domenica 17 aprile 2011

Un indagato per i manifesti anti toghe Ma il Giornale anticipa la Digos.



In un'intervista al quotidiano diretto da Sallusti, il candidato del Pdl alle comunali si prende la responsabilità delle affissioni: "Ma era solo una provocazione", garantisce

Mentre a Roma il premier paragona la magistratura a una “associazione per delinquere a fini eversivi” (leggi l’articolo), a Milano la Digos si avvicina al committente dei manifesti apparsi ieri nel capoluogo lombardo, in cui i magistrati vengono accostati alle Br. E come spunta il primo indagato Il Giornale “smaschera” il presunto autore dell’iniziativa: Roberto Lassini che si prende tutta la responsabilità dell’iniziativa: “Solo una provocazione dice”. E il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, conferma la fiducia in Lassini: “Rimarrà in lista, giudicheranno gli elettori”. Lo stesso Mantovani che ieri aveva minimizzato sul testo dei manifesti. “Io non ne so nulla, non li ho neanche visti. Non c’entrano niente con noi. Le Br? Saranno le ‘brutte racchie’”, aveva detto.

Ma la vicenda non si chiuderà così semplicemente. C’è un’inchiesta per vilipendio dell’ordine giudiziario in cui già una persona appare iscritta tra gli indagati. Ieri la Digos dopo aver individuato il tipografo dei manifesti, gli agenti sono risaliti alle società che ne curano la distribuzione e l’affissione: quattro dipendenti sono stati ascoltati, per capire chi ci sia dietro alla firma ‘Associazione dalla parte della Democrazia‘. All’interno di due magazzini perquisiti, gli uomini della Digos hanno trovato e sequestrato i manifesti su cui campeggia in bianco, su sfondo rosso, la scritta ‘Via le Br dalle procure‘, insieme ad altri firmati allo stesso modo. Già a febbraio, la stessa sigla aveva distribuito in città dei grandi cartelloni con la scritta ‘La sovranità popolare è sacra! Silvio resisti, salva la democrazia‘ o ancora ‘La giustizia politica uccide la libertà. Volete cacciare Berlusconi? Prima vincete le elezioni‘.

Stamani dalle pagine de Il Giornale è arrivata l’autodenuncia di Lassini. “Via le br dalle procure? Uno slogan esagerato, senza intenzioni offensive”, ha detto definendosi l’autore dei manifesti. Ex sindaco dc, in carcere per 42 giorni nel ’93 e assolto con formula piena dopo 5 anni di processi. Una storia personale che gli fa sentire vicina la battaglia di Berlusconi sulla giustizia, dice, ed è “per dare manforte al premier” che è stata creata, due mesi fa, l’associazione “Dalla parte della democrazia” della quale lui è il presidente. I manifesti, allora: “E’ stata una provocazione. Esagerata ma tale. Sono certo che l’obiettivo non fosse mancare di rispetto alle vittime del terrorismo”. Ora Lassini è candidato Pdl a Milano. E rimarrà tale.

“Sceglieranno i milanesi – ha detto Mantovani -se sia opportuno o meno votare e far eleggere Lassini. La sua mi sembra una provocazione forse eccessiva, ma leggendo le sue parole sul Giornale di questa mattina ho apprezzato il suo rispetto per la buona magistratura”, ha detto il coordinatore regionale del Pdl. ”Noi condanniamo la lotta armata – ha aggiunto Mantovani – ma la lotta a colpi di avvisi di garanzia e di manette che certa magistratura utilizza non è certo da esaltare”.

E Letizia Moratti bolla i manifesti come “una azione da condannare, sono sicura che il partito stigmatizzerà questa azione”. Ma certo non chiede che Lassini ritiri la sua candidatura, nonostante sia in una lista che fa riferimento a lei.

Secca, invece, la bocciatura da parte di Maurizio Lupi. “Il manifesto affisso a Milano ha la ferma condanna mia personale, del partito nazionale e locale. Non c’è giustificazione né legittimazione”, ha detto il vicepresidente della Camera. Alla kermesse è presente anche Roberto Lassini, ideatore dei cartelli in cui si chiede di mettere fuori da palazzo di Giustizia le Br. Lassini è infatti nella lista del Pdl alle comunali di Milano, una presenza su cui “valuteremo” ha spiegato Lupi. “Le lista sono depositate – ha sottolineato – ma ci può essere un gesto personale. Può chiedere scusa, oppure ci può essere una autosospensione. Altrimenti valuteremo”.



