martedì 7 giugno 2011

Auchan, una domenica nel nulla per una mancia da 18 euro. - di Luca Telese e Paola Zanca


Nel più antico ipermercato romano dipendenti in rivolta per il lavoro festivo

Immaginate un fortino: un avamposto con le mura e gli spalti, che presidia il confine fra la città e la periferia, dove le strade non hanno nome e i palazzi sono sempre in costruzione. Quelli della vigilanza ti raccontano: “Quando apriamo le saracinesche, la mattina, sono già lì, in fila, soprattutto gli anziani”. Immaginate che dentro il tempio il clima è temperato in ogni stagione, che si entra con la macchina e non si paga pedaggio, e che ogni settimana ci sono nuove offerte. Infatti, anche se non c’è un Vangelo, c’è “Il Volantone”. Il volantone delle offerte. Ecco, se avete smesso di immaginare siete già arrivati alle porte del più antico Auchan d’Italia: Casal Bertone. Quello dove sabato scorso i dipendenti hanno scioperato, e dove i clienti (non tutti, per fortuna) hanno protestato: “Dovete lavorare, non potete chiuderci il supermercato”.

Per capire questa nuova variante della guerra fra poveri, dovete prima capire la scintilla che ha innescato la protesta: la richiesta dell’azienda che vorrebbe da tutti i dipendenti lo straordinario domenicale obbligatorio. Se volete capire il motivo della rabbia di questi lavoratori, quasi tutti giovani (o giovanissimi) partite dai loro stipendi: i “veterani” che lavorano a tempo pieno fin dall’apertura (13 anni fa) guadagnano fra 1.100 e 1.200 euro. I part time lavorano 16 ore a settimana, e raggiungono i 400 euro. La direzione del supermercato paga il lavoro domenicale 2.70 in più netti l’ora. Lavorare la domenica consente di guadagnare circa 18 euro in più. Vale la pena? Per molti sì. Per tanti no. Un tempo i rapporti con la direzione erano buoni, sembrava che i clienti fossero tutti felici di comprare. Adesso, Paolo (ma il nome è di fantasia) dice che “tutti sono diventati più feroci”. Anche la gente è cambiata, dicono. Anna, reparto elettrodomestici, non ha scioperato: “Semplice. Io le domeniche le devo fare tutte. Sono part time”.

Perché dentro il tempio lavorano quasi trecento persone. Ma la babele dei contratti è grande. Alle casse, per esempio non ha scioperato nessuno: “Nemmeno lo sapevo!”, dice una ragazza. Ai reparti, invece, in tanti: “Ti credo – spiega uno di loro, anonimo – la direzione ha messo delle persone a fare gli straordinari dai giorni prima, per prevenire l’effetto sciopero. E poi ha fatto sparire i nostri volantini, quelli in cui spiegavamo ai clienti le nostre proteste. Altri li ha strappati dalla bacheca”. Anche allo scaricamento hanno scioperato in pochi. I settori più duri sono presidiati dai part time. Al reparto pesca attaccano alle cinque. E qui c’è Mirko, un altro che ha lavorato: “Ho una fortuna: un caporeparto buono. Se chiedo una domenica di riposo, ogni tanto, me la dà. Ma che mi serve? Anche la mia ragazza lavora!”.

Un tempo c’erano i sindacati, tutti. Ora quelli confederali si sono quasi estinti. “Ti credo – spiega uno dei ragazzi della vendita – hanno firmato tutto, e se scioperiamo ci criticano!”. Il sindacato che ha organizzato lo sciopero è un Cobas: “Abbiamo dovuto mobilitarci – spiega uno di loro – perché ora la direzione vorrebbe uniformare tutti i contratti in questo modo: si lavora tutte le domeniche, senza straordinario, come un normale giorno di lavoro”. Un altro ragazzo del reparto elettrodomestici: “Non ho scioperato, ma son solidale con chi lo ha fatto. A me le domeniche le hanno imposte con un trucco…”. Cioè? “Ero part time, e mi dissero: ‘Se vuoi il tempo pieno devi fare tre domeniche’. Così ho un contratto ad personam. Le devo fare comunque”. Il Volantino, aAuchan è molto più che un depliant, un testo sacro. Esce ogni settimana ed orienta il fiume dei clienti verso prodotti e settori del supermercato: “Adesso – spiega un’altra ragazza delle vendite – ci sono clienti che comprano solo le offerte. Ti faccio vedere: questa settimana pesce spada a 19.90 e albicocche a 1.99 euro al Kg? Ecco, loro comprano e mettono nel surgelatore, in attesa di tempi migliori”.

