mercoledì 8 giugno 2011

Rai preoccupata per minori introiti il govero studia l'aumento del canone.


Una mossa per recuperare anche i mancati introiti pubblicitari. Possibile l'inserimento nella bolletta elettrica. L'impegno preso dal ministro Romani in una telefonata di congratulazioni.


di CARMELO LOPAPAROMA - E adesso il governo studia l'aumento del canone. Una bella cura da cavallo, stavolta, non l'euro e 50 centesimi del ritocco 2011. Ci sono i costi del servizio pubblico che galoppano, certo, ma dal prossimo anno andrà compensato - tra le altre voci in perdita - anche il mancato introito pubblicitario del prime time del giovedì su Raidue, che con Santoro e Annozero ha garantito dal 2006 incassi a sei zeri.

Quando ieri mattina il ministro alle Comunicazioni Paolo Romani ha chiamato il direttore generale Rai Lorenza Lei per congratularsi del benservito a Michele Santoro, per aver compiuto "con successo" la missione nella quale aveva fallito per due anni l'ex Mauro Masi, l'impegno (verbale) è stato preso. La dg le congratulazioni le ha incassate, ma ha anche esternato tutte le sue preoccupazioni per le prospettive non rosee dell'azienda di Viale Mazzini. E l'ex imprenditore televisivo milanese, vicinissimo al premier, su questo è stato in grado di sbilanciarsi, promettendo un intervento del governo.

Il dossier "canone" è sulla scrivania di Romani. E tra le ipotesi contempla anche la possibilità di agganciarne il pagamento alla bolletta elettrica. Espediente ritenuto utile per combattere l'evasione, che sulla tv è ancora dilagante. Nella stagione televisiva che sta per concludersi, il programma di Santoro ha avuto una media di 5,8 milioni di spettatori, con uno share del 20,71, stando ai dati diffusi dallo staff di Annozero. Garantendo così a Raidue il successo in prima
serata il giovedì: il 12 per cento in più rispetto alla media di rete. Non è un caso, d'altronde, se ieri a Piazza Affari i titoli de La7, la TiMedia, hanno subito un balzo del 17,56 per cento, dopo le indiscrezioni sul passaggio di Santoro alla controllata Telecom. Una crescita del valore delle azioni in Borsa stimato in 29 milioni di euro.

A tutto questo, meglio, al già previsto crollo pubblicitario la Rai chiede al governo di porre rimedio. E l'unica leva sarà appunto il canone (oggi già a 110,50 euro). La pillola amara al contribuente sarà somministrata a fine anno, quando Tesoro e Comunicazioni dovranno annunciare che l'aumento di 1,50 euro del 2011 non è stato sufficiente. Ha permesso d'altronde di incassare 30 milioni di euro in più, poca cosa, appena il 10 per cento rispetto ai 300 milioni di fabbisogno che aveva stimato la dirigenza Rai.

Tutto questo, al momento, al presidente del Consiglio Berlusconi interessa poco, raccontano. Soddisfatto com'è del risultato raggiunto con la liquidazione di Santoro. Anche perché al momento della nomina della Lei, il Cavaliere non aveva fatto mistero con la dg del suo personale auspicio. Suo, ma non di Fedele Confalonieri. Sembra che già ieri il numero uno di Mediaset abbia confidato al vecchio amico di sempre tutte le sue preoccupazioni per i pezzi pregiati che la Rai sta "regalando" a La7, con tutte le ripercussioni che il terremoto dei palinsesti avrà sullo share della tv in chiaro dal prossimo autunno.



NOTAV: COMUNICATO STAMPA LISTE CIVICHE VALSUSA.

Appresa notizia di una busta contenente un proiettile intercettata presso gli uffici postali e destinata all’Onorevole Stefano Esposito

Preso atto della strumentalizzazione di tale deprecabile circostanza e delledichiarazioni dei vertici del P.D. provinciale e regionale in merito all’utilizzo della forza per il posizionamento di una recinzione in località Maddalena del Comune di Chiomonte in ambito realizzazione TAV TO-Lione;

Considerata la violenza mostrata contro una popolazione in lotta per il proprio futuro da parte di detti personaggi del P.D. e dell’Assessore Regionale Barbara BONINO.

Comunichiamo quanto segue :

  1. Per capire la provenienza del proiettile è sufficiente chiedersi chi ne trae vantaggio. Non certo il movimento NO-TAV e tanto meno la Valle di Susa. Le uniche forze che possono utilizzare la pallottola spuntata inviata all’onorevole Esposito sono proprio quelle che il TAV lo vogliono fare a tutti i costi.

