lunedì 28 marzo 2011

Mafia e Lombardia, le radici del tabù.


La lite Vendola-Formigoni è solo il caso più recente ma non sarà l'ultimo: parlare di criminalità organizzata al Nord è sempre stato considerato proibito. Eppure già negli anni 70 le cosche avevano trasferito parte dei loro interessi nella capitale morale d'Italia.

Lombardia, mafiosa e omertosa. Tre parole che ribaltano decenni di senso comune e mostrano un’Italia capovolta. Soprattutto se a dirle è il presidente di una regione del Sud, Nichi Vendola, al presidente di una regione del Nord, Roberto Formigoni. La reazione di quest’ultimo è stata scomposta: Vendola è «sotto effetto di sostanze», e poi «come mai non è in galera» per lo scandalo della sanità pugliese? (vedi http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/vendola-formigoni-il-primo-lombardia-regione-ultramafiosa-laltro-e-un-miserabile/99994/).

Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha ribattuto con lo stile che predilige, quello delle formule generiche e vacue: «Vendola deve occuparsi della sua regione, viene in un posto che non conosce e insulta una regione che è la prima d’Italia nel contribuire a creare per tutto il Paese opportunità di lavoro e produzione di ricchezza». E naturalmente «tutte le istituzioni, che ringrazio di cuore, sono estremamente vigili» (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2011/26-marzo-2011/continua-disputa-vendola-formigonila-mafia-ha-attaccato-nostro-lavoro–190312103014.shtml).

Passata la buriana, però, sia Moratti che Formigoni hanno optato per un mezzo passo indietro ed entrambi hanno rilasciato qualche timida ammissione a mezzo stampa (lettera e intervista sulCorriere della Sera di oggi). Il messaggio grosso modo è lo stesso, per dirla con le parole di Formigoni: “Basta liti, combattiamo insieme la mafia”. Che quindi c’è anche a Milano, se ne ricava. Più timida Moratti, che dopo la polemica con Vendola decide di rispondere alla lettera del procuratore Pignatone, pubblicata sempre dal Corriere un paio di giorni prima. Il procuratore di Reggio Calabria, magistrato di punta nella lotta alla ‘ndrangheta, aveva scritto una lettera alCorrierone per scuotere il Nord dal suo preoccupante torpore: «La repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà».

Ecco allora che sotto il titolo “Guardia alta contro la ‘ndrangheta” sfila la lista degli interventi adottati dal Comune, ma soprattutto un invito al governatore della Puglia: “Deve e può essere (quella contro la criminalità, ndr.) una battaglia senza barriere ideologiche e ostracismi politici, perché sono sicura che tutti [...] vogliamo mantenere Milano fedele alla più autentica tradizione di e vocazione di lavoro e solidarietà, capacità di iniziativa e onestà [...]. Per questo chiedo a chi lancia accuse pretestuose e infamanti contro la Lombardia solo per ragioni elettorali di fare un passo indietro”.

Certo che Vendola è in campagna elettorale per il suo candidato Giuliano Pisapia, che sfiderà la Moratti alle amministrative di maggio, ma due comparsate sui mezzi di informazione non bastano ad annullare il punto centrale della sua invettiva: in Lombardia la parola mafia è sempre stata un tabù, soprattutto per i governanti. Come a Corleone, ma Corleone degli anni Cinquanta, non quella di adesso che di mafia discute pubblicamente.

E’ un vero e proprio negazionismo che ha radici lontane. La mafia era una «favola» per il sindaco socialista Paolo Pillitteri, che poi si vedrà scoppiare tra le mani lo scandalo Duomo Connection e gli intrecci pericolosi tra Cosa nostra e Palazzo Marino.

Vent’anni dopo Letizia Moratti negherà l’esistenza di una «criminalità mafiosa» a Milano, vedendo al massimo una generica (tanto per cambiare) «criminalità organizzata». Era il 23 gennaio 2010, sette mesi dopo l’operazione Crimine-Infinto porta in carcere 160 presunti affiliati alla ‘ndrangheta milanese e lombarda. Quei criminali «organizzati» di cui parla la Moratti, guarda un po’, risultano strettamente legati alle cosche calabresi e spesso portano i cognomi di famiglie di rispetto.

