mercoledì 27 aprile 2011

Associazione a delinquere e truffa: in manette il deputato Minardo (Mpa).


Il presidente della commissione Affari istituzionali dell'Ars è accusato di truffa e associazione a delinquere.


di Piera Farinella

Riccardo MinardoL’ennesimo arresto all’Ars. Dopo il deputato del Pd Gaspare Vitrano, sorpreso con una mazzetta in tasca e poi trasferito ai domiciliari e il deputato del Pid Fausto Fagone, coinvolto nell’inchiesta Iblis e tutt’ora in cella, è la volta dell’autonomista Riccardo Minardo. Il deputato regionale dell’Mpa, presidente della I commissione dell'Ars Affari istituzionali ed ex parlamentare nazionale, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un'inchiesta su una presunta truffa legata a finanziamenti statali ed europei. Le accuse nei suoi confronti sono di associazione per delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato.

L'inchiesta, condotta dalla Procura di Modica punta i riflettori sui finanziamenti al Copai, il Consorzio di sviluppo dell'area iblea e sull'acquisto di Palazzo Pandolfi, un antico edificio di Pozzallo (Ragusa) che doveva essere destinato aCentro Polivalente, di un altro antico palazzo nobiliare a Modica, Palazzo Lanteri, e della emittente Radio Onda Libera. Le indagini hanno coinvolto diverse persone e hanno consentito di accertare l’esistenza “di un’attività associativa criminosa”, utilizzata dagli indagati per la commissione di un numero imprecisato di delitti. Le indagini delegate dalla Procura di Modica alla Guardia di Finanza di Ragusa avrebbero fatto emergere la gestione privatistica del patrimonio del Copai, costituiti da fondi di provenienza pubblica.

Si tratterebbe di una frode messa in atto per percepire indebitamente denaro dallo Stato, dalla Regione siciliana e da altri enti pubblici, per arricchirsi personalmente. Il deputato dell’Mpa, oltre che di associazione per delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato, è accusato anche di estorsione aggravata. Avrebbe costretto quattro imprenditori agricoli, dai quali era stato incaricato di istruire le loro istanze per accedere a dei fondi Por 2000/2006, a consegnare la somma di 112.784,24 euro con la minaccia di farli decadere dal finanziamento e di far restituire le somme già percepite a titolo di acconto.

A questo punto c'è chi propone di tornare alle urne. Il responsabile nazionale Organizzazione dei Comunistiitaliani e componente dell’esecutivo nazionale della Federazione della Sinistra Orazio Licandro afferma che "questi nuovi fatti dimostrano che la stagione a Palazzo dei Normanni si è esaurita” e che si "chiude all'insegna delle inchieste giudiziarie". E’ dello stesso avviso il deputato del Pd all’Ars, Giovanni Barbagallo, che afferma:"Le commissioni legislative all'Ars vanno rinnovate senza ulteriori ritardi, non solo perché due presidenti di commissione (Fagone e Minardo) sono stati arrestati, ma perché la rappresentanza dei gruppi parlamentari all'Ars è ampiamente mutata, sia con riferimento alla consistenza numerica, sia anche in relazione al numero dei gruppi stessi e alla loro equilibrata collocazione politica".

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=227


Davanti alle coste siciliane arrivano le trivelle dei petrolieri.


La Transunion comincerà a sondare i fondali tra qualche giorno. In estate potrebbero iniziare le trivellazioni a 13 miglia da Pantelleria. L'Italia chiede il 4 per cento di royalty contro l'85 per cento della Libia e l'80 della Russia.


di DARIO PRESTIGIACOMO e LORENZO TONDO

La Transunion ha già annunciato ai comuni iblei che a fine aprile inizierà a sondare il fondale dello specchio d'acqua davanti a Pozzallo, a 27 chilometri dalla costa. L'Audax, invece, di sonde non ha più bisogno: in estate, si legge sul suo sito web, potrebbe cominciare a trivellare a 13 miglia da Pantelleria. Non molto lontano, nei dintorni delle Isole Egadi, anche la Northern Petroleum riscalda i motori delle sue piattaforme.

Sotto l'ombra dell'inferno libico e quella di un possibile blackout energetico, la primavera delle trivelle sul mar Mediterraneo - esorcizzata dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo che prometteva di difendere a spada tratta il Canale di Sicilia, costi quel che costi - è oramai alle porte.