Altra possibilità è che sia il gesto di qualche sconsiderato per finalità che stanno tutte nella testa di una persona che può avere mille motivi o non averne nessuno in particolare.La Magistratura vaglierà e ci auguriamo verrà a capo del miserabile mistero. L’unica certezza è che il gesto non è ascrivibile al Movimento NO-TAV che può avere molti limiti ma di certo non quello dell’autolesionismo.

  1. Nel rispetto delle reciproche posizioni in merito alle diverse e articolate vicende che ineriscono l’utilizzo di denaro pubblico, riteniamo inaccettabile che un qualsiasi partito chieda di risolvere problemi di conflittualità e opposizione con l’uso della violenza per di più giustificata con pratiche di mistificazione della realtà. La maggioranza della popolazione Valsusina e il movimento NO-TAV, dopo vent’anni di profondo studio del problema, continuano a ritenere che l’opera sia inutile, dannosa e affamatrice di denaro pubblico e di servizi. Ci può essere un’altra opinione ed è legittimo che ci sia. Chiedere però di militarizzare un territorio e di usare violenza a molti dei suoi abitanti al fine di dirimere una questione complessa e delicata per l’intera nazione, riteniamo sia atto violento, prevaricatore, inaccettabile e inquietante per l’intero impianto democratico che trova profonde e nobili radici nelle idealità dei Padri costituenti.
  2. La popolazione NO-TAV della Valle di Susa che in questo momento è accusata di violenza, in vent’anni la violenza l’ha sempre subita. Le cronache sono oggettiva testimonianza di questa verità. Crediamo che a fronte di tale prevaricazione poche altre realtà hanno saputo dimostrare un così elevato livello di pazienza e determinazione ad utilizzare metodologie di lotta completamente incentrate sul concetto di non violenza. Non riteniamo debba essere considerata forma di violenza il porre pacificamente la propria persona inerme di fronte agli eventi contro cui ci si batte.
  3. Chiediamo alle Donne e agli Uomini che si riconoscono nelle proposte politiche del P.D. di ragionare sulle stupidaggini urlate dai propri vertici. Personaggi come l’Onorevole Esposito che hanno fatto della politica il loro mestiere e che siamo convinti non sarebbero mai stati eletti in Parlamento se non fossero stati designati, non possono rappresentare i valori fondanti di un Partito come il P.D.

Il ruolo della politica deve essere quello di elemento mediatore tra interessi economici e interessi dei cittadini. I vertici regionali e provinciali del P.D. questo ruolo l’hanno dimenticato da tempo appiattendosi sugli interessi del potere economico. Un aspetto così importante per il futuro della libertà collettiva, al di là di come la si pensi sul TAV, l’hanno percepito moltissimi militanti, amministratori ed elettori P.D. della Valle di Susa. Persone che hanno continuato a praticare il partito rendendosi però autonomi dalle scelte imposte dall’alto e ragionando sulla specificità dei vari argomenti seguendo le linee valoriali che li hanno portati alla scelta di stare in quel partito.

  1. Esprimiamo seria e fondata preoccupazione per l’evolversi della situazione e invitiamo le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani ad essere presenti in Valle di Susa così come auspichiamo l’invio di osservatori neutrali da parte della Comunità Europea. Condanniamo, con tutta la forza derivataci dal mandato elettorale ricevuto da migliaia di cittadini, gli inviti all’uso della violenza esternati dai vertici regionali e provinciali del P.D. e da rappresentanti istituzionali regionali del P.D.L. Riteniamo pacifica, non violenta e legittima la protesta dei cittadini della Valle di Susa contro un’opera dannosa, inutile e inaccettabile dal punto di vista dei costi economici e sociali.
  2. Proponiamo ricorso preventivo alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo verso i comportamenti istituzionali tenuti dai Sigg.i BONINO Barbara, ESPOSITO Stefano, MERLO Giorgio, MORGANDO Gianfranco, SAITTA Antonio. Riteniamo infatti che le reiterate esternazioni e richieste di utilizzo della forza della violenza si configurino come una istigazione alla violazione delle norme previste all’articolo 2 comma 1 e all’articolo 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Rimettiamo ai nostri legali mandato di adire querela nei confronti dei suddetti rappresentanti istituzionali per gravissime lesioni all’immagine del movimento NO-TAV. Lesioni rafforzate in riferimento a persone specifiche che si riconoscono e vengono riconosciute quali rappresentanti pubblici di tale movimento.

