mercoledì 27 aprile 2011

Strage del rapido 904, indagato Totò Riina. Per i pm fu lui il mandante dell'attentato.



Napoli - (Adnkronos) - L'esplosivo utilizzato per la strage del 1984, in cui morirono 16 persone, è lo stesso di quello impiegato per l'eccidio di via D'Amelio a Palermo avvenuto sette anni e mezzo dopo.

Napoli, 27 apr. - (Adnkronos) - Un'ordinanza di custodia cautelare e' stata consegnata in carcere all'ex capo di Cosa nostra Toto' Riina per la strage del Rapido 904 che il 23 dicembre del 1984 provoco' la morte di 16 persone. L'inchiesta che ha portato all'arresto di Riina e' stata coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che accusano l'ex numero uno di Cosa nostra come il mandante della strage. Per questa vicenda vi sono gia' stati degli altri condannati in via definitiva tra i quali l'ex boss della mafia Pippo Calo'.

L'ordinanza di custodia cautelare e' stata firmata dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli Carlo Modestino su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia Sergio Amato e Paolo Itri coordinati dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico.

Tra gli elementi nuovi dell'inchiesta sul Rapido 904 vi sarebbe la certezza che l'esplosivo utilizzato per la strage del treno di Natale e' lo stesso di quello utilizzato per l'eccidio di via D'Amelio a Palermo avvenuto sette anni e mezzo piu' tardi dove furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque tra uomini e donne della sua scorta.

Il Rapido 904 era partito da Napoli il 23 dicembre 1984 ed era diretto a Milano ma nei pressi della galleria di San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, a causa di una bomba posizionata sul portabagagli della carrozza 9 di seconda classe esplose. Erano le 19.08, il Rapido 904 era pieno di viaggiatori che tornavano al nord per festeggiare il santo Natale. Nel tunnel la bomba esplose, non fu un fatto casuale ma studiato a tavolino per provocare un effetto molto piu' violento.

A incastrare Toto' Riina sarebbero state le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia di origini siciliane. Ma, gli investigatori (l'indagine e' stata condotta dai carabinieri del Ros di Napoli) hanno anche eseguito accertamenti riguardo alla provenienza e alle caratteristiche oggettive e alla composizione chimica dei materiali esplosivi utilizzati per compiere la strage e dei congegni elettronici utilizzati per l'attentato o comunque ad esso direttamente o indirettamente ricollegabili.

Dagli accertamenti eseguiti e' emerso tra l'altro che una parte dell'esplosivo utilizzato per la strage del rapido 904 -Semtex H- proveniva da un'unica originaria fornitura di armi e materiale esplodente risalente agli inizi degli anni '80 destinata ai clan della mafia siciliana parte della quale venne poi successivamente sequestrata nel febbraio del '96 dalla Dia di Palermo in Contrada Giambascio di San Giuseppe Jato. Il sequestro fu considerato all'epoca il piu' grande arsenale della mafia mai scoperto nel secondo dopoguerra.

Successivamente emerse che l'esplosivo sequestrato a San Giuseppe Jato aveva la stessa identica provenienza di quello ritrovato a suo tempo nel maggio del 1985 in provincia di Rieti nella disponibilita' di Pippo Calo' presso il casale di Poggio San Lorenzo dove fu scoperto lo stesso tipo di esplosivo "Semtex H" utilizzato nella strage di Natale. Si tratta di due mine anticarro di fabbricazione belga e di alcuen saponette di tritolo di probabile provenienza sovietica identiche a quelle a suo tempo trovate nella disponibilita' di Calo'.

Dalla consulenza sarebbe poi emerso che in entrambi gli arsenali, quello di San Giuseppe Jato e di Poggio San Lorenzo era presente lo stesso tipo di esplosivo plastico "Semtex H" risalente alla produzione anteriore al 1989 a base di pentrite e T4 in composizione chimica analoga tra loro con la prevalenza in entrambi i casi della componente di pentrite.





