domenica 29 maggio 2011

Pisapia Moratti : il duello finale.



Bellissime le immagini finali della passeggiata in bicicletta e delle ovazioni spontanee a Pisapia...mi hanno commossa e ridato speranza. Abbiamo bisogno di gente che voglia prendersi cura di noi e non del proprio portafoglio.


Salario medio sotto 1.300 euro


Rapporto Istat sul 2010. Per donne 20% piu' basso.


Lo stipendio netto di un italiano in media non supera i 1.300 euro mensili, una cifra che nasconde, però, la forte differenza che c'é tra uomini e donne, con le lavoratrici che hanno retribuzioni più basse del 20%. Ancora peggio va per gli stranieri, che ricevono una busta paga sotto i mille euro. I giovani, invece, scontano il fatto di essere neo-assunti e nei primi due anni di lavoro il salario medio è di appena 900 euro. E' questa la fotografia scattata dall'Istat sulle retribuzioni nette mensili per dipendente nel 2010. Nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese, l'Istituto calcola, infatti, che lo stipendio medio di un cittadino italiano è di 1.286 euro, frutto di una ricompensa di 1.407 euro per i lavoratori e di 1.131 euro per le lavoratrici; in altre parole le donne sono pagate un quarto in meno.

Sugli stranieri la riduzione è ancora più forte, visto che la busta paga si ferma a 973 euro (-24%). A riguardo l'Istat spiega che "in confronto al 2009, lo svantaggio degli stranieri è divenuto ancora più ampio". Oltre al genere e al passaporto, un'altra differenza sul peso delle retribuzioni la fanno gli anni di lavoro: all'inizio della carriera si parte sotto i 900 euro superando la soglia dei mille solo dopo 3-5 anni di servizio e il tetto dei 1.300 compiuti i 20 anni di attività. D'altra parte, emerge sempre dal rapporto annuale dell'Istat, la spesa che lo stato italiano indirizza agli aiuti al reddito é inferiore rispetto alle quote sborsate nel resto d'Europa. Nel volume si legge, infatti, che "l'Italia si colloca all'ultimo posto tra i paesi Ue per le risorse destinate al sostegno del reddito, alle misure di contrasto della povertà o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale". Stando a dati del 2008, sottolinea l'Istat, "la maggior parte delle risorse sono assorbite da trasferimenti monetari di tipo pensionistico, mentre quote molto residuali e inferiori alla media Ue vengono destinate alle funzioni dedicate - appunto - al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale". Più in particolare, le uscite per protezione sociale sono assorbite per il 51,3% dalla voce 'vecchiaia', mentre solo il 4,7% va alla famiglia, ancora miniore è la fetta dedicata ai disoccupati (1,9%).



Berlusconi: fine delle trasmissioni




Il sogno di molti italiani...


sabato 28 maggio 2011

La Rai impone il canone alle Poste anche per i sistemi di video sorveglianza. - di Giuseppe Pipitone


L'azienda di viale Mazzini ha imposto il canone anche agli uffici postali per il possesso di schermi usati esclusivamente per la video sorveglianza.

Sui conti della Rai devono iniziare a pesare le multe salate che Augusto Minzolini e il suo Tg1 continuano a ricevere dal Garante della Comunicazione. L'azienda di viale Mazzini ha infatti iniziato a "dare una stretta" agli evasori del canone televisivo. Agenti dell' Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza sono stati sguinzagliati in giro per i condomini di tutta Italia a sorprendere famigliole che si godono Vespa senza pagare il canone. Ma non solo. L'azienda del cavallino rampante ha iniziato a fare sentire il fiato sul collo anche agli enti pubblici, mandando gl'impiegati dell'ufficio abbonamenti a recapitare ingiunzioni anche a chi non possiede una vera e propria tv.

E' il caso degli uffici postali. A Palermo la solerte Rai di viale Strasburgo ha intimato le poste a mettersi in regola con il tassa del canone televisivo. Unico particolare il fatto che negli uffici postali non ci sono televisioni ma soltanto schermi per la video sorveglianza. Strumenti che secondo i tecnici Rai potrebbero anche essere collegati all'antenna e sintonizzati su programmi televisivi. A nulla sono valse le proteste dei dirigenti dell'ufficio: per la Rai anche se gli schermi servono per evitare rapine e non saranno mai collegati ai cavi dell'antenna devono comunque pagare il canone. Negli uffici postali palermitani l'ingiunzione ha colpito gli schermi che trasmettevano spot delle stesse Poste Italiane. Anche qui nessun programma televisivo ma la stessa pretesa di pagamento. In pratica la Rai colpisce il mero possesso di un apparecchio indipendentemente dall'uso che se ne faccia. E in certi casi infischiandosene anche dell'apparecchio stesso.