In realtà ti spiegano, gli slalomisti che comprano sempre l’offerta stracciata, e accumulano come formichine, sono una minoranza di massa. Quelli che contano di più sono coloro che gettano l’occhio anche intorno all’esca. Ma il paradosso è questo: i fedeli della domenica spendono molto di più di quello che guadagnano i commessi per tenere aperto il tempio. E i ragazzi dei reparti hanno uno sconto avaro: il 5%. Qui, nel fortino che presidia la periferia, nel tempio climatizzato del consumo, la guerra dei poveri è in questa doppia immagine. I clienti che la domenica si incolonnano davanti al garage indispettiti e quando vedono che il cancello è chiuso suonano il clacson per la rabbia. E i ragazzi che lavorano nel supermercato. Ma che per far quadrare i conti ti raccontano: “Il grosso della spesa la faccio al discount. Altrimenti con mille euro due figli come li sfamo?”. Recita il verbo del volantone: “Auchan, tutta la passione che meriti”.



“La corruzione coinvolge 4 paesi europei su 5″ La Ue prepara un report sui casi più gravi. - di Alessio Pisanò



La commissaria Malmstrom: “Le leggi ci sono ma manca la volontà politica per applicarle”. L'Italia non ha ratificato la Convenzione contro la corruzione del Consiglio d'Europa. Intanto Romania e Bulgaria rimangono fuori Schengen

La Commissione europea dichiara guerra alla corruzione. Dal 2013 verrà pubblicato un rapporto biennale che denuncerà apertamente i casi più eclatanti di corruzione e frodi nei 27 Paesi membri, con nomi e cognomi dei responsabili. Anche se questo rapporto non avrà valore legale, l’annuncio della commissaria Ue affari interni Cecilia Malmstrom fa paura soprattutto agli Stati meno “virtuosi” in materia di trasparenza, come Romania, Bulgaria, Grecia e Italia.

Si stima che la corruzione in Europa costi circa 120 miliardi di euro l’anno, tanto quanto l’intero budget Ue. Il caso tipico che coinvolge direttamente Bruxelles consiste negli “errori” nell’erogazione e gestione dei fondi europei. Secondo la relazione annuale 2009 della Corte dei conti europea una percentuale tra il 3 e il 5% dei fondi Ue (tra 3,5 e 5,8 miliardi di euro) non dovrebbe nemmeno essere erogata. Tra gli Stati che nel 2009 hanno dovuto restituire a Bruxelles più soldi c’è proprio l’Italia, dove le “correzioni finanziarie” per il 2009 riguardanti i fondi strutturali sono state di 217 milioni di euro (825 milioni con quelle del 2008). Ovviamente la Corte dei conti parla di “errori”, ma è presumibile che comprendano anche frodi e corruzioni non debitamente contrastate e segnalate dalle autorità nazionali. La relazione della Corte infatti metteva in risalto le “debolezze delle verifiche condotte e gli audit” di competenza nazionale. Se a questo aggiungiamo che le Convenzioni penale e civile del Consiglio d’Europa sulla corruzione, siglate a Strasburgo rispettivamente il 27 gennaio e il 4 novembre 1999 (richiamate dalla proposta di legge sulla corruzione de Il Fatto), non sono mai state ratificate dal Parlamento italiano, risulta chiaro come l’iniziativa lanciata ieri dalla Commissione possa scatenare un vero e proprio terremoto nel nostro paese.

Ma fare una legge non basta. Mentre “la maggior parte dei Paesi Ue ha un soddisfacente quadro normativo anti corruzione”, la commissaria Malmstrom denuncia “la scarsa volontà politica e la mancanza d’impegno nel contrastare davvero questo fenomeno” mettendo in pratica le leggi. E dire che “nessun Paese è totalmente libero dalla corruzione, un problema serio per 4 europei su 5”. Secondo la commissaria si tratta di “un’importante sfida sociale, politica ed economica che non possiamo perdere”. Anche se non avrà alcun valore legislativo e vincolante, la Malmstrom spera che “il mettere nero su bianco i maggiori casi di corruzione spinga i governi nazionali a darsi una ripulita”.

Il meccanismo presentato dalla Commissione verrà lanciato nel 2013 e raccoglierà informazioni non solo da istituzioni Ue e autorità nazionali, ma anche da associazioni e Ong. Il rapporto che ne uscirà conterrà oltre ai casi maggiori di corruzione, alcune raccomandazioni ed esempi pratici di come contrastare questo fenomeno. Soddisfatta Transparency International, che invita la Commissione a stabilirne criteri e indicatori di valutazione il più presto possibile, sottolineando tuttavia che “questo meccanismo da solo non risolverà completamente il problema della corruzione”.

