In una seduta parlamentare, il deputato Vito D’Ondes Reggio, discutendo sulla brutalità e sui metodi di alcuni ufficiali piemontesi, i quali arbitrariamente esercitavano il diritto di vita o la pena di morte, deprecava quei metodi incivili. Essi, al di fuori di ogni ordinamento e della legge costituzionale, con pugno di ferro portavano lo scompiglio, rischiando il sollevamento della popolazione; descrivendo ai suoi colleghi deputati, fatti circostanziati. Ricordando per altro, con quanto piglio marziale, i comandanti e gli ufficiali dell’esercito piemontese perseguivano un fine discutibile. Arrecando nocumento a gente inerme con lo scopo di raggiungere l’obiettivo prefissato: per tanto, con un nuovo strumento correttivo, una invenzione escogitata da un ex garibaldino in pensione, torturavano con i ceppi ferrati la popolazione indifesa. La trovata, era costituita da due particolari anelli di ferro, forniti di quattro bulloni espansivi cadauno; il torturato avrebbe ricevuto quella gioia ai rispettivi polsi, allungandolo su per due cinghie di cuoio, annodate fortemente agli anelli che avrebbero sospeso in aria il condannato. Allo stesso tempo, alla base dell’ordigno, un patibolo a modo di giunto fornito di buco filettato, accoglieva una lunga vite continua aguzza alla punta, che facendosi strada fra i polsi costretti in quella postura, li avrebbe attraversati dal basso (i polsi) verso l’alto (i palmi delle mani giunte e le falangi). Dunque, questi ceppi, furono uno strumento di tortura richiestissimo dai soldati (da fonte francese si segnala che ne furono costruiti 400 in Piemonte e altre decine nei luoghi di tortura), ritenendolo molto efficiente per due motivi: l’afflitto avendo gli arti superiori posti in tensione sulla testa, una volta ferito non rischiava di morire dissanguato. Secondo, essendo legato e posto sospeso come un salame, provava un intenso dolore persistente, misto ad infiammazione, quando la vite spingeva sempre più nella carne fino alle ossa. Provocando uno spasmo infinito, per il quale in pochi avrebbero resistito. Il Maggiore Frigerio in quel di Licata, lo ebbe a sperimentare per primo, su una popolazione afflitta per 25 giorni di assedio: privando, dal 15 agosto del 1863 in piena estate, tutto il civico consesso 22000 abitanti, dell’acqua con pena di fucilazione immediata verso tutti coloro che osavano uscire di casa. Secondo il punto di vista militare, l’esperimento era riuscito e con tale obbrobrio, fu esteso a tutta la Sicilia, moltiplicando i supplizi e le morti. Altre fonti segnalavano che i torturati, rei di nascondere i renitenti alla leva e i disertori di un esercito ancora da formare, venivano flagellati prima alle gambe e alle braccia: indistintamente se uomini o donne, se adulti o fanciulli, se andicappati o donne gravide. Tutti venivano malmenati in modo democratico con sevizie senza eguali. Ma lo scopo era raggiunto? E le torture sarebbero poi cosi efficaci? I soldati piemontesi si accorsero che il popolo taceva; nessuno dei torturati cospirava, nessun nome venne reso per sollevarsi da quella pena. La cosa, invece di fermare quell’abominio, incattiviva ancora di più la truppa e gli ufficiali. Le fonti parlamentari segnalavano: malgrado i tormenti ingiustificati, grazie a Dio, nessuno perì sotto i ferri. Ma i giornali, e molti testimoni fra gli stranieri non furono dello stesso avviso. Fonti: Diario dell’onorevole Vito D’Ondes Reggio 1863 documentario in lingua francese, a cura di Philippe Francois e Joseph Poli 1865 memorie del generale Giuseppe Govone, a cura di Umberto Govone 1902 Per la gravità dell’argomento trattato, ho inserito alcune delle mie fonti Alessandro Fumia fonte:http://zancleweb.wordpress.com/2011/03/17/una-invenzione-garibaldina-i-ceppi-della-tortura/ http://comitatiduesicilie.org/index.php?option=com_content&task=view&id=3995&Itemid=1 |
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 25 marzo 2011
Gli strumenti di tortura dell'esercito garibaldino.