L’antimafia blocca azienda che finanziò la Lega nord. - di Matteo Incerti


Stop ai lavori per un'azienda vicina al Carroccio e impegnata nella costruzione della tangenziale a Novellara. Evento che ha scosso il mondo politico. E che ha portato il prefetto di Reggio Emilia a dire senza mezzi termini: "La mafia nella nostra provincia c'è"



Le infiltrazioni mafiose – o i tentativi – al Nord continuano a destare allarme nella politica. Questa volta la bufera si abbatte sul Reggiano. Proprio ieri, durante un convegno della Cna il prefetto diReggio Emilia, Antonella De Miro, ha rilanciato: “A Reggio la mafia c’è”. A corollario dell’ultima notizia che riguarda lo stop imposto dalla Dia all’appalto per la costruzione della circonvallazione a Novellara. Evento che ha scosso il mondo politico. Le amministrazioni locali hanno chiesto di “continuare i lavori della tangenziale”. L’ex vicesindaco di Guastalla ed ex leghista Marco Lusetti, espulso dal Carroccio la scorsa estate e fondatore del movimento “Agire Comune”, ha difeso a spada tratta la ditta che ha vinto l’appalto. Nessun commento sulla vicenda è arrivato ad oggi dal segretario della Lega Nord Emilia, l’onorevole leghista Angelo Alessandri, presidente della Commisione lavori pubblici ed Ambiente della Camera dei Deputati ed originario di Guastalla, paesi a pochi chilometri dal Po e da Boretto. Invece il consigliere regionale Andrea Defranceschi (Movimento 5 Stelle) annuncia una interrogazione in Regione chiedendo il “check-in” di tutti gli appalti sulle estrazioni di sabbie dal Po negli ultimi anni.

Ma qual è il punto di tutta la vicenda? E perché imbarazza così tanto la Lega? Riguarda Novellara, appunto, paese della provincia di Reggio Emilia, e quella che gli ambietalisti la chiamano la “tangenziale discarica”. Un progetto partorito all’inizio del millennio tra le contestazione in primis da Legambiente, in quanto il finanziameno di questa opera pubblica è nato come compensazione per l’ampliamento della locale discarica gestita dalla municipalizzata pubblicaSabar spa di cui il Comune è socio.

Su quest’opera pubblica, cavallo di battaglia di tutti i sindaci di centrosinistra degli ultimi dieci anni, è arrivato lo stop dell’antimafia. Il 23 marzo scorso alla Prefettura di Reggio Emilia è stata consegnata una dettagliata relazione, arrivata dopo la richiesta degli accertamenti sui cantieri, disposti dalla Direzione investigativa antimafia di Firenze. Controlli attivati a metà febbraio tramite il prefetto De Miro. Le indagini hanno portato alla sospensione dell’appalto e alla revoca della certificazione antimafia alla ditta Bacchi di Boretto, notissima in zona anche per le escavazioni nel Po fortemente contestate da associazioni ambientaliste come Legambiente. Una ditta la Bacchi spa nota anche per gli ottimi rapporti istituzionali con diversi politici in primis con quelli della Lega Nord, tanto che il Carroccio nel 2006 ricevette un regolare finanziamento di 5.000 euro registrato alla Camera dei Deputati.

Agli investigatori del centro operativo del capoluogo toscano era stata segnalata la presenza nel cantiere di soggetti vicini alla criminalità organizzata. Le ispezioni hanno dato esito positivo. Da quanto è emerso l’azienda di Boretto avrebbe assegnato due subappalti ad imprese con sede in provincia di Parma, il Consorzio edile M2 di Soragna e la Tre Emme Costruzioni di Roccabianca. La Direzione investigativa antimafia ha ricostruito che le due le imprese sono collegate alla famiglia Mattace di Cutro, ritenuta dagli investigatori molto vicina al clan Grande Aracri.