Chiediamo agli stessi rappresentanti istituzionali l’immediato ritiro delle richieste di uso della violenza contro il movimento NO-TAV e i cittadini della Valle di Susa e l’altrettanto immediata correzione di giudizi in merito all’attribuzione di eventi non ascrivibili al movimento stesso.

Siamo certi che solo il ripristino delle normali condizioni di rapporto dialettico proprio della politica possa scongiurare pericolose involuzioni anti democratiche che creerebbero precedente inquietante nel quadro dei rapporti tra cittadini e stato.

In assenza di risposte alle presenti considerazioni riteniamo i rappresentanti istituzionali sopra richiamati, direttamente e personalmente responsabili di qualsiasi atto di violenza che potrà avvenire in Valle di Susa in merito all’apertura del cantiere della Maddalena.Ci riserviamo in tal senso di adire tutte le vie legali per la salvaguardia dei cittadini da noi rappresentati e per eventuali imputazioni di responsabilità sugli eventi occorrendi.

Chiomonte Lì 06.Giugno.2011

Per il Coordinamento Liste Civiche Valsusa

Il coordinatore

(CASEL Luigi)

http://www.violapiemonte.org/2011/06/08/notav-comunicato-stampa-liste-civiche-valsusa/



Trent'anni fa la tragedia di Alfredino, 60 ore di agonia sotto gli occhi degli italiani.


Roma - (Adnkronos) - Sono passati quasi trent'anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumò passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali. Il bimbo di sei anni rimase imprigionato in un pozzo artesiano profondo 30 metri. Anche Sandro Pertini andò sul posto per rincuorare il bambino. Ma qualsiasi tentativo di salvarlo si rivelò inutile.

Roma, 7 giu. - (Adnkronos) - Sessanta ore di agonia in un pozzo artesiano profondo 30 metri, destinato a diventare la tomba del piccolo Alfredino Rampi, di appena sei anni. Sono passati quasi trent'anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumo' passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali.

Sono le 19 del 10 giugno 1981 quando il padre del piccolo Alfredo, allarmato dall'assenza del figlio, chiama la polizia. Gli agenti, arrivati sul posto, si rendono subito conto della situazione: le urla di Alfredino provengono da un'apertura circolare del terreno, con un diametro di appena 30 centimetri. Un pozzo artesiano, tra le cui pareti che sprofondano per circa 30 metri si trova incastrato l'esile bambino.

Il telegiornale da' subito la notizia, intanto i vigili del fuoco tentano di tenere sveglio il piccolo. Con il passare delle ore ci si rende conto che liberarlo e' tutt'altro che facile, visto che i tradizionali mezzi di salvataggio si rivelano inutili. La disperazione cresce mentre arrivano sul posto tecnici e speleologici, ma senza alcun esito. Allora si comincia a tentare l'impossibile, si domanda l'aiuto di contorsionisti, nani, circensi, fantini: il risultato non cambia, tutti inesorabilmente falliscono, risalendo in superficie con ferite, escoriazioni e mani vuote.

La vicenda comincia a rimbalzare da un tg all'altro, entra prepotentemente nelle case degli italiani diventando un vero caso mediatico: la sera del 12 giugno 28 milioni di telespettatori restano incollati al video a seguire la tragedia del bimbo, le cui grida sono amplificate da un microfono calato giu' nel cunicolo.

Tra i tanti tentativi di salvare Alfredino, quello di Angelo Licheri, 37 anni, ex tipografo di origine sarda, che, complice il suo fisico minuto da contorsionista, si impegna nella missione impossibile di andare a prendere il bimbo nelle viscere della terra. Licheri si fa legare per i piedi e si fa calare a testa in giu' a una profondita' di trenta metri nel pozzo artesiano.

L'obiettivo, che poi risultera' vano, e' tentare di imbragare il piccolo e portarlo su. Licheri ci va vicinissimo, ma fallisce. Quando torna in superficie scoppia in un pianto dirotto. Da quell'esperienza Licheri non si riprendera' mai piu'. Per dimenticare trascorrera' anche una lunga permanenza in Africa.

Quando fallisce il tentativo di Angelo Licheri, si provano altre strade, sempre sotto la direzione dell'ingegner Elveno Pastorelli che coordina i soccorritori. Si cerca persino di scavare un pozzo parallelo per raggiungere piu' facilmente il piccolo, ma quanto piu' la trivella perfora il terreno, tanto piu' Alfredino sprofonda nel pozzo, sempre piu' esangue e disperato.