Secondo la legge infatti "chiunque detenga uno o piu' apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni deve pagare il canone di abbonamento TV". La norma che istituisce la tassa è però regolata ancora oggi dal decreto regio numero 246 del 1938, epoca in cui il mezzo di comunicazione più diffuso era la radio e la televisione era appena nata. Oggi non è ancora mai stato chiarito cosa s'intenda con "apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni". Nel 2007 ci provò l'onorevole Donatella Poretti, deputata della Rosa nel Pugno, a farselo spiegare presentando un' interrogazione ai ministeri di Economia e Finanze e delle Comunicazioni per sapere per il possesso di quali apparecchi deve essere pagato il canone/tassa della Rai. Interrogazione che però non ha mai avuto risposta. In teoria quindi il canone potrebbe essere richiesto oltre che per la televisione, anche per i computer (indipendentemente dalla presenza di una scheda tv o di una connessione Internet), il videofonino, il tvfonino, i monitor di qualsiasi tipo , e addirittura per il monitor del citofono, che essendo apparecchio potenzialmente adattabile alla ricezione delle radioaudizioni potrebbe essere candidato ad una multa salata. Da ora in poi prima di rispondere al campanello faremo un po' di attenzione.



Red Ronnie e gli altri ‘megafoni’ di Letizia. - di Thomas Mackinson


Quattro giornalisti hanno seguito la campagna elettorale del sindaco uscente di Milano. Sono gli stessi a cui sono andati contratti e consulenze per oltre 712mila euro di fondi pubblici

I quattro dell’ave Letizia. Alla campagna elettorale del sindaco uscente di Milano hanno contribuito anche i fedelissimi giornalisti che il sindaco Letizia Moratti è riuscita a piegare alla causa della sua rielezione, sempre sotto il peso di una montagna di soldi pubblici con cui li ha resi degli “endorsement” di fatto. Dopo la chiusura delle urne al primo turno, i suoi uomini-megafono erano tutti rinchiusi nella crisis room di via Romagnosi, sede del Comitato per Letizia Moratti, mentre arrivavano i primi dati sul tracollo del Pdl nel capoluogo.

Dietro una porta bianca “interdetta ai non addetti” sedeva Red Ronnie (al secolo Gabriele Ansaloni), titolare di un contratto da 60mila euro l’anno che prevede “lo svolgimento di attività di supporto, strategico e progettuale, tese a rafforzare la presenza del Comune di Milano in ambienti digitali, web e new media”. Peccato che quei soldi pubblici vengano sistematicamente utilizzati nell’interesse privato di Letizia Moratti, in qualità di candidato. Ronnie, come consulente esterno, ha realizzato il canale web e la tv digitale di Letizia Moratti, un’accozzaglia di interviste a domande concordate per darle la volata e svecchiarne l’immagine.

La confusione di ruoli tra sindaco e candidato riguarda anche l’uomo stampa della Moratti, Alessandro Usai (ex Class Cnbc). Il suo contratto prevede un compenso di 625 euro al giorno (277mila all’anno) per “attività di supporto alle strategie di comunicazione del sindaco”. Ancora una volta del sindaco, non del candidato. Eppure Usai è regolarmente a fianco di Letizia nei comizi e nei dibattiti tv. E’ proprio lui il primo a sbiancare per l’uscita a sorpresa di lei su Pisapia ladro e terrorista nel confronto tra rivali su Sky.

Altro reporter arruolato alla causa è Roberto Poletti di Telelombardia. Lui si è occupato di lanciare e dirigere il canale tv di Letizia Moratti “Milano 2015″. Per questo impegno è stato ripagato profumatamente. Non con i soldi di Letizia ma con quelli dei milanesi: Poletti ha un contratto di consulenza da 160mila euro l’anno per la comunicazione strategica della municipalizzata dei trasporti Atm.