Secondo quanto emerge dai documenti della Prefettura, nell’assegnazione di questi lavori alle ditte riconducibile ai Mattace, la Bacchi avrebbe eluso in maniera consapevole la legge antimafia per il controllo dei subappalti. Le ditte dei Mattace non avrebbero mai ottenuto la certificazione antimafia dalla Prefettura.

La legge prevede che l’obbligo dell’autorizzazione antimafia scatta solo per subappalti di importo superiore ai 155 mila euro. E’ stato così, come emerge dall’ispezione, che la Bacchi avrebbe aggirato l’ostacolo. Spezzando il subaappalto tra le due ditte: 50mila euro di lavori al Consorzio M2 e 130mila euro alla Tre Emme.

Ma non è finita qui. Ispezionando il cantiere le forze dell’ordine hanno trovato Giuliano Floro Vito. Chi è ? E’ l’ex cognato di Domenico Mattace, il presidente della TreEmme e considerato dagli inquirenti un elemento di grande spessore criminale, legato al clan della n’drangheta dei Dragone e poi dei Grandi Aracri, già posto agli arresti nel 2001 e poi assolto per l’operazione “Scacco Matto”, finito poi in manette per usura nell’aprile 2010. Per questa vicenda Floro Vito, per la legge dovrebbe essere agli arresti domiciliari e sorvegliato speciale. Peccato che si trovasse sul cantiere di Novellara come dipendente della Tre Emme.

Dalle fatture poi risulta che la Bacchi ha versato alla Tre Emme 161 mila euro. Una cifra superiore a quello concordata. In particolare maggiore alla soglia che fa scattare l’obbligo di certificazione antimafia. Altra anomalia. L’azienda di Boretto ha chiesto alla stazione appaltante, Iniziative Ambientali, società mista che vede tra i soci le municipalizzate Sabar Spa, Iren Spa e Unieco, di poter procere all’affidamento del subappalto solo il 21 giugno 2010. Ma i Bacchi avevano già firmato il contratto con la ditta dei Mattace da circa un mese e mezzo.



Pdl campano, per compilare le liste gli indagati Cosentino e Nespoli.



Per le amministrative il Pdl in Campania promette liste pulite. Ma chi le compila è sotto inchiesta: il coordinatore regionale Nicola Cosentino, sotto processo per concorso esterno in associazione camorristica, ma anche Vincenzo Nespoli, sindaco-senatore, vice-coordinatore provinciale. Per lui il Riesame ha confermato gli arresti domiciliari, negati dal Senato.

Nelle ore della consegna delle candidature in vista delle elezioni amministrative – il termine scadeva oggi a mezzogiorno – torna di attualità il tema delle liste pulite. Dai partiti arrivano ampie rassicurazioni e per le comunali a Napoli, il candidato del Pdl Gianni Lettieri ha promesso attenzione massima: “Etica pubblica e legalità sono al centro della nostra campagna elettorale. Chiederò ad ogni lista che mi sostiene la nomina di un garante per assicurare candidati autorevoli e specchiati. Alla fine di questo percorso sarò io il responsabile per tutti. Sfido gli altri a fare lo stesso”. Un’attenzione particolare per non ripetere il caso di Roberto Conte, un passato nel centro-sinistra, che alle ultime regionali nonostante la condanna in primo grado a due anni e otto mesi per concorso esterno in associazione camorristica, si è presentato in una lista a sostegno di Caldoro. Intanto, non si arrestano le migrazioni. Alfredo Ponticelli, assessore allo sport della giunta uscente di Rosa Russo Iervolino si è dimesso e appoggia, con il suo partito (il Pri), Gianni Lettieri.