Secondo i dati delle associazioni ambientaliste, sarebbero più di cento i permessi di ricerca di idrocarburi richiesti o vigenti nel Mediterraneo. Alcuni concessi a un tiro di schioppo da sabbie dorate e banchi corallini. Le piattaforme, che - secondo quanto riportato dai bollettini pubblicati sui siti delle compagnie petrolifere - potrebbero già entrare in azione tra poche settimane, confermano i timori manifestati negli ultimi mesi dagli ambientalisti: il decreto anti-trivella, firmato e fortemente voluto dal ministro Prestigiacomo, emanato lo scorso 26 agosto, non servirà a proteggere le acque del Mediterraneo.

La Northern Petroleum lo sa e lo scrive: "La legislazione italiana che vieta le trivellazioni off-shore entro le 12 miglia dalla costa - si legge nel comunicato - avrà un effetto irrilevante sugli assetti della compagnia". Così, in barba al no della Regione e a quello dei sindaci, la Northern fa sapere di poter estrarre dai suoi giacimenti ben 4 miliardi di barili che tradotti in quattrini significano 400 miliardi di euro nelle tasche dei petrolieri. Briciole o nulla per lo Stato italiano dove le royalty che le compagnie minerarie lasciano al territorio dove estraggono senza imporre franchigie arrivano a malapena al 4 per cento contro l'85 di Libia e Indonesia, l'80 di Russia e Norvegia, il 60 in Alaska, e il 50 per cento in Canada.

"Al di là dell'aspetto ecologico, per l'Italia le trivelle sono anche antieconomiche" spiega Mario Di Giovanna, portavoce di "Stoppa la Piattaforma". "Se ci adeguassimo agli standard delle royalty degli altri paesi, facendo i conti della serva, potremmo estinguere, solo con una minima parte del canale di Sicilia, il 25 per cento del debito pubblico italiano".

In Italia, la franchigia per le piattaforme off-shore è di circa 50.000 tonnellate di greggio l'anno, equivalenti a 300 mila barili di petrolio. Sotto questo tetto di estrazione, le società non sono tenute a pagare nemmeno l'esiguo 4 per cento di royalty. La piattaforma Gela 1, a 2 km dalle coste siciliane, dal 2002 al 2008 ha prodotto petrolio e gas sempre sotto la soglia di franchigia. La Prezioso e la Vega producono invece il doppio oltre il limite (circa 100/120 mila tonnellate), pagando la franchigia solo per la metà della loro produzione. Forti delle agevolazioni fiscali italiane, le società le decantano ai loro investitori. A pagina 7 del rapporto annuale della Cygam (società petrolifera con interessi nell'Adriatico) si parla del nostro paese come il "migliore per l'estrazione di petrolio off-shore", sottolineando la totale "assenza di restrizioni e limiti al rimpatrio dei profitti".

Intanto Atwood Eagle, la contestatissima trivella dell'Audax che dall'11 luglio scorso galleggiava a 13 miglia dalle coste di Pantelleria, dopo un temporaneo abbandono dell'area, tra qualche mese potrebbe riprendere i sondaggi, mentre Shell ha già detto di aspettarsi dal Canale di Sicilia 150mila barili al giorno. Qualche settimana fa la Transunion Petroleum Italia ha inviato ad alcuni comuni della zona iblea, tra cui Pozzallo, Modica e Ragusa, un'istanza di avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale relativa ad un'area con un'estensione di 697,4 km quadrati, situata nel Canale di Malta. Le autorità locali hanno tempo fino al 27 aprile per le dovute osservazioni.

Il decreto anti-petrolio potrebbe non salvare nemmeno il mare agrigentino, dove la Hunt Oil Company ha avanzato una richiesta di permesso a poche miglia dall'Isola Ferdinandea, una delle tante bocche vulcaniche di un massiccio complesso sottomarino: il regno di Empedocle, l'Etna marino, il gigante sommerso che fa ancora tremare i fondali.

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/04/26/news/davanti_alle_coste_siciliane_arrivano_le_trivelle_dei_petrolieri-15387797/




Strage del rapido 904, indagato Totò Riina. Per i pm fu lui il mandante dell'attentato.



Napoli - (Adnkronos) - L'esplosivo utilizzato per la strage del 1984, in cui morirono 16 persone, è lo stesso di quello impiegato per l'eccidio di via D'Amelio a Palermo avvenuto sette anni e mezzo dopo.