E che dire dello strano caso del prefetto Gian Valerio Lombardi, che durante la visita della Commissione parlamentare antimafia fa filtrare il messaggio che a Milano «la mafia non esiste», ma nello stesso istante consegna ai commissari un’allarmante relazione riservata in cui sottolinea la penetrazione dei clan nell’economia legale «grazie a consolidati rapporti con il mondo bancario, finanziario e istituzionale»? E’ lo stesso prefetto che affossa l’istituzione di unaCommissione antimafia al Comune di Milano, con l’entusiastica adesione del centrodestra tutto – Pdl, Lega, Udc, Lista Moratti – che pure ne aveva votato l’istituzione all’unanimità. Tabù.

La mafia a Milano e in Lombardia c’è, e c’è da almeno sessant’anni, dato che i primi boss di Cosa nostra e ‘ndrangheta salirono al Nord all’epoca in cui nascevano la Rai Tv e il festival di Sanremo.Luciano Liggio è stato arrestato nel 1974 in via Ripamonti, dove viveva con la compagna e il figlio. Michele Sindona e Roberto Calvi erano perfettamente inseriti nel «salotto buono» dell’economia e della finanza, prima di finire male, mentre al funerale di Giorgio Ambrosoli non si presentarono né autorità né «vip». I colletti bianchi del narcotraffico legati allo «stalliere» di Arcore Vittorio Mangano avevano uffici di copertura in via Larga, a due passi dal Duomo.

Nei primi anni Novanta la Direzione distrettuale antimafia di Milano portò in carcere circa duemila boss e soldati della ’ndrangheta, di Cosa nostra, della camorra, della Sacra corona unita, tutti stabilmente insediati al Nord.

Formigoni e la Moratti forse non hanno studiato la storia. Ma, come accusa Vendola, sono stati muti anche di fronte alla cronaca. Protagonisti di una politica dove si dichiara e si polemizza su tutto, fino allo sfinimento, si sono tenuti lontani il più possibile dalla parola tabù.

Ecco un elenco – inevitabilmente parziale e sparso – delle occasioni in cui avrebbero dovuto dire qualcosa di più o di diverso.

Alla vigilia del Natale 2010, Pietrogino Pezzano è stato nominato direttore generale della Asl numero uno della provincia di Milano, pochi mesi dopo che erano emerse le sue strette frequentazioni con i presunti boss della ‘ndrangheta di Desio. Nomina avvallata e difesa dallo stesso Formigoni.

Proprio a Desio, il 26 novembre 2010, si registra il primo caso lombardo di una giunta comunale caduta per mafia. Dopo mesi di agonia, la maggioranza Pdl-Lega non ha retto ai contraccolpi dell’inchiesta Crimine-Infinito e delle pesanti collusioni politico-amministrative che ha fatto emergere.

Il 13 luglio 2010, l’inchiesta Crimine-Infinito svela diversi contatti tra ‘ndrangheta e politica. Il direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, finisce in carcere per associazione mafiosa. Dall’inchiesta emerge tra l’altro che si dà da fare per fabbricare prove false in favore di Rosanna Gariboldi, moglie del parlamentare del Pdl Giancarlo Abelli, vicinissimo a Formigoni.

L’assessore regionale all’ambiente Massimo Ponzoni, altro fedelissimo di Formigoni, pur non indagato è definito dagli inquirenti «parte del capitale sociale» dell’organizzazione mafiosa.

Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore legato al clan Valle sotto accusa per associazione mafiosa e usura, era ospite alla festa elettorale di Letizia Moratti per la vittoria del 2006, grazie ai buoni uffici di un paio di consiglieri comunali del Pdl.

La recente operazione Caposaldo svela un capillare sistema di estorsioni gestito, secondo l’accusa, dallo storico clan ‘ndranghetistico dei Flachi. A Milano pagano il pizzo famosi locali notturni, parcheggiatori abusivi, venditori ambulanti di panini. In perfetta sinergia con lo spaccio di coca. Paolo Martino, boss reggino di prima grandezza, parla di appalti in tono assai confidenziale con Luca Giuliante, tesoriere del Pdl e primo avvocato di Ruby nello scandalo dei festini di Arcore.

Intorno all’aeroporto di Malpensa, a Lonate Pozzolo e in altri centri del varesotto, decine di imprenditori lombardi hanno subito per anni estorsioni, violenze e minacce da parte del clan di origine crotonese dei Filippelli, secondo un’indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Milano. Nessuno di loro ha mai trovato il coraggio di denunciare. Il relativo processo sta per concludersi a Busto Arsizio.