Ma in attesa di conoscere nei dettagli i candidati, non tranquillizzano certo le posizioni giudiziarie dei vertici regionali del Pdl. Lettieri è stato accompagnato da Silvio Berlusconi per l’investitura ufficiale da Nicola Cosentino, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, prossima udienza il 18 aprile. Cosentino, dimessosi da sottosegretario ma ancora coordinatore regionale, in queste settimane è impegnato in prima persona per la compilazione delle liste dopo aver scelto il candidato sindaco a Napoli e negli altri comuni al voto in Campania. Un compito non facile. Per la scelta dei candidati nei comuni della provincia, nell’area a nord di Napoli c’è un altro vertice locale del partito Vincenzo Nespoli, vice-coordinatore provinciale del Pdl (il coordinatore è Luigi Cesaro, presidente della provincia) e vice-responsabile nazionale del settore elettorale.

Nespoli è anche senatore della Repubblica e sindaco di Afragola, comune in provincia di Napoli, ma il doppio incarico è l’ultimo dei suoi problemi. Nel maggio 2010 la procura di Napoli (pm Piscitelli, Woodcock, Di Mauro) ha chiesto e ottenuto dal gip gli arresti domiciliari. Accusato di diversi reati: concorso in riciclaggio e bancarotta fraudolenta. L’autorizzazione all’esecuzione della misura cautelare, come nel caso di Nicola Cosentino, è stata però negata prima dalla giunta per l’immunità (di cui Nespoli faceva parte) e poi dal Senato, nel luglio scorso.

Nei giorni scorsi il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare. Le motivazioni dell’ordinanza sono diventate un manifesto politico delle opposizioni, che da tempo per Afragola chiedono l’istituzione di una commissione di accesso da parte della prefettura. I giudici del riesame considerano «indispensabile» la misura dei domiciliari. E sull’esponente del Pdl, scrivono: «Le modalità con cui ha portato a termine il proprio intento criminoso sono certamente sintomatiche di una pericolosità in quanto denotano una scaltrezza e una spregiudicatezza, rivelatrici di professionalità nel delinquere, che lo dipingono come un soggetto di notevole spessore criminale».

Nespoli continua a negare ogni addebito, a dirsi estraneo ad ogni accusa. Tutto ruota attorno ad una vicenda di mattoni e di un istituto di vigilanza. Vincenzo Nespoli, secondo la Procura, è dal 2001 amministratore di fatto di una società di vigilanza, la Gazzella srl, fallita nel 2007 (con un passivo di 25 milioni di euro), affidata nelle mani di uomini di fiducia. Secondo l’accusa e le ricostruzioni documentali della Guardia di Finanza, dai bilanci dell’istituto sono stati distratti soldi che sarebbero confluiti nelle società immobiliari (Immobiliare San Marco e Sean spa) riconducibili al senatore, impegnate in attività di lottizzazione eseguite nel comune di Afragola, dove Nespoli è primo cittadino. Ma non solo. Nonostante le gravi condizioni economiche dell’azienda e lo stato di mobilità, furono assunte diverse persone in cambio del pagamento di 30 mila euro. Per il posto da guardia giurata: soldi e la riconoscenza alle urne.

Ora lo stato maggiore del Pdl campano è pronto a presentare i candidati puliti per le prossime amministrative.




Fede, l'ultima resistenza "Non datemi per finito".



“Continuerò al Tg4, Silvio è con me”. Ma i suoi giornalisti non lo appoggiano più

GIOVANNI CERRUTI

MILANO
Dipendesse da lui, dal decano dei Direttori, questa pagina e questo titolo dovrebbero essere dedicati ad altri e forse più nobili argomenti. «Non sarà mica il mio necrologio professionale, vero?», si raccomanda Emilio Fede. «Perché per quello c’è ancora tempo, tanto tempo. Continuerò a dirigere il mio Tg4, a fare il mio mestiere, la diretta è la mia vita». A giugno compirà 80 anni e quel giorno è facile immaginarselo lì, nella redazione del suo tg, perché Fede non stacca mai, è sempre Fede, è sempre sul pezzo, Natale, Capodanno e compleanno. A prolungare e difendere una carriera che non può, come si dice, finire a puttane.

Anche ieri, qualche minuto prima delle 19, ha dato il via al suo tg con il solito entusiasmo. Il capello però era meno curato del solito, il nodo della cravatta un po’ troppo largo. Piccoli e forse unici indizi della frenesia di queste ore e questi tempi. C’è il telefono che suona sempre, e la risposte sono cortesi, disponibili, avvolgenti, a volte perfino elogi allo sconosciuto di turno. Ci sono le cronache giudiziarie da leggere e rileggere. Ci sono gli avvocati da chiamare: «Non ho mai querelato nessuno e sono arrivato alla quinta in pochi giorni», annuncia. E solo un malintenzionato può sospettare che sia un invito alla cautela.