Proprio la corruzione e la mala gestione delle risorse pubbliche è stata una delle cause principali del quasi fallimento della Grecia e delle richieste di aiuto a Bruxelles di Lettonia e Ungheria. Sempre la corruzione costituisce l’ostacolo più spinoso all’accesso di Romania e Bulgaria nella zona di libera circolazione di Schengen. Lo scorso dicembre, Francia e Germania si sono fortemente opposte al loro ingresso, divieto al quale hanno recentemente aderito Danimarca, Olanda e Finlandia. La Danimarca, qualche settimana fa, ha addirittura minacciato la riapertura dei controlli alla frontiera per frenare l’ingresso di bulgari e rumeni.

Certo in materia di corruzione Bruxelles non sta dando un ottimo esempio. L’Ufficio anti frode europeo Olaf diretto dall’italiano Giovanni Kessler si vede negare da mesi l’accesso ai locali del Parlamento europeo per investigare sul caso delle bustarelle pagate ad alcuni eurodeputati da giornalisti inglesi spacciatisi per lobbisti.




lunedì 6 giugno 2011

E il popolino disse: «Caro Re alle tue balle non crediamo più». - di Dario Fo.



Cosa succede? E' il 2 giugno, Festa della Repubblica e Giorgio Napolitano, il nostro Capo dello Stato, ha dato una gran festa. Ci sono fra gli invitati Ministri e Presidenti venuti da molti paesi del mondo, ci stanno anche capi di governo arabi abbigliati come rajà e perfino qualche Re.

Fra tutti quegli uomini di potere si intravvede anche il nostro Berlusconi che vaga fra quella folla spaesato, stordito: con i risultati di queste ultime elezioni ha proprio preso una botta pesante! Ogni tanto si ferma come imbesuito. Ma ecco che all’istante Silvio spalanca gli occhi: ha scoperto seduto fra i notabili il Re di Spagna. «Oh, quello è mio!». Subito lo raggiunge, gli si siede vicino, lo ag- guanta ad un braccio e lo scuote come si fa con un vecchio amico. «Ma che fa? È fuori dal protocollo!» esclama indignato qualcuno. «Non si toccano i Re. E neanche le Regine!».

Napolitano, che sta accanto all’importuno, gli fa cenno di non insistere con quel gesto confidenziale: «È un insulto all’etichetta!». Lui non capisce subito. Poi s’allontana. Qualcuno sta avvertendo i presenti che fra poco ci sarà la cerimonia davanti al Milite Ignoto. C’è una gran folla che applaude fe-stosa Napolitano. Adesso tocca anche a lui, a Berlusconi, godersi il tripudio della gente. Ma il Presidente del Consiglio ottiene solo un modesto battimani seguito da qualche fischio e due pernacchi. Poi esplodono in coro molte grida di rifiuto tipo «vattene! Non c’è festa per te!».

Silvio si guarda intorno incredulo: «Ma con chi ce l’hanno? Ma perché invitano i comunisti?». Anche una suora sollevando le braccia lo dileggia. «Sarà un travestito!». Berlusconi si fa da parte e cerca di nascondersi dietro due imponenti corazzieri. Ma questi con calma si scostano e lo rifanno apparire imbranato come si trova. Il piccol’uomo è frastornato: «Ma cosa sta succedendo?». All’istante, come in un refrain grottesco si ricorda di qualche sbragata commessa qualche giorno fa durante i soliti interventi televisivi prima del fatidico voto: «Sì, È vero... ho gridato: questa non è una normale consultazione amministrativa, ma politica! O Silvio o il caos! La gente viene a votare, per me e sarà come in una ovazione, un tripudio! Potrete sfottermi a pernacchi se il mio gradimento non sarà doppio rispetto a quello che ho guadagnato l’ultima volta! Per Dio! E invece guarda tu che catastrofe! Nelle ultime elezioni ha sempre funzionato ‘sto trucco del terrore! Ma stavolta che è successo? Dove ho toppato? Non ho fatto altro che ripetere il bau bau dell’apocalisse delle invasioni barbariche, come sempre. Attenti gente! Se vincono i rossi vedrete straripare da ogni lato i rom, gli zingari che vi ruberanno i bambini. E appariranno musulmani a frotte. Spunteranno enormi moschee e torri con i muezzin che urlano incitando alla guerra santa. A sto punto m’aspettavo che questi miei sudditi allocchiti abboccassero in massa e si precipitassero ai seggi elettorali gridando: «Alle urne! Alle urne! Fermiamo gli invasori!». E invece per tutta risposta mi han gridato: «Piantala, bugiardaccio! Non ci freghi più con ‘ste panzane! E anzi sai cosa c’è di nuovo... che per te non andremo più a votare, piuttosto daremo la nostra preferenza agli estremisti, tiè».