L’11 giugno 2010 diversi esponenti del clan Barbaro-Papalia sono stati condannati in primo grado per associazione mafiosa, con l’accusa di aver conquistato, con il timore che il loro nome incuteva, il monopolio di un’attività economica lecita: il movimento terra nei cantieri edili dell’hinterland sudovest di Milano. Gran parte dei testimoni convocati in aula hanno fatto scena muta o sono stati reticenti.

Indagini successive hanno evocato l’esistenza di un sistema centralizzato grazie al quale la ’ndrangheta si spartisce le commesse in varie parti della Lombardia, capoluogo compreso. E scarica abusivamente rifiuti tossici e pericolosi.

Da almeno vent’anni si susseguono operazioni antimafia all’Ortomercato di Milano, struttura di proprietà comunale attraverso la Sogemi. L’ultima, del 2007, ha smascherato un traffico internazionale di cocaina gestito dal clan Morabito di Africo, con tanto di night club aperto in un locale della Sogemi.

Negli ultimi anni in Lombardia ci sono stati una quindicina di omicidi di mafia e si registrano centinaia di casi di minacce e intimidazioni, soprattutto ai danni di imprenditori e commercianti, che raramente vengono denunciati. La sola indagine Crimine-Infinito riporta 130 incendi dolosi e 70 episodi di intimidazione in quattro anni.

Nei giorni scorsi in un campo Bernate Ticino, tra Milano e Novara, è stato scoperto un «cimitero della ‘ndrangheta», con due corpi di presunte vittime di lupara bianca, sotterrati insieme a resti di maiali macellati clandestinamente.

La Lombardia è la quarta regione italiana per beni immobili confiscati alle mafie: 762, di cui 173 a Milano città. Le aziende tolte ai clan sono 195.

Non è seguito dibattito.



domenica 27 marzo 2011

Quando Berlusconi invitava i tunisini a venire in Italia.



Auto 'inghiottita' da voragine su litorale ravennate, ancora gravi due donne.




Ravenna - (Adnkronos) - Sono in corso accertamenti per capire cosa abbia causato l'improvviso cedimento della sede stradale in viale Manzoni a Lido Adriano. Il Codacons presenta un esposto in Procura.

Ravenna, 26 mar. - (Adnkronos) - Restano gravi le condizioni delle due donne di 58 e 60 anni che ieri sono state inghiottite da una grossa voragine mentre percorrevano in auto viale Alessandro Manzoni a Lido Adriano, sul litorale ravennate. Le due, che viaggiavano su una Fiat 600, sono state ricoverate al Bufalini' di Cesena e al Santa Maria delle Croci di Ravenna. Sono in corso accertamenti per capire cosa abbia causato l'improvviso cedimento della sede stradale.

Il Codacons annuncia un esposto alla Procura della Repubblica di Ravenna in merito alla voragine apertasi sulla strada provinciale per Lido Adriano.

''Si tratta di un incidente assurdo che avrebbe potuto provocare una strage - afferma il presidente Codacons, Carlo Rienzi - Per tale motivo presenteremo lunedi' un esposto alla Procura di Ravenna, chiedendo di indagare alla luce delle possibili fattispecie di attentato alla sicurezza dei trasporti e concorso in strage''.

''Vogliamo sapere se vi siano state o meno negligenze od omissioni che abbiano provocato la rottura del manto stradale, e di chi siano le relative responsabilita' - prosegue Rienzi - Gli automobilisti della zona hanno corso un serio pericolo: non vogliamo pensare a cosa sarebbe successo se a transitare nel punto della voragine fosse stato un autobus carico di bambini''.



Libia, insorti riprendono terreno.



Roma - (Adnkronos/Ign) - I ribelli avanzano verso ovest e dono pronti a vendere il petrolio: stretta intesa con il Qatar. Il ministro degli Esteri: "Bisogna pensare anche un processo di riconciliazione nazionale ed è necessario coinvolgere il tessuto tribale. Spunta la proposta italo-tedesca per il dopo Gheddafi. Il Papa: stop alle armi, sì al dialogo. 'Odyssey Dawn', per le navi da guerra Usa in arrivo viveri e munizioni.