Il delitto Calabresi? Mauro Rostagno: "Se mi lasciano il tempo poi ne parliamo".
"Se mi lasciano il tempo poi ne parliamo".
Sono parole di Mauro Rostagno, pronunciate mentre dialoga con il brigadiere dei carabinieri Beniamino Cannas. Siamo alla fine del mese di agosto del 1988, circa un mese prima dell’agguato. La frase - non risulta che sia mai stata annotata prima - è impressa in una relazione di servizio, redatta dal sottufficiale (oggi luogotenente) il 18 maggio 1992. Una relazione scritta dopo un incontro avuto in caserma con Carla Rostagno, sorella del giornalista ucciso a Lenzi il 26 settembre 1988. La donna si era rivolta a Cannas per avere notizie sulle indagini e per sapere se avesse mai ricevuto confidenze dal fratello in merito a preoccupazioni sulla sua incolumità.
Il brigadiere scrive nella relazione di avere avuto un incontro con Mauro Rostagno e di avergli chiesto notizie sulla comunicazione giudiziaria inviata dai magistrati di Milano nell’ambito delle indagini sull’omicidio del commissario Calabresi. Rostagno, dopo aver esternato la frase "un errore di gioventù" (molto probabilmente riferita alla sua adesione a Lotta Continua), disse a Cannas che, comunque, con quel delitto non c’entrava niente. I due si congedano - stando a quanto si legge nel verbale - con un’espressione che ad un investigatore non può, certamente, sfuggire: "...comunque, se mi lasciano il tempo, poi ne parliamo".
Dopo un mese Rostagno viene assassinato. Per quattro, lunghi, anni, Cannas non scrive nulla su quell’incontro. Agli atti del dibattimento - in corso alla Corte di Assise di Trapani - in merito, non c’è altro, a parte la relazione di servizio redatta nel 92. Eppure quella frase, "se mi lasciano il tempo", avrebbe dovuto illuminare un investigatore che ieri in aula si è vantato di avere arrestato nel corso della sua carriera ben ottocento persone.
Mauro Rostagno, evidentemente, temeva per la propria vita e dal verbale, emerge con chiarezza, che il riferimento è al contesto del delitto Calabresi. Non aver approfondito, nell’immediatezza dei fatti, quelle parole, sicuramente, non ha aiutato a far luce su un delitto ancora tutto da decifrare.
di Gianfranco Criscenti
http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=75
La sede del gruppo Fiat in Usa dopo la fusione con Chrysler.
L'intenzione dell'amministratore delegato Sergio Marchionne trapela da uno Special Report della Reuters, lungo una decina di pagine. Possibile anche la valutazione in borsa di Ferrari per 7 miliardi
Luca Cordero di Montezemolo con Sergio Marchionne
L'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne avrebbe intenzione di trasferire il quartier generale del gruppo negli Stati Uniti, dopo la fusione tra Fiat e Chrysler. E' quanto trapela da uno Special Report della Reuters sulla Fiat, in cui l'agenzia cita fonti vicine a Marchionne. Nell'articolo si spiega che l'idea di Marchionne è quella di controllare la maggioranza di Chrysler, dopo aver completato, entro quest'anno, l'Ipo della società americana e aver, prima ancora, completamente rimborsato i circa 7 miliardi di dollari di prestiti accordati dal governo Usa a Chrysler. Inoltre, secondo quanto riferiscono le fonti, Marchionne sta pensando di quotare in Borsa la Ferrari e valuta questo marchio circa 7 miliardi di dollari.
Nel report della Reuters, che è lungo una decina di pagine con numerose fotografie dei vertici Fiat, si parla di 'rock star appeal' di Marchionne al Salone di Ginevra e si paragona il manager del Lingotto all'Elvis Presley del settore auto.
E' un'ampia analisi di tutti i principali fatti dei primi mesi del 2011.
Secondo la Reuters, Marchionne pensa di mantenere a Torino il centro da cui gestire le operazioni europee e di creare uno hub in Asia, mentre sulla sede legale del quartiere generale la scelta - secondo fonti citate dalla Reuters - cadrebbe sul Paese dove il regime di tassazione è più conveniente e quindi sugli Stati Uniti.