Intanto giungono a Vermicino decine e decine di persone, compreso il presidente della Repubblica di allora, Sandro Pertini, che tenta di rincuorare personalmente il bimbo, incitandolo a resistere. Ma la gravita' della situazione peggiora di ora in ora e ogni tentativo di salvataggio, anche il piu' rocambolesco, si spegne nella completa e totale inutilita'. Il fango all'interno del cunicolo, il terreno duro da penetrare, la confusione, l'impreparazione, la sfortuna, la fretta, tutto contribuisce a decretare la sconfitta.

La mattina del 13 giugno l'Italia si arrende al falllimento: dopo 60 ore di agonia, trasmessa in diretta a reti unificate, l'annuncio e' del conduttore del Tg1, Massimo Valentini. In lacrime il giornalista comunica che il corpo di Alfredino e' scivolato giu', sprofondando per 26 metri in fondo a quel pozzo nel quale sono rimaste sepolte anche le responsabilita', mai accertate, di chi lo lascio' scoperto. Ponendo fine per sempre all'allegra corsa di un bimbo di sei anni, che giocava tranquillamente in un prato.




MAURIZIO CROZZA - Ballarò 07/06/2011 - Siamo tornati indietro di 20 anni.




Trapani, la diocesi locale di monsignor Miccichè sotto inchiesta dal Vaticano










Due fondazioni della Curia sono finite nel mirino della Guardia di Finanza per un buco nel bilancio. C'è di pi§ l'autista dello stesso monsignore che sarebbe imparentato con una famiglia mafiosa locale

L’ultima volta era successo nel 1985 nella diocesi di Nicosia, in provincia di Agrigento. Ora, dopo più di trent’anni, il Vaticano è tornato di nuovo a inviare ispezioni ufficiali nelle periferiche diocesi siciliane. Proprio oggi infatti è stato reso noto che Papa Benedetto XVI ha nominato MonsignorDomenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e componente di spicco della Cei, ispettore della diocesi di Trapani. In linguaggio canonico si chiama “visitatore apostolico”. In realtà Mogavero è un vero e proprio ispettore mandato dalla Santa Sede per indagare e fare luce su i tanti punti ritenuti oscuri nella gestione della Curia trapanese, che dal 1998 è guidata da Monsignor Francesco Miccichè. “Le mie funzioni – ha dichiarato il neo visitatore Mogavero – saranno di tipo istruttorio. Dovrò fare luce su una serie di fatti poco chiari nella diocesi trapanese e riferirne quindi alla Santa Sede”.

Il ruolo di Mogavero sarebbe assimilabile quasi a quello di un commissario, nonostante al momento Miccichè rimarrà al vertice della Curia trapanese. Gli ambienti vaticani hanno mantenuto il massimo riserbo su quali “fatti poco chiari” abbiano portato Ratzinger a inviare Mogavero come “visitatore”, e quindi commissario, nella curia trapanese. Quel che è certo è che al decreto d’ispezione chiesto dal cardinale canadese Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il Vaticano è arrivato soltanto dopo un accurato lavoro di indagine istruttoria condotto da Monsignor Giuseppe Bertello, delegato del Nunzio Apostolico per i rapporti tra la Santa Sede e le diocesi. Le informazioni raccolte da Bertello in pratica non hanno lasciato scelta: a Trapani bisognava per forza mandare un ispettore.

La diocesi più occidentale della Sicilia in effetti negli ultimi tempi ha destato più di un interrogativo. Dallo scorso febbraio infatti la locale sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza indaga sulla gestione finanziaria di due fondazioni della Curia: la Auxilium e la Antonio Campanile. Dopo alcuni articoli del quindicinale L’Isola sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle sono finite le pratiche di fusione delle due fondazioni nel 2007: nei bilanci della Curia infatti si sarebbe creato un “buco” di oltre un milione di euro. Miccichè dichiarò di essere all’oscuro dell’indagine in corso declinando qualsiasi tipo di accusa. E’ lui che però, in qualità di presule della città delle saline, ricopre di diritto l’incarico di presidente delle due fondazioni.