Roma, 27 mar. (Adnkronos/Ign) - La controffensiva dei ribelli sembra coronata dal successo. Anche grazie all'impegno internazionale gli insorti, nelle ultime ore, stanno riguadagnando posizione, entrando nelle città che Gheddafi controllava con i suoi miliziani.

Oggi dopo aver preso il porto petrolifero di al-Burayqa, i ribelli hanno conquistato anche il controllo della città di Uqaliya abbandonata dalle truppe lealiste. Questa città si trova un centinaio di chilometri a ovest di Ajdabiya, che da venerdì è sotto il comando degli insorti. Le armate dei ribelli sono anche a Ras Lanouf, dove si trova uno dei maggiori terminal petroliferi.

Non solo. Ora gli insorti controllano anche la città di Bin Jawad e avanzano verso Sirte, 400 chilometri a nord est di Tripoli. E' questo il prossimo obiettivo dopo la riconquista ieri di Ajdabiya e Brega. Poi si punta a Misurata, terza città del paese assediata dalle forze di Gheddafi fin dal 19 febbraio, considerata la porta per raggiungere la capitale e mettere in scacco il raìs.

La forza dei ribelli è ora anche l'oro nero, visto che la loro avanzata è lungo i porti petroliferi della costa libica e, pare, abbiano già stretto un accordo con il Qatar per iniziare le esportazioni di greggio. "Abbiamo fatto un accordo con il Qatar. Il prossimo carico potrebbe avvenire in meno di una settimana", ha detto Ali Tarhouni, incaricato dai ribelli delle questioni economiche e del petrolio, citato dalla Bbc.

Secondo Tarhouni, la produzione libica di 100-130 mila barili al giorno potrebbe arrivare fino a 300 mila barili al giorno. L'accordo con il Qatar, che partecipa all'operazione per l'imposizione di una no-fly zone sulla Libia, permetterà agli insorti di aver accesso a liquidi in valuta estera.

E la questione è confermata anche dal segretario britannico alla Difesa Liam Fox, secondo il quale il controllo dei terminal petroliferi da parte deir ibelli crescerà a mano a mano che procederà l'avanzata lungo la costa lasciandogli "gran parte del controllo delle esportazioni di petrolio". E questo "produrrà una nuova dinamica con un diverso equilibrio in seno alla Libia".

"Stiamo assistendo sul terreno all'avanzata dei ribelli verso ovest da Ajdabiya a Brega, lungo la costa. Cio' produce naturalemte una dinamica politica molto diversa", ha detto Fox alla Bbc. Il controllo dei terminal petroliferi crescera' a mano a mano che procedera' l'avanzata lungo la costa, ha spiegato, lasciando ai ribelli "gran parte del controllo delle esporatzioni di petrolio... cio' produrra' una nuova dinamica con un diverso equilibrio in seno alla Libia".

Intanto, la Nato è pronta a prendere il pieno comando della missione in Libia. La decisione dovrebbe arrivare questa sera a conclusione del vertice degli ambasciatori dell'Alleanza Atlantica oggi a Bruxelles.



"Radiazioni altissime nell'acqua" Fukushima, allarme al reattore 2.



T
okyo - (Ign) - Aiea: Radioattività dell'acqua è 10 milioni di volte superiore ai livelli normali. Tokyo: ''Difficile dire quando finirà la crisi'' Greenpeace: livello 7 incidente Fukushima. Ultimo bilancio del sisma e dello tsunami: oltre 27mila tra morti e dispersi.Premier Kan: la situazione è grave. Tracce di iodio radioattivo in Germania.

Tokyo, 27 mar. (Ign) - Radioattività dell'acqua è 10 milioni di volte superiore ai livelli normali. Scatta il nuovo allarme a Fukushima, dopo le notizie diffuse dall'Agenzia per la sicurezza nucleare. La radioattività dell’acqua al reattore n.2 della centrale di Fukushima è infatti estremamente elevata ed è pari a 10 milioni di volte i livelli normali. Il livello di iodio-131 presente nel reattore n.2 è estremamente alto -spiegano da Vienna-. L’Agenzia sospetta che la radioattività dell’acqua possa essere legata in qualche modo direttamente a un problema del nocciolo del reattore, visto il livello toccato di 1.000 millisievert/ora.