Biotestamento, l’Udc tenta il blitz. Una prova scivolosa per la maggioranza spaccata. - di Sara Nicoli


Trappole parlamentari, avvertimenti elettorali. Mentre la maggioranza va a pallino sul fronte libico e si piega ai francesi su Parmalat, alla Camera si consuma l’ennesimo regolamento di conti sulla delicata questione del biotestamento. Da settimane lasciato in naftalina perché considerato troppo spinoso per essere discusso in campagna elettorale, il ddl sul fine vita risorge oggi a Montecitorio per volere dell’Udc, intenzionata a chiedere l’inversione dell’ordine del giorno dei lavori e, quindi, a rimettere la palla in campo. La maggioranza è in ordine sparso, in questo caso incapace di controllare i numeri e, dunque, esposta ad essere impallinata anche dal fuoco amico. Persino Domenico Scilipoti, l’icona dei Responsabili, ieri era stato netto sul biotestamento: “Se qualcuno mi dicesse che farei la fine della povera Eluana Englaro, credo che vorrei che mi staccassero i fili…questa legge, cosi com’è, io non la voto”.

Insomma, sul fine vita la maggioranza numerica alla Camera è incontrollabile. Non è granitico neppure il Pd, dove l’area cattolica di Fioroni si è dichiarata a favore della legge così come scritta dal Pdl, mentre la posizione contraria dell’Idv è sempre stata netta. Difficilmente monitorabili anche gli uomini di Fini e, appunto, i Responsabili, provenienti da aree politiche diverse. Insomma, una situazione a geometria variabile. L’agguato politico dell’Udc di chiedere l’inversione dell’ordine del giorno ha quindi una doppia valenza; quella di mettere in difficoltà la maggioranza in campagna elettorale su un tema etico e di obbligarla – probabilmente – anche a ventilare l’ipotesi di mettere una fiducia sulla legge che potrebbe diventare scivolosissima. D’altra parte, il testo di legge è gravato da oltre 2 mila emendamenti, ma il Pdl ha fretta di chiudere. E con una scusa che puzza davvero di bruciato: “Vogliamo chiudere il prima possibile – ha spiegato ieri Domenico di Virgilio, relatore di maggioranza della legge – per difendere i cittadini da ulteruori intromissioni della magistratura che non può decidere sul fine vita”. Insomma, l’aggressione pidiellina al diritto non conosce confini. Così come l’uso elettorale della medesima.

Ma cosa c’è scritto dentro il ddl sul biotestamento che divide, in modo assolutamente trasversale, le forze politiche in campo? Non parla di testamento biologico ma di “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Si vieta, all’art. 1, ogni forma di eutanasia e di assistenza al suicidio, si riconosce che “nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato” e si specifica che “in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura”.

L’articolo 2, tra l’altro, stabilisce che tutori, curatori e amministratori di sostegno, in caso di soggetti incapaci, abbiano la facoltà di prendere decisioni “avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita dell’incapace”. L’art. 3 stabilisce poi che nelle Dat (le dichiarazioni di alleanza terapeutica) “il dichiarante esprima il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere” e “dichiari il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari”. Può “anche essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”. Non sono ammesse indicazioni che violano il divieto penale di omicidio del consenziente e del suicidio assistito, mentre, nel rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, “alimentazione ed idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”. Che, però, è facoltativa, dura cinque anni, può essere modificata in ogni momento e assume rilievo solo se il soggetto si trova “nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e, per questo motivo, di assumere le decisioni che lo riguardano”.

Le volontà espresse nelle Dat sono prese in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario (o i parenti, se non c’è fiduciario nominato) annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno, ma “non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica”. In caso di contrasto tra fiduciario e medico curante, la questione è sottoposta a un collegio di medici, “il cui parere è vincolante per il medico curante, il quale non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Resta comunque sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana”.




