Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 11 aprile 2011
L’uomo che balla sul Titanic. - di Maria Novella Oppo
Soldi e pm, gli incubi che tormentano Silvio.
Oltre ai processi:
tensioni su Veronica,
Lodo Mondadori e Pdl
È probabile che stamattina Berlusconi sia presente a uno dei tanti processi contro di lui: quello sui diritti tv di Mediaset. È altrettanto probabile che, come due settimane fa, la sua comparsata sia accompagnata da un paio di manifestazioni: una di oppositori e una di sostenitori. L’opinione diffusa è infatti che sia qui, sul terreno giudiziario, che si gioca la partita decisiva sul futuro del Cavaliere.
Ma è davvero così? Chi è vicino al premier è convinto che i suoi crucci siano ben altri. Dal punto di vista giudiziario, infatti, il premier non rischia granché. Al processo di oggi è accusato di una modesta frode fiscale che, anche se fosse accertata, dovrebbe comportare poco più di una multa. Gli altri processi aperti sono tre: quello per la corruzione dell’avvocato Mills, che finirà quasi certamente prescritto; quello detto “Mediatrade”, che dovrebbe anch’esso finire in nulla; e quello innescato dai festini di Arcore, che s’è aperto la scorsa settimana per essere subito rinviato a fine maggio, e che potrebbe essere stoppato dalla Corte Costituzionale subendo un nuovo rinvio, questa volta alle calende greche.
Insomma tutti questi processi, spasmodicamente invocati e attesi da quella parte del Paese che spera in una “soluzione giudiziaria” del caso-Berlusconi, potrebbero procurare al massimo un danno di immagine. E sappiamo che sarebbe un danno molto limitato, visto che – perlomeno in Italia – l’opinione pubblica è ormai talmente arrugginita che chi detesta Berlusconi non avrebbe un solo argomento in più rispetto a quelli che ha già tuttora, e chi lo ama continuerebbe a ritenerlo la vittima di una persecuzione. In poche parole, non dovrebbero essere i processi in corso a cambiare il destino politico del premier. Il quale ha invece, piuttosto, altri grattacapi. Sono sostanzialmente due.
Il primo scenario è economico. Entro il 4 maggio la Corte d’appello civile di Milano dovrà stabilire la cifra che la Fininvest deve versare alla Cir di Carlo De Benedetti per la celeberrima, o famigerata, vicenda del «lodo Mondadori». Due anni fa il tribunale ha fissato quel risarcimento in 750 milioni di euro. Il pagamento fu sospeso, ma dopo la sentenza d’appello del prossimo 4 maggio la sentenza civile diventerà immediatamente esecutiva. Il che vuol dire che la Fininvest dovrebbe presto sborsare 750 milioni, o forse qualcosa di meno se la Corte d’appello opterà per una riduzione, ma in ogni caso una cifra enorme. Per quanto sterminato sia il patrimonio di Berlusconi, e per quanti utili possano produrre le sue aziende, una simile perdita di contanti comporterebbe contraccolpi pesantissimi. La preoccupazione è tale che l’altro ieri il premier ha attaccato i giudici con toni persino più duri di quelli da lui riservati alle «toghe rosse» della Procura, e ha parlato di «rapina a mano armata».
Ma non è questo l’unico guaio economico. C’è anche la causa di separazione da Veronica Lario, che come sappiamo ha chiesto alimenti da legge finanziaria. Certo anche quelle cifre non basterebbero, da sole, a ridurre Berlusconi a chiedere l’elemosina, come auspicato da D’Alema qualche anno fa. Ma insomma, se la sentenza sul lodo Mondadori rischia di infliggere un duro colpo ai conti aziendali, quella sulla causa di divorzio rischia di colpire i conti personali. Non dimentichiamo che è in gioco anche la spartizione del patrimonio tra i figli di primo e secondo letto.
Ancor più gravida di conseguenze sul piano economico, poi, potrebbe risultare la recente defenestrazione di Cesare Geronzi dalle Generali. Geronzi era, nel mondo dell’alta finanza, l’unico alleato di Berlusconi. L’unico che, in quegli ambienti, non lo considerava come un intruso, o peggio come un parvenu. Il fatto che Geronzi sia uscito di scena (e uscito, quel che è peggio per il premier, con piena soddisfazione di Tremonti, almeno così dicono) non è una buona notizia per Berlusconi.
E veniamo al secondo fronte: il Pdl. Per dire in quale caos sia piombato il partito, basti tenere presente che ieri sul Giornale Giuliano Ferrara ha scritto un editoriale intitolato «Avviso ai naviganti: il Cav può mollare». Quella di Ferrara è una provocazione, certo. Ma che il Pdl si stia disfacendo per conflittualità interna, è un fatto. Gli ex di Forza Italia contro gli ex An. Scajola che minaccia una scissione. Le ministre una contro l’altra. C’è perfino chi ipotizza che qualcuno possa far saltare il processo breve per aprire a un «governissimo» senza Silvio. Insomma un tutti contro tutti che potrebbe far fare al Pdl la stessa fine che fece (Iddio ci perdoni l’irriverente paragone) l’Impero asburgico, che crollò per implosione, senza che un solo colpo di cannone venisse sparato all’interno dei suoi confini.
