Siamo alle comiche finali. Già, perché il fuori programma di Berlusconi che prende alle spalle Obama, gli dà un’affettuosa pacca, per “scippargli” un colloquio di due minuti, sotto l’occhio accigliato di Sarkozy e della Merkel, al G8 di Deauville, in Francia, è uno di quegli show che in tv fanno sbellicare dalle risate.
Il problema è che, come accade quando c’è di mezzo il Cavaliere, la farsa confina con la tragedia.
Le iniziative del premier meriterebbero di essere sepolte sotto una grossa risata, ma sono un dramma per la dignità del Paese che lui è chiamato a rappresentare.
Le telecamere hanno captato il fuori onda dell’inatteso siparietto.
E, allora, di che cosa ha parlato Berlusconi con il presidente americano? Forse della crisi libica, dei tempi di una guerra che ci tocca da vicino? Proprio no. Il Cavaliere ha riproposto la sua ossessione giudiziaria: la “dittatura dei giudici di sinistra”, che intende cancellare con la sua riforma “epocale” della giustizia. Dunque, il capo del potere esecutivo attacca e denigra, al vertice tra i grandi della democrazia mondiale, il potere giudiziario, e presenta un’Italia in cui la democrazia è a rischio. Pare che, sul finire, il Cavaliere sia riuscito, con una battuta, a far sorridere l’aggrondata Angela Merkel. Come pubblico intrattenitore, in realtà, Berlusconi incontra. Il guaio è che fa il presidente del Consiglio. E che, in questa veste, gode all’estero di un impressionante discredito.
L’ennesima “bizzarria” (è un eufemismo) di Berlusconi dà il suggello a un voto amministrativo che ha gettato nel panico il centrodestra. Lui, il “grande comunicatore”, il “grande seduttore”, è in crisi. E’ stanco come è stanca la sua faccia, vecchio come vecchie sono le sue parole, gli slogan che ripete ossessivamente. L’estremismo è il capitolo principale della sua propaganda perché non ci può essere mai moderazione negli schemi della sua democrazia mediatica, personalistica e spettacolare. Ma questa volta la vecchia arma non paga. Come si può credere alle bugie su una Milano che si trasformerebbe, qualora vincesse Pisapia, in una zingaropoli, centro d’attrazione per rom, terroristi islamici, estremisti d’ogni tipo, froci, lesbiche, drogati? Una campagna grottesca, che offende anzitutto il buon senso. Berlusconi rappresenta una leadership incapace di ritrovare una rotta appena credibile. Paventa la sconfitta. E mette le mani avanti. Per salvarsi, adotta la vecchia pratica dello scaricabarile: se le cose non vanno bene, è colpa dei candidati che sono deboli e non tirano. Scava la sua trincea perché non ha alcuna intenzione di mollare. Ma così lascia allo sbando i suoi. Che si sentono indifesi nel caos politico e organizzativo dal quale il Pdl è attanagliato.
È chiaro che da lunedì sera nulla potrà più essere come prima. La Lega ha già intrapreso la sua marcia di smarcamento. Certo, la questione dei ministeri al Nord non ha nulla da spartire con l’idea di un buon federalismo. E, quando il ministro Calderoli minaccia lo sciopero fiscale per ottenerne il trasferimento, e chiede addirittura di portare il Quirinale a Milano, siamo alla provocazione bella e buona. In queste forzature, nell’affermazione che i lombardi devono sentirsi “rappresentati come entità autonoma”, c’è chi vede profilarsi di nuovo il fantasma della secessione. È più probabile, invece, che la Lega, al momento, si preoccupi soprattutto di parlare alla pancia del partito, di risollevare una base abbattuta dalla sconfitta inattesa, che ha subito al primo turno elettorale. Sta di fatto comunque che nel centrodestra gli scontenti si stanno organizzando e che la tenaglia si stringe intorno a una premiership sempre più imbalsamata. È difficile, però, avanzare previsioni; molte sono le varibabili di un processo che potrebbe essere lungo. Affrontiamo il voto con il massimo impegno, dunque. La ragione spinge all’ottimismo, ma la prudenza consiglia di restare vigili fino all’ultimo. Se si vuole la svolta, bisogna per prima cosa vincere.
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