sabato 2 aprile 2011

Lampedusa, verso iscrizione di 21.700 migranti indagati.


Dodici vice-procuratori onorari e sei pm per gestire decine di migliaia di indagati, centinaia di sequestri di barche e decine di arresti di scafisti.

Sono circa tremila, ma saranno 21.700 gli immigrati iscritti nel registro degli indagati della procura di Agrigento per immigrazione clandestina, tanti quanti ne sono sbarcati a Lampedusa tra gennaio e marzo scorsi. Una vera e propria emergenza giudiziaria alla quale la procura guidata da Renato Di Natale fa fronte con l'impegno di 12 vice-procuratori onorari e sei sostituti procuratori che devono seguire centinaia di procedimenti per il sequestro delle imbarcazioni giunte nell'isola e decine di fascicoli per l'arresto di altrettanti scafisti. Dal ministero e' arrivato un nuovo dirigente superiore amministrativo e altro personale e' in arrivo in qeuste ore. Tra le inchieste ancora in corso anche quella per l'episodio di mistragliamento del peschereccio mazarese, avvenuto nel settembre scorso nel golfo della Sirte, fuori dalle acque teritoriali libiche, da parte di una motovedetta libica che l'Italia ha donato a Gheddafi e a bordo della quale erano presenti ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza con funzioni di addestramento. La procura di Agrigento procede per tentato omicidio ed ha inoltrato una rogatoria alle autorita' libiche per interrogare il comandante che ha dato l'ordine di sparare contro cittadini italiani. ''Ma con questa situazione internazionale - ha detto il procuratore Di Natale - non credo che arrivera' una risposta''.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=124


La Russa è indagato dal Tribunale dei ministri per violenze contro un cronista.


L'episodio risale al 10 marzo 2010 quando il ministro della Difesa espulse in modo violento da una conferenza stampa col premier Rocco Carlomagno, attivista, provocatore e giornalista free-lance

Lo avevamo lasciato intento a mandare a quel paese il presidente della Camera Gianfranco Fini. Ma alla fine il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha trovato qualcun altro che lo denunciasse per le sue intemperanze e, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, è indagato dal tribunale dei ministri per il modo violento con il quale, il 10 marzo 2010, espulse da una conferenza stampa nella sede del Pdl, Rocco Carlomagno, attivista, contestatore, giornalista freelance.

Questa la scena: in via dell’Umiltà a Roma, nella sede centrale del Pdl, il presidente del ConsiglioBerlusconi si presenta in conferenza stampa per intervenire sulla questione delle liste elettorali, che in quei giorni anima la politica. Rocco Carlomagno, in una sala gremita dai giornalisti, macchine fotografiche e telecamere, si permette di interromperlo più volte. Alla prima domanda Berlusconi replica tranquillo, mentre il ministro La Russa si avvicina e respinge un uomo della security che vuole intervenire: “Lascia stare, ci penso io”, sembra dire.

Passano pochi minuti e Carlomagno interrompe ancora, Berlusconi perde la pazienza e tra i due nasce uno scambio di parole non proprio benevolo. L’uomo si ostina a chiedere di Bertolaso e dei soldi spesi per L’Aquila, parla di tangenti (un mese prima erano stati effettuati gli arresti dellaCricca dei Grandi eventi) e il presidente del Consiglio replica dando del “villano” all’improvvisato interlocutore, annunciando querela da parte di Bertolaso.

La calma dura poco e alla terza interruzione Berlusconi dichiara forfait: sospende la conferenza stampa e si alza decisamente seccato. Poi monta il sorriso dei grandi imbarazzi e accolla alla sinistra illiberale la colpa morale del “provocatore” in sala. “Lo capisco che sia così arrabbiato – aggiunge a mo’ di chiosa – e sa perché? Perché se va davanti allo specchio si è già rovinato la giornata”. Carlomagno annuncia querela anche per le offese ma non è dato sapere se per quelle sia stato aperto un procedimento contro Berlusconi.