Non è detto che questa situazione a Berlusconi dispiaccia del tutto. Alla struttura-partito il Cavaliere non ha mai creduto, credendo solo nel rapporto diretto fra sé e il popolo. Paradossalmente: più il partito si divide e si indebolisce, più si rinforza il suo capo. Per dire: un Pdl come quello di oggi, frantumato com’è, non sarebbe mai in grado di mettere in piedi un 25 luglio. Ma guai a dimenticarsi che siamo fatti di carne, e che la carne è debole: chi accetta per molti, troppi anni di stare all’ombra di un grande capo carismatico, finisce quasi sempre con lo stancarsi. Reclama un posto al sole, chiede finalmente un po’ di autonomia, magari si convince di essere ormai pronto per la successione. E’ in quei momenti che escono allo scoperto i Bruto. Magari non riescono a prendere il potere, ma a far danni sì. Ecco perché anche il Pdl, di questi tempi, è diventato per il Cavaliere una preoccupazione peggiore della Boccassini.
http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/397371/
Dove stiamo andando?
Con il processo breve che il parlamento approverà a breve, molte cause verranno cancellate.
Molte di queste riguardano migliaia di persone che attendono una risposta che non arriverà più.
Una grave ingiustizia sarà posta in essere per salvare un unico individuo che la maggior parte della popolazione non stima e rifiuta di avere come figura rappresentativa del paese.
Non è giusto, è esecrabile, ma in una dittatura, come quella che è in atto in Italia, è possibile.
Prepariamoci a vederci privati di altri diritti, perchè questo governo, conscio della nostra inerzia e della propria forza, ci condurrà piano piano verso una dittatura più cruenta.
E le risonanze già si avvertono: una tra tutte gli eserciti regionali che ricordano tanto le ronde fasciste.
E' triste tutto ciò, ma è quello che si sta verificando.
Siamo soggetti deboli guidati da gente servile ed avida di potere.
Pink Floyd - Hey You
domenica 10 aprile 2011
Non siamo tutti idioti!
REFERENDUM 12-13 giugno 2011
a) referendum popolare n. 1 - Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Abrogazione;
Abrogazione parziale di norme;
II voto per i referendum dei cittadini residenti ed iscritti all'AIRE si esprime esclusivamente per corrispondenza negli Stati con i quali il Governo italiano ha concluso apposite intese il cui elenco verrà pubblicato sul sito del Ministero degli Esteri.
Gli elettori residenti e temporanei all'estero riceveranno a domicilio, da parte del Consolato di riferimento, il plico elettorale contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto.
7 - Berlusconi sarà contento, farà arricchire i suoi amici, si arricchirà, resterà al suo posto.
8 - I cittadini, continueranno a prenderla nel ".................".
...
Vuoi che le cose non vadano a finire cosi ? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.
Passaparola!
Pubblicizziamo questi argormenti, signori miei!!!!
E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone.
Salii sul Moby Prince e vidi l’orrore. - di Emiliano Liuzzi
Vissi quei momenti da giornalista, con la macchina fotografica al collo, nonostante i miei 22 anni che, da allora, cambiarono aspetto. Ero alla finestra di casa, ad Antignano, periferia della città, guardavo l’orizzonte come spesso mi capita nelle pause di riflessione. In mare c’era appunto foschia, ma a un certo momento il fumo riusciva a distinguersi. E non era nebbia. Mio padre allora era condirettore del Tirreno e, naturalmente, era al giornale. Provai a chiamarlo, ma l’interno mi dava occupato. Allora feci il 401141, che era il numero del centralino, e mi feci passareElisabetta Arrighi, cronista di razza, certo che avrei avuto risposte. Mi disse che probabilmente era una bettolina andata a fuoco, che lei stava scappando in capitaneria perché in quelle informazioni che le avevano dato c’era qualcosa che non le tornava.
Scoprii più tardi quello che era successo. Altro che bettolina, aveva ragione Arrighi a porsi dubbi: un traghetto era finito contro la petroliera Agip Abruzzo, la prua aveva centrato la cisterna 7, carica di 2700 tonnellate di petrolio Iranian Light e gli aveva riversato addosso greggio e fiamme. Più tardi mio padre mi chiamò, mi disse di andare al porto con la macchina fotografica.
Da lì in poi la consapevolezza di qualcosa di enorme, struggente. Ma niente ancora di quello che avrei visto in seguito. Alla capitaneria, insieme a un collega, andammo negli uffici degli ormeggiatori, i primi ad accorgersi di quello che era successo davvero. Mi ricordo le loro lacrime, la tensione, finirono quasi per menarsi tra di loro in quel caos infernale. Al porto incontrai un altro collega, Furio Domenici. Mi disse che aveva parlato con un amico della Labromare (ditta privata che lavora insieme ai vigili del fuoco per spegnere le fiamme del Moby) e che il giorno successivo saremmo saliti su quella nave a vedere cosa fosse accaduto.