L’Auxilium, in particolare, è una delle più importanti realtà socio assistenziali della Sicilia dato che, disponendo di un gande istituto psico-pedagogico e di un grosso centro fisioterapico in cui lavorano oltre 300 persone, può contare su una convenzione con l’Asp di Trapani del valore di oltre 5 milioni di euro di rimborso all’anno. Dal 2009 tra l’altro il vescovo di Trapani ha nominato procuratore dell’Auxilium l’ex dipendente regionale Teodoro Canepa che è anche suo cognato, avendone sposato la sorella Domenica. Su questo il Nunzio Apostolico Bertello deve aver lavorato prima d’inviare la sua relazione alla Congregazione per i Vescovi. Ma non solo. Nel fascicolo che ha convinto il cardinale Oullet e sua santità Benedetto XVI a mandare qualcuno a Trapani per capire cosa stesse succedendo, ci saranno forse anche alcune lettere spedite in passato da alcuni ignoti fedeli addirittura al Cardinale Tarcisio Bertone. Missive anonime in cui si accusa Monsignor Miccichè d’intrattenere pericolose relazioni con tale Orazio Occhipinti. Sulla carta si tratterebbe soltanto del suo autista. Ma secondo gli autori degli scritti anonimi il potere di Occhipinti proprio in seno alla fondazione Auxilium sarebbe notevole, anche in virtù del suo pedigree di provata fede mafiosa. Occhipinti infatti è erede della famiglia mafiosa di Dattilo, un piccolo comune del trapanese, sterminata negli anni ’80 dopo che suo padre Vito e suo zio Antonino furono trucidati durante la guerra tra le varie fazioni affiliate a Cosa Nostra. Una segnalazione – quella fatta dai fedeli anonimi – che se provata potrebbe aver infastidito molto le alte gerarchie ecclesiastiche.

L’interesse della Santa Sede nei confronti della Curia di Trapani si è accesso anche in relazione alla gestione pastorale della diocesi da parte di Miccichè. L’attenzione sarebbe infatti puntata anche sulla recente promozione da parte di Miccichè di un sacerdote, accusato nei primi anni ’90 di aver celebrato clandestinamente il funerale di un mafioso, ucciso in uno scontro a fuoco mentre era latitante. Una situazione quindi molto complessa quella che si presenta nella diocesi trapanese. Situazione sulla quale dovrà da oggi indagare monsignor Mogavero, che oltre ad essere presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della Cei, ha anche un’esperienza triennale alla guida della vicina Curia di Mazara del Vallo. Una conoscenza pregressa della difficile realtà trapanese che sicuramente gioverà all’incarico del neo ispettore. L’incarico di visitatore apostolico tra l’altro non ha alcuna scadenza. Mogavero potrà in pratica disporre tutti gli accertamenti che riterrà opportuni, riferendo l’esito alla Santa Sede, senza alcun limite di tempo. Toccherà poi al Vaticano decidere se e quali operazioni compiere nella Curia di Monsignor Francesco Miccichè.



martedì 7 giugno 2011

Sesto Potere: Internet siamo noi. - di Layla Pavone



Ultimamente, quando mi soffermo a riflettere su questa nuova aria di “Risorgimento” che si respira nel nostro Paese da qualche mese a questa parte, mi torna in mente un libro, che risale ormai al 2004, dal titolo “The wisdom of crowds” scritto da James Surowiecky.

Il libro sostiene una tesi che, a suo tempo, non venne condivisa da tutti e cioè che le idee migliori arrivino non dai grandi geni ovvero da personalità eccezionalmente straordinarie per il loro pensiero o le loro azioni, bensì dalla “saggezza dei popoli”.

Attraverso vari casi esemplificativi relativi ad eventi e fenomeni, Surowiecky dimostra come siano quattro le condizioni fondamentali che possono portare un’idea, un progetto, un’iniziativa al pieno compimento ed al successo: l’indipendenza, la diversità delle opinioni, la decentralizzazione e il modo con cui si aggregano e si organizzano i risultati.

E’ evidente come, oggi più che mai, lo sviluppo delle nuove tecnologie, del cosiddetto Web 2.0, dei social network, renda molto più chiara e difficilmente confutabile la tesi dell’autore del libro. Internet è l’elemento chiave che dà forza alle idee e alle persone. Stiamo tutti contribuendo alla rinascita di una coscienza civica, alla ricerca di una “verità condivisa e collettiva”, totalmente in antitesi con i concetti filosofici dell’individualismo e del relativismo che sembravano ormai permeare totalmente la nostra società. Internet siamo Noi, il Sesto Potere.

Io credo sinceramente che tutti gli ambienti di relazione sociale e di condivisione delle informazioni online, rappresentino concretamente e confermino come i quattro elementi: indipendenza, diversità, decentralizzazione ed aggregazione, siano alla base di questa presa di coscienza e di questa straordinaria volontà collettiva di cambiare lo “status quo” e di recuperare, attraverso l’impegno, la fiducia, la collaborazione, la partecipazione e la ricerca di nuove soluzioni, la speranza per un futuro migliore.

Di questo si sta discutendo anche a New York in questi giorni, in occasione del Personal Democracy Forum.