"Siamo ancora lontani dalla fine dell'incidente", ha affermato Yukiya Amano, intervistato dal New York Times. L'ex diplomatico nipponico, che è stato recentemente in missione in Giappone per seguire gli sviluppi della crisi, ha dichiarato che la sua maggior preoccupazione sono le barre di combustibile usato stoccate nelle vasche di raffreddamento. Non e' infatti chiaro, ha spiegato, se abbiano avuto successo gli sforzi per impedire che le barre prendano fuoco rilasciando grandi quantità di materiale radioattivo. Se i tecnici continuano a riempire le vasche di acqua, senza però riuscire a riparare i sistemi di raffreddamento, allora "la temperatura salirà". Amano si dice poi particolarmente preoccupato per la vasca del reattore numero 4 che contiene l'intero nucleo del reattore, rimosso poco prima del sisma e lo tsunami dell'11 marzo e particolarmente radioattivo. "Servono maggiori sforzi per porre fine all'incidente", sostiene Amano, esprimendo preoccupazione anche per la radioattività nell'ambiente. Il capo dell'Aiea si dice convinto che il governo di Tokio non stia nascondendo informazioni. Ma aggiunge che "vi sono aree dove non abbiamo informazioni. Non le abbiamo e non le hanno i giapponesi".

Il reattore 2 è stato subito evacuato, mentre oggi era previsto l'utilizzo di pompe elettriche per iniettare acqua nei reattori della centrale, proprio per accelerare i tempi di raffredamento.

La notizia della radioattività dell'acqua è stata confermata dalla compagnia che gestisce l'impianto, la Tepco, spiegando che vi è dell'acqua radioattiva nei sotterranei dell'edificio della turbina collegata al reattore numero 2. Gli alti livelli radioattivi, afferma la Tepco, potrebbero originare dal nucleo del reattore, che potrebbe essere stato danneggiato dalle conseguenze del sisma e lo tsunami dell'11 marzo, riferisce l'emittente pubblica Nhk. Acqua contaminata si trova vicino a quattro dei sei reattori dell'impianto.



Fotovoltaico galleggiante: i 5 migliori progetti di impianti al mondo. - roberto zambon

fotovoltaico_galleggiante_solar_island

Uno degli svantaggi principali del fotovoltaico è la collocazione: servono superfici abbastanza ampie per sistemare i pannelli in modo ottimale, in modo, cioè, che rendano al massimo. Di solito si utilizzano i tetti delle abitazioni, ma abbiamo visto che anche le pensiline dei parcheggivanno bene. In linea teorica, comunque, ogni area, anche quelle verticali, può essere ricoperta di moduli fotovoltaici, e già da ora gli ingegneri di tutto il mondo si stanno sbizzarrendo per trovare materiali innovativi e idee rivoluzionarie.

Tra queste ultime ci sono senza dubbio gli impianti fotovoltaici galleggianti, che utilizzano l'acqua come superficie di appoggio, risolvendo così il problema della collocazione. È un campo ancora inesplorato, in cui noi di greenme.it cercheremo di guidarvi con un breve giro del mondo in 5 tappe. Cominciamo dal nostro paese.

1) Si trova a Solarolo (provincia di Ravenna) ed è entrato in funzione il 2 dicembre 2009. Firmato Enerdaiet s.r.l., azienda di Cisternino, l'impianto è formato da un unico modulo di circa 25 metri di diametro, posizionato nel lago adiacente alla centrale del Consorzio per il canale Emiliano Romagnolo (CER), che si occupa di bonifica di secondo grado. Il progetto, denominato Loto per analogia con la pianta acquatica, è stato il primo di questo tipo in Europa, ed è funzionale all’installazione presso bacini d’acqua o mare aperto poiché presenta un elevato grado di integrazione ambientale, non toglie spazio alle coltivazioni e in alcuni casi riduce l’evaporazione dei bacini stessi. Un impianto simile verrà realizzato, sempre da Enerdaiet s.r.l.che lo ha presentato ufficialmente al Solarexpo di Verona, anche ad Avetrana, in provincia di Taranto.

fotovoltaico_galleggiante

2) Altro che Far Niente. L'omonima azienda vitivinicola californiana soddisfa da qualche anno il proprio fabbisogno energetico grazie a mille pannelli fotovoltaici posizionati nel proprio stagno (dal quale attinge l'acqua per l'irrigazione), in modo da non sottrarre terreno alla coltivazione dei vigneti. Questa volta il progetto si chiama Flotovoltaics ed è stato realizzato dallaThompson Technology Industries (TTi).