Nel report si parla anche della possibilità di quotazione della Ferrari: Marchionne valuterebbe la casa di Maranello circa 5 miliardi di euro.
Per quanto riguarda i rapporti con Chrysler, la Reuters ricorda che Marchionne ha definito 'Christmas wishes' i sui obiettivi di aumentare la quota Fiat in Chrysler al 51 per cento entro quest'anno e di portare la società Usa in Borsa. Prima la casa di Detroit dovrà ripagare i suoi prestiti ai governi degli Stati Uniti e del Canada. Un pacchetto di rifinanziamento è attualmente all'esame del consiglio di amministrazione di Chrysler, mentre la società è ancora in trattativa con il Dipartimento dell'Energia degli Usa per ottenere tassi più favorevoli. Finchè non avra la maggioranza di Chrysler Marchionne non investirà nella società Usa soldi Fiat.
Reuters ricorda che l'obiettivo delle due società è di vendere 6,6 milioni di veicoli nel 2014 dopo l'integrazione.
L'ad del Lingotto viene definito un uomo solo nel gruppo dove può contare esclusivamente sull'appoggio di Elkann e, per quanto riguarda la sua successione, si ricorda che nella conference call di gennaio il manager Fiat ha detto: "Ho intenzione di restare qui finchè non avremo fatto tutto".
Berlusconi...by mariol
E ORA LA FASE TRE. - Bruno Tinti.
B. e Alfano hanno presentato la riforma della Giustizia a reti unificate. B. ha toppato: su tre frasi ha detto tre stupidaggini.
Non ho mai commesso i reati di cui mi accusano e la prova di ciò è che ho giurato sui miei figli.
Questa è la riforma che ho voluto fin dal 1994 ma io non me ne sono occupato per nulla.
Se nel 1994 fossi riuscito a fare questa riforma non ci sarebbe stata Mani Pulite; quest’ultima differenziandosi dalle altre perché assolutamente vera.
Alfano, consapevole del fatto che il problema di questa riforma sta nel fatto che la giustizia non è riformata per niente e che invece è riformata la magistratura, messa sotto controllo politico, ha spiegato che sì, è vero, questa è la fase 1; ma poi verrà la fase 2, quella che renderà il processo razionale, efficiente e rapido. Siccome però il processo deve essere anche giusto, ecco che loro si sono portati avanti con il lavoro: per il momento il processo resta com’è, ma diventa per merito della riforma, un processo giusto; più avanti faranno altre riforme per renderlo efficiente. Dovete ammettere che è una trovata geniale: chissà quanta gente ci è cascata.
Però.
1) B&C sono sulla scena dal 1994. Com’è che questa cosiddetta fase 2 non è stata mai realizzata? B. dice ora che è per colpa di Fini. A parte che non è vero perché, fino a un anno fa, Fini e B. erano pappa e ciccia; se anche fosse, Fini si sarebbe opposto a una riforma come quella di adesso; ma perché avrebbe dovuto opporsi a un processo efficiente? Lui, pericoli di prigione non ne ha mai corsi.
2) In realtà è vero che dal 1994 B&C si sono occupati di giustizia: per assicurarsi l’impunità. Legge per impedire di utilizzare la documentazione acquisita con rogatorie internazionali; depenalizzazione di fatto del falso in bilancio; dimezzamento dei termini di prescrizione; lodo Schifani; lodo Alfano: legittimo impedimento. Niente a che fare con l’efficienza del processo.
3) Le altre leggi messe in cantiere man a mano che
Quello che interessa a B&C è: attribuire al Parlamento il potere di scegliere quali reati perseguire e quali no, sicché si faranno un sacco di processi per guida senza patente e manco uno per falso in bilancio e corruzione;sottrarre al pm la polizia giudiziaria, così se anche da un processo comune (per esempio favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione) salta fuori un reato commesso da B&C (per esempio una concussione) le indagini potranno essere bloccate; portare il pm sotto il controllo della politica, così, quando i primi due filtri saltassero, gli si potrà comunque ordinare di non indagare. E comunque: a che ci serve un processo rapido, razionale ed efficiente se la giustizia sarà amministrata da magistrati schiavi di B&C ? A controllare con efficienza gli avversari politici?