«Ma perchè? Che ho fatto?» «O niente, ci hai solo promesso bu- fale infinite! Farò questo e quello! Basta con le tasse! In galera gli evasori e i politici corrotti! Dimezzerò gli stipendi a Ministri, Sottosegretari, Senatori e Manager! Darò lavoro a tutti i meritevoli! Scuole ai giovani! Sistemazioni ai disperati! Pensioni dignitose! E questa solfa ce l’hai cantata per un sacco di volte e noi come pecore allocchite «Grazie Silvio! Come sei buono tu! Tu con noi sei come il Buon Pastore! Tu ci tieni nel gregge al calduccio, ci coccoli! Ci fai tosare di dosso la lana! Ci sgozzi i piccoli per farne abbacchi succulenti! Ci assicuri che ci proteggerai dai lupi», ma poi scopriamo che quelli son parenti tuoi e tuoi amici coi quali fai a mezzo del bottino! Ma sai che succede? Che da tosati si resta nudi e ci si accorge della fregatura! Così accade che dai e dai le pecore allocchite si svegliano e dicono: «Ma Vaffanculo!».

«Oh pecore triviali!» «Eh sì, quando ce vò, ce vò! Ma non è finita, caro tirabidoni!», urlano dal gregge. «Il bello, t’accorgerai, arriverà proprio adesso che si va a votare per i quattro referendum!» «No, non son quattro, son solo tre, perché ho richiesto alla Consulta che venga dichiarata nulla la sentenza della Cassazione!» «Eccolo lì, un altro dei tuoi trucchi!» «Il referendum sul nucleare non conta nulla?» «E invece conterà eccome, insieme a quello dell’acqua e sul legittimo impedimento!»

«Ma illusi cari! Non ce la farete mai col quorum! Quella diga sarà come una montagna contro la quale andrete a sbattere tutti!» «No! Hai fatto male i conti! Hai sbagliato a farci arrabbiare! Guai a far incazzar le pecore e i montoni imbesuiti! Diventiamo delle bestie! Ti faremo franare tutto addosso, compresi tutti i tuoi tirapiedi, i servi e i ruffiani!» «E no, cazzo!» «Ecco questa imprecazione la puoi anche urlare! È l’ultimo diritto che rimane al Principe abbattuto!»
.



Il vento e l’inciucio. - di Domenico Valter Rizzo



Avevamo sperato che non accadesse, ma puntualmente, com’era purtroppo prevedibile, è avvenuto. Massimo D’Alema non è riuscito a resistere.

Come era già accaduto, quando Berlusconi è in profonda difficoltà, può contare, con assoluta sicurezza, sul soccorso che arriva da Massimo D’Alema. La raffinata proposta è un’idea assolutamente “nuova”: un governissimo. Uno stratagemma geniale per consentire a Berlusconi di recuperare. Insomma tutto pur di non votare adesso e scongiurare il pericolo delle primarie che potrebbero riservare sorprese amare per la nomenclatura del Nazareno. Allora meglio rimettere in sella Berlusconi, magari perdere, ma restare saldamente al comando della nave dal quale si possono ricavare reddite di posizione, che sono sempre meglio di vedere magari un Vendola trionfare alle primarie e magari – da candidato premier – ascendere a Palazzo Chigi.

Già, Vendola. Sulle colonne del Corriere il segretario Bersani ha espresso un forte richiamo alla necessità di convergenze con i centristi (nonostante siano usciti piuttosto maluccio dalle Amministrative) e ha tenuto a precisare, agganciando al volo a un assist di Aldo Cazzullo, che gli ricorda come il leader di Sel nel ’98 votò contro Prodi, che Vendola dovrà dimostrare di essere unalleato “affidabile”. Naturalmente nè Cazzullo e neppure Bersani si ricordano che a mandare a fondo Prodi nell’ultima esperienza di Governo non furono i trinariciuti comunisti, bensì gli affidabili moderati di Mastella.