E’ grazie a Internet che è partita la rivolta egiziana. Così anche negli altri Paesi del Nord Africa la Rete è stata un “collante” fenomenale per aggregare fisicamente giovani e meno giovani e renderli consapevoli della forza delle loro idee (qui trovate l’intervista esclusiva fatta a Wael Ghonim, il ragazzo che ha “innescato” la miccia della rivoluzione egiziana attraverso Facebook).

Ora, pur essendo il nostro un Paese anziano dal punto di vista anagrafico, oltretutto “TVcentrico”, mediaticamente parlando, e quindi passivo; pur scontando ancora il cosiddetto “digital divide” (sono online circa 25 milioni di utenti ma manca all’appello ancora una buona metà di italiani che ancora non utilizzano la Rete), Internet sta finalmente dimostrando come la possibilità di esprimere le proprie idee liberamente, da qualunque parte provengano, facendole convergere in luoghi di aggregazione, senza filtri e condizionamenti di sorta, possa contribuire a cambiare le sorti anche della nostra bella Italia.

Proprio nel periodo in cui festeggiamo i 150 anni di Unità Nazionale, cominciamo a riassaporare il valore dell’indipendenza, della libertà di espressione che, unite alla partecipazione e alla volontà di collaborazione, possono realmente e concretamente fare la differenza ed il bene della nostra Nazione. Lo abbiamo potuto toccare con mano durante le recenti elezioni amministrative per le quali Internet ha fatto la differenza e speriamo possa accadere anche per i prossimi referendum, e la farà sempre di più, anche pensando alla Rai che ieri ha deciso di eliminare una trasmissione come Annozero dal palinsesto, nonostante i grandi numeri in termini di audience e gli importanti ricavi pubblicitari che generava.




Ecomafie, “Serve una normativa urgente Nei dati ufficiali i veleni nemmeno esistono”. - di Claudia Campese


Presentato il rapporto 2011 di Legambiente. Quasi trecento clan impegnati in 30mila illeciti accertati. Per un business da più di 19 miliardi di euro. In testa alla classifica ancora il Sud, ma il fenomeno è in espansione in Lazio e Lombardia. L'associazione denuncia: “Sui rifiuti le cifre del ministero sono sballate”

Il traffico illecito di rifiuti? Il ministero dell’Ambiente non ne sa nulla. Nei suoi dati ufficiali, i veleni non esistono e l’Italia gestisce anzi più immondizia di quanti ne produca. E nel Paese, intanto, si fa largo la “strada dell’ecomafia”, un’immaginario percorso da Reggio Calabria a Milano coperto da più di 80mila tir carichi di rifiuti illeciti. Quelli che ogni giorno circolano in Italia o vengono esportati inCina, per poi rientrare sotto forma di giocattoli o attrezzi. Ma sono anche gli spazi, grandi come 540 campi da calcio, occupati dalle abitazioni abusive del Paese. “Come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio”. Si tratta solo di una piccola parte del quadro ricostruito nel rapporto annuale diLegambiente sulla criminalità ambientale, ma che non figura nei rapporti dell’organo di ricerca del dicastero guidato da Stefania Prestigiacomo. Un business da più di 19 miliardi di euro solo nel 2010, in mano a quasi 300 clan. “Fenomeni che continuano a diffondersi senza incontrare adeguate resistenze – spiega Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità dell’associazione -, approfittando di gravi sottovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi”. Un’espansione “sempre più insidiosa” anche per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo cui “su tali fenomeni la vigilanza istituzionale deve essere particolarmente attenta per evitare pericolose forme di collegamento tra criminalità interna e internazionale, distorsioni del mercato e rischi per la salute dei cittadini”. Eppure l’Italia è ancora carente di una normativa adeguata, denuncia Legambiente. Un “piccolo passo positivo”, secondo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, è stato fatto “con il coinvolgimento della Direzione nazionale antimafia con competenze specifiche in materia di rifiuti”. Dall’altro lato, però, ricorda ancora il procuratore, il ministero dell’Ambiente ha approntato il sistema Sistri per il trattamento dei rifiuti – utile a registrare i passaggi dal produttore allo smaltitore – che “non è ancora operativo per una serie di rinvii”.