Anche se non ne ha lo spirito, ora che ha l’età dei nonni - come si son permesse di ricordare un paio di ragazze che l’hanno frequentato ad Arcore -, il Direttore scopre che qualche cautela, appunto, a volte sarebbe consigliabile. «Altrimenti si può mettere tutto in ridicolo, e non è giusto». E dunque prima di parlare si documenta, s’informa, verifica. E poi richiama. «Eccomi! Allora: il 6 gennaio ero qui al lavoro, poi sono andato in palestra e poi sì, credo, ad Arcore per la cena della Befana, mi ricordo certi pupazzi... Per l’ultima volta, come hanno scritto i giornali». Quella notte dell’Epifania che tutte le feste s’è portata via.

«Ma insomma, ma dài...». E mica si vorrà credere che sia davvero tutto finito, che se Fede non va più ad Arcore vita e affetti siano cambiati, compreso quello con Silvio Berlusconi. Non è vero, non è vero, non è vero. «L’affetto e la stima ci sono sempre, è falso che abbia problemi con lui. Se lo sento? L’ultima volta è stata tre giorni fa. Dice che dovrei difendermi di più, che sono troppo silenzioso». Il Cavaliere, bontà sua, secondo il compassato "Times" l’ha assolto così: impossibile che le ragazze di Arcore toccassero Emilio proprio da quelle parti lì, perché «per trovare il pisello di Fede devi fare la caccia al tesoro».

Nel suo tg non ha bisogno di citare la sua disavventura, ammicca. L’altra sera c’era Maurizio Paniz, l’avvocato bellunese che ha convinto la maggioranza del Parlamento sulla parentela tra Mubarak e l’avvenente nipotina. «Se si fa un referendum l’opinione pubblica è contro l’abuso delle intercettazioni telefoniche», dice Fede. Allude, appunto. «A cosa mi riferisco? A nulla». Si deve trattenere. «Evito di utilizzare il mio tg per la mia difesa. Lo faccio per rispetto nei confronti del Comitato di Redazione, anche se l’altro giorno hanno scritto un comunicato che chiede chiarezza, e io avrei preferito fosse di appoggio».

Ma non è più il tempo delle liti, non è il momento delle sfuriate in diretta, dei cazziatoni che basta un clic e si rivedono su YouTube. Ora è con i suoi giornalisti. «Si vuole tentare di far passare un angolo di informazione come una sorta di casting del malaffare - ha dichiarato all’agenzia Ansa -. Tutto questo mi amareggia, e condivido pienamente lo sgomento della redazione dove lavorano solo professionisti». Che in questi giorni lo scrutano, notano una certa malinconia, e scommettono che non se ne andrà mai. La redazione è sempre stata la sua casa, il rifugio dove si sente coccolato, protetto, intoccabile.

«Adesso che ci ripenso - richiama -: non è vero che l’ultima volta l’ho sentito tre giorni fa. Con il Presidente Berlusconi ho parlato anche ieri, mi ha detto che è disponibile ad andare in tv per difendermi». Nell’attesa Fede provvede, e da solo. E in diretta s’infervora e s’impappina su uso&abuso, ovviamente delle intercettazioni telefoniche. «Questo governo è già in ritardo». Non ce l’ha con l’uso, ma con l’abuso, «che mortifica la dignità delle persone». E ne discetta con Daniele Capezzone, portavoce Pdl, che almeno venerdì non l’ha salutato come all’inizio di questo caos di reati o peccati: «Tenga duro, Direttore».