Napoli, 27 apr. - (Adnkronos) - Un'ordinanza di custodia cautelare e' stata consegnata in carcere all'ex capo di Cosa nostra Toto' Riina per la strage del Rapido 904 che il 23 dicembre del 1984 provoco' la morte di 16 persone. L'inchiesta che ha portato all'arresto di Riina e' stata coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che accusano l'ex numero uno di Cosa nostra come il mandante della strage. Per questa vicenda vi sono gia' stati degli altri condannati in via definitiva tra i quali l'ex boss della mafia Pippo Calo'.

L'ordinanza di custodia cautelare e' stata firmata dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli Carlo Modestino su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia Sergio Amato e Paolo Itri coordinati dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico.

Tra gli elementi nuovi dell'inchiesta sul Rapido 904 vi sarebbe la certezza che l'esplosivo utilizzato per la strage del treno di Natale e' lo stesso di quello utilizzato per l'eccidio di via D'Amelio a Palermo avvenuto sette anni e mezzo piu' tardi dove furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque tra uomini e donne della sua scorta.

Il Rapido 904 era partito da Napoli il 23 dicembre 1984 ed era diretto a Milano ma nei pressi della galleria di San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, a causa di una bomba posizionata sul portabagagli della carrozza 9 di seconda classe esplose. Erano le 19.08, il Rapido 904 era pieno di viaggiatori che tornavano al nord per festeggiare il santo Natale. Nel tunnel la bomba esplose, non fu un fatto casuale ma studiato a tavolino per provocare un effetto molto piu' violento.

A incastrare Toto' Riina sarebbero state le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia di origini siciliane. Ma, gli investigatori (l'indagine e' stata condotta dai carabinieri del Ros di Napoli) hanno anche eseguito accertamenti riguardo alla provenienza e alle caratteristiche oggettive e alla composizione chimica dei materiali esplosivi utilizzati per compiere la strage e dei congegni elettronici utilizzati per l'attentato o comunque ad esso direttamente o indirettamente ricollegabili.

Dagli accertamenti eseguiti e' emerso tra l'altro che una parte dell'esplosivo utilizzato per la strage del rapido 904 -Semtex H- proveniva da un'unica originaria fornitura di armi e materiale esplodente risalente agli inizi degli anni '80 destinata ai clan della mafia siciliana parte della quale venne poi successivamente sequestrata nel febbraio del '96 dalla Dia di Palermo in Contrada Giambascio di San Giuseppe Jato. Il sequestro fu considerato all'epoca il piu' grande arsenale della mafia mai scoperto nel secondo dopoguerra.

Successivamente emerse che l'esplosivo sequestrato a San Giuseppe Jato aveva la stessa identica provenienza di quello ritrovato a suo tempo nel maggio del 1985 in provincia di Rieti nella disponibilita' di Pippo Calo' presso il casale di Poggio San Lorenzo dove fu scoperto lo stesso tipo di esplosivo "Semtex H" utilizzato nella strage di Natale. Si tratta di due mine anticarro di fabbricazione belga e di alcuen saponette di tritolo di probabile provenienza sovietica identiche a quelle a suo tempo trovate nella disponibilita' di Calo'.

Dalla consulenza sarebbe poi emerso che in entrambi gli arsenali, quello di San Giuseppe Jato e di Poggio San Lorenzo era presente lo stesso tipo di esplosivo plastico "Semtex H" risalente alla produzione anteriore al 1989 a base di pentrite e T4 in composizione chimica analoga tra loro con la prevalenza in entrambi i casi della componente di pentrite.





Biotestamento, l’Udc tenta il blitz. Una prova scivolosa per la maggioranza spaccata. - di Sara Nicoli


Trappole parlamentari, avvertimenti elettorali. Mentre la maggioranza va a pallino sul fronte libico e si piega ai francesi su Parmalat, alla Camera si consuma l’ennesimo regolamento di conti sulla delicata questione del biotestamento. Da settimane lasciato in naftalina perché considerato troppo spinoso per essere discusso in campagna elettorale, il ddl sul fine vita risorge oggi a Montecitorio per volere dell’Udc, intenzionata a chiedere l’inversione dell’ordine del giorno dei lavori e, quindi, a rimettere la palla in campo. La maggioranza è in ordine sparso, in questo caso incapace di controllare i numeri e, dunque, esposta ad essere impallinata anche dal fuoco amico. Persino Domenico Scilipoti, l’icona dei Responsabili, ieri era stato netto sul biotestamento: “Se qualcuno mi dicesse che farei la fine della povera Eluana Englaro, credo che vorrei che mi staccassero i fili…questa legge, cosi com’è, io non la voto”.