Libia, Bossi si ribella a Berlusconi Bersani: “Non c’è più la maggioranza”. - di Elena Rosselli


Sul quotidiano La Padania la rabbia del Carroccio: "Le scelte del premier non sono state né annunciate né discusse". Ma il Pdl frena. La Russa: "Necessario un chiarimento solo informativo". Farnesina: "Maggior impegno? Lo chiede la Nato"

Sarkozy e Berlusconi al vertice intergovernativo a Palazzo Madama

Non si fermano le polemiche dopo il vertice intergovernativo Italia – Francia svoltosi ieri a Palazzo Madama tra il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy e il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Al centro non solo l’accoglimento della richiesta francese di rivedere il trattato di Schengen, ma soprattutto la decisione espressa da Berlusconi e appoggiata daNapolitano, di intervenire militarmente in Libia. Due elementi che hanno fatto arrabbiare, e non poco, il leader del Carroccio Umberto Bossi.

Di fronte a questi due scenari e alla luce dei forti distinguo della Lega, il capo dell’opposizionePier Luigi Bersani torna a far balenare l’ipotesi di una verifica in Parlamento sulla tenuta della maggioranza di fronte alla gestione della crisi libica. “Mi pare che di fronte a contingenze così rilevanti non abbiamo una maggioranza, né un governo che tenga la barra e quindi, probabilmente, bisognerà – dice il segretario Pd intervistato da SkyTg24 – riverificare in Parlamento lo stato delle cose”. “Se fossi io presidente del Consiglio, di fronte a una situazione come quella in Libia – osserva ancora Bersani – prima di tutto verificherei di avere una maggioranza, perché – sottolinea – non si fanno delle scelte senza una maggioranza di governo”. “Dopodiché – osserva – mi sarei strettamente attenuto a scelte riferibili a decisioni dell’Onu, che sono rivolte a usare mezzi militari pr fermare possibili massacri di Gheddafi sui ribelli. E invocherei al più presto possibile il passaggio dagli interventi militari all’azione diplomatica e politica, e sarebbe interessante – rileva – conoscere questa a che punto sia”.

Quali siano gli umori effettivi all’interno della Lega Nord lo chiarisce il quotidiano di partito ‘La Padania’ che attacca duramente l’atteggiamento del presidente del Consiglio ‘supino di fronte alle richieste’ dei francesi durante il vertice di ieri. Il quotidiano leghista riferisce della “irritazione (a dir poco)” mostrata da Umberto Bossi in Via Bellerio. I francesi si sono presentati “arroganti” all’incontro, ha commentato il leader leghista, “Nicolas Sarkozy urlava: ‘Io voglio questo io voglio quello’”. “Berlusconi pensava che dicendo sì a tutto potesse acquisire un nuovo peso internazionale”, ha osservato Bossi nel colloquio con i giornalisti del quotidiano del Carroccio. “Ma è il contrario”, ha criticato, “non è bombardando dei poveracci in Libia che si conta di più. Sei forte solo quando sai dire anche no”.

Nell’editoriale di apertura, sotto il titolo ‘Berlusconi si inginocchia a Parigi’, il responsabile delle pagine politiche del quotidiano, Carlo Passera, descrive un Bossi che fa irruzione nella sede del giornale “d’umore assai più nero del consueto”. I padani intuiscono i “chiarissimi segnali di guerra” e bloccano la prima pagina. “Bersaglio del malumore (termine assai soft) del leader del Carroccio”, commenta Passera, “sono le scelte non concordate, benché meno condivise del premier Silvio Berlusconi”. “Siamo diventati una colonia francese, “attacca Bossi”, come già anticipato dalla ‘Padania’ ieri sera. Nella ricostruzione di Passera si critica un Berlusconi “del tutto supino di fronte alle richieste del presidente francese”. E si elenca il lungo “cahier de doleances che i vertici leghisti recapitano a Palazzo Chigi”. Questo “tocca tutti i dossier che hanno visto contrapposti, in questi mesi, gli interessi italiani e quelli francesi – si spiega – l’accusa, circostanziata e netta, nei confronti del Cavaliere è quella di non aver difeso minimamente le nostre posizione, di essersi fatto travolgere dalla prepotenza d’Oltralpe, ottenendo in cambio solo l’ok per Mario Draghi alla Bce. E’ un contentino inaccettabile”. Inoltre, si critica la “progressiva perdita delle eccellenze nazionali a favore di Parigi”, citando i casi di Parmalat ed Edison (“che è di Milano”, ha sentenziato Bossi).