In una situazione in cui la cattiva gestione dei rifiuti e il ciclo del cemento assorbono la metà degli illeciti ambientali compiuti in Italia, il governo è fermo al 1997. Quando, spiega nel dossier Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, è stata fatta la prima proposta di inserimento dei reati ambientali nel codice penale. Negli anni è arrivato solo un timido schema di decreto, osteggiato da Confindustria e che comunque non accoglieva i dettami delle direttive europee in materia. Che “chiedono sanzioni efficaci, proporzionate, dissuasive”, precisa Dezza. Al momento, invece, “per il reato di discarica abusiva e omessa bonifica l’ammenda sale da 2.600 euro a 26.000 – aggiunge il presidente -, per una cava abusiva o l’inquinamento dell’aria al massimo si arriva a 1.032 euro, per lo sversamento in corpi idrici di acque reflue industriali l’ammenda raggiunge i 52.000 euro. Mentre non si prevede nulla per i reati relativi al ciclo del cemento”. E la carenza normativa è evidente anche nell’assenza di organi istituzionali in possesso di dati ufficiali e verificati. Comel’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero dell’Ambiente. Secondo le indagini dell’istituto, in Italia non esisterebbe nessun giro illegale di rifiuti: un dato che si basa su autodichiarazioni delle ditte, fa notare Legambiente. Anzi, per il Sipra, vengono gestite 4,6 tonnellate di rifiuti in più di quelli che si producono. Una cifra che non è sballata dall’import di scorie altrui, ma da un metodo di raccola dei dati – sconsigliato dalla Ue, si dice nel dossier – che favorisce il rischio di duplicazione dei dati nei passaggi intermedi della vita del rifiuto: dalla raccolta allo stoccaggio, o riciclo. Insomma, i conti non tornano e in mezzo ci si perde la fetta illegale. “Sarebbe stato, invece, importante che l’Istituto fornisse i dati sulla quantità di rifiuti pericolosi effettivamente gestiti, un dato da sempre mancante”, si denuncia nel dossier.

Se resta difficile capire il volume reale dei traffici ambientali illegali, sicura è invece l’associazione riguardo ai responsabili. Circa 300 clan – venti in più rispetto al 2009 – con la collaborazione necessaria di “un esercito di colletti bianchi”. Personaggi con un “ampia disponibilità di denaro linquido da una parte – spiega Fontana -, competenze professionali e società di copertura dall’altra”. Per un volume di affari che solo nel 2010 è stato di 19,3 miliardi di euro, comunque in ribasso di 1,2 miliardi rispetto al 2009. Una fortuna costruita su più di 30mila illeciti accertati: 7,8 per cento in più rispetto al 2009. Una cifra che, rapportata al quotidiano, significa più di 84 reati al giorno, 3 e mezzo ogni ora. Tra questi, quasi la metà sono rappresentati dallo smaltimento illegale dei rifiuti e dal ciclo del cemento: i primi in crescita del 14 per cento rispetto allo scorso anno, i secondi in diminuzione a causa della crisi, ma solo di poche centinaia di interventi. L’“attuale abusivismo edilizio non è frutto di necessità e attacca le aree a maggior valore aggiunto”, si spiega nel dossier. L’altra metà delle violazioni ambientali è invece formata dal traffico internazionale di specie animali e vegetali, alterazioni agroalimentari, incendi dolosi. In cima alla non lusinghiera classifica ci sono ancora una volta le regioni con un tradizionale radicamento mafioso: prima tra tutte la Campania – con il 12,5 per cento del totale nazionale degli illeciti -, seguita da Calabria,Sicilia e Puglia. La loro incidenza è però diminuita. Frutto del contributo delle regioni del nord ovest, prima tra tutte la Lombardia: cresciuta rispetto allo scorso anno dal 9,8 per cento degli illeciti nazionali al 12 per cento.