Della truppa di intruppati fa parte anche Roberto Pavanello, che di Atm è il responsabile delle relazioni esterne. Ma anche nel suo caso, più che l’immagine dell’azienda, pare stargli a cuore quella di Letizia Moratti.

Durante lo spoglio del primo turno Pavanello, insieme a Red Ronnie, Alessandro Usai e Roberto Poletti – i quattro dell’ave Letizia – dopo tre ore di brain storming dietro la porta bianca hanno consegnato al sottosegretario Laura Ravetto (Pdl) un biglietto. Riportava la prima, attesissima, dichiarazione ufficiale di un membro del governo sugli exit pole che mettevano in croce la Moratti. Una frase, sette secondi, che finiva per risuonare grottesca: “Dai primi dati in nostro possesso possiamo dire che a Milano il Pdl ha tenuto”.



Annarella su referendum, Pisapia, situazione politica italiana ecc.




La bonifica atomica della Maddalena che terrorizza la popolazione. - di Alessandro Ferrucci

La Procura ha disposto il sequestro dei fondali marini. Un testimone denuncia: mi hanno fatto scaricare rifiuti dove non dovevo. E un consigliere regionale dice: "I rifiuti speciali dovevano essere spediti sul continente, ma nessuno ha visto partire alcuna nave, non esistono i piani di navigazione"

Mare cristallino, sabbie bianche, angoli ventosi, sole splendente anche quando nella Penisola in tanti tirano fuori l’ombrello. Sarebbe un paradiso. Per molti non lo è più. “Qui alla Maddalena c’è un rischio serio, quello di aver causato un genocidio”, spiega al Fatto Claudia Zuncheddu, consigliere regionale sardo del gruppo indipendentistas. Lo dice e non pensa di esagerare: lei medico, impegnata in politica, da anni denuncia le tante vessazioni perpetrate sull’isola e i suoi abitanti. A partire dalla zona dove sorge il Poligono di Quirra: qui il 65% dei pastori è affetto da leucemia, qui sono nati i maialini senza occhi né orecchie, gli agnelli con due teste. E ancora l’area vicino a Cagliari, protagonista la raffineria Saras: “Lì tutte le famiglie sono colpite da casi di cancro, tutte hanno uno o più morti da piangere – continua la Zuncheddu –. Così via, ogni angolo della Sardegna ha la sua causa di grave inquinamento”. Fino al nord-est, fino al 26 gennaio del 2008, quando, dopo 35 anni, viene ammainata la bandiera stelle e strisce a La Maddalena: gli statunitensi abbandonano la base atomica. Attenzione: a-to-mi-ca. Vuol dire migliaia di tonnellate di rifiuti speciali da rimuovere, quindi soldi, maestranze specializzate, luoghi di stoccaggio e tempo. Soprattutto tempo. Peccato che non ce n’è: il luogo è stato prescelto per ospitare il summit del G8 del 2009, vetrina chiave per il rilancio internazionale del governo italiano. Silvio Berlusconi gongola, fa proclami, parla di rilancio della zona, di occupazione, turismo, e tutto il solito repertorio.

62 mila tonnellate: ci pensa Bertolaso
Il premier chiama in causa Guido Bertolaso e la Protezione civile: c’è bisogno di loro per raggiungere l’obiettivo nella data prestabilita. C’è bisogno di potere decisionale, pochi vincoli, segreto di Stato. Sul sito dichiarano: rimosse 62 mila tonnellate di rifiuti, il 21% delle quali giudicate pericolose. Tradotto: 49 mila non pericolosi e 13 mila speciali. Tempo di realizzazione: 45 giorni in tutto, tra luglio e agosto, momento di massima invasione turistica della zona, grazie all’impiego di oltre duemila autocarri e tre navi. Cifra investita: 23 milioni di euro. “Peccato che qualcosa non torna – interviene la Zuncheddu –. Cosa? I rifiuti speciali dovevano essere spediti sul continente, ma nessuno ha visto partire alcuna nave, non esistono i piani di navigazione. In molti si sono accorti del traffico notturno via mare dall’arcipelago a Porto Torres, sede di due discariche, e da Olbia con i camion via terra, ma basta. Tutto si è fermato lì. Il problema è dove, in quale luogo hanno scaricato il materiale e come lo hanno riversato. Parliamo di rifiuti altamente pericolosi, ribadisco: la sede era atomica”. Quindi amianto, idrocarburi e metalli pesanti. Eppure la vicenda è avvolta nel mistero, gli interpellati istituzionali non rispondono a interrogazioni, sollecitazioni o quant’altro. “È un anno che cerco risposte, non ci sono mai riuscita – prosegue il consigliere regionale –. E come me altre persone che si sono interessate all’accaduto, gente che ha ‘annusato’ l’aria, che ha voluto e vuole capire cosa accade”. Qualcuno la definirebbe la “società civile”. Così ecco un medico di Alghero, Paola Correddu, un ex vicesindaco di Porto Torres,Giancarlo Pinna, fuori dalla politica da quasi trent’anni; il dirigente di un piccolo sindacato indipendentista, Angelo Marras, un avvocato di Sassari, Luigi Azena e un altro di Cagliari,Renato Margelli. Insieme seguono legalmente la vicenda. Insieme si sono messi di traverso, hanno deciso di non stare alla finestra. “Pensi – interviene la Correddu –, abbiamo anche tentato un blitz con Claudia (Zuncheddu): siamo andate alla discarica di Canaglia, dove temiamo hanno scaricato gran parte delle tonnellate.