Insomma, sul fine vita la maggioranza numerica alla Camera è incontrollabile. Non è granitico neppure il Pd, dove l’area cattolica di Fioroni si è dichiarata a favore della legge così come scritta dal Pdl, mentre la posizione contraria dell’Idv è sempre stata netta. Difficilmente monitorabili anche gli uomini di Fini e, appunto, i Responsabili, provenienti da aree politiche diverse. Insomma, una situazione a geometria variabile. L’agguato politico dell’Udc di chiedere l’inversione dell’ordine del giorno ha quindi una doppia valenza; quella di mettere in difficoltà la maggioranza in campagna elettorale su un tema etico e di obbligarla – probabilmente – anche a ventilare l’ipotesi di mettere una fiducia sulla legge che potrebbe diventare scivolosissima. D’altra parte, il testo di legge è gravato da oltre 2 mila emendamenti, ma il Pdl ha fretta di chiudere. E con una scusa che puzza davvero di bruciato: “Vogliamo chiudere il prima possibile – ha spiegato ieri Domenico di Virgilio, relatore di maggioranza della legge – per difendere i cittadini da ulteruori intromissioni della magistratura che non può decidere sul fine vita”. Insomma, l’aggressione pidiellina al diritto non conosce confini. Così come l’uso elettorale della medesima.

Ma cosa c’è scritto dentro il ddl sul biotestamento che divide, in modo assolutamente trasversale, le forze politiche in campo? Non parla di testamento biologico ma di “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Si vieta, all’art. 1, ogni forma di eutanasia e di assistenza al suicidio, si riconosce che “nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato” e si specifica che “in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura”.

L’articolo 2, tra l’altro, stabilisce che tutori, curatori e amministratori di sostegno, in caso di soggetti incapaci, abbiano la facoltà di prendere decisioni “avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita dell’incapace”. L’art. 3 stabilisce poi che nelle Dat (le dichiarazioni di alleanza terapeutica) “il dichiarante esprima il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere” e “dichiari il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari”. Può “anche essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”. Non sono ammesse indicazioni che violano il divieto penale di omicidio del consenziente e del suicidio assistito, mentre, nel rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, “alimentazione ed idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”. Che, però, è facoltativa, dura cinque anni, può essere modificata in ogni momento e assume rilievo solo se il soggetto si trova “nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e, per questo motivo, di assumere le decisioni che lo riguardano”.

Le volontà espresse nelle Dat sono prese in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario (o i parenti, se non c’è fiduciario nominato) annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno, ma “non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica”. In caso di contrasto tra fiduciario e medico curante, la questione è sottoposta a un collegio di medici, “il cui parere è vincolante per il medico curante, il quale non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Resta comunque sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana”.




Libia, Bossi si ribella a Berlusconi Bersani: “Non c’è più la maggioranza”. - di Elena Rosselli


Sul quotidiano La Padania la rabbia del Carroccio: "Le scelte del premier non sono state né annunciate né discusse". Ma il Pdl frena. La Russa: "Necessario un chiarimento solo informativo". Farnesina: "Maggior impegno? Lo chiede la Nato"

Sarkozy e Berlusconi al vertice intergovernativo a Palazzo Madama

Non si fermano le polemiche dopo il vertice intergovernativo Italia – Francia svoltosi ieri a Palazzo Madama tra il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy e il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Al centro non solo l’accoglimento della richiesta francese di rivedere il trattato di Schengen, ma soprattutto la decisione espressa da Berlusconi e appoggiata daNapolitano, di intervenire militarmente in Libia. Due elementi che hanno fatto arrabbiare, e non poco, il leader del Carroccio Umberto Bossi.

Di fronte a questi due scenari e alla luce dei forti distinguo della Lega, il capo dell’opposizionePier Luigi Bersani torna a far balenare l’ipotesi di una verifica in Parlamento sulla tenuta della maggioranza di fronte alla gestione della crisi libica. “Mi pare che di fronte a contingenze così rilevanti non abbiamo una maggioranza, né un governo che tenga la barra e quindi, probabilmente, bisognerà – dice il segretario Pd intervistato da SkyTg24 – riverificare in Parlamento lo stato delle cose”. “Se fossi io presidente del Consiglio, di fronte a una situazione come quella in Libia – osserva ancora Bersani – prima di tutto verificherei di avere una maggioranza, perché – sottolinea – non si fanno delle scelte senza una maggioranza di governo”. “Dopodiché – osserva – mi sarei strettamente attenuto a scelte riferibili a decisioni dell’Onu, che sono rivolte a usare mezzi militari pr fermare possibili massacri di Gheddafi sui ribelli. E invocherei al più presto possibile il passaggio dagli interventi militari all’azione diplomatica e politica, e sarebbe interessante – rileva – conoscere questa a che punto sia”.