Forse ci sarà anche una fase 3: la polizia segreta.
http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/03/e-ora-la-fase-tre.html
Operazione rimpasto, dopo Romano adesso B ha altre poltrone da assegnare.
I Responsabili, formazione cui appartiene il neo ministro dell'Agricoltura, ne rivendicano almeno cinque, 4 da sottosegretario e una da viceministro. Ma nel risiko del rimpasto, presto ci saranno altri posti a disposizione. Berlusconi, infatti, intende procedere attraverso un ddl per ampliare il numero della squadra di governo
Ma l’iter parlamentare del provvedimento comporterebbe comunque tempi più lunghi, e i Responsabili non vogliono attendere ulteriormente quel riconoscimento di “salvatori della patria” che ritengono di meritarsi, dopo il voto di fiducia al governo. Il premier, quindi, deve risolvere quanto prima il grattacapo della seconda tranche del “rimpastino” e sbrogliare la matassa delle restanti caselle vuote al governo, e placare così i malumori di Ir, che rischiano di deflagrare e portare a una implosione del gruppo stesso. Diversi esponenti Ir, infatti, soprattutto del sud, dopo la ‘promozione’ di Romano chiedono un eguale riconoscimento, accusando il neo ministro di aver guardato più al proprio interesse che a quello dell’intera componente.
Berlusconi ieri sera a cena ha tentato di tranquillizzare i Responsabili in subbuglio, promettendo tempi brevi, 10-15 giorni al massimo, per la nomina dei quattro sottosegretari e del viceministro. Ad ambire a quei posti, peroò, sono in troppi: si fanno i nomi di Calearo, Polidori, Pionati, Misiti,Belcastro, Cesario. Il premier, spiegano fonti Pdl, sa bene che non può rinviare ulteriormente l’assegnazione dei posti restanti, anche perché in ballo c’è la compattezza della maggioranza alla Camera, in vista di voti decisivi per la tenuta del governo, quello sul conflitto di attribuzione in primis, ma anche sui provvedimenti in materia di giustizia che presto approderanno in aula, e sui quali l’opposizione ha già promesso battaglia.
“Sull’allargamento Berlusconi seguirà la via che gli ha indicato Napolitano: prima integrerà i posti poi con un ddl con corsia preferenziale in Parlamento darà luogo all’ampliamento del numero dei sottosegretari per arrivare a una maggiore funzionalità del governo”, spiegava al termine della cena di ieri Romano. “Ma le ambizioni sono molte e la pazienza è agli sgoccioli”, afferma uno dei papabili neo sottosegretari. C’è poi l’insoddisfazione di chi è passato nella maggioranza, si aspettava un “riconoscimento” e ora vede sfumare una possibile promozione: a rivendicare più rappresentanza è Francesco Pionati (anche se il suo nome è dato per certo tra i sottosegretari): “Noi vogliamo un terzo dei sottosegretari”. Per poi in serata precisare: “I responsabili non vogliono né chiedono nulla. Ho detto e ripeto che non abbiamo mai costituito un problema e che i posti disponibili sono ampiamente al di sopra di quelli ai quali possiamo aspirare”.
Ma è lo stesso Romano a sottolineare il ruolo decisivo dei Responsabili: “Anche oggi, su una vicenda delicata come quella della Libia, abbiamo dimostrato di essere la terza gamba della maggioranza”. Dunque, “i posti vanno assegnati a chi non ha ancora una rappresentanza”, il che tradotto significa a Ir. Ma le richieste dei Responsabili mettono in allarme il Pdl, che a sua volta rivendica una maggiore rappresentanza all’interno dell’esecutivo e un riequilibrio rispetto agli ex An dopo la fuoriuscita dei finiani. C’è poi anche il “caso” Scajola da risolvere: l’ex ministro ha chiesto a Berlusconi di tornare sulla scena a pieno titolo, con un ruolo di rilievo nel partito (c’è chi dice che ambirebbe a prendere il posto di coordinatore di Bondi). Ma nella maggioranza c’è chi non esclude che alla fine a Scajola potrebbe essere offerta la poltrona che fu di Ronchi alle Politiche comunitarie. Soluzione che, viene spiegato, non sarebbe gradita dall’ex ministro.