Perché, sia chiaro, per Fede di reati qui non ce n’è. «E io non ho alcuna responsabilità penale». E le cene erano normalissime cene, e «non c’è bisogno di rivangare vicende che non esistono», e «sui giornali finiscono solo i pettegolezzi e bisogna intervenire», ed «è grave per me e la mia famiglia quello che viene scritto». E chi lo ferma più, questo Fede. Una risposta per tutto. Che ci faceva alle 3 di notte in piazza Loreto, alla stessa ora in cui risulterebbero lì anche due ragazze appena uscite da Arcore? Che domanda scema, ma certo che passa da Piazza Loreto di notte, c’è l’edicola che vende i quotidiani del giorno dopo...

Aspettando il Premier che lo difenderà in tv Emilio Fede resiste, resiste, resiste. Le voci maligne lo vorrebbero in partenza, incompatibilità con Berlusconi jr., via dal Tg4 in cambio di una vagonata di euro. «Cretinate», dice il Direttore. Meno male che c’è chi si preoccupa per lui, ed è Paolo Brosio, il telecronista di Mani Pulite passato da Fede alla Madonna di Medjugorje: «Mi dispiace, chi tocca il Tg4 tocca la mia vita dice -. I magistrati facciano il loro dovere, ma spero che si chiarisca tutto. Il Direttore ha già passato momenti difficili, spero passino anche questi. Prego tanto per lui». E così sia.


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/398229/



Banca popolare, l’assemblea finisce in rissa Ma l’uomo di Dell’Utri non entra nel Cda.


I 95mila soci sparsi in tutta Italia e collegati con l'istituto di credito modenese hanno assistito a uno spettacolo mai visto: insulti, minacce, tentativi di colluttazione. Alla fine la spunta la lista guidata da Piero Ferrari, figlio del fondatore della casa di Maranello. L'avvocato Samorì - in quota centrodestra - non conquista neppure un posto e sbotta e inveisce: "Questa è un'associazione per delinquere"

Ci ha provato anche quest’anno l’avvocato Gianpiero Samorì a conquistarsi un posto nel Consiglio di amministrazione della modeneseBanca Popolare dell’Emilia Romagna, ma ancora una volta il tentativo è andato evaso. Samorì conquista solo i voti di scarto dei soci (senta diritto di entrare nel consiglio), la maggioranza dei quali va alla Lista n. 1, quella della continuità della gestione bancaria, capeggiata da Piero Ferrari, figlio del vecchio patron della Casa del Cavallino Rampante di Maranello. L’assemblea dei soci, chiamata ad approvare il bilancio ed eleggere i sei consiglieri di amministrazione, ha conosciuto momento di tensione notevoli, dove non sono mancatecolluttazioni fisiche e pesanti accuse e contro-accuse tra i duellanti: l’attuale management da una parte, il cui presidente Ettore Caselli ha annunciato pubblicamente che prenderà “in tutte le sedi opportune i provvedimenti di quello che si è rivelata una degenerazione del diritto di critica; l’avvocato Samorì dall’altra, che sferza accuse di illegittimità e di “reato – dice lo stesso Samorì – di associazione a delinquere”. Samorì che pure di legge ne mastica, non teme querele e si lascia andare ad affermazioni che – per sua stessa ammissione – potrebbero avallare il ricorso alla legge da parte del management bancario per il reato di diffamazione.

Siamo a Modena, dove ha sede la Banca Popolare dell’Emilia Romagna, che con il suo utile di327,4 milioni di euro, vede gran parte dei modenesi se non essere soci, almeno possedere uno dei propri conti correnti bancari. Oggi si riuniva l’assemblea, dove gli oltre 95mila soci sparsi nella penisola (l’assemblea si svolgeva in quattro posti contemporaneamente: Modena, Ravenna, Lamezia Terme e Avellino), votavano e approvavano il bilancio consolidato di gruppo relativo al 2010 e, soprattutto, il rinnovo parziale del Consiglio di amministrazione: sei consiglieri su 18 complessivi.

Ed è proprio su questo punto dell’ordine del giorno che si innesca la battaglia elettorale tra le diverse liste candidate alla poltrona consiliare. Da quattro anni circa l’avvocato Gianpiero Samorì, molto vicino agli ambienti della politica di centrodestra, adiacente ideologicamente al premierBerlusconi e alla famiglia Dell’Utri, tenta invano di accaparrarsi un posto nella banca modenese.