La vocazione inciucista sembra essere dominante. In suo nome si può sacrificare tutto, soprattutto il “vento nuovo” che campeggia sui manifesti del Pd dopo i ballottaggi, ma che sembra esser diventato esso stesso il vero incubo dei dirigenti del Pd. Un vento che potrebbe far saltare gerarchie, equilibri, carriere garantite. Che potrebbe ridare la parola alla gente e ridurre al silenzio le oligarchie. Si tratta di una spinta che non è facile volgarizzare come protestataria o massimalista, che appare invece caratterizzata da una nuova visione politica che si potrebbe sintetizzare, usando una sorta di ossimoro, nel termine: Riformismo Radicale. Un riformismo cioè capace di aggregare non astratti soggetti “moderati”, ma il ceto medio dell’Italia di oggi, che potrebbe ridare rappresentanza ai lavoratori delle fabbriche, ignorati dalla politica. Un Riformismo Radicale che esca dai bunker delle sedi di partito e punti ad essere rappresentanza politica dei giovani, sui quali le famiglie hanno investito e che non hanno la possibilità di avere una progettualità né di lavoro e neppure di vita personale, e ancora della piccola borghesia professionale, dei certi impiegatizi e intellettuali, che hanno perso il benessere e la sicurezza sociale, dei piccoli e medi imprenditori, degli artigiani strangolati dalla crisi, delle finte partite Iva che lavorano come dipendenti senza diritti e senza sicurezze. Sono questi i moderati? O sono gli uomini di Marchionne e della Marcegaglia, o i Casini e i Buttiglione? Sono questi in realtà gli italiani che hanno risposto nel momento in cui la loro domanda di rappresentanza si è concretizzata, si è incarnata in uomini credibili, in progetti chiari, in schieramenti che non mettevano insieme tutto e il contrario di tutto. Hanno risposto da Milano a Napoli, da Bologna a Cagliari, da Sud a Nord, nel momento in cui la loro domanda ha incontrato l’offerta. Questo è successo alle amministrative. Questa è la lezione che i vertici del Pd stanno cercando disperatamente di non capire.

Questo avviene a Roma, ma cosa accade in periferia? In Sicilia ad esempio.

Qui il Pd ha sperimentato con successo uno dei più sofisticati metodi di suicidio politico. L’appoggio al Governatore Lombardo, fortemente sponsorizzato dalla presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, ha determinato la spaccatura non solo del centrosinistra, ma dello stesso Pd. A dare il colpo di grazia a questa brillante intuizione politica, è stata l’indagine della Procura di Catania che ha iscritto Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa e, adesso, si appresta a chiederne il rinvio a giudizio. Ma neppure questo sembra bastare. Per disancorare il Pd siciliano da questa funesta esperienza, probabilmente ci vorrà lo Svitol.

A Catania, la seconda città dell’Isola, si aprono i giochi per la candidatura a sindaco. La scadenza naturale è nel 2013, ma se si andasse alle elezioni politiche anticipate è prevedibile che l’attuale sindaco del Pdl, Raffaele Stancanelli, si dimetta per garantirsi la rielezione al Senato e allora il voto anche per Palazzo degli Elefanti si avvicinerebbe rapidamente. Nel Pd è pronto a scendere in campo il “nuovo”, il “rinnovamento”. Lo incarnano due personaggi: l’ex sindaco Enzo Bianco eGiuseppe Berretta, deputato di recente nomina. Bianco è ancora ricordato in città più che per la cosiddetta “primavera di Catania”, per aver mollato senza troppi complimenti il secondo mandato, per correre a fare il ministro dell’Interno. Una scelta di sicuro successo nel gradimento dei catanesi. “Questo pensa solo a farsi gli affari suoi…”. Un abbandono che aprì la strada alla disastrosa sindacatura di Umberto Scapagnini, il medico personale di Berlusconi, che portò la città al disastro economico e civile e scappò inseguito da condanne e processi. I catanesi, che Bianco non era più persona gradita, lo spiegarono chiaramente quando si ricandidò proprio contro Scapagnini e venne sonoramente battuto al primo turno. Adesso si propone per fare il bis.

L’alternativa, anche questa come l’appoggio a Lombardo, sponsorizzata sempre della presidente Finocchiaro, è la candidatura di “rinnovamento”: Giuseppe Berretta deputato quarantenne con curriculum di tutto rispetto. Da segretario cittadino nel 2005 portò i Dd a un clamoroso risultato alle Amministrative, quando la Quercia raccolse in città il 5% dei consensi. Fu il peggiore risultato dai tempi della fondazione del Pci nel 1921. Nella lista al consiglio comunale la metà dei candidati non raccolse un solo voto di preferenza. Berretta fu uno degli eletti (insieme ad Anna Finocchiaro che raccolse poco più di un migliaio di preferenze) grazie ad alcune centinaia di voti. Insomma un vincente nato. Lo premiarono subito. Nel 2008 viene infatti nominato deputato nazionale.

Alla voce professione nel suo blog leggiamo: ricercatore universitario e professore aggregato di Diritto del Lavoro presso l’Università Kore di Enna. Di che si tratta? La Kore è l’università il cui rettore è l’ex ministro della difesa craxiano, Salvo Andò e nel cui consiglio di amministrazione siede uno dei padroni di Catania, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo. Ma non solo il candidato del rinnovamento a Catania lavora nello studio associato dello zio, l’avvocato Andrea Scuderi. Studio legale che rappresenta i proprietari delle aree di Corso Martiri della Libertà a Catania. Terreni nel cuore della città, sui quali si prepara la più importante operazione immobiliare degli ultimi due secoli nella città etnea. Insomma Berretta candidato a sindaco sembra proprio l’uomo giusto al posto giusto.