Quali siano gli umori effettivi all’interno della Lega Nord lo chiarisce il quotidiano di partito ‘La Padania’ che attacca duramente l’atteggiamento del presidente del Consiglio ‘supino di fronte alle richieste’ dei francesi durante il vertice di ieri. Il quotidiano leghista riferisce della “irritazione (a dir poco)” mostrata da Umberto Bossi in Via Bellerio. I francesi si sono presentati “arroganti” all’incontro, ha commentato il leader leghista, “Nicolas Sarkozy urlava: ‘Io voglio questo io voglio quello’”. “Berlusconi pensava che dicendo sì a tutto potesse acquisire un nuovo peso internazionale”, ha osservato Bossi nel colloquio con i giornalisti del quotidiano del Carroccio. “Ma è il contrario”, ha criticato, “non è bombardando dei poveracci in Libia che si conta di più. Sei forte solo quando sai dire anche no”.

Nell’editoriale di apertura, sotto il titolo ‘Berlusconi si inginocchia a Parigi’, il responsabile delle pagine politiche del quotidiano, Carlo Passera, descrive un Bossi che fa irruzione nella sede del giornale “d’umore assai più nero del consueto”. I padani intuiscono i “chiarissimi segnali di guerra” e bloccano la prima pagina. “Bersaglio del malumore (termine assai soft) del leader del Carroccio”, commenta Passera, “sono le scelte non concordate, benché meno condivise del premier Silvio Berlusconi”. “Siamo diventati una colonia francese, “attacca Bossi”, come già anticipato dalla ‘Padania’ ieri sera. Nella ricostruzione di Passera si critica un Berlusconi “del tutto supino di fronte alle richieste del presidente francese”. E si elenca il lungo “cahier de doleances che i vertici leghisti recapitano a Palazzo Chigi”. Questo “tocca tutti i dossier che hanno visto contrapposti, in questi mesi, gli interessi italiani e quelli francesi – si spiega – l’accusa, circostanziata e netta, nei confronti del Cavaliere è quella di non aver difeso minimamente le nostre posizione, di essersi fatto travolgere dalla prepotenza d’Oltralpe, ottenendo in cambio solo l’ok per Mario Draghi alla Bce. E’ un contentino inaccettabile”. Inoltre, si critica la “progressiva perdita delle eccellenze nazionali a favore di Parigi”, citando i casi di Parmalat ed Edison (“che è di Milano”, ha sentenziato Bossi).

Ma ciò che ha fatto infuriare il Senatur, “la goccia più pesante delle altre”, è stato l’annuncio della partecipazione italiana ai raid in Libia. “Vicende che dividono nel merito, e con tutta evidenza, le posizioni leghiste da quelle berlusconiane – spiega Passera – ma che richiamano a loro volta anche gravi questioni di metodo, per almeno due aspetti: primo le scelte del premier non sono state né annunciate né discusse e, tantomeno, vi è stato su di esse il semaforo verde del Carroccio, che è alleato fedele e responsabile, non certo cieco e sordo passacarte di qualsiasi stravaganza; secondo: tali scelte travolgono l’ottimismo in senso contrario di alcuni tra i migliori ministri di questo esecutivo, come Giulio Tremonti e Roberto Maroni. “Insomma, – concldue La Padania – un vero disastro che in Via Bellerio è stato percepito come tale, in tutta la sua evidente gravità politica.

Una gravità politica che evidentemente non vogliono cogliere gli esponenti del Pdl più coinvolti nell’affaire Libia. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenuto a ‘la Telefonata’ su Canale 5 il chiarimento necessario è solo di carattere “informativo”: “Il resto è un’eventualità”. “Noi – ha spiegato La Russa – siamo già stati autorizzati dal Parlamento e dal Consiglio dei ministri a partecipare nei modi più adeguati alla missione chiesta dall’Onu, ma se poi il Parlamento ci chiedesse di votare un ordine del giorno non potremmo certo esimerci”.