Mentre la sala si svuota, tuttavia, è La Russa a perdere le staffe e, come diventerà quasi abitudine più avanti nel tempo, interviene in modo scomposto, afferra l’uomo per il bavero della giacca e lo strattona dicendogli “adesso tu vieni con me”. La security resta dietro al ministro che anzi in qualche modo ne impedisce l’intervento, e mentre lui impartisce la sua “lezione” al disturbatore, che si conclude con una “carezza” ironica sulla testa l’altro gli dice: “Picchiatore fascista, ti denuncio di fronte a testimoni”. Carlomagno sostiene di avere ricevuto anche due pugni allo sterno, che però nelle immagini riprese dalla prospettiva della telecamera in azione non si vedono.

Tanto basta, i video girati fanno il giro del web e Rocco Carlomagno mette in pratica il suo annuncio. La procura di Roma apre un fascicolo che viene immediatamente trasmesso al collegio dei reati ministeriali, il cosiddetto tribunale dei ministri. Il tribunale, composto da tre giudici estratti a sorte, due provenienti dal Tribunale civile di Roma (Alfredo Maria Sacco e Eugenio Curatola) più il Gip di Tivoli Pier Luigi Balestrieri, invece di derubricare l’accaduto a uno spiacevole fuori programma dispone che vengano compiuti tutti gli accertamenti del caso.

Così gli investigatori incaricati dal tribunale dei ministri acquisiscono le carte relative agli accrediti di quella conferenza stampa per verificare se Carlomagno potesse legittimamente trovarsi lì. Il risultato – a quanto risulta al Fatto – li obbliga a perseverare: Rocco Carlomagno era regolarmente accreditato per l’evento.

E così il fascicolo rimane aperto. La settimana prossima il tribunale dei ministri si riunirà per decidere cosa fare di questa pratica. All’esito della riunione i tre giudici dovrebbero inoltrare il fascicolo alla Procura di Roma, come prevede la legge. Sarà poi il procuratore capo di Roma a esprimersi. La Procura, in questa speciale procedura, può chiedere il rinvio a giudizio del ministro o l’archiviazione, fermo restando che poi l’ultima parola spetta comunque al collegio dei reati ministeriali.

Il fascicolo, quasi un anno dopo la querela di Carlomagno, non è stato ancora archiviato perché al di là delle dimensioni dell’evento, la scena accaduta il 10 marzo 2010 a Roma, pone problemi giuridici complessi. Il luogo nel quale si è svolta la conferenza non è una sede istituzionale comePalazzo Chigi ma una sede di partito. Inoltre Carlomagno non è, come sottolineato quel giorno da Larussa e Berlusconi, un giornalista iscritto all’albo. Questi due punti non sono però sufficienti a derubricare il fatto come semplice incidente. Molti partecipanti alle conferenze stampa non sono iscritti all’albo e, non per questo, perdono il diritto a fare domande, vedi Le Iene di Mediaset.

Inoltre, una volta ammesso in conferenza stampa un cittadino che intende comunicare con i suoi mezzi (Internet compreso) ciò che si dice e che accade all’interno del luogo privato non può essere preso per il bavero, strattonato e poi cacciato da un altro cittadino che non possiede alcun titolo per usare la forza, anche se riveste la carica di ministro.

Se dalle immagini appare chiaro il tono sopra le righe di tutta la scena, il punto giuridico da risolvere resta: può un ministro della Difesa affrontare fisicamente un cittadino, per quanto insolente e fastidioso, senza che ci sia alcuna conseguenza?

Anche perché l’indagato, in assenza di alcuna sanzione, mostra una certa inclinazione alla recidiva. Ignazio La Russa, dopo la querela di Carlomagno, non ha esitato a sferrare i famosi calci agli stinchi di Corrado Formigli di Annozero. E l’escalation del ministro è proseguita: dall’attivista Carlomagno, al giornalista Corrado Formigli fino alla terza carica dello Stato, Gianfranco Fini. Carlomagno sarà pure un provocatore come dice Berlusconi ma qualcosa bisognerà fare per fermare il ministro “Larissa” prima che se la prenda con il Capo dello Stato in persona.