Cosa è successo? Qualcuno deve aver fatto una soffiata, perché contestualmente ci hanno raggiunto le forze dell’ordine e ci hanno impedito di entrare. Ma a un certo punto uno dei gestori, sotto le nostre domande, è andato in contraddizione e ha quasi ammesso la presenza dei rifiuti. E pensare che sotto c’è una falda acquifera fondamentale per l’isola”. Sotto c’è una riserva da un miliardo di metri cubi di acqua, classificata dallo Stato italiano come punto strategico in caso di calamità. “Ma a questi non interessa niente – conferma Marras –, hanno puntato sulla fame delle persone, sulla disoccupazione per realizzare un disastro. Noi lo sappiamo, ne abbiamo le prove”. Vuol dire un “pentito”: con la certezza dell’anonimato i rappresentanti del “Sindacadu se sa Natzione Sarda” hanno intervistato uno degli ottanta autisti coinvolti nello smaltimento e nel trasporto. Nel filmato ammette: “Quello che caricavamo lo portavamo alle discariche di Canaglia e Scala Erre. Ogni tipo di materiale. Da chi sono stato assunto? Dalla Serfat di Enrico Piras”. Quest’ultimo è il presidente del consiglio provinciale di Sassari, uomo di navigata esperienza politica.

70 mila metri cubidragati in 14 mesi
“Le istituzioni non hanno mai risposto alle nostre domande, formali e informali – sorride la Zuncheddu –, solo quella di Sassari-Olbia ci ha fornito dei dati”. Ed è stata necessaria un’istanza di accesso ambientale, che per legge prevede una risposta entro trenta giorni. “Da loro sono arrivati numeri – conferma la Correddu – che ci allarmano ulteriormente: parlano di 40 mila tonnellate totali, di queste il 20% è classificato come pericoloso. Insomma, cifre differenti rispetto a quelle della Protezione civile. Perché? Chi dice il vero? E non è finita: c’è anche la questione legata alla bonifica dei fondali”. In questo caso parliamo di un’area marina di circa 17 ettari per un bilancio di 70 mila metri cubi di sedimenti dragati tra l’ottobre del 2008 e il maggio 2009. Anche qui dubbi, denunce, segnalazioni, inchieste a partire da quelle di Fabrizio Gatti per l’Espresso.

Fino a ieri, quando la Procura della Repubblica di Tempio Pausania ha disposto il sequestro probatorio dei fondali antistanti l’ex Arsenale della Marina Militare de La Maddalena. Una decisione presa dopo il rapporto dei sommozzatori del nucleo dei Carabinieri, su incarico della Corte dei Conti di Roma, che indaga sui 31 milioni di euro spesi per le bonifiche. Solo in teoria, a quanto pare. “Il problema è uno: la vicenda è talmente grande che, temo, difficilmente avremo un colpevole – ammette laconico Giancarlo Pinna –. Questo territorio è martoriato, da tumori e disoccupazione. Pensi, a Porto Torres su ventimila abitanti, cinquemila sono disoccupati. Eppure avremmo tutto a disposizione per stare bene: sole, vento, mare, risorse, cultura e possibilità di sviluppare il turismo”. Al contrario è una delle zone più inquinate e martoriate d’Europa.