Ma ciò che ha fatto infuriare il Senatur, “la goccia più pesante delle altre”, è stato l’annuncio della partecipazione italiana ai raid in Libia. “Vicende che dividono nel merito, e con tutta evidenza, le posizioni leghiste da quelle berlusconiane – spiega Passera – ma che richiamano a loro volta anche gravi questioni di metodo, per almeno due aspetti: primo le scelte del premier non sono state né annunciate né discusse e, tantomeno, vi è stato su di esse il semaforo verde del Carroccio, che è alleato fedele e responsabile, non certo cieco e sordo passacarte di qualsiasi stravaganza; secondo: tali scelte travolgono l’ottimismo in senso contrario di alcuni tra i migliori ministri di questo esecutivo, come Giulio Tremonti e Roberto Maroni. “Insomma, – concldue La Padania – un vero disastro che in Via Bellerio è stato percepito come tale, in tutta la sua evidente gravità politica.

Una gravità politica che evidentemente non vogliono cogliere gli esponenti del Pdl più coinvolti nell’affaire Libia. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenuto a ‘la Telefonata’ su Canale 5 il chiarimento necessario è solo di carattere “informativo”: “Il resto è un’eventualità”. “Noi – ha spiegato La Russa – siamo già stati autorizzati dal Parlamento e dal Consiglio dei ministri a partecipare nei modi più adeguati alla missione chiesta dall’Onu, ma se poi il Parlamento ci chiedesse di votare un ordine del giorno non potremmo certo esimerci”.

Anche per il portavoce della Farnesina Maurizio Massari ”non si tratta di nessuna rivoluzione e cambiamento di posizione”. La decisione del governo sulle “azioni mirate” militari in Libia, “è il naturale sbocco di una posizione italiana che è stata costruita fin dall’inizio della crisi con un attivo impegno a favore delle forze di opposizione democratica libica e il riconoscimento del Comitato nazionale transitorio della Libia”, ha affermato il portavoce a Radio Anch’io.

Si trattava, ha precisato Massari, di “rispondere a quanto ci avevano chiesto le forze di opposizione libica che noi abbiamo riconosciuto come unico interlocutore politico” e di “venire incontro anche alle richieste della Nato” che “l’Italia ha voluto mettere in campo per dare maggiori garanzie al multilaterale, all’azione militare della comunità internazionale”. La giustificazione di un maggiore impegno militare italiano contro le truppe di Gheddafi verte sempre sullo stesso punto. ”Non parliamo di bombardamenti, ma di azioni militari mirate con dei target che saranno determinati dall’Alleanza Atlantica per rafforzare le capacità di autodifesa dei ribelli, ha aggiunto Massari, ripetendo ciò che aveva già detto il premier Berlusconi ieri: “Quelli italiani saranno interventi con razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, dove si possa escludere con certezza la possibilità di danni alla popolazione civile”.



Geotermico, la rivoluzione energetica passa per le Isole Eolie. - di Clara Gibellini


Si chiama Marsili Project l'iniziativa che punta a ricavare energia dall'omonimo vulcano sottomarino al largo della Sicilia. Un potenziale di produzione annua di circa 4.0 TWh, che da solo raddoppierebbe la quota del geotermico in Italia e basterebbe a coprire il fabbisogno di 700 mila persone

Un’energia nuova, pulita e praticamente inesauribile. Che arriva dal mare e che potrebbe diventare la scommessa del futuro per un paese povero di fonti energetiche come l’Italia. Il vulcano Marsili, gigante di 3000 metri al largo delle Isole Eolie, il più grande cratere sottomarino d’Europa, oggi è al centro di un progetto per la costruzione della prima centrale geotermica offshore del mondo. Un’idea rivoluzionaria che punta a sfruttare il calore dell’acqua marina che si infiltra lungo le pendici del vulcano, dove raggiunge temperature fino a 300 gradi centigradi, convogliandola in quattro piattaforme galleggianti dove produrre energia elettrica attraverso un sistema di turbine a vapore. Un potenziale di produzione annua di circa 4.0 TWh, che da solo raddoppierebbe la quota del geotermico in Italia e basterebbe a coprire il fabbisogno energetico di 700 mila persone, l’intera popolazione di Palermo.