In attesa di sapere se il ministro sarà sanzionato anche formalmente dall’ufficio per il regolamento della Camera per le sue offese al presidente Fini, il giudizio politico che conta davvero per lui è già stato emesso: i suoi vaffanculo a Fini hanno mandato sotto il governo alla Camera, attirandogli le ire del Cavaliere. E per lui, tra il capo dei capi e un Carlomagno qualsiasi, è sicuramente più temibile il primo.


Immigrati, la truffa delle tendopoli. Ecco perché il governo preferisce il caos.


Mentre si moltiplicano le fughe dai centri di accoglienza, l'esecutivo non prende in esame la possibilità di un decreto di protezione internazionale temporanea. Una strada già battuta con successo in occasione delle emergenze profughi provenienti dall'Albania e dalla Bosnia

Sul caso-migranti, il governo naviga a vista. E “lo tsunami umano difficile da gestire”, come è stato definito da Silvio Berlusconi, continua a creare problemi e imbarazzi all’esecutivo.

Da una parte Umberto Bossi e i suoi “fuori dalle palle”, dall’altra il suo compagno di partito Roberto Maroni, che, in aperta contraddizione con la politica della Lega in materia di immigrazione, chiude entrambi gli occhi di fronte alle continue fughe dai centri d’accoglienza.

Il simbolo di quello che accade è la tendopoli di Manduria. Qui, nel giro di due giorni, sono arrivate circa 3000 persone. Sono fuggite in 2500. Con il beneplacito dello Stato. Giovedì gli abitanti del paese pugliese si erano organizzati in ronde per riportare, con le buone o con le cattive, nel centro chi era uscito. In pulmino i cittadini caricavano i migranti e li trasportavano nelle tende. Venerdì, una volta capito che il centinaio di agenti posti di guardia al campo avevano l’ordine di non intervenire, ecco che le ronde si sono messe a trasferire gli immigrati nella vicina stazione ferroviaria.

Insomma, è il caos. Sia dal punto di vista organizzativo che politico. Sì, perché sono bastate poco più di 15mila persone per mandare in tilt un paese da 60 milioni di abitanti. Non uno “tsunami”, e nemmeno un evento inatteso visto che già un mese fa il ministro Maroni parlava di 300mila sbarchi. Semplicemente qualcosa di previsto rispetto cui il governo non ha saputo (o voluto) attrezzarsi.

Così adesso c’è Berlusconi che annuncia il via libera delle regioni sull’istallazione di altre tendopoli per essere smentito subito dopo dal presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani. Edal centro di Manduria, teatro di una spettacolare fuga di massa, al Villaggio della solidarietàdi Mineo, in provincia di Catania, è un continuo fuggi fuggi. Profughi, clandestini, immigrati economici, non fa differenza. Tutti verso nord. Spesso con il placet delle forze dell’ordine che dicono “non ci è stato detto di intervenire”.

Eppure una soluzione ci sarebbe. A proporla è il pool di legali dell’associazione Avvocati per niente. “Mentre il governo spacca il capello in quattro per cercare di capire che trattamento riservare ai profughi piuttosto che ai clandestini – dice Alberto Guariso, membro dell’associazione – fa finta di non sapere che la risoluzione del problema è a portata di mano”. Secondo Guariso, il governo dovrebbe fare un decreto d’urgenza sulla linea di quello che fece nel1991 durante la crisi albanese. “L’esecutivo può e deve emanare una legge di protezione temporanea”, dice l’avvocato che sottolinea come la normativa non solo sia contemplata dalle disposizioni europee (articolo 78 del Trattato di Lisbona), ma soprattutto sia esplicitamente prevista anche dal Testo unico sull’immigrazione. “L’articolo 20 recita che in presenza di guerre, catastrofi o altri eventi di particolare gravità – sottolinea Guarino – ai migranti è consentito temporaneamente di stare in Italia e di girare nell’area Schengen”.

Il governo però un decreto del genere non lo vuole approvare. Non può farlo la Lega che ha timore di perdere la faccia nei confronti del suo elettorato. Non può farlo Berlusconi che teme di perdere l’appoggio del Carroccio. Quindi la soluzione è all’italiana: da una parte si dice “rispediamoli a casa”, dall’altra si ordina alle forze di Polizia di chiudere tutti e due gli occhi davanti ai migranti che evadono dai centri, occupano i treni verso nord e cercano in una maniera o nell’altra di raggiungere la Francia, il Belgio e la Germania.

