io esprimo il mio pensiero:
Probabilmente Beppe ha ragione quando dice che non saremmo dovuti intervenire in una guerra civile, ma io continuo a credere che fosse un preciso dovere dei paesi confinanti prendere una decisione drastica e muoversi per dare una mano ai ribelli libici.
So bene che ciò significa guerra, so anche che da Gheddafi c'è da aspettarsi di tutto, anche la più turpe ritorsione, ma sono per la libertà di movimento e di pensiero e non riesco ad immaginare un mondo in cui si vive da oppressi.
Già la semi-dittatura che vige in Italia mi infastidisce, mi opprime, figuriamoci come potrebbe essere una non-vita in una dittatura simile a quella libica.
Sarò incosciente, sarò anche poco riflessiva, ma io la penso così.
Sentire che, finalmente, qualcuno si è mosso per fare cessare la carneficina, mi ha rinfrancato, mi ha ridato speranza.
Non si vive di solo pane, si vive, sopratutto, di libertà.
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carmine d9 mi replica:
Per caso hai sentore di quanti morti "civili" ci sono stati dopo aver "liberato" l'Iraq o l'afganistan?
Io rispondo:
No, perchè quella non è stata una "liberazione", e non credo che questa volta vogliano fare lo stesso errore. Un vecchio detto recita: "errando, discitur".
In ogni caso, non si può restare fermi.
La libertà è un bisogno, vale più di ogni cosa al mondo, tutto va sperimentato per ottenerla.
Guai a chi non crede più nella lotta per ottenerla, a qualunque costo!
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La mia considerazione:
Senza libertà, meglio morire!
Io la penso così!
Crisi libica, la testimonianza: “Gheddafi ha ordinato rastrellamenti casa per casa”.
Parla Omar, professionista libica fuggito dal suo paese giovedì scorso. In Italia è arrivato dal Cairo. A ilfattoquotidiano.it racconta l'orrore della repressione ordinata dal rais e che non risparmia nemmeno donne e bambini
Omar era in Libia sin dall’inizio della rivoluzione, ma due giorni fa ha deciso di partire prima che la situazione degenerasse anche a Bengasi, come è accaduto nelle ultime ore. Spiega che l’informazione dei media occidentali è stata carente, che non hanno fornito una copertura esauriente di quanto accadeva a Tripoli. “I giornalisti hanno fatto un uso massiccio delle notizie diramate da Jana, l’agenzia governativa. Certo, è stata data voce anche a denunce e al massacro dei civili, ma le fonti più attendibili erano le forze di opposizione. Non sono d’accordo con chi li chiama ribelli o insorti. Sono soltanto oppositori del regime”. Gheddafi, che Omar definisce “un pazzo visionario, un megalomane che vuole spargere sangue per entrare nella storia”, ha sottoposto il suo popolo a violenze e repressioni durissime. “Da est a ovest del paese ci sono stati rastrellamenti sistematici casa per casa. I primi sono stati a Tripoli dopo il 17 febbraio, giorno della manifestazione ufficiale a Bengasi contro il governo. La Cirenaica è sempre stata contro la dittatura, e per quello è la regione meno sviluppata, senza infrastrutture. Hanno preso tanti giovani, soprattutto attivisti politici. Molti sono spariti, i corpi occultati, e chi è tornato a casa ha dovuto firmare dichiarazioni di fedeltà al regime”.
Gheddafi, che ha definito i suoi concittadini “topi, ratti da stanare”, ha fatto ampio uso di mercenari provenienti principalmente da Niger, Ciad, Algeria, Mauriotania, Gabon e Ghana integrati anche nell’esercito e addestrati per sparare ad altezza d’uomo. “Erano pronti da dieci anni a intervenire”, prosegue Omar. “Gheddafi aveva intessuto rapporti politico-commerciali con i paesi dell’Africa subsahariana da cui ha ingaggiato migliaia di uomini per la sua incolumità. E, oltre a loro, in queste ore ha attaccato Bengasi: un amico mi ha riferito che la sua casa è stata colpita, che i morti nell’ospedale sono oltre 50 e i feriti centinaia. Stamattina hanno bombardato la Croce Rossa e lo stadio, le comunicazioni via cellulare sono possibili soltanto attraverso il satellitare o la connessione a internet via parabola. A Misurata hanno tagliato anche l’acqua e la luce da giorni. Molti civili hanno le case dotate di scantinati che utilizzano come rifugi durante i bombardamenti”.
Nelle ultime settimane i media parlavano di gruppi a sostegno di Gheddafi che erano disposti a difenderlo anche con le armi. “E’ tutto fasullo, nessuno lo vuole più alla guida guida del paese. Sono gli uomini dei suoi apparati quelli che avete visto sui giornali vestiti in abiti civili, gli orfani indottrinati dal regime”. Omar è convinto che con l’intervento internazionale queste siano le ultime ore per il leader che, tuttavia, non è intenzionato ad arrendersi. Il popolo libico è però deluso dal tardivo intervento occidentale, che avrebbe dovuto attaccare già la settimana scorsa, e al temporeggiamento di Berlusconi. “Non c’è odio nei confronti degli italiani, anzi. Ma avremmo preferito parole più nette sin dall’indizio al posto dell’intenzione dichiarata di non interferire, che si è tramutata in indifferenza. Spero che lo prendano vivo, deve essere processato. Troppo comodo se muore”. Il ringraziamento di Omar va ai popoli maghrebini di Tunisia ed Egitto, i primi a insorgere: “Se Ben Ali e Mubarak fossero ancora al potere – conclude Omar – in Libia non sarebbe successo nulla. Tutti volevamo che Gheddafi se ne andasse eppure, in mancanza di alternativa, speravamo che suo figlio Saif Al-Islam ci facesse transitare verso la democrazia. Ma si è rivelato peggiore del padre, meglio averlo saputo prima”.