L’idea di produrre energia dal vulcano è venuta a Patrizio Signanini dell’Università di Chieti ed è stata finanziata da Eurobuilding, impresa specializzata in ingegneria naturalistica. L’azienda ha finanziato un gruppo di ricerca composto da tecnici dell’INGV, del CNR, del Politecnico di Bari e dell’Università di Chieti. Assente dal progetto, almeno a livello economico, lo Stato, che nonostante abbia concesso il permesso esclusivo di ricerca nell’area da parte del ministero dello Sviluppo Economico e una valutazione di impatto ambientale positiva del ministero dell’Ambiente, non ha al momento erogato finanziamenti per la ricerca.

Partito nel 2006 con una campagna di rilievi magnetici che ha permesso di confermare la presenza di decine di milioni di metri cubi di fluidi ad alto contenuto energetico, il Marsili Project, il cui investimento complessivo ammonta a circa 2 miliardi di euro, sta ora per entrare nella fase esplorativa. Entro il 2013 l’obiettivo è arrivare alla costruzione di una prima piattaforma di trivellazione, con un pozzo pilota situato a 800 metri di profondità per perforare fino a 2 chilometri all’interno del vulcano. “Entro il 2016 dovrebbe essere operativa la prima unità produttiva che sarà poi affiancata da altre tre piattaforme”, spiega al fattoquotidiano.it Diego Paltrinieri, geologo marino e direttore del progetto, che esclude anche eventuali rischi per l’ambiente marino. “A differenza delle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi dove la materia estratta è del tutto estranea all’ambiente circostante, nel caso del Marsili si tratta di un sistema aperto, con acque in continua circolazione. Un’eventuale fuoriuscita non genererebbe impatti rilevanti perché già esiste un’interazione tra le acque calde in pressione e l’ambiente marino, dimostrata anche dalla presenza di diversi geyser sottomarini nell’area”.

“La geotermia offshore è una reale ed importante risorsa energetica tutta italiana, ci sono molti altri vulcani sottomarini da studiare nell’area del Tirreno meridionale” continua Paltrinieri. “Questo settore può contribuire in maniera determinante e in tempi relativamente brevi alla produzione di un’energia pulita, rinnovabile e non proveniente dall’estero, ponendosi anche come una valida alternativa all’energia nucleare.” Secondo le stime di Eurobuilding lo sfruttamento di tutte le caldaie sottomarine dei nostri mari potrebbe arrivare a coprire il 7-10% dei consumi totali di energia entro 30 anni, proiettando l’Italia all’avanguardia della ricerca geotermica mondiale e ridando linfa a un settore che potrebbe di fatto ridisegnare gli scenari della nostra politica energetica.

“Abbiamo nel sottosuolo enormi sorgenti inutilizzate, basta guardare tutta la zona della Toscana fino alla Campania e oltre. Sarebbe importante riuscire a sfruttare queste sorgenti di energia geotermica” dichiarava qualche settimana il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia invitando il governo a puntare di più su un settore in cui, in mancanza di investimenti e politiche di sviluppo adeguate, l’Italia rischia di perdere importanti opportunità economiche oltre che una tradizione di eccellenza.