Sono i numeri a parlare. I 3500 tunisini sbarcati a Lampedusa e trasferiti nelle strutture di accoglienza in continente sono fuggiti dai centri e ora si stanno accalcando alla frontiera di Ventimiglia, nel tentativo di raggiungere le città francesi. Ultima tappa di un viaggio iniziato su un barcone nei porti tunisini si Sfax o Zarzis.

Ma com’è possibile che le forze dell’ordine e soprattutto il Viminale tollerino questa continua emorragia di immigrati? Soprattutto alla luce del fatto che il ministro dell’Interno è la stessa persona che nel 2008 sottoscrisse gli accordi con la Libia per i respingimenti in alto mare. Quel trattato, che mandò su tutte le furie Europa e Nazioni unite, prevedeva che tutti i barconi che incrociavano nel Canale di Sicilia fossero respinti. Poco importava se sui natanti ci fossero immigrati economici o gente che scappava da guerre e carestie e quindi bisognosa (e soprattutto avente diritto) di protezione internazionale. Oggi le indicazioni del Viminale sono di segno opposto. “Maglie larghe”, come hanno riferito fonti qualificate del ministero a Repubblica.

“Dai nostri superiori abbiamo avuto indicazioni di fare finta di niente”, dice al fattoquotidiano.it un agente della Polfer in servizio sul treno interregionale che da Milano va a Ventimiglia. Sul convoglio, uno dei tanti, ci sono almeno una trentina di giovani tunisini che sperano di raggiungere la Francia attraversando, in un modo o nell’altro, il confine fra Ventimiglia e Menton. Forse non sanno ancora che non appena attraversata la frontiera, la polizia francese li arresterà per poi lasciarli nuovamente liberi, ma in Italia.

La situazione nella città ligure è paradossale e, assieme a Manduria, è un’altra istantanea su come è stata affrontata questa emergenza. Centinaia di giovani tunisini fanno la spola fra la stazione ferroviaria e il confine di Stato. “Non possiamo fare niente se non monitorare la situazione dal punto di vista dell’ordine pubblico. Speriamo semplicemente che nessuno si faccia male tentando di arginare i controlli francesi”, dicono gli agenti di polizia che controllano la città. E hanno ragione perché per arrivare in Francia, gli immigrati sono disposti a tutto. Anche a rischiare la vita camminando sui binari del treno, sui sentieri di montagna o in autostrada. Ma per molti Parigi è solo un miraggio. Appena passato il confine, la Gendarmerie li aspetta implacabile. Li blocca e li riporta in Italia. E dopo l’ennesima notte passata in stazione a dormire, la giostra ricomincia: un altro viaggio, un altro rimpatrio.

Anche “il tappo” francese potrebbe essere evitato se il governo si decidesse a emanare il decreto sulla protezione temporanea. “La legge consentirebbe agli immigrati non solo di rimanere temporaneamente in Italia, ma anche di transitare nei paesi europei – sottolinea Guariso – E se l’esecutivo decidesse di emanare un provvedimento del genere, a quel punto Parigi non avrebbe altra scelta se non di lasciarli passare”.

Nel frattempo un monito all’Eliseo è arrivato direttamente dall’Unione europea con la commissaria Ue agli affari interni Cecilia Malmstrom che ha condannato la Francia per la sua politica dei rimpatri coatti.






venerdì 1 aprile 2011

Montezemolo: “Situazione peggiora, cresce tentazione di scendere in campo”


L'intervento al congresso del Siap a Napoli: "Se vuoi parlare di politica devi entrare in politica". Il presidente di Italia Futura contro il governo Berlusconi "più neostatalista e protezionista non si può", ma anche critico verso Pd, Idv e Lega Nord "nata per tagliare gli sprechi, difende la conservazione di ogni poltrona"

Questa volta la discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo sembra cosa fatta. Dopo tanti tentennamenti, il presidente di Italia Futura, si è fatto avanti: “Di fronte alle nostre proposte la risposta della politica è sempre la stessa – ha detto intervenendo al congresso del Siap a Napoli – se vuoi parlare di politica devi entrare in politica”. E se la situazione continua a peggiorare, se questo è lo spettacolo che offre la nostra classe politica, beh, allora, cresce veramente la tentazione di prenderli in parola”.