Viene da chiedersi cosa succederebbe a Catania se, come molti chiedono, saltasse fuori come a Milano un candidato radicalmente riformista, che si schierasse apertamente contro i poteri forti della città, contro i “nuovi cavalieri dell’apocalisse” e rappresentasse una speranza vera di cambiamento. Un vero incubo. Meglio evitare.



COSA NE FACCIAMO DI TUTTI I RIFIUTI NUCLEARI?



DI LUCAS WHITEFIELD HIXSON

Global Research

Questa settimana l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha visitato gli impianti di Fukushima Daiichi per indagare l’incidente e le azioni in risposta all’emergenza da parte di TEPCO. A Fukushima si è creata una gran quantità di rifiuti ad alta radioattività senza un progetto preciso a lungo termine per lo stoccaggio definitivo. I combustibili esauriti solo al 95% uranio, un altro 1% consiste di metalli pesanti quali il curio, l’americio e il plutonio.
Al 18 maggio del 2011 circa 100.000 tonnellate di acqua radioattiva è percolata fuori dalle vasche di contenimento di Fukushima. I dati mostrano che la quantità di acqua radioattive potrebbe raddoppiarsi alla fine di dicembre.


Come modello di paragone, è stimato che gli Stati Uniti hanno 71.862 tonnellate di rifiuti, in base ai dati ottenuti da Associated Press. L’Illinois ha 9.301 tonnellate di combustibili nucleari esauriti nei suoli impianti, la quantità più alta stivata in un singolo Stato negli USA, in base ai diagrammi dell’industria. È seguito dalla Pennsylvania con 6.446 tonnellate, dalla Carolina del Sud con 4.290 e poi con circa 3.780 tonnellate ciascuno dallo Stato di New York e dalla Carolina del Nord. Da tempo il governo degli Stati Uniti sta cercato di realizzare un impianto per l’immagazzinamento aYucca Mountain, progettato per contenere 77.160 tonnellate.

"Tepco sa più di quanto ha fatto trapelare all’esterno sulla quantità di radiazione che escono dalla centrale”, ha detto ieri a Tokyo (ndt: 28 maggio) Jan van de Putte, una specialista nella sicurezza dalle radiazioni che si è istruito press l’Università Tecnica di Delft nei Paesi Bassi: "Abbiamo bisogno di una totale apertura, un inventario completo delle radiazioni che sono state emanate, con gli esatti isotopi."

Il 20 maggio del 2011 il Primo Ministro Naoto Kan ha parlato al parlamento giapponese e ha ammesso che “il governo ha fallito nel rispondere alle dichiarazione errate di TEPCO e di questo sono profondamente dispiaciuto.”

Il Giappone sta cercando di stipare le scorie sul posto per risparmiare a rischio della salute pubblica

Anche se hanno ammesso pubblicamente le proprie negligenze, sia il governo giapponese che TEPCO hanno proseguito esattamente sulla loro strada. Ora si sta ipotizzando di utilizzare l’impianto di Fukushima Daiichi come “cimitero nucleare” per immagazzinare i rifiuti radioattivi. Questa decisione è in contrasto con quanto asserito da molti esperti nucleari, che sono allarmati dalla quantità di rifiuti che sarebbe stoccata sul posto, una zona altamente sismica.

“Stiamo discutendo continuamente dello smantellamento dell’impianto Daiichi e della costruzione di un impianto di stoccaggio degli scarti nucleari sul posto”, ha detto Morokuzu. La struttura in disuso sarebbe un cimitero nucleare ideale dato che costruirne uno nuovo costerebbe svariati milioni di yen, secondo i dati di Muneo Morokuzu, professore di energia e di politiche di ambiente pubblico all’Università di Tokyo.
L’immagazzinamento dei rifiuti altamente radioattivi è complicato, bisogna solidificare gli scarti nel
vetro borosilicato per poi inserirli all'interno di pesanti cilindri in acciaio senza stagno. Questi gusci devono essere poi trasferiti in luoghi di stoccaggio temporanei, da cui sono poi inviati nei luoghi di custodia a lungo termine.

GUARDA QUESTO FILM!