Far_niente

3) Ci spostiamo adesso ancora più a Ovest, in Giappone, dove il team giapponese dellaKyushu University ha progettato Floating Power Plant, un impianto composto di unità galleggianti di forma esagonale all’interno delle quali verranno sistemati generatori eolici efotovoltaici di circa sei metri quadrati. Poiché è pensato per un'installazione in mare, il materiale utilizzato per tali unità, molto leggero, sarà ben 10 volte più resistente alla ruggine rispetto al comune acciaio. Il progetto prevede inoltre l'utilizzo di luci a LED per favorire la crescita delfitoplancton, un'alga in grado di assorbire l'anidride carbonica grazie a una sorta di fotosintesi. Quando si dice pensare a tutto...

floatingPowerPlant

4) Rimaniamo in Asia, questa volta negli Emirati Arabi Uniti, per la precisione a Ras al-Khaimah. Si trova qui, a galleggio sul mare del Golfo Persico, una struttura davvero innovativa, dall'eloquente nome di Solar Island.

floating-solar-island

Il piccolo stato mediorientale che l'ha commissionata, a causa della mancanza di spazio sulla terraferma, ha scelto appunto un'intera “isola”, alta 20 metri e dal diametro di un chilometro, interamente ricoperta da pannelli fotovoltaici in grado di orientarsi, grazie all'utilizzo di svariati motori, per catturare il maggior irragiamento solare a disposizione. Il progetto, opera del Centro di Elettronica e Microtecnologia di Neuchatel (Svizzera), è in grado di produrre fino a 2,2 GWh all'anno, con picchi di potenza pari a circa 1 MW.

5) Torniamo infine in Europa, a Glasgow. La città scozzese è sede di un curioso esperimento, vincitore tra l'altro dell'International Design Award 2008 (categoria Land and Sea): si tratta delle Solar lily pad progettate dallo studio ZM Architecture, piccole “isole” dall'aspetto di ninfe poste lungo il Glasgow's River Clyde, facili da trasportare, smontare, molto efficienti e soprattutto – aspetto non da poco – esteticamente... carine!

solar-lily-pads

Bene, il tour virtuale si conclude qui. Chissà, tra qualche decennio questi progetti ci sembreranno obsoleti e superati, e magari le 5 scelte ci porteranno non più a spasso per la terra, ma a spasso per l'universo. Lassù, in fondo, il sole è ancora più vicino.

http://www.greenme.it/informarsi/energie-rinnovabili/2368-fotovoltaico-galleggiante-i-5-migliori-progetti-di-impianti-al-mondo



L’Europa dà ragione a De Magistris E multa l’Italia per 57 milioni.


L'inchiesta Poseidone aveva svelato la truffa all'Unione europea. L'Olaf ha indagato per quattro anni, poi ha steso un rapporto di 35 pagine che condanna il nostro Paese

L’Europa chiede all’Italia 57 milioni di euro per gli sperperi del precedente governo regionale calabrese di centrodestra sui quali ha indagatoLuigi De Magistris. Radio Londra chiama e Bruxelles risponde. Secondo Giuliano Ferrara, “Luigi De Magistris non sarebbe diventato nessuno se avesse impostato delle inchieste che mettevano capo a qualcosa di vero e di concreto”. Secondo l’Olaf, l’Ufficio Antifrode Europea, qualcosa di concreto quelle inchieste lo hanno prodotto. Grazie all’indagine Poseidone, per esempio, sono stati risparmiati 48,8 milioni di euro. Lo dice il rapporto 12127-I-2010 dell’Olaf, appena trasmesso agli uffici giudiziari italiani. Il Fatto Quotidiano è riuscito a visionarlo. Porta la data del 6 ottobre 2010 e si intitola “Depuratori-Procura di Catanzaro”. L’Olaf, una direzione generale composta di 500 uomini, fa proprie le ipotesi di accusa formulate nel lontano 2005. Sei anni dopo l’avvio dell’inchiesta sui depuratori calabresi a Catanzaro e quattro anni dopo l’apertura dell’indagine parallela a Bruxelles (essendo coinvolti i fondi europei) si può fare finalmente un bilancio. Nel febbraio scorso c’erano state le 35 richieste di rinvio a giudizio (su 40 indagati) del procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli (subentrato nell’accusa) ora l’Olaf presenta il suo conto: 114 milioni di euro di danno (“vero e concreto”, come dicono a Radio Londra) per il bilancio comunitario, il più grande mai accertato dall’Ufficio anti-frode comunitaria.