La conferma che, a quasi un secolo dall’inaugurazione nel 1913 a Larderello della prima centrale del mondo, sul geotermico l’Italia abbia campato quasi solo di rendita arriva dall’ultimo rapporto delGestore Servizi Elettrici (GSE). Primo produttore in Europa e terzo al mondo, nonostante le decine di pozzi attivi individuati in diverse aree della penisola, il geotermico oggi è una realtà solo in Toscana mentre dal 1999 la produzione è cresciuta solo dello 0,1% attestandosi allo 1,8% del totale dell’energia prodotta. Invariato negli ultimi dieci anni anche il numero degli impianti attivi, fermo a 32, mentre nel 2009, scende al 7.6%, raggiungendo il minimo storico dal 1999, la quota di geotermico sul totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

“La geotermia ha un grande potenziale di sviluppo e consentirà di raggiungere più facilmente l’obiettivo del 25% di energia prodotta da fonti pulite (…) Con l’aumento della produzione di energia derivante dall’utilizzo di risorse geotermiche, si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà, inoltre, a contenere le emissioni di gas serra” si legge in un dossier diffuso il 5 aprile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Dopo decenni di immobilismo forse finalmente se ne sono accorti anche loro.




''I documenti sulla trattativa, su B. e su Dell'Utri sono autentici''. di Marco Lillo



26 aprile 2011
. Eccolo qui l’altro “attentatore” alla Costituzione. Antonino Di Matteo – magistrato in prima linea contro la mafia, una vita blindata per le minacce dei boss – con il procuratore aggiunto Antonio Ingroia sta portando avanti le indagini più delicate dell’ultima stagione palermitana come quella sulla trattativa Stato-mafia che vede alla sbarra il generale Mario Mori, o come l’inchiesta sul presidente del Senato Renato Schifani. Insieme a Ingroia è stato accusato di ogni nefandezza negli ultimi giorni e ha accettato di parlare con Il Fatto “solo per ricordare alcuni fatti incontestabili, senza esprimere alcun convincimento personale che riserverò alle sedi opportune”.

Dottor Di Matteo, che effetto le fa essere additato sulle prime pagine dei giornali come un pericolo per la democrazia?
Quando abbiamo iniziato a indagare sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e la mafia eravamo perfettamente consapevoli che saremmo stati esposti a questa reazione. Non siamo sorpresi e continueremo ad andare avanti sui temi posti dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e non solo: la prima fase della trattativa, coincidente con le stragi del 1992-93, ma anche la seconda fase, nel periodo successivo.

Massimo Ciancimino potrebbe avere mentito su tutto, come ha fatto accusando falsamente il capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro?

Noi facciamo i magistrati e siamo abituati a valutare le dichiarazioni sulla base dei riscontri. Nel momento in cui abbiamo avuto la prova che una sua dichiarazione era falsa abbiamo reagito nella maniera più forte possibile, con il fermo per calunnia. Questo non ci fa dimenticare che parti importanti delle sue dichiarazioni sono riscontrate da altre dichiarazioni, da documenti e in qualche caso da intercettazioni. Continueremo a utilizzarle solo laddove ci siano riscontri.

Il falso di Massimo Ciancimino sul nome di De Gennaro non fa saltare anche l’autenticità del famoso ‘papello’ con le richieste di Cosa Nostra?
C’è tanta voglia di buttare anche il bambino con l’acqua sporca. C’è tanta voglia di considerare carta straccia tutto quello che, con grande fatica, è stato acquisito sulla trattativa Stato-mafia. Si dimentica che noi abbiamo sempre disposto accertamenti tecnici complessi che sono stati fatti con grande professionalità e impegno dalla Polizia scientifica. C’è una perizia dei funzionari della Polizia scientifica che hanno deposto nel processo Mori, nella quale è consacrato un dato: alcuni documenti portati da Massimo Ciancimino non sono manipolati e sono stati scritti da Vito Ciancimino di suo pugno.

Quali sono i documenti di Ciancimino che la polizia scientifica considera genuini?
Sono documenti come il cosiddetto “contropapello” (un testo manoscritto nel 1992 da don Vito per addolcire le pretese del papello di Riina, ndr) ma anche le annotazioni che fanno riferimento all’onorevole Silvio Berlusconi e a Marcello Dell’Utri e poi altri documenti in cui si afferma che il Generale Mori e il capitano De Donno avevano dichiarato il falso. La stessa Polizia scientifica che ha scoperto la manipolazione sul documento riguardante De Gennaro, si era espressa in termini altrettanto chiari sulla genuinità dei documenti forniti o sequestrati relativi alla trattativa o contenenti passaggi relativi al presidente Berlusconi e al senatore Dell’Utri.