Il 2010, riporta il dossier, è stato un anno record per le inchieste sul traffico dei veleni. Ogni ora e mezza, in Italia, viene compiuto un illecito relativo allo smaltimento dei rifiuti, per un totale di 6mila violazioni lo scorso anno. Circa 2 milioni le tonnellate di immondizia sequestrate in 12 delle 29 inchieste condotte. Di non tutte sono disponibili i dati, spiega Legambiente, e di certo si tratterebbe solo di una parte dei reali traffici nel Paese. In cui sono cambiate le rotte, “sempre più circolari, coinvolgendo tutte le regioni, con l’unica eccezione della Val d’Aosta e proiettandosi pure su scala mondiale”. Un business sempre più internazionale, con 10 inchieste condotte nel 2010 che hanno coinvolto 15 Paesi tra Europa, Asia e Africa. “Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, un percorso tipico – spiega Legambiente -. Cinque, sei, sette passaggi per ogni carico, questa è la regola”. Gli scarti di plastica e carta sono diretti soprattutto in Cina, mentre i rottami ferrosi in Africa. “Escono rifiuti, entrano prodotti finiti”, ricorda l’associazione, come giocattoli o oggetti, spesso sequestrati perché tossici. La tecnica classica per coprire gli illeciti è quella del ‘giro bolla’: falsificare i codici che accompagnano gli scarti, così da rendere legale quello che non lo è. Almeno sulla carta. “I codici più esibiti dai trasportatori sono quelli relativi a materie prime seconde o imballaggi – si legge nel rapporto -, spesso solo un trucco per nasconde il traffico illegale di sostanze molto velenose”. Nello scorso anno l’Agenzia delle dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti e sequestrato nei porti italiani più di 11 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi. Più del doppio rispetto al 2009. Di queste, il 16 per cento riguarda ad esempio pneumatici fuori uso. Ogni anno, secondo le stime ufficiali, ne spariscono dalla contabilità 80mila. Più di 800 campi da calcio, in parte ritrovati in 1250 discariche abusive. Quando non vengono rivenduti nei mercati illegali o usati per bruciare altri rifiuti, più pericolosi. “Come nel Parco dell’Alta Murgia – racconta, il documento – dove uno di questi siti illegali era stato preparato come una torta: sotto l’amianto, poi scarti di varia tipologia e sopra i copertoni da bruciare”. Una perdita economica per lo Stato di 140 milioni di euro l’anno per il mancato pagamento dell’iva sulle attività di smaltimento e vendita illegale, senza contare i soldi spesi per lo smaltimento dei siti illegali smaltimento. A guidare la classifica delle regioni più esposte è ancora una volta il sud ma, dopo il Lazio al quinto posto, a soprendere è il negativo balzo in avanti della Lombardia: passata dal quattordicesimo posto del 2009 al sesto dello scorso anno. Colpa della “intraprendenza delle famiglie, soprattutto calabresi, nell’intera provincia milanese”, spiega Legambiente.

Una classifica in parte diversa quella che riguarda invece il ciclo del cemento. Con una media di 19 violazioni accertate al giorno nel 2010. Illeciti che riguardano in gran parte l’abusivismo che, lo scorso anno, è cresciuto al ritmo di più di 26mila casi gravi, secondo le stime del Cresme, istituto di ricerce specializzato nell’edilizia. Con 18mila nuove abituazioni costruite non a norma, mentre gli altri casi riguardano gli ampliamenti e i cambiamenti di destinazioni d’uso compiuti illegalmente. “Questa prassi devastante – denuncia Legambiente – rischia di trovare legalizzazione nelle premesse di condono degli esponenti politici della maggioranza di governo. Dallo stesso Berlusconi, a Napoli, in appoggio al candidato sindaco Lattieri”. Quando il premier, in vista delle elezioni amministrative, ha promesso lo stop agli abbattimenti delle costruzione abusive a Napoli. Ma il ciclo del cemento riguarda anche il calcestruzzo depotenziato: il cemento scadente usato per costruire, ad esempio, una serie di palazzine di edilizia popolare a Campagna, in provincia di Salerno, “destinate alle vittime del terremoto del 1980”. E sequestrate nei primi giorni di aprile. Ma la Campania, storicamente in testa alla classifica, quest’anno è stata superata dalla Calabria, dove gran parte degli illeciti riguardano gli appalti per l’autostrada. Non solo maxi inchieste, sottolinea l’associazione, nel settore sono diversi i segnali della criminalità nei cantieri autostradali. “E’ ottobre 2010 il mese più nero”, spiegano, quando si sono registrate la maggior parte delle intimidazione, dei furti, del ritrovamento dei finti ordigni. Al terzo posto è invece il Lazio, dove dal 2004 al 2009 si sono compiuti una media di 20 illeciti edilizi al giorno. “Il 22 per cento di questi – si specifica nel dossier – si concentra nei 23 comuni costieri della regione, in aree vincolate paesaggisticamente”. Resta invece prima tra le regioni del nord la Lombardia, ottava nella classifica generale. A preoccupare di più, però, è il fenomeno della costruzione delle case in zone ad alto rischio idrogeologico. In Calabria, dove tutti i comuni hanno delle aree a rischio, che ospitano torrenti e fiumare, il cemento abusivo ha coperto l’anno scorso gran parte della costa, facendo registrare un abuso ogni 100 metri. Si tratta di più di 5mila illeciti in tutta la regione e, tra questi, circa 2mila nella sola provincia di Reggio Calabria. E non va meglio in Campania dove, secondo il Cnr, frane e inondazioni hanno ucciso più di 600 persone dal 1950 al 2008. Eppure nella regione, in dieci anni, sono state costruite 60mila case abusive: 6mila all’anno, 16 al giorno.