Nell’eternità – Cosa fare con i rifiuti nucleari

Adesso diamo una sbirciatina a un incredibile impianto sotterraneo costruito in Finlandia per stoccare i rifiuti nucleari chiamato "Onkalo", la parola finlandese per definire un "posto nascosto". Il progetto fu avviato negli anni ’70 e non sarà completato se non fra altri 120. È progettato per durare 100.000 anni, il tempo necessario affinché le scorie nucleari diventino sicure.
È la prima volta che sappiamo di costruire una struttura che sopravviverà all’uomo", ci ha detto Madsen con Skype dalla Danimarca. "Questo problema riguarda centinaia di migliaia di anni e cercare di agire in modo responsabile potrebbe andare oltre le possibilità dell’uomo."
Consideriamo che le piramidi egizie hanno meno di 6.000 anni di vita. La più vecchia struttura costruita dall’uomo, un muro in una caverna della Grecia è vecchio 23.000 anni. "Ci potrebbe essere la possibilità che la civilizzazione per come la conosciamo possa cessare di esistere entro questo lasso di tempo", ha detto Madsen. "Per questo non ci possiamo attendere che le persone nel futuro sappiano cosa sia la radiazione. Questa è la ragione per cui (Onkalo) dovrà essere totalmente autonoma."
Il governo svedese e quello finlandese stanno collaborando al progetto perché credono che sarebbe da irresponsabili di lasciare i pericolosi scarti nucleari sotto terra, come stiamo ancora facendo, un fatto che i giapponesi hanno pagato a caro prezzo dopo il terremoto e lo tsunami di questo marzo. Gli Onkalo sono progettati per essere invulnerabili ai pericoli che vengono dall’esterno, come i disastri naturali, le guerre o il terrorismo.

"Se anche l’espansione dell’energia nucleare si dovesse interrompere oggi, quando fra 120 anni questo Onkalo sarà terminato e sigillato, ci vorranno altri 99 impianti della stessa capacità" per immagazzinare il resto delle scorie di tutto il mondo, sono le parole di Madsen."Ma se le stime conservative dell’uso continuato e dell’espansione dell’energia nucleare sono corrette, avremmo bisogno di 500 strutture del genere."

Guarda anche:

http://www.youtube.com/watch?v=FL6A9_HRFec&feature=player_embedded#at=130

http://www.youtube.com/watch?v=H_xdC_wLz5E&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=G_Zwq1bO_Wc&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=EPn4BIhK-A8

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=r-vgW5hucLM

Tutto su:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8393&mode=thread&order=0&thold=0



Aldrovandi, il pg in Appello non fa sconti “I poliziotti uccisero un ragazzo indifeso”.


Il pg nella sua requisitoria chiede la conferma della pena e che non vengano concesse le attenuanti generiche. Inoltre parla di dolo eventuale: un'accusa che non può essere applicata visto che in primo grado non venne contestata, ma che inchioda comunque moralmente i quattro poliziotti

Nessuna riduzione di pena per i poliziotti accusati di aver ucciso il 25 settembre 2005 Federico Aldrovandi, chiamati a Ferrara, in via dell’Ippodromo, perché il ragazzo sarebbe stato in stato di agitazione. Quando arrivarono o sul ci fu un primo scontro e ne seguì un altro quando arrivò la seconda pattuglia, al termine del quale, dopo una serie di manganellate, il ragazzo morì.

Il procuratore generale della corte d’appello di Bologna Bambace chiede la conferma dunque della condanna di primo grado per gli agenti di polizia a 3 anni e mezzo e chiede che non vengano concesse le attenuanti generiche perché non avrebbe ravvisato nel comportamento degli imputati “elementi che le giustificassero”. In particolare non ha “ravvisato nessun atteggiamento di autocritica”. E ha ricordato come la realtà venne “alterata” fin dalle fase immediatamente successive all’omicidio del ragazzo. In fase conclusiva della requisitario il pg si è concentrato sulla sindrome da delirio sostenuta dalle difese dei poliziotti: “Non c’è alcun riscontro degli atti a questa ipotesi, mancano atti di autolesionismo del ragazzo, mancano evidenze medico scietifiche e non c’erano patologie in atto nel ragazzo. E soprattutto, Aldrovandi, non era un tossicodipendente”.

Più che colpa “si potrebbe parlare forse di dolo eventuale”. Di aver accettato che il proprio comportamento violento e il ritardo nella chiamata di un’ambulanza abbia provocato la morte di un ragazzo di 18 anni. Conclude così la sua requisitria Miranda Bambace. Il procuratore generale, come abbiamo detto, non fa sconti a Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri, i quattro poliziotti condannati in primo grado a tre anni e mezzo per l’omicidio colposo di Federico.

Nell’ultima udienza, prima di quella di stamani, dove il pg ha tratto le conclusioni, l’atteso confronto tra i due esperti che doveva dirimere i dubbi sulle foto del cuore di Federico passa quasi in secondo piano. L’anatomo-patologo dell’università di Padova, Gaetano Thiene, rimane sulle sue posizioni: il giovane è morto per compressione meccanica del fascio di His, sorta di valvola elettrica del miocardio. Al consulente di parte, il cardiologo Claudio Rapezzi, non rimane che paventare la possibilità che quella foto mostri invece cose diverse: bande di contrattura che nasconderebbero un decesso da excited delirium syndrome, un modo tutto accademico per definire la morte “da crepacuore”.