Politici e giornali berlusconiani affermano che Massimo Ciancimino avrebbe trovato udienza presso la Procura di Palermo perché ha accettato di attaccare Berlusconi.
Io rispondo con i fatti. Massimo Ciancimino viene arrestato nell’ambito di un’altra indagine per riciclaggio nel 2006 e tra i documenti sequestrati c’è una parte di un foglio A4 scritto a penna nella quale si fa riferimento all’onorevole Berlusconi. Nelle intercettazioni effettuate prima dell’arresto ci sono le conversazioni con i familiari nelle quali si parlava di Berlusconi come un finanziatore. Ebbene, Massimo Ciancimino inizia a rispondere alle nostre domande solo nel 2008. Non lo fa spontaneamente ma solo dopo che noi lo chiamiamo a seguito di un’intervista a Panorama . E non parla mai di Berlusconi e Dell’Utri. Solo il 30 giugno del 2009, dopo che noi scopriamo nelle carte del processo contro Ciancimino del quale non ci eravamo occupati, il foglio A4 nel quale si faceva riferimento a Berlusconi e a un triste evento, in un interrogatorio condotto da me e da Antonio Ingroia contestiamo a Massimo Ciancimino quel foglio, che nessuno mai gli aveva contestato. E Ciancimino cosa fa? Prima mente, poi dice che non ne vuole parlare. La cronologia dei fatti dimostra la falsità delle ricostruzioni pubblicate in questi giorni.

Secondo Il Giornale di Berlusconi ci sono altri documenti falsi contenenti il nome di Berlusconi che, a differenza di quanto accaduto con De Gennaro, non sono stati contestati come calunnia da parte vostra a Masssimo Ciancimino.
Abbiamo vagliato con grande attenzione tutti i documenti e abbiamo chiesto il fermo per calunnia solo per quel documento perché avevamo le prove. Se non lo abbiamo fatto per altri documenti è perché questo non è avvenuto. Per la verità, proprio con riferimento a una congerie di documenti nei quali si faceva riferimento all’onorevole Berlusconi, abbiamo avuto l’attestazione della certa riconducibilità a Vito Cianci-mino.

Il centrodestra vi attacca duramente. Vi sentite tutelati dai vostri colleghi magistrati?
Siamo speranzosi e curiosi di vedere se e come prenderanno posizione la Giunta nazionale dell’Anm e il Csm.

Il comportamento di Ciancimino è anomalo: prima fabbrica un falso e poi lo fa scoprire. Voi lo arrestate e lui denuncia i candelotti di esplosivo nel giardino. Qual è il suo movente?
La situazione è estremamente complessa. Mi sorprende la volontà di troppi commentatori e di soggetti con incarichi istituzionali di liquidare tutto come se Ciancimino fosse solo un imbroglione che si mette l’esplosivo a casa.

Non pensa a una messa in scena?
C’è molta superficialità nel dare per certo che l’esplosivo se lo sia messo lui. Noi continuiamo a indagare e l’ipotesi della minaccia a me pare abbia almeno la stessa plausibilità dell’altra.


Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2011)

Discorso V Per vendetta (buonasera londra)



Stupendo monologo in linea con i tempi...


martedì 26 aprile 2011

Io sto con Ingroia. - di Beppe Giulietti



No, non ci sto, questo tiro al bersaglio contro il magistrato Antonio Ingroia è davvero disgustoso. Lo attaccano solo perchè ha osato difendere la Costituzione, perchè è stato un allievo di PaoloBorsellino, perchè nelle sue inchieste si è spinto troppo in là, non si è fermato in tempo.