Anche quest’anno il flop è stato assicurato. L’assemblea si conclude con pochi colpi di scena, quanto a risultati: la Lista n.1, quella della continuità della gestione, capeggiata da Piero Ferrari, figlio del Drake, vice clamorosamente con 18.537 voti. Entrano del Consiglio di amministrazione, dunque, Piero Ferrari, Alberto Marri, Giuseppe Lusignani, Fioravante Montanari, Erminio Spallanzani (noto imprenditore metalmeccanico ed editoriale modenese). Il sesto consigliere è invece l’ex magistrato in pensione (è stato a capo della procura di Modena e successivamente di quella di Forlì) Manfredi Luogo, a capo della Lista n. 2 (che ottiene 8074 voti), che rappresenta – questo è stato il suo dire – la base sociale del Sud.

Nessun cambio improvviso di copione, dunque, per la riconferma dei vertici della banca. Ma il canovaccio annuale è stato animato di scene decisamente infuocate. Al momento dell’iscrizione degli interventi dei soci ai lavori assembleari, infatti, Samorì ha fatto iscrivere agli interventi centinaia di soci: 328, che avrebbe dovuto tradursi in 11 ore di lavori assembleari. Ed è così che alcuni dei presenti in fila si sono infuriati, arrivando persino a ricorrere alle mani, con tanto di intervento di forze dell’ordine e servizio di vigilanza, rivendicato dal presidente dell’istituto di credito Ettore Caselli che urlava: “Non siamo allo stadio, che siano identificati ed espulsi”. Erano solo le dieci del mattino, un’ora dopo l’inizio dei lavori. Solo tre ore dopo i soci vicini all’avvocato Samorì hanno dato nuovamente in escandescenza quando il presidente ha sospeso il dibattito “perché gli interventi dei 255 soci ancora prenotati – dice Caselli – impedirebbero il normale svolgimento dell’assemblea”.

Non sono mancate, dunque, né le azioni né le parole, soprattutto da parte della compagna dell’avvocato modenese, che proferiva parola senza remore al suon di “buffoni”, piuttosto che “vergognatevi”.

“Ho una lunga esperienza – ha affermato in conferenza stampa l’amministratore delegato dell’istituto di credito Fabrizio Viola poco dopo che Caselli ha annunciato che la banca si sarebbe difesa in tutte le sedi opportune rispetto all’attacco subito – nelle banche popolari, ma una cosa del genere non mi era mai capitata. La critica è il sale dell’azienda, ma in questo modo la dialettica diventa sterile. Dell’assemblea di oggi, purtroppo non mi rimane niente”.

La controreplica di Samorì non è delle più morbide. “Questa assemblea – dice l’avvocato – è illegittima dall’inizio alla fine e il voto sarà privo di significato. Credo che nella vicenda si sia configurato il reato di associazione a delinquere. Accetterò anche di ricevere una denuncia alla Procura per il reato di diffamazione, ma credo non sia possibile mettere d’accordo e reclutare persone per scalzare il rinnovamento che io ho in mente per questa banca”.

Si addolcisce, invece, quando i risultati arrivano: non entra nemmeno quest’anno in consiglio di amministrazione Samorì, ma con la sua Lista n. 3 passa dai 1.984 dello scorso anno ai 5.001 di oggi, “sintomo – afferma nell’euforia – che la gente comincia a ragionare. Questa è una nuova pagina del secondo tempo di un nuovo libro. Confido nell’intelligenza del presidente Caselli”.

Il gran finale di Samorì, che vede questo giorno come la sua personale vittoria, è l’attacco a Mimmo Guidotti, direttore generale della banca, che ha ricevuto un avviso di fine indagini per il crac Italease per il presunto reato di falso in bilancio.

“Se l’avviso di fine indagine – conclude Samorì – dovesse trasformarsi in una rinvio a giudizio Guidotti dovrà dimettersi”.




Berlusconi: "Magistrati eversivi" L'Anm: "Sdegnati e senza parole"



Il premier: "Il processo breve? Devo essere tutelato dalle toghe" Pd e Idv: ha gettato la maschera.