Anche per il portavoce della Farnesina Maurizio Massari ”non si tratta di nessuna rivoluzione e cambiamento di posizione”. La decisione del governo sulle “azioni mirate” militari in Libia, “è il naturale sbocco di una posizione italiana che è stata costruita fin dall’inizio della crisi con un attivo impegno a favore delle forze di opposizione democratica libica e il riconoscimento del Comitato nazionale transitorio della Libia”, ha affermato il portavoce a Radio Anch’io.

Si trattava, ha precisato Massari, di “rispondere a quanto ci avevano chiesto le forze di opposizione libica che noi abbiamo riconosciuto come unico interlocutore politico” e di “venire incontro anche alle richieste della Nato” che “l’Italia ha voluto mettere in campo per dare maggiori garanzie al multilaterale, all’azione militare della comunità internazionale”. La giustificazione di un maggiore impegno militare italiano contro le truppe di Gheddafi verte sempre sullo stesso punto. ”Non parliamo di bombardamenti, ma di azioni militari mirate con dei target che saranno determinati dall’Alleanza Atlantica per rafforzare le capacità di autodifesa dei ribelli, ha aggiunto Massari, ripetendo ciò che aveva già detto il premier Berlusconi ieri: “Quelli italiani saranno interventi con razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, dove si possa escludere con certezza la possibilità di danni alla popolazione civile”.



Geotermico, la rivoluzione energetica passa per le Isole Eolie. - di Clara Gibellini


Si chiama Marsili Project l'iniziativa che punta a ricavare energia dall'omonimo vulcano sottomarino al largo della Sicilia. Un potenziale di produzione annua di circa 4.0 TWh, che da solo raddoppierebbe la quota del geotermico in Italia e basterebbe a coprire il fabbisogno di 700 mila persone

Un’energia nuova, pulita e praticamente inesauribile. Che arriva dal mare e che potrebbe diventare la scommessa del futuro per un paese povero di fonti energetiche come l’Italia. Il vulcano Marsili, gigante di 3000 metri al largo delle Isole Eolie, il più grande cratere sottomarino d’Europa, oggi è al centro di un progetto per la costruzione della prima centrale geotermica offshore del mondo. Un’idea rivoluzionaria che punta a sfruttare il calore dell’acqua marina che si infiltra lungo le pendici del vulcano, dove raggiunge temperature fino a 300 gradi centigradi, convogliandola in quattro piattaforme galleggianti dove produrre energia elettrica attraverso un sistema di turbine a vapore. Un potenziale di produzione annua di circa 4.0 TWh, che da solo raddoppierebbe la quota del geotermico in Italia e basterebbe a coprire il fabbisogno energetico di 700 mila persone, l’intera popolazione di Palermo.

L’idea di produrre energia dal vulcano è venuta a Patrizio Signanini dell’Università di Chieti ed è stata finanziata da Eurobuilding, impresa specializzata in ingegneria naturalistica. L’azienda ha finanziato un gruppo di ricerca composto da tecnici dell’INGV, del CNR, del Politecnico di Bari e dell’Università di Chieti. Assente dal progetto, almeno a livello economico, lo Stato, che nonostante abbia concesso il permesso esclusivo di ricerca nell’area da parte del ministero dello Sviluppo Economico e una valutazione di impatto ambientale positiva del ministero dell’Ambiente, non ha al momento erogato finanziamenti per la ricerca.

Partito nel 2006 con una campagna di rilievi magnetici che ha permesso di confermare la presenza di decine di milioni di metri cubi di fluidi ad alto contenuto energetico, il Marsili Project, il cui investimento complessivo ammonta a circa 2 miliardi di euro, sta ora per entrare nella fase esplorativa. Entro il 2013 l’obiettivo è arrivare alla costruzione di una prima piattaforma di trivellazione, con un pozzo pilota situato a 800 metri di profondità per perforare fino a 2 chilometri all’interno del vulcano. “Entro il 2016 dovrebbe essere operativa la prima unità produttiva che sarà poi affiancata da altre tre piattaforme”, spiega al fattoquotidiano.it Diego Paltrinieri, geologo marino e direttore del progetto, che esclude anche eventuali rischi per l’ambiente marino. “A differenza delle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi dove la materia estratta è del tutto estranea all’ambiente circostante, nel caso del Marsili si tratta di un sistema aperto, con acque in continua circolazione. Un’eventuale fuoriuscita non genererebbe impatti rilevanti perché già esiste un’interazione tra le acque calde in pressione e l’ambiente marino, dimostrata anche dalla presenza di diversi geyser sottomarini nell’area”.