I mazzieri del regime gli hanno già rifilato una bella dose di randellate mediatiche, Giuliano Ferrara ha già annunciato che chiederà le sue dimissioni in diretta tv, forse una troupe di un tg di famiglia lo seguirà, riprenderà il colore dei suoi calzini e lo indicherà come una persona disturbata, un mezzo matto che si è messo in testa di colpire i mafiosi e i loro amici, per informazioni rivolgetevi al giudice Mesiano.

“Poteva pure starsi zitto, non è opportuno…”, questi i sussurri e non solo sussurri dei cerchiobottisti di ogni colore, quelli che quando Berlusconi randella qualcuno riescono solo a dire: “Forse avrà esagerato nei toni, ma anche loro se la sono cercata…”

A tutti costoro vorrei ricordare che da settimane un imputato sta oltraggiando i suoi giudicia colpi di videocassette trasmesse a reti semiunificate, anzi non contento ha persino ordinato di confezionargli una legge per mettere i pubblici ministeri alle dipendenze del governo, per ridurne l’autonomia, per scardinare la Costituzione.
Ogni qual volta la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, l’Associazione magistrati, i singoli magistrati hanno osato manifestare perplessità e critiche sono stati ricoperti da contumelie, da invettive, da inviti a tenere la bocca chiusa.

In queste ore il giudice Ingroia non ha potuto replicare ai suoi inquisitori, anzi a questo proposito vi proponiamo la lettera che ha spedito alla redazione di Articolo 21: Rivendico il diritto alla libertà di espressione di un magistrato: quando poi si tratta di riforme che riguardano la giustizia quel diritto diventa un dovere. Mancherei a questo dovere se tacessi. Mi piacerebbe che io, come altri miei colleghi messi nel mirino solo perché esprimiamo opinioni, potessimo avere un diritto di replica agli attacchi che spesso riceviamo da alcune reti televisive”

Questa lettera la gireremo alla Autorità di garanzia per la comunicazione, alla Commissione di Vigilanza, al Consiglio di amministrazione della Rai e da loro vorremmo sapere come intendano garantire il diritto al contraddittorio e alla replica anche ai giudici e più in generale a quanti sono e saranno più sottoposti al cosiddetto “metodo Boffo“, ad una sorta di pestaggio politico e mediatico teso a piegarne la resistenza, a imbavagliarli, a mettere in condizioni di non nuocere chiunque continui a pensare che lo stato non sia una delle tante aziende di proprietà del capo supremo.

Qualche tempo fa il ministro Maroni si stracciò le vesti perchè Roberto Saviano aveva parlato delle infiltrazioni mafiose in terra leghista, ipotesi per altro ormai condivisa dall’universo mondo e confermata dallo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Per replicare ai pochi secondi di Saviano, Maroni ottenne ore di trasmissione.

Perchè Ingroia non ha potuto replicare? Perchè quelli che ulularono contro Saviano tacciono adesso? Perchè alcune anime candide della opposizione storcono il naso e si girano dall’altra parte? Il diritto negato a Ingroia e a tutti i magistrati italiani riguarderà presto tutti quelli che contrasteranno davvero il disegno di colpire a morte il cuore della Costituzione? Il cavaliere non farà distinzioni e non farà prigionieri, questa volta giocherà davvero la partita della vita.

L’Ocse, l’organizzazione internazionale che si occupa anche della libertà dei media, ci ha fatto sapere di nutrire forti preoccupazioni per le troppe intimidazioni e minacce contro alcuni giornalisti italiani, tra di loro vengono indicati quasi tutti quelli che Berlusconi e Masi vorrebbero eliminare, cancellando quel poco che ancora resta del pluralismo politico ed editoriale nel polo Raiset. Dal momento che l’Ocse non è certo una organizzazione antiberlusconiana sarà davvero il caso di prendere sul serio le loro preoccupazioni e di non lasciare mai solo chi fa sentire la sua voce a protezione e a presidio della legalità repubblicana.

Per questo oggi siamo con Ingroia, e domani con chiunque altro sarà minacciato e colpito con i manganelli mediatici, sia esso un giudice che ama la legalità o un precario che non vuole rassegnarsi alla distruzione della scuola pubblica.