giovedì 16 giugno 2011

La “mission impossible” di Angelino e Giulio.

Dopo le recenti disavventure il PdL cerca di correre ai ripari nominando Alfano alla segreteria e “strattonando” Tremonti sul fisco, ricevendo per questo consensi dal vertice, qualche mugugno fra i colleghi e molte perplessità fra i commentatori politici. E anche noi, semplici uomini della strada, abbiamo le nostre.

Questa volta non si tratta di un film d’azione anche se la similitudine potrebbe essere calzante. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di ridare smalto al partito dopo le recenti debacle di elezioni e referendum attraverso due mosse ad effetto. Diversa organizzazione e riforma fiscale. E Alfano, i numeri per fare bene li ha tutti, anzi è proprio l’uomo perfetto per questo ruolo. Ha un’esperienza politica importante maturata in ambienti democristiani, ha frequentato personaggi per così dire poco puliti, questo almeno dicono “La Repubblica” e “Wikipedia”, e poi è un fedelissimo del Cav, un “libero servo” come dice Ferrara, attitudine che ha ampiamente dimostrato durante il mandato di Ministro della Giustizia promulgando i famigerati provvedimenti “ad personam” a favore del Presidente e manifestando, al contempo, il massimo disinteresse per la cosa pubblica, per la giustizia che riguarda i cittadini comuni insomma. Massima ubbidienza quindi, devota e assoluta, la stessa ubbidienza che Galli della Loggia sul “Corriere” identifica come causa principale della mediocrità imperante del direttivo del PdL. In altre parole un curriculum perfetto.

E ancora sul “Corriere” è lo stesso Alfano ad indicare i punti su cui lavorerà ripetendo, quasi a memoria, ciò che il Cav. aveva già precedentemente fatto capire. Non sarà in altre parole un lavoro di facciata, ma non sarà neppure una rivoluzione, piuttosto una evoluzione. D’altro canto, continua Alfano, le cause del disastro sono da attribuirsi alla normale sfiducia verso l’esecutivo di governo impegnato ad arginare la forza travolgente della crisi mondiale, in copione già noto anche in altri paesi, il resto, aggiungiamo noi riassumendo i commenti dei più autorevoli esponenti del partito, è solo discredito dei media, cattiva comunicazione, candidati sbagliati, stupidità degli elettori e perfino la guerra di Libia.

Ma questa volta qualcosa è cambiato davvero, i cittadini hanno, per così dire, “mangiato la foglia”, e gli ultimi quindici anni di palazzo Chigi hanno sviluppato il vaccino, questo è il punto, nel senso che gli italiani hanno finalmente capito che il PdL ha nel suo DNA una serie di anomalie incompatibili con la democrazia, come lo stesso Montanelli aveva evidenziato dalle colonne della “Voce” già nel 94 e come altri media internazionali hanno successivamente ribadito più volte, ricordiamo su tutti il memorabile numero dell’Economist del 2001. Anomalie, come si diceva, che si possono sostanzialmente riassumere in due punti, il conflitto di interessi che porta una persona ricca a curare i propri affari prima di quelli della collettività, e le narcisistiche smanie di potere di un “uomo dei miracoli” narcotizzato da un “ego” sfrenato, perfetto per cavalcare il populismo di mussoliniana memoria. Il PdL ruota solo ed esclusivamente attorno al suo fondatore, significante e significato del partito dove, scriveva ancora Montanelli, “non ci sono idee, solo interessi” di un imprenditore, aggiungiamo noi, padrone assoluto della comunicazione, cioè la spina dorsale delle moderne democrazie.

Sono queste contraddizioni che hanno portato alla progressiva degenerazione del sistema, un parossismo del resto inevitabile per poter sopravvivere, ma che i cittadini hanno aborrito. E non poteva essere diversamente perché i metodi della gestione di un’impresa, così cari al Cav. sono lontani anni luce da ciò che invece è necessario nella gestione di un paese, che, guarda caso, vuole anche definirsi democratico. Se aggressività, decisionismo, opportunismo, potere, ubbidienza, scarsa trasparenza, interesse privato, annientamento della concorrenza, uso ed abuso della pubblicità possono essere accettati in ambienti imprenditoriali dove, molto spesso, il “fine giustifica i mezzi” e “chi comanda ha ragione”, in democrazia le regole si declinano in modo diverso e pretendono rispetto, moralità, mediazione, verità, etica, trasparenza, dialogo, interesse collettivo, senso dello stato, il fine insomma non giustifica assolutamente i mezzi. Mai. Per questo i cittadini non hanno gradito la delegittimazione, la violenza del metodo Boffo e Sallusti, le leggi “ad personam”, l’ossessione verso i giudici, la giustizia a due velocità, la pretesa di uno sfacciato diritto all’impunità, l’odio verso i diversi, zingari, mussulmani, omosessuali, immigrati, per non parlare poi dei comunisti e forse anche gli ebrei. E non hanno gradito neppure la caduta della politica divenuta uno sguaiato insieme di spot pubblicitari, sensazionalismo, slogan venduti come un detersivo da imbonitori pronti a qualunque mercimonio pur di salvaguardare nepotismo e interessi personali. Tutto questo per nascondere la pochezza della realtà.