“La geotermia offshore è una reale ed importante risorsa energetica tutta italiana, ci sono molti altri vulcani sottomarini da studiare nell’area del Tirreno meridionale” continua Paltrinieri. “Questo settore può contribuire in maniera determinante e in tempi relativamente brevi alla produzione di un’energia pulita, rinnovabile e non proveniente dall’estero, ponendosi anche come una valida alternativa all’energia nucleare.” Secondo le stime di Eurobuilding lo sfruttamento di tutte le caldaie sottomarine dei nostri mari potrebbe arrivare a coprire il 7-10% dei consumi totali di energia entro 30 anni, proiettando l’Italia all’avanguardia della ricerca geotermica mondiale e ridando linfa a un settore che potrebbe di fatto ridisegnare gli scenari della nostra politica energetica.

“Abbiamo nel sottosuolo enormi sorgenti inutilizzate, basta guardare tutta la zona della Toscana fino alla Campania e oltre. Sarebbe importante riuscire a sfruttare queste sorgenti di energia geotermica” dichiarava qualche settimana il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia invitando il governo a puntare di più su un settore in cui, in mancanza di investimenti e politiche di sviluppo adeguate, l’Italia rischia di perdere importanti opportunità economiche oltre che una tradizione di eccellenza.

La conferma che, a quasi un secolo dall’inaugurazione nel 1913 a Larderello della prima centrale del mondo, sul geotermico l’Italia abbia campato quasi solo di rendita arriva dall’ultimo rapporto delGestore Servizi Elettrici (GSE). Primo produttore in Europa e terzo al mondo, nonostante le decine di pozzi attivi individuati in diverse aree della penisola, il geotermico oggi è una realtà solo in Toscana mentre dal 1999 la produzione è cresciuta solo dello 0,1% attestandosi allo 1,8% del totale dell’energia prodotta. Invariato negli ultimi dieci anni anche il numero degli impianti attivi, fermo a 32, mentre nel 2009, scende al 7.6%, raggiungendo il minimo storico dal 1999, la quota di geotermico sul totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

“La geotermia ha un grande potenziale di sviluppo e consentirà di raggiungere più facilmente l’obiettivo del 25% di energia prodotta da fonti pulite (…) Con l’aumento della produzione di energia derivante dall’utilizzo di risorse geotermiche, si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà, inoltre, a contenere le emissioni di gas serra” si legge in un dossier diffuso il 5 aprile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Dopo decenni di immobilismo forse finalmente se ne sono accorti anche loro.




''I documenti sulla trattativa, su B. e su Dell'Utri sono autentici''. di Marco Lillo



26 aprile 2011
. Eccolo qui l’altro “attentatore” alla Costituzione. Antonino Di Matteo – magistrato in prima linea contro la mafia, una vita blindata per le minacce dei boss – con il procuratore aggiunto Antonio Ingroia sta portando avanti le indagini più delicate dell’ultima stagione palermitana come quella sulla trattativa Stato-mafia che vede alla sbarra il generale Mario Mori, o come l’inchiesta sul presidente del Senato Renato Schifani. Insieme a Ingroia è stato accusato di ogni nefandezza negli ultimi giorni e ha accettato di parlare con Il Fatto “solo per ricordare alcuni fatti incontestabili, senza esprimere alcun convincimento personale che riserverò alle sedi opportune”.

Dottor Di Matteo, che effetto le fa essere additato sulle prime pagine dei giornali come un pericolo per la democrazia?
Quando abbiamo iniziato a indagare sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e la mafia eravamo perfettamente consapevoli che saremmo stati esposti a questa reazione. Non siamo sorpresi e continueremo ad andare avanti sui temi posti dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e non solo: la prima fase della trattativa, coincidente con le stragi del 1992-93, ma anche la seconda fase, nel periodo successivo.

Massimo Ciancimino potrebbe avere mentito su tutto, come ha fatto accusando falsamente il capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro?

Noi facciamo i magistrati e siamo abituati a valutare le dichiarazioni sulla base dei riscontri. Nel momento in cui abbiamo avuto la prova che una sua dichiarazione era falsa abbiamo reagito nella maniera più forte possibile, con il fermo per calunnia. Questo non ci fa dimenticare che parti importanti delle sue dichiarazioni sono riscontrate da altre dichiarazioni, da documenti e in qualche caso da intercettazioni. Continueremo a utilizzarle solo laddove ci siano riscontri.