L’Italia come una Ferrari. ”C’è bisogno – ha sottolineato Montezemolo – di una leadership che dica la verità, che abbia il coraggio di decidere, di rianimare l’Italia, di aiutarla a riannodare il filo della sua storia e di ritrovare la sua identità e la fiducia in se stessa. Credo che l’Italia sia come una Ferrari – ha detto ancora – una macchina straordinaria fatta per correre, per competere e per vincere. Non possiamo più permetterci di tenerla ferma ai box per paura di una sconfitta, dobbiamo rimetterla in moto. Tutti insieme”.

“Bisogna parlare al Paese parlando del Paese”. Montezemolo critica apertamente il governo e la posizione assunta nel conflitto in Libia. “Non è accettabile essere esclusi dalle decisioni sul conflitto in Libia quando siamo noi a pagare il prezzo più alto – ha detto il presidente di Italia Futura – L’Italia non lo merita indipendentemente dal giudizio che ognuno di noi può avere su questo governo”. E non è accettabile nemmeno, per il presidente Ferrari, “che le frontiere dell’Italia non siano considerate frontiere dell’Europa con tutto ciò che ne consegue sul piano dell’aiuto che dobbiamo pretendere, nella gestione dell’emergenza profughi”.

Montezemolo contro tutti. “Berlusconi, che doveva fare la rivoluzione liberale, oggi guida un governo che più neostatalista e protezionista non si può, e le tasse su imprese e cittadini sono ai massimi storici”; “il Pd che poteva rappresentare la nascita di una sinistra riformista e moderna è dilanato da dibattiti interni senza fine”; “la Lega, che era nata per tagliare burocrazia e sprechi difende a spada tratta la conservazione di ogni poltrona pubblica su cui può mettere le mani, a iniziare dalle Province”; infine “Di Pietro che tutti i giorni ci delizia con nuovi epiteti rivolti al premier” ha salvato Berlusconi nell’ultima crisi di governo grazie alla defezione di due parlametari del partito.

La politica come prima azienda del Paese. ”Stiamo assistendo a un indecoroso e inaccettabile disfacimento del senso delle istituzioni e della responsabilità pubblica”. “Ciò – ha proseguito Montezemolo – è accompagnato dal silenzio assordante della società civile, delle associazioni di rappresentanza e della classe dirigente del paese che rischia di diventare complice di questo degrado. L’unico argine che tiene è la Presidenza della Repubblica, a cui mai come ora dobbiamo essere tutti grati”. Per Montezemolo la professione che più di tutte negli ultimi 17 anni ha goduto di una rendita di posizione è la politica: “In Italia – ha detto – la politica e ormai da anni la prima azienda del Paese e la società è infettata da una presenza malsana dei partiti, in una miriade di settori che non gli competono. Ma la perdita del senso del pudore non risulta solo dall’abuso di privilegi ingiusti, ma anche da quella che io chiamo la “sindrome del marziano”. Politici – ha spiegato – che sono sulla scena da vent’anni e che parlano come se fossero arrivati ieri da Marte”.

La seconda Repubblica? Disastrosa. ”Il bilancio della seconda Repubblica è un disastro che peggiora ogni giorno. C’è oggi un paese reale che arranca e che vorrebbe voltare pagina. Ma – ha aggiunto – accanto a questo paese esiste una politica che straborda ogni giorno su tutti i mezzi di informazione con polemiche incomprensibili per il 99 per cento dei cittadini e, che in questi giorni ci ha deliziato con scene che sarebbero fuori posto in uno stadio, figuriamo in un parlamento della Repubblica. Dire queste cose – ha concluso – non è fare antipolitica ma chiamarle con il loro nome”.



Violante vs Mori 'No a incontri riservati'.