Fummo gli unici due giornalisti a salire sul Moby, io e Domenici. Travestiti (allora il mestiere si faceva così) da operai addetti alla bonifica di quel restava del traghetto. Io ero un ragazzino, Domenici ne aveva già viste di cotte e di crude, aveva seguito il terremoto in Irpinia, le stragi di Natale, i delitti del mostro di Firenze. Ma quando arrivammo al salone De Luxe della nave restammo di pietra. Entrambi. Avevamo delle maschere a coprirci il volto, ma quell’odore di bruciato, di carne umana bruciata, me lo porto ancora dietro.
La nave era ancora rovente, e le suole degli stivali che ci aveva dato Ghigo Cafferata della Labromare ci si scioglievano sotto i piedi. E poi quel salone. Fatto di brandelli che potevano ricondurre a essere umani, ma che non avremmo riconosciuto. Forse qualcosa di simile si trova nelle rarissime foto di forni crematori. Sì, credo di aver visto da vicino qualcosa di molto simile alla guerra. Anche se il ricordo che mi porto dentro è l’odore. Delle 140 persone non restava niente, si erano sciolte in un tentativo di fuga, forse, ma che non abbiamo mai saputo. Si dice che i passeggeri vennero tutti radunati nel salone mentre la nave prendeva fuoco e in attesa dei soccorsi. Uno degli elementi verosimili di tutta questa tragedia. Tutti particolari che non sapemmo allora e non sappiamo con certezza neanche oggi.
Perché nessuno fuggì da quel salone che era diventato una trappola? Come fece a salvarsi una sola persona? Neanche questo si può accertare, solo un racconto di quel mozzo, Alessio Bertrand, sempre molto confuso. Fu colpa della foschia? Improbabile. Ma soprattutto una cosa: perché i soccorsi partirono in ritardo. Alle 22.25 il marconista del Moby lancia il May Day attraverso una ricetrasmittente portatile, non era in sala radio, ma i soccorsi cercavano l’Agip Abruzzo, il Moby se lo persero. Lo trovarono un’ora e dieci minuti più tardi e quasi per caso.
Il pm Giaconi qualche anno fa si è fatto mandare immagini satellitari, si è riletto le trascrizioni dei messaggi tra l’avvisatore marittimo, la nave Agip Abruzzo, le comunicazioni sul canale vhf 16 della Moby. Non ne è uscito nulla di decisivo. Il fascicolo è stato archiviato.
Sappiamo che in quello specchio di mare c’erano manovre di navi americane che caricavano armi da Camp Darby, come avviene anche oggi con una certa frequenza e grande mistero, visto che le autorità della base non sono tenute ad avvisare dei loro spostamenti. C’era un traffico inconsueto quella notte in porto, e soprattutto c’era una nave, la Theresa, che misteriosamente si allontanò subito dalla zona dell’incidente.
Ma sono solo ipotesi, supposizioni. C’era una partita in tv quella sera e il comandante del Moby,Ugo Chessa, senza possibilità di difendersi, visto che si trovava a prua e fu sicuramente tra i primi a morire, venne accusato anche per quello: i dietrologi sostengono che l’equipaggio inserì presto il pilota automatico per fare i loro comodi. Fantasiosa anche questa come ricostruzione.
E ancora: quella bettolina, che eppure era in quello specchio d’acqua c’era. Che fine fece? Niente, non lo sappiamo. Io ricordo che le fotografie non riuscii a farle. Ne ho scritto più volte, anni dopo, di quell’incidente, ma sempre con uno stato d’animo confuso dai ricordi. La stessa confusione che mi accompagnò quando scesi dalla Moby, nei giorni a seguire, quando arrivarono i parenti delle vittime e venne allestita una sala dove ricomposero quello che restava dei corpi. Anelli, catenine, orecchini. Impronte dentali. Niente, in pratica.
Quella nebbia si è portata via la Moby e quelle persone che partivano, chi per le vacanze di Pasqua, chi per tornarsene a casa.
Per una serie di coincidenze ho viaggiato con la Moby decine e decine di volte, sulla stessa rotta. Ho passato anni a tentare di ricostruire quello che accadde, tra carte vecchie e nuove, a parlare coi figli del comandante Chessa. A tentare una spiegazione di quello che avvenne. Non sono mai arrivato a nessuna conclusione. Anche perché quando si aprì il processo (se non sbaglio, parte dell’inchiesta fin nelle mani di un magistrato arrestato anni dopo per una corruzione) ero via da Livorno e non lo seguii.
Ogni anno il 10 aprile torno al porto, alla Darsena Toscana, butto in mare un fiore. Solo per ricordare, consapevole che quelle 140 persone non avranno giustizia. E se per piazza Fontana e le stragi di Natale qualche vaga spiegazione me la sono data, ho capito che alcuni apparati dello Stato non possono parlare, per la Moby no. Non sono riuscito ad arrivare a nessuna conclusione. Non sono arrivato a capire perché coloro che sanno – e ci sono – continuino a non raccontarla giusta.