Il falso di Massimo Ciancimino sul nome di De Gennaro non fa saltare anche l’autenticità del famoso ‘papello’ con le richieste di Cosa Nostra?
C’è tanta voglia di buttare anche il bambino con l’acqua sporca. C’è tanta voglia di considerare carta straccia tutto quello che, con grande fatica, è stato acquisito sulla trattativa Stato-mafia. Si dimentica che noi abbiamo sempre disposto accertamenti tecnici complessi che sono stati fatti con grande professionalità e impegno dalla Polizia scientifica. C’è una perizia dei funzionari della Polizia scientifica che hanno deposto nel processo Mori, nella quale è consacrato un dato: alcuni documenti portati da Massimo Ciancimino non sono manipolati e sono stati scritti da Vito Ciancimino di suo pugno.

Quali sono i documenti di Ciancimino che la polizia scientifica considera genuini?
Sono documenti come il cosiddetto “contropapello” (un testo manoscritto nel 1992 da don Vito per addolcire le pretese del papello di Riina, ndr) ma anche le annotazioni che fanno riferimento all’onorevole Silvio Berlusconi e a Marcello Dell’Utri e poi altri documenti in cui si afferma che il Generale Mori e il capitano De Donno avevano dichiarato il falso. La stessa Polizia scientifica che ha scoperto la manipolazione sul documento riguardante De Gennaro, si era espressa in termini altrettanto chiari sulla genuinità dei documenti forniti o sequestrati relativi alla trattativa o contenenti passaggi relativi al presidente Berlusconi e al senatore Dell’Utri.

Politici e giornali berlusconiani affermano che Massimo Ciancimino avrebbe trovato udienza presso la Procura di Palermo perché ha accettato di attaccare Berlusconi.
Io rispondo con i fatti. Massimo Ciancimino viene arrestato nell’ambito di un’altra indagine per riciclaggio nel 2006 e tra i documenti sequestrati c’è una parte di un foglio A4 scritto a penna nella quale si fa riferimento all’onorevole Berlusconi. Nelle intercettazioni effettuate prima dell’arresto ci sono le conversazioni con i familiari nelle quali si parlava di Berlusconi come un finanziatore. Ebbene, Massimo Ciancimino inizia a rispondere alle nostre domande solo nel 2008. Non lo fa spontaneamente ma solo dopo che noi lo chiamiamo a seguito di un’intervista a Panorama . E non parla mai di Berlusconi e Dell’Utri. Solo il 30 giugno del 2009, dopo che noi scopriamo nelle carte del processo contro Ciancimino del quale non ci eravamo occupati, il foglio A4 nel quale si faceva riferimento a Berlusconi e a un triste evento, in un interrogatorio condotto da me e da Antonio Ingroia contestiamo a Massimo Ciancimino quel foglio, che nessuno mai gli aveva contestato. E Ciancimino cosa fa? Prima mente, poi dice che non ne vuole parlare. La cronologia dei fatti dimostra la falsità delle ricostruzioni pubblicate in questi giorni.

Secondo Il Giornale di Berlusconi ci sono altri documenti falsi contenenti il nome di Berlusconi che, a differenza di quanto accaduto con De Gennaro, non sono stati contestati come calunnia da parte vostra a Masssimo Ciancimino.
Abbiamo vagliato con grande attenzione tutti i documenti e abbiamo chiesto il fermo per calunnia solo per quel documento perché avevamo le prove. Se non lo abbiamo fatto per altri documenti è perché questo non è avvenuto. Per la verità, proprio con riferimento a una congerie di documenti nei quali si faceva riferimento all’onorevole Berlusconi, abbiamo avuto l’attestazione della certa riconducibilità a Vito Cianci-mino.

Il centrodestra vi attacca duramente. Vi sentite tutelati dai vostri colleghi magistrati?
Siamo speranzosi e curiosi di vedere se e come prenderanno posizione la Giunta nazionale dell’Anm e il Csm.

Il comportamento di Ciancimino è anomalo: prima fabbrica un falso e poi lo fa scoprire. Voi lo arrestate e lui denuncia i candelotti di esplosivo nel giardino. Qual è il suo movente?
La situazione è estremamente complessa. Mi sorprende la volontà di troppi commentatori e di soggetti con incarichi istituzionali di liquidare tutto come se Ciancimino fosse solo un imbroglione che si mette l’esplosivo a casa.

Non pensa a una messa in scena?
C’è molta superficialità nel dare per certo che l’esplosivo se lo sia messo lui. Noi continuiamo a indagare e l’ipotesi della minaccia a me pare abbia almeno la stessa plausibilità dell’altra.


Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2011)