ROMA
Il presidente del Consiglio dichiara guerra ai magistrati. Prima li definisce «eversori» e chiede una commissione d’inchiesta per accertare se ci sia al loro interno un’associazione a delinquere. Poi avverte: in Parlamento ci sono molti provvedimenti importanti che ora, con la maggioranza che ho, potrò finalmente approvare.

Primo tra tutti: il testo sulla prescrizione breve che lui preferisce chiamare "processo europeo". Già approvato dalla Camera, è ora all’esame del Senato. E per la prima volta Berlusconi ammette: mi serve per poter governare perchè contiene una norma che «forse, forse, potrebbe accorciare la prescrizione di un mio processo». Il processo a cui fa riferimento è quello Mills in cui lui è imputato di corruzione in atti giudiziari. Un procedimento che, nel corso della convention del Pdl a Roma, non esista a definire pura «eversione». «Non esistono parole ed aggettivi nuovi per esprimere lo sconcerto e lo sdegno di fronte a queste affermazioni», replica il Presidente dell’Anm, Luca Palamara.

Il Cavaliere non solo illustra tutta "l’artiglieria pesante" che ha già messo e intende mettere in campo. Ma racconta anche la sua versione dei fatti spiegando, come fossero aneddoti, i processi a suo carico più importanti (anche quello sui diritti Tv). Obiettivo: far capire alla sua genta «come stanno davvero le cose». Lo aveva annunciato nei giorni scorsi, oggi mantiene l’impegno. Dopo aver ribadito quanto le toghe si siano accanite contro di lui in 17 anni («oltre 2000 le udienze») illustra l’intero elenco delle leggi da fare sulla giustizia omettendo però "l’ultima-nata": la norma che il Pdl vuole presentare al testo sul "giudizio abbreviato" che prevede la sospensione del processo nel caso in cui (come per la vicenda Ruby), sia stato sollevato conflitto di attribuzioni.

Il ddl, che ora dovrà essere votato dall’Aula di Palazzo Madama, già contiene un altro tema caldo inserito con l’emendamento di Franco Mugnaì (Pdl): la misura destinata ad allungare ’sine diè i processi consentendo alla difesa di citare i testimoni che vuole. Nella strategia "anti-toghe", il Cavaliere inserisce anche la riforma «epocale» della giustizia (già assegnata alle commissioni I e II della Camera) perché, ribadisce, si deve arrivare a carriere separate, a due Csm e le assoluzioni di primo grado non devono essere più appellabili. Poi ci sono le intercettazioni da fare (adesso c’è anche un ddl di Scilipoti sul tema) è la responsabilità civile dei magistrati. Su questo punto Berlusconi insiste: la gente la vuole perchè i magistrati devono pagare per gli errori commessi. Una conferma al fatto che l’emendamento di Gianluca Pini (Lega) resta nella Comunitaria. Magari modificato, ma resta. Ha un bell’appellarsi adesso il presidente del Senato Renato Schifani alla moderazione e al dialogo tra le forze politiche assicurando che non ci sarà «alcuno scontro con il Capo dello Stato».

Dopo l’intervento del premier, tra poli tira aria da bufera. «È un delirio irresponsabile», commenta il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, «è lui il vero eversore!». Finalmente «getta la maschera - interviene Leoluca Orlando (Idv) - perché ha ammesso che la prescrizione breve è stata fatta per lui«» Ha perso il controllo, osserva Lorenzo Cesa (Udc). Napolitano «deve intervenire al più presto», è la supplica del leader Idv Antonio Di Pietro. E l’accusa di eversione nei confronti del premier arriva anche dal finiano Italo Bocchino. Sconfiggere il «populismo di destra», incalza il segretario Pd Pierluigi Bersani «è ormai un’esigenza nazionale». Come se non bastasse, a riscaldare il clima ci si mette anche la polemica sui manifesti: «Fuori le Br dalla Procura di Milano». Secondo l’opposizione, il "mandante" sarebbe Berlusconi. Il Guardasigilli Angelino Alfano prende però le distanze: «Non c’è nessuna giustificazione» per la loro affissione. Concorda Maroni: ingiustificato evocare ora le Brigate Rosse.


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/398193/