Con una relazione di 11 pagine l'ex deputato Pd replica al generale del Ros: ora chiarisca l'Antimafia.

di Sandra Rizza

E ora Luciano Violante passa al contrattacco. Trascinato dal generale Mario Mori nell’allegra combriccola di smemorati che oggi nulla ricordano della ‘’trattativa’’ tra Stato e mafia, l'ex deputato del Pd si difende e spiega -con una memoria di undici pagine- il mistero della ‘’mancata convocazione di Ciancimino’’ a Palazzo san Macuto, all’epoca della sua presidenza nell’ultimo scorcio del ’92. Il documento, con il quale Violante intende tirarsi fuori dalla cerchia di coloro che "sapevano’’ del negoziato in corso tra Cosa nostra e le istituzioni, e’ stato consegnato dal diretto interessato ai parlamentari della Commissione Antimafia nello stesso giorno della sua audizione: martedi’ 29 marzo.

"Spettera’ all’autorita’ giudiziaria e, se lo riterra’, a questa commissione – conclude Violante – stabilire il significato delle richieste di incontro riservato di cui si era fatto latore Mori; se si inquadrassero nel contesto della "trattativa’’, oppure se nel contesto del rapporto tra esponenti andreottiani in Sicilia e la mafia o se in altri contesti a me ignoti’’. I fatti, si sa, riguardano la richiesta di un’audizione in Commissione Antimafia che per tre volte Mori, per conto di Vito Ciancimino, reitero’ a Violante nell’autunno del ’92. Per Mori, che ha riferito pubblicamente di questa richiesta nel processo che lo vede attualmente imputato a Palermo per favoreggiamento aggravato, don Vito chiese ufficialmente di essere ascoltato dalla Commissione presieduta da Violante senza riuscire ad avere una risposta positiva. L’ex presidente di Palazzo San Macuto sostiene, invece, di aver opposto un rifiuto alla richiesta, sponsorizzata da Mori, perche’ Ciancimino voleva un incontro ‘’riservato’’.

(A Mori, ndr) dissi –scrive oggi Violante nella sua memoria – che non facevo incontri riservati e Ciancimino, se voleva, poteva chiedere di essere sentito in forma ufficiale’’. Dalle parole di Violante emerge insomma una verita’ istituzionale ben diversa da quella di Mori. Il generale del Ros sostiene di aver informato Violante che aveva avviato ‘’un rapporto confidenziale con Vito Ciancimino, che voleva essere ascoltato per esplicitare la sua convinzione che dietro le stragi vi fosse una matrice politica''. Violante dice che di quel rapporto confidenziale - altrimenti chiamato "trattativa’’- non seppe nulla. ‘’Non interpretai – scrive oggi – la richiesta del colonnello come relativa alla cosiddetta trattativa, ne’ avrei potuto farlo, perche’ all’epoca non c’era alcun sospetto di questo genere’’. Ma e’ sulle date che la verita’ di Violante e quella di Mori entrano clamorosamente in conflitto. Mori sostiene che il primo incontro con Violante avvenne il 20 ottobre, il secondo il 29 ottobre e il terzo il 4 novembre. Violante ha un ricordo diverso: "Io colloco gli incontri in un periodo che va dai primissimi giorni dell’ottobre del ’92 al 26 ottobre dello stesso anno’’. Su una sola cosa i due sono d’accordo: l’ex presidente dell’Antimafia chiese al generale del Ros se avesse avvisato della richiesta di Ciancimino l’autorita’ giudiziaria: Mori rispose di no, perche’ si trattava di una ‘’cosa politica’’ e il codice gli consentiva di tenere riservate in quella fase le sue fonti confidenziali.