Dopo il faccia a faccia si è passati subito alla fase della discussione. E, come detto, il pg non ha fatto un passo indietro rispetto alle accuse di primo grado. Anzi, forse uno in avanti, avanzando l’ipotesi di “dolo eventuale”. Interpretazione che ricorda le parole della sentenza di primo grado in cui il giudice Caruso parlava di “fattispecie tipica dell’omicidio preterintenzionale” in riferimento ai fatti del 25 settembre 2005. Ma oggi in appello si parla di colpa e il capo di imputazione, salvo revisione del processo, non può cambiare.

L’enfasi serve però alla Bambace per ricordare alla Corte che “gli elementi probatori raccolti sono tali e tanti che non possono non far propendere che per la loro colpevolezza”.

A partire dai danni subiti dall’auto di Alfa 3. “Le fotografie della scientifica, svolte su indicazione degli stessi imputati – sottolinea la pm -, non rilevano nessuna ammaccatura sul cofano compatibile con il balzo di cui si favoleggia che avrebbe fatto nel tentativo di colpirli. E un ragazzo alto 1 metro e 81 qualche traccia avrebbe lasciato”. Viene poi la tardiva chiamata dell’ambulanza. Al loro arrivo i sanitari troveranno i quattro agenti attorno al corpo di Federico, immobile, a terra, con le manette dietro la schiena.

C’è poi la testimonianza oculare di Anne Marie Tsegue, camerunense residente nella via. “Ho molta stima di questa donna – sottolinea la pm – che ha avuto il coraggio di farsi avanti, a differenza di molti suoi vicini, che pure hanno sentito la Segatto dire “attenti, ci sono delle luci accese”. La Tsegue vede inoltre i quattro manganelli, di cui due si rompono”.

C’è poi la famosa frase registrata di Pontani che al centralinista dice “lo abbiamo bastonato di brutto”. “Non importa a questo punto – prosegue la pm – sottolineare che l’imputato aggiunge “bastonato per mezzora”: in lui c’è la consapevolezza dell’aggressione”. E poi le ferite, ben 54, sul corpo di Federico, “tutte compatibili con l’uso dei manganelli e con i calci che Pollastri, visto dalla teste muoversi avanti e indietro tra il giovane disteso a terra e l’auto di pattuglia, gli avrebbe sferrato”.

Viene poi l’ammanettamento prolungato, nonostante poco prima, come sentito dai testimoni, il ragazzo chiedesse aiuto. “Adesso ti aiutiamo noi”, fu la risposta della Segatto – ricorda il procuratore -. Chiedeva aiuto a coloro che lo avevano aggredito, bloccato e mantenuto in una posizione che qualsiasi manuale di polizia sconsiglia se non per il tempo necessario al cessare della resistenza…”.

In attesa di sentire le requisitorie delle difese, l’accusa si congeda con una domanda: “Si può parlare con onestà intellettuale e dire che quattro persone che affrontano in quel modo un soggetto inerme possono essere assolti?”.

Marco Zavagli e Antonella Beccaria



Egitto, esplosione in una centrale nucleare Probabile la fuga di acqua radioattiva.

Il Cairo - (Adnkronos) - La pompa di un reattore è scoppiata ieri nel piccolo impianto di Anshas, rimesso di recente in funzione senza l'autorizzazione e senza il rispetto delle norme di sicurezza. A rivelarlo a un quotidiano locale una fonte anonima dell'Autorità egiziana per l'energia atomica.

Il Cairo, 4 giu. - (Adnkronos) - Una perdita di acqua radioattiva sarebbe avvenuta nelle ultime ore nella piccola centrale nucleare di Anshas, in Egitto, dopo l'esplosione di una pompa del reattore. Lo rivela una fonte dell'Autorità egiziana per l'energia atomica, coperta da anonimato, al giornale locale Rose el Youssef,che titola 'L'Egitto si salva da un disastro nucleare'. La fonte ricorda che il primo reattore di ricerca di Anshas è stato rimesso in funzione di recente senza l'autorizzazione del Centro per la sicurezza nucleare e senza rispettare le norme di sicurezza dei reattori.

La fonte ha spiegato al giornale che un'esplosione è avvenuta ieri nella ''pompa del reattore'' e ha provocato la perdita di dieci metri cubi di acqua radioattiva. In base ai criteri dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, ha aggiunto la fonte, il ''disastro'' è classificabile al terzo livello. La centrale di Anshas si trova a nord del Cairo, nel Delta del Nilo.