La relazione finale dell’Olaf si compone di 35 pagine fitte. Gli investigatori che firmano il rapporto, gli italiani Giorgio Brattoli (funzionario Ue) e Francesco Albore (maggiore dei Carabinieri) coordinati dal capo dell’Unità investigativa Olaf, James Sweeney, hanno fatto la spola con l’Italia per quattro anni per acquisire carte e testimonianze negli uffici della Regione Calabria; del Commissariato per l’emergenza ambientale del Tribunale di Catanzaro, dell’ufficio giuridico presso la Protezione civile e infine del ministero dell’Ambiente.
L’indagine dell’Olaf non cercava i reati come quella dei pm italiani, ma mirava a verificare se i fondi strutturali europei fossero stati spesi correttamente dal Commissariato all’emergenza ambientale guidato dal presidente della Regione di centrodestra, Giuseppe Chiaravalloti (oggi all’Autorità Garante della Privacy), e gestito dall’uomo di Alleanza nazionale Giovambattista Papello, divenuto poi tesoriere della Fondazione del ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli.

Nella sintesi finale della relazione si legge che il danno evitato per il bilancio comunitario è pari a 48,8 milioni di euro, dei quali 24,4 milioni di euro provenienti dai fondi strutturali dell’Europa. Purtroppo molti buoi erano già fuggiti dal recinto e così il “danno causato” è stato comunque di 114 milioni di euro dei quali ben 57 milioni di euro provenienti dai fondi strutturali europei.

Ecco perché a pagina 33 della relazione si legge la frase che non farà piacere al ministro dell’Economia Giulio Tremonti: “Alla luce dei risultati sopra descritti si raccomanda all’ordinatore della spesa della Commissione europea, DG REGIO, a prescindere dagli esiti delle indagini giudiziarie italiane (cioè anche se il Tribunale di Catanzaro dovesse dar torto all’impostazione di De Magistris e Borrelli, ndr) il recupero totale dei contributi elargiti per un ammontare alla data del 28 aprile 2009 di 57 milioni di euro” (….) “inoltre si raccomanda all’unità Olaf C1 di raccogliere gli esiti dei procedimenti penali e della Corte dei conti, di inviare il presente rapporto alle autorità giudiziarie italiane e alla magistratura contabile”.

Il rapporto ripercorre la storia dell’indagine: “Nel luglio 2007 a seguito dell’analisi delle informazioni ricevute nell’ambito delle attività di monitoraggio delle indagini giudiziarie condotte dalla Procura di Catanzaro, in Italia, l’OLAF apriva un’indagine amministrativa esterna, al fine di appurare la legittimità dell’uso dei contributi comunitari (…) Nell’ambito dell’indagine amministrativa l’OLAF ha rilevato, come meglio descritto nel corpo del presente rapporto, gravi irregolarità amministrative che hanno permeato tutte le fasi di esecuzione dei progetti co-finanziati nell’ambito delle azioni 1.2 c) e d) del POR Calabria 2000-2006. In particolare: la mancata osservanza delle norme relative agli appalti pubblici dovuta all’utilizzo di deroghe non applicabili a progetti inerenti la programmazione comunitaria; l’assenza di una contabilità analitica; la mancata osservanza delle norme sulla pubblicità; gli enormi ritardi nell’ultimazione dei lavori e nei collaudi; il mancato trasferimento nei tempi previsti delle competenze relative al settore della depurazione agli enti ordinariamente competenti e inoltre l’esiguo numero dei controlli effettuati”.

Per tutte queste ragioni, l’Olaf chiede indietro all’Italia “il recupero in toto dei sussidi elargiti per i 48 interventi oggetto della presente indagine, per un ammontare complessivo, alla data del 28/04/2009, di 57 milioni di euro”, sempre grazie all’inchiesta dell’ex pm “il commissariato delegato per l’emergenza ambientale ha provveduto ad escludere ulteriori 21 interventi per un ammontare di 40,4 ME e ulteriori spese per 8,4 milioni di euro”. L’Italia illegale che guadagna sugli sperperi dei soldi europei non sarà grata a Luigi De Magistris. L’Europa gli deve 57 milioni di ringraziamenti. Forse per questo l’hanno eletto presidente della Commissione di controllo sul Bilancio europeo.