Per il resto Violante all’Antimafia consegna una ricostruzione che contrasta nettamente con quella del generale. E a chi lo accusa di aver ritardato l’audizione di don Vito, sottovalutandone l’importanza, Violante oggi risponde: ‘’Era necessaria la piu’ ampia cautela, per non trasformare la commissione in un palcoscenico di questo discutibile personaggio’’. Anche sulla sua ‘’smemoratezza’’, e cioe’ sul ritardo con cui ha riferito dei tre incontri con Mori ai pm di Palermo, Violante ha pronta una giustificazione. Dice di aver saputo solo nel luglio 2009, leggendo un articolo del Corriere della Sera, che Massimo Ciancimino lo indicava come uno dei garanti politici che il padre avrebbe voluto a copertura della ‘’trattativa’’. ‘’Era la prima volta – scrive oggi l'ex deputato Pd – che venivo a sapere di un mio coinvolgimento nella trattativa. Mi sono venute in mente le richieste di Mori. Ho pensato che quelle richieste potessero interessare l’autorita’ giudiziaria e, come mio dovere, ho deciso di intormarla subito’’.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=120



Diodato, condannato e cacciato dalla Regione Oggi guida una Spa pubblica regionale.


L'ex consigliere era stato esonerato dal consiglio regionale della Campania in seguito a una sentenza di condanna per i disordini alle elezioni comunali del 2001 nel seggio di Pianura. Ma il governatore Caldoro lo ha nominato presidente di una società in house della regione che si occupa di bonifiche ambientali

Pietro Diodato, ex consigliere regionale del Pdl

E alla fine arrivò il premio di consolazione perPietro Diodato, ex consigliere regionale del Pdl costretto a dicembre a lasciare il parlamentino campano per le conseguenze di una vecchia condanna a un anno e sei mesi per disordini elettorali. Un premio niente male: la nomina a presidente dell’Astir Spa, società al 100% dellaRegione Campania, che si occupa dei servizi di pulizia, bonifica e ripristino ambientale di una delle regioni più inquinate d’Italia. L’incarico arriva su disposizione dell’ente guidato dal governatore azzurro Stefano Caldoro. L’Astir, che una volta si chiamava Recam, ha un capitale sociale di 1 milione di euro e secondo quanto si legge sul suo sito ha in corso questi interventi: “Recupero, pulizia e ripristino ambientale di siti territoriali da recuperare su disposizione del Commissario di Governo per le Bonifiche e la Tutela delle Acque nella Regione Campania ai sensi della Convenzione tra Regione Campania, Commissario di Governo per le Bonifiche e la Tutela delle Acque nella Regione Campania e Astir S.p.A. (già Recam S.p.A.) del 18/06/2008 del SIN Litorale Domitio Flegreo Agro Aversano SIN Litorale Vesuviano; Intervento di recupero ambientale di tratti del Litorale Domitio; Lavori di Somma Urgenza di bonifica e di messa in sicurezza della bretella perimetrale all’agglomerato industriale di Pomigliano d’Arco e di Acerra”.

Progetti importanti e costosi. Affidati all’ex consigliere regionale e comunale di Napoli, che nel 2010 fece la campagna elettorale per le regionali a braccetto col ministro Mara Carfagna, ottenendo circa 28.000 preferenze. Prima che riemergesse dall’oblio una sentenza di condanna passata in giudicato per fatti relativi ai disordini delle elezioni comunali del 2001 nel seggio di Pianura. Una notizia accompagnata dalla cancellazione delle liste elettorali di Minturno (Latina), il suo comune di residenza. In seguito a questo provvedimento, Diodato è ‘decaduto’ dal consiglio regionale su delibera della giunta per le elezioni e successiva presa d’atto dell’aula. Una decisione che l’esponente del Pdl, ex An, ritiene ingiusta, infondata, e che ha impugnato in tutte le sedi. Secondo Diodato, la sospensione condizionale della pena di cui ha goduto in sentenza si estenderebbe alle sanzioni accessorie della condanna, e quindi anche alla sospensione dei diritti elettorali che gli è costata la dichiarazione di ineleggibilità e la conseguente decadenza. In questi mesi di ‘pausa’, Diodato ha fondato e animato l’associazione NapoliViva, alla quale hanno aderito diversi pezzi da 90 del centrodestra della città di Napoli. Nelle scorse settimane Diodato ha emanato un comunicato stampa in cui annunciava l’accoglimento di un ricorso e l’imminente reintegro nell’assemblea legislativa campana. Che finora non è avvenuto e non è detto che avverrà, perché la battaglia legale è ancora lunga e complicata. Ma ora c’è l’Astir da guidare. Il consiglio regionale può attendere.