Ma, caro Angelino, per raddrizzare la rotta ci vuole ben altro che una semplice “evoluzione”, non sono sufficienti le moltitudini osannanti del popolo dell'amore al grido di "menomale che Silvio c'è" e, ormai vaccinati, anche noi, semplici “uomini della strada” siamo in grado di distinguere chiaramente la mistificazione dalla realtà, nonostante la propaganda asfissiante della “piovra mediatica”. Forti di questa “corazza” non crediamo neppure all’ennesima bugia della riforma fiscale che, seppur controvoglia, Tremonti sta studiando. Da anni paventata, annunciata, propagandata è sempre stata la Cenerentola delle riforme, comunque mai realizzata, anzi in verità neppure seriamente proposta, nonostante la palese immoralità della situazione attuale, come già più volte affermato dallo stesso Tremonti. E non per caso, ma per preciso calcolo politico, perché recuperare l’evasione fiscale, vero obbiettivo della riforma, significherebbe “penalizzare” quella parte di elettorato in maggioranza orientato a destra, significherebbe impedire il saccheggio nei confronti di un pezzo onesto del paese, i lavoratori dipendenti, per far pagare chi ruba. (di alfadixit)

http://www.agoravox.it/La-mission-impossible-di-Angelino.html


Veltroni, mea culpa: «Conflitto interessi colpa centrosinistra».


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La legge sul conflitto di interesse non fu fatta perchè «si decise di provare a fare una riforma istituzionale attraverso una bicamerale e quindi fu messa da parte. Su questo non solo faccio autocritica ma dico che addirittura che rimane una delle colpe maggiori del centrosinistra». Lo ha detto Walter veltroni, intervistato da Giovanni Minoli per 'La storia siamo noì. «È passato il tempo necessario per parlarne tranquillamente - ricorda Veltroni - io volevo farla nei primo periodo del governo dell'Ulivo che, per altro, considero uno dei migliori governi della storia repubblicana. Allora - continua - si decise di cercare di fare un'esperienza di riforma istituzionale attraverso la Bicamerale e, quindi, il conflitto d'interesse fu messo da parte».

Uno, cento, mille Brunetta.







Per anni si è detto, soprattutto fra chi si definisce “di sinistra” e ha l’insopprimibile vizio dell’autoflagellazione panizanche noto in psichiatria forense come “spararsi sugli zebedei”, che niente sarebbe mai cambiato perchè nell’opposizione non ci sono leader, idee, proposte, alternative, blah blah. Poi, appena arriva il momento del panico e delle sberle, riaffiorano dai canali di scarico personaggi come Brunetta – colui al qual Venezia fece trombetta (Dante, Inferno, XXI), nelle elezioni comunali – che insolentisce milioni di precari, un partito, in Italia, come l’alieno chiaramente piombato sulla Terra a Roswell chiamato Paniz, quello della “nipote di Mubarak”, o come Stranamore Stracquadanio che insulta tutti i dipendenti pubblici (4 milioni) accusandoli di “non fare un cazzo” (sic). I grandi leader che stanno demolendo l’era Berlusconiana brunetta001ci sono già e si chiamano Brunetta, Stracquadanio, Santanchè, Gasparri, “Guaddro Gaccia” LaRussa, Minzolini, Cicchitto, Calderoli, Trota Bossi, Sallusti, Belpietro e tutti coloro la cui alluvionali apparizioni sugli schermi e le cui esternazioni si rivelano sempre più micidiali per il loro Beneamato. Con un Brunetta al governo, chi ha bisogno di un’opposizione?





Berlusconi teme un nuovo '92. - di Ugo Magri


Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen.

La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta.

A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...».

Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto.

Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe».

Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai».



Milano, a Malpensa business & decessi Scalo sotto inchiesta per “disastro ecologico”. - di Thomas Mackinson


Un documento esclusivo inchioda Sea, la società che gestisce l'aeroporto, per aver messo a rischio la salute di 250mila persone. Nella zona le vittime di malattie respiratorie sono quattro volte di più del resto della provincia. Un altro duro colpo ai piani di espansione dell'azienda in Borsa. E adesso la palla passa alla magistratura


“Disastro ecologico nell’area adiacenteMalpensa, nel pieno Parco del Ticino, dovuto al sorvolo degli aeromobili in decollo”. Una riga che ha il peso di un macigno per chi vive sotto le rotte dello scalo, per i progetti di espansione dell’aeroporto che vuol diventare il grande hub padano e sulla quotazione del gestore Sea che il Comune di Milano ha pianificato in autunno. Grazie a documenti esclusivi raccolti dal fattoquotidiano.it si scopre che l’aeroporto della salvezza in realtà è una condanna per l’ambiente e per le popolazioni che vivono entro un’area di 100 chilometri quadrati, una minaccia per la salute di 250mila cittadini sacrificati sull’altare della ragion politica. La nuova giunta Pisapiadovrà presto farci i conti e intanto i decessi in zona Malpensa per malattie respiratorie sono 4 volte superiori rispetto al resto della provincia.

A definire “disastro ecologico” l’impatto di Malpensa è una nota del ministero dell’Ambiente del 7 ottobre 2010 trasmessa a tutti gli enti con competenze aeroportuali: Regione Lombardia, ente Parco del Ticino, ministeri di Trasporti e Agricoltura. Peccato che quel dossier sia rimasto nel cassetto, forse per non danneggiare l’imminente collocamento del titolo Sea che dovrebbe portare al Comune di Milano un dividendo da 160 milioni, già scritto a bilancio dalla giunta Moratti. La notizia rischia di far saltare l’operazione: dopo gli addii di Alitalia nel 2007 e Lufthansa oggi, chi mai investirebbe su un “disastro ecologico”? Chi comprerebbe azioni di una società che va incontro a milioni di euro di indennizzo?

Alla comunicazione ministeriale è allegata una relazione del Corpo Forestale dello Stato, comando di Varese, che attesta la moria degli uccelli e la desertificazione dei boschi e termina ipotizzando “un’eventuale costituzione di parte civile del ministero dell’Ambiente”. I lumbard sono seduti su una bomba pronta a esplodere in una guerra legale di tutti contro tutti: ministero contro ministero, enti locali contro Sea, comitati contro la Regione.



Da anni si sapeva tutto. Malpensa, disastro ecologico. Eppure c’è chi sapeva tutto e niente ha fatto per impedirlo. Nel 1999 il signor Umberto Quintavalle, proprietario di un fondo di 210 ettari nel Parco del Ticino, ha intentato una causa-pilota contro Sea per danno biologico alla propria terra, desertificata dagli idrocarburi scaricati dagli aerei in decollo. La perizia disposta dal Tribunale di Milano attesta che, nei terreni del parco (protetto dall’Unesco), i livelli di idrocarburi superano la soglia consentita e sono addirittura cinque volte superiori rispetto a quelli del casello di Melegnano (A1), il più trafficato d’Italia. A ottobre 2008 è arrivata la sentenza che condanna Sea a risarcire la proprietà con 5 milioni di euro. La società pubblica è ricorsa in appello con poche speranze di ribaltare un giudizio che, per la prima volta in Italia, riconosce il danno ambientale causato dal sorvolo degli aerei e apre la via ad analoghi procedimenti in altre aeree aeroportuali.

Dal 2008 alcuni studi sulla qualità dell’aria hanno rafforzato poi l’allarme sulla pericolosità di Malpensa per la salute della popolazione residente. Negli ultimi due anni Arpa Lombardia, proprio a seguito della sentenza Quintavalle, ha effettuato numerose campagne di misurazione nei comuni di sedime aeroportuale e ha riscontrato livelli di ozono, idrocarburi, metalli pesanti e particolato superiori alle soglie consentite. Con quali effetti sulla salute lo rivela poi un’indagine epidemiologica della Asl della Provincia di Varese condotta nei comuni intorno allo scalo varesino. Lo studio ha analizzato i dati clinici di 12 anni (1997-2009) e ha registrato un aumento della mortalità per malattie respiratorie del 54,1% e un balzo nei ricoveri ospedalieri pari al 23,8%, contro medie per tutta la provincia del 14 e del 7,8%. Anche un recentissimo studio dell’Università Cattolica di Brescia sulla qualità dell’aria mette in croce Malpensa. Si tratta di in un campionamento dei valori inquinanti con diverse postazioni nei comuni intorno all’aeroporto. I risultati sono stati presentati a maggio e segnalano la criticità raggiunta da alcuni inquinanti cancerogeni come il benzopirene che a Besnate ha raggiunto il livello di guardia. Anche questi dati sono stati ignorati dagli enti preposti alla tutela dell’ambiente e della salute.

Tuttavia l’effetto domino è iniziato. Lo smottamento innescato da Quintavalle ha prodotto una valanga nel resto d’Italia: il 2 marzo il ministero della Salute ha finanziato con 550mila euro uno studio epidemiologico coordinato tra le Asl di Torino, Pisa, Verona, Milano. Roma è esclusa perché Ciampino è già oggetto d’uno studio denominato “Sera”, presentato nel 2009, che conferma la correlazione tra aeroporto ed esposizione a inquinanti acustici e chimici. I risultati arriveranno tra 2 anni ma le conclusioni, visti i precedenti, lasciano poco spazio all’ottimismo. A Malpensa analisi di tal tipo erano previste fin dal 1999, quando un decreto del governo D’Alema dava il via libera all’espansione a condizione che fosse istituito un “Osservatorio permanente” su salute pubblica e ambiente, mai insediato. Ora i nodi vengono al pettine.

Ma chi sono i responsabili del “disastro ecologico”? Fin da Malpensa 2000 Regione Lombardia, Comune di Milano e il governo centrale hanno assecondato il sogno di un grande hub padano e hanno incaricato Sea di realizzarlo, abdicando al loro ruolo di indirizzo e lasciando che un soggetto pubblico si comportasse come un privato, cieco davanti ai profitti (da portare in dote al proprio azionista, il Comune di Milano) e sordo alle richieste dei residenti.

E la storia si ripete con il piano investimenti Sea (2010-2020) da 1,3 miliardi di euro che ruota attorno alla “Terza pista” e che suscita tanti dubbi perché le previsioni di crescita del traffico aereo poste a base del piano risultano sovrastimate: la capacità delle piste attuali supera i 38 milioni di passeggeri/anno quando l’esigenza di oggi non va oltre i 18 e le previsioni per il 2025 i 30. Le stesse compagnie aeree mettono in dubbio l’utilità di una nuova pista: Alitalia e Lufthansa hanno lasciato lo scalo varesino e altri operatori hanno ridimensionato i loro collegamenti. Perfino Confindustria (Assaereo) ha bollato come inutile una nuova pista. E contrari sono anche i comitati delle popolazioni locali che vengono tacciati di “estremismo ambientalista” e ignorati nonostante anni di manifestazioni, banchetti, raccolta firme, appelli e denunce. Sindaci, associazioni ambientaliste, comitati territoriali sono esclusi dal tavolo che decide del loro destino. Chiedono una Valutazione Ambientale Strategica (Vas) che faccia luce sui i rischi connessi al raddoppio del traffico ma senza trovare alcuna disponibilità. Si procederà come sempre, derogando ai piani regolatori e costruendo a suon di varianti urbanistiche. “Nessuna sorpresa. Malpensa è nata come un grande abuso edilizio”, accusa il vicesindaco di Casorate Sempione (Va), Tiziano Marsonconvinto che la 3a pista sia solo un pretesto per requisire altre aree boschive e proseguire lo sviluppo cementizio nel Parco.

Così i comuni di Lonate Pozzolo, Turbigo, Casorate e Nosate si sono rivolti a legali per tutelare ambiente e salute. “Siamo obbligati a farlo, non voglio fare allarmismo ma qui la gente muore”, denuncia il sindaco di Casorate Sempione (Va) Giuseppina Quadrio (Pd) sostenendo che “se le istituzioni non ci danno risposte, ci rivolgeremo alla Magistratura”. Perfino le amministrazioni di centrodestra impugnano i codici: “Sono pronto a far causa a Sea pur di difendere i miei cittadini”, annuncia il sindaco di Lonate Pozzolo Piergiulio Gelosa (Pdl) perché “Malpensa non ha portato ricchezza e benessere come sostengono esponenti del mio partito ma danni ambientali e problemi per residenti e imprese costretti a fuggire altrove”.

Ma Sea e Regione Lombardia tirano dritto verso il potenziamento aeroportuale. Toccherà alla magistratura, ora, fare luce sul “disastro ecologico” e supplire a quel ruolo di indirizzo e controllo che le istituzioni preposte hanno smesso di esercitare.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/16/business-decessi-schianto-malpensa/118423/


mercoledì 15 giugno 2011

Cosmo-Skymed, la spia perfetta Vede tutto e nessuno la controlla.


Un sistema satellitare sofisticatissimo. La cui versione militare arriva a "vedere" dal cielo oggetti di un metro. Il nostro Paese è all'avanguardia e potrebbe servirsi di queste tecnologie a fin di bene. Ma il loro utilizzo è avvolto nell'ombra. Fa capo al Ris, il nuovo servizio segreto militare voluto da La Russa che, però, non ha regole né limiti. E desta non poche preoccupazioni

ROMA - Di giorno e di notte, anche con le nuvole più fitte, loro possono scrutare ovunque: hanno occhi radar che guardano persino attraverso le tempeste di sabbia, fotografando oggetti di 40 centimetri. Sono i satelliti spia italiani, gioielli tecnologici talmente avanzati da sorprendere persino gli americani, stupiti - come evidenzia uno dei cablo inediti di WikilLeaks - nello scoprire che l'Italia dispone di una rete spaziale di sorveglianza militare. A Washington erano convinti che il programma stellare tricolore avesse scopi essenzialmente civili e solo una limitata capacità di spionaggio: invece tutti gli alleati si sono resi conto che Roma stava mettendo in orbita prodigiosi sistemi di intelligence. Ma questi sensori che tutto possono controllare sfuggono invece al controllo delle istituzioni democratiche: sono gestiti da un apparato che fa capo solo ai vertici militari, esterno ai servizi segreti e alla vigilanza del Parlamento. E nessuno sa quali immagini catturino e che fine facciano.

La rete Cosmo-Skymed è uno delle realizzazioni più moderne e costose varata dai governi italiani del nuovo millennio. Per i quattro satelliti già operativi sono stati spesi un miliardo e 137 milioni di euro: una cifra decidamente siderale. Ma si è già deciso di investire altri 555 milioni nei prossimi anni per potenziare la costellazione spia, lanciando in orbita due occhi elettronici ancora più evoluti. Le spese ricadono sulla Difesa, sul ministero delle Attività produttive e su quello dell'Istruzione e Ricerca. Quando i parlamentari discutono di questi fondi non si chiedono cosa si nasconda dietro la sigla "duale": quale è la missione militare che compiono dallo spazio? "Finalità strategiche e tattiche", spiegano i generali senza entrare nei dettagli. Il progetto, nato come Finmeccanica e poi trasferito alla joint venture italo-francese Alenia Thales Space, fa affidamento sulle meraviglie di un radar di bordo che può fotografare mezzo continente, oppure concentrarsi su dettagli "tattici": un'auto, un gruppo di uomini, persino la canna di un pezzo d'artiglieria. Ovunque: nel mondo o anche in Italia.

Ad esempio i Cosmo-Skymed potrebbero concentrarsi sui porti tunisini e libici dove si imbarcano i profughi diretti verso Lampedusa, per lanciare l'allarme su quante navi e quante persone stanno per partire: ci sarebbe così il tempo per cercare di dissuadere gli scafisti intervenendo sulle autorità tunisine o mettere in allarme chi deve soccorrere o accogliere i disperati del Mediterraneo. Ma informazioni del genere ai pattugliatori della Finanza o della Capitaneria non arrivano. Spesso nemmeno i servizi segreti "istituzionali", creati con la riforma del 2007, sanno cosa stiano facendo i satelliti spia, che sono interamente nelle mani della Difesa.

In compenso, a Parigi sanno. I francesi sono rimasti così impressionati dalla potenza dei nostri sistemi stellari da creare un accordo di scambio, tutto tra generali. Loro cedono le foto dei loro satelliti con ottiche tradizionali, in pratica delle evolute macchine fotografiche che funzionano soprattutto di giorno e con condizioni meteo ottimali; noi gli forniamo le immagini dei Cosmo-Skymed, che con i loro radar guardano oltre le nuvole, incuranti della notte. Gli stati maggiori dei due paesi possono così avere una gamma completa di dati. Che tengono per sé, coperti dal massimo segreto.

EQUIVOCO DUALE. Il programma spaziale è "duale", ossia bifronte. C'è una parte civile, con attività che possono servire per molti scopi. In caso di disastri naturali - inondazioni o terremoti - i satelliti riescono a dare un quadro globale della situazione. In qualunque momento il radar riesce a scansire regioni molto vaste - una striscia larga 40 chilometri e lunga fino a 4000 chilometri - mostrando danni e trasformazioni del terreno. Sono stati utilizzati in occasione del sisma in Abruzzo e di quello di Haiti, ma anche per il Giappone. Gli apparati, poi, sono utilissimi in occasione di incidenti ecologici, soprattutto nei casi di inquinamento in mare: evidenziano le sostanze che Si disperdono e le dimensioni del problema. Infine possono servire per monitorare il traffico navale: censiscono i mercantili che affollanno zone di particolare interesse, come gli stretti. C'è poi un'applicazione commerciale: le immagini vengono vendute a privati o enti, per rilievi geologici o per progettare infrastrutture. Nel futuro prossimo potranno fare ancora di più: i due nuovi satelliti saranno in grado di guardare parzialmente sotto il terreno, aprendo prospettive nuove alla ricerca petrolifera ma anche agli studi archeologici.

La componente civile è gestita dall'Agenzia Spaziale Italiana, Asi, la Nasa tricolore che ha finanziato parte del programma Cosmo-Skymed. Tutto passa per il celebre quartier generale abruzzese di Telespazio nella Conca del Fucino, che con le sue colossali parabole dirige il movimento dei satelliti. I dati vengono poi trasmessi al Centro di Geodesia Spaziale di Matera, che li rende disponibili per gli enti o i privati. Ma si tratta di immagini a bassa risoluzione: sempre superiore al metro. Si può individuare una nave mercantile, mentre in quelle foto un peschereccio diventa poco più di un punto; si vede una villa, non un'automobile.

BASE SPAZIALE RIS.
Soltanto i militari possono selezionare i radar sulla massima risoluzione e scagliare sul terreno impulsi che tirano fuori dettagli fino a 40 centimetri. Jeep, veicoli, ogive di missili o anche gruppi di persone ed automobili. Lo fanno da una base costruita all'interno dell'aeroporto di Pratica di Mare, alle porte di Roma. Si chiama Centro Interforze Telerilevamento Satellitare: un grande compound anonimo dal quale spuntano due antenne. Lì e solo lì arrivano le informazioni delicate, che vengono decifrate e analizzate. E lì si decide come sfruttare al meglio le capacità della rete e coordinarla con quella dei francesi. Il sistema operativo è stato inaugurato nello scorso settembre, con capacità fantascientifiche. I generali possono mandare i satelliti su un obiettivo in qualunque punto del pianeta ogni sei ore, ma nel Mediterraneo il passaggio avviene ogni tre: il bersaglio viene spiato anche otto volte al giorno. Il radar funziona sempre, forando nuvole e oscurità, tempeste e polveri. Alla fine della missione quotidiana se ne ricavano fino a 75 immagini a campo stretto ed alta risoluzione: in gergo la chiamano modalità "Spotlight 1". In una superficie di 45 chilometri quadrati ogni oggetto sarà scansito con dettagli di poco inferiori al mezzo metro. Certo, non si "vedono" singole persone e non si "leggono" numeri di targa, ma la quantità di informazioni raccolte è impressionante: ricostruzioni con elaborazioni tridimensionali, talvolta scrutando anche sotto la chioma gli alberi, che battono qualunque mimetizzazione o tentativo di occultamento. Anche perché il gioco di squadra con i francesi offre la possibilità di arricchire il quadro con foto tradizionali, dove compaiono scritte e dettagli. L'asse Roma-Parigi tesse così una ragnatela di controllo elettronico senza precedenti in Europa.

La passione dei generali per gli acronimi fa subito affiorare l'altra faccia del problema. La base di Pratica di Mare infatti si chiama CITS-RIS, dove la seconda sigla non indica gli investigatori scientifici dei carabinieri resi popolari dalla fiction tv ma l'intelligence militare rimasta ancorata alla riservatezza della Guerra Fredda. Il Ris è l'erede del Sios, ossia i servizi segreti interni alle Forze Armate. Come mostra lo stemma della base, comprende tutti i corpi - aeronautica, marina, esercito e carabinieri - ed è alle dirette dipendenze dello Stato maggiore Difesa: il Ris non risponde a nessuna altra autorità e tantomeno agli organi di controllo del Parlamento.

IL BUCO NERO. Quando, dopo gli scandali dello spionaggio parallelo di Telecom intrecciato agli 007 dell'era Pollari, le Camere decisero di riformare tutti i servizi segreti, quella sigla riuscì a nascondersi nei cavilli della legislazione. Si pensava che fosse destinata a un ruolo marginale: la legge assegnava al Ris "solo compiti di carattere tecnico e di polizia militare". L'attenzione era rivolta soprattutto alle spedizioni internazionali, Libano e Afghanistan, ossia "ogni attività informativa utile al fine della sicurezza dei presidi e delle attività delle forze armate all'estero". Quindi il Ris si dovrebbe limitare esclusivamente alla raccolta di notizie sul campo, lontano dalla madrepatria, cercando di proteggere i soldati impegnati sulla frontiera israeliana o nella regione di Herat. La legge era chiara nell'escludere qualunque attività di intelligence ed esplicitava che non dovesse avere nessuna delle funzioni dei servizi segreti. Lo scopo principale della riforma era proprio quello di affidare il totale controllo degli 007 alla presidenza del Consiglio, togliendo di mezzo le prerogative degli Interni sul vecchio Sisde e della Difesa sul Sismi. Veniva creato un apparato per l'attività informativa interna - l'Aisi - e uno per la sicurezza estera - Aise - diretti dal nuovo Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Dis. Tutto smilitarizzato, tutto civile, tutto con regole nuove che chiudessero una volta per tutte con il passato di misteri e sospetti.

Allo Stato maggiore questo "addio alle spie" non è mai andato giù. E ha trovato un potente alleato in Ignazio La Russa, pronto a invocare la necessità di una intelligence militare autonoma che assista le missioni all'estero. Il ministro lo ha fatto con una serie di dichiarazioni pubbliche alla fine del 2009, poi di fronte alle polemiche, ha scelto il dietrofront: "È stato solo un pensierino natalizio, una cosa buttata lì. D'altronde di queste cose si occupa già una struttura apposita che è il Ris...". E questa frase, che sottolineava il ruolo del Ris, è apparsa come una ritirata tattica, in attesa del momento migliore di tornare alla carica.

GUERRIERI ELETTRONICI. Nel frattempo però i generali hanno potenziato quantitativamente e qualitativamente le attività del Ris, per renderlo pronto ai nuovi conflitti. È stato creato un reparto per le guerre informatiche, le cyberwar, che si combattono in segreto già oggi attaccando le reti informatiche con ondate di virus ed overdose di imput. Sbaragliando i computer, si possono paralizzare aeroporti, linee ferroviarie, banche, enti pubblici, centrali elettriche, centri di ricerca, reti di telecomunicazione: l'Italia appare come un bersaglio fin troppo facile. E i militari sono gli unici che si stanno seriamente preparando a questo scenario, con un battaglione che fa capo al solito Ris. Ma ancora più importante è l'investimento in un altro acronimo, diventato fondamentale nella lotta al terrorismo: Sigint, l'analisi dei segnali elettronici. Ossia di tutte le comunicazioni: il che significa anche conversazioni sui cellulari e scambi di dati su reti telematiche. È la sfida che si conduce tutti i giorni in Afghanistan e in Iraq: riuscire a individuare nel traffico di telefonate la voce o le mail dei capi di Al Qaeda o dei talebani, per localizzarli o anticiparne i movimenti. O per neutralizzare gli apparecchi con cui i guerriglieri fanno esplodere le bombe, che hanno provocato numerose vittime anche tra i soldati italiani. L'ultimo attacco del genere è avvenuto nel Sud del Libano proprio alla fine di maggio. Tutte queste attività dovrebbero essere condotte dal Ris solo all'estero, nel legittimo intento di proteggere e assistere gli uomini che il Parlamento ha spedito nel mondo per costruire e difendere la pace. Ma le esercitazioni per captare e analizzare i segnali avvengono in patria, in basi come quella laziale di Nettuno che nella loro sfera di intercettazione elettronica possono abbracciare gran parte della Capitale.

L'Italia poi ha anche deciso di acquistare due aerei specialissimi, due Grandi Fratelli dei cieli che costeranno 280 milioni di euro. Il prezzo non dipende dai jet - si tratterà di bireattori Gulfstream - ma dalla dotazione di bordo: un sistema chiamato Jamms che cattura e setaccia tutte le emissioni elettromagnetiche, una sorta di Echelon volante. È una spugna di dati, che vengono filtrati secondo infinite chiavi. Possono riconoscere il profilo di una voce, di un singolo telefonino, di una rete wifi: volano e assorbono onde, che decifrano fino a renderle conversazioni o testi di mail. Sono l'arma decisiva per stanare i miliziani islamici: si appropriano delle loro comunicazioni, che si tratti di cellulari o walkie-talkie.

Ma sulle loro missioni in patria di queste macro-spie c'è incertezza. Dovrebbero venire schierati anche nel nostro paese, ad esempio, per dare la caccia ai latitanti di mafia. L'aereo può restare per ore in alto sulla zona dove si ritiene siano nascosti il boss Matteo Messina Denaro o il padrino casalese Michele Zagaria, ascoltando tutto e tutti. Poi quando nell'etere si materializza la voce del ricercato, il sistema di bordo ne individua la posizione e il numero che usa, permettendo di seguirlo o fare scattare la trappola.

FUORI CONTROLLO.
Gli aerei spia dovrebbero essere gestiti in condominio dai servizi segreti e dal solito Ris, che essendo interno alle forze armate ovviamente dispone già di piloti, hangar e tecnici. Ma il dilemma è lo stesso: poiché la legge non prevede che i militari si occupino di intelligence, nessun organismo parlamentare li controlla. Non ci sono sospetti di deviazioni da pare di questo reparto, resta però un problema fondamentale di regole: chi vigila sulle operazioni del Ris? Non sono stare definite regole e limiti per la sua attività. Mentre le informazioni a cui il Ris ha accesso diventano sempre più ampie. Lo dimostra la gestione dello scambio dati sui satelliti spia con la Francia, che non passa attraverso i servizi segreti istituzionali ma avviene tra intelligence militare. O l'accesso diretto del Ris ai dossier degli 007 americani in Afghanistan che - come rivelano i file di WikiLeaks - è stato concesso al ministro La Russa al fine di migliorare l'incisività dei nostri incursori. Tutto top secret.

Delle operazioni di Cosmo-Skymed si sa soltanto che in questi mesi i satelliti spesso scrutano la zona di Tripoli, per scoprire i movimenti delle truppe di Gheddafi. Una missione lecita, rivelata in modo anomalo. Ne ha parlato Marco Airaghi, il "consigliere spaziale" di La Russa e vicepresidente dell'Asi, svelando: "Cosmo-Skymed oggi può essere utilizzato nella sua funzione principe di supporto alle forze armate". La "funzione principe" quindi è quella militare. E gli italiani hanno pagato oltre un miliardo per mantenere nell'alto dei cieli un sistema che tutto controlla senza venire controllato: la spia perfetta.



SPIONI DAL CIELO


Tra il 2007 e il 2010, lo Stato italiano ha speso 1,137 miliardi per acquistare da Thales Alenia Space 4 supersatelliti in grado di "vedere" anche di notte e oltre le nubi oggetti fino a 40 centimetri. Il ministro La Russa li ha affidati al Ris, il servizio militare di nuova istituzione che agisce senza regole e controlli. Nessuno sa cosa "osservano" e chi utilizza i dati.

Costano 300 milioni l'uno. "Leggono" fino a 40 centimetri".

Tutti i dati relativi al sistema SkyMed. I primi quattro satelliti sono costati allo Stato 1,137 miliardi di euro. Sono stati messi in orbita tra il 2007 e il 2010. Altri due entreranno in orbita nel 2015

COSMO SKYMED
4 satelliti con compiti militari e civili. Il primo è stato lanciato in orbita il 7 giugno 2007, l'ultimo il 6 novembre 2010. Altri due satelliti sono stati finanziati: dovrebbero essere immessi in orbita entro il 2015

COSTO
1,137 miliardi di euro per i primi 4 satelliti e tutti i sistemi connessi (775 per i primi 3 satelliti, 116 per il quarto, il resto per i centri terrestri). Altri 550 per i due nuovi satelliti: 190 milioni a carico della Difesa, il resto di Ministero dell'Istruzione e ministero delle Attività produttive.

COSTRUTTORE
THALES Alenia Space (67% Thales- 33%Finmeccanica)

CARATTERISTICHE
I satelliti hanno un radar ad apertura sintetica Sar-2000 in banda X che vede anche di notte e attraverso le nuvole. La rete di satelliti può scattare fino a 1800 immagini al giorno

IMMAGINI
Immagini radar, anche tridimensionali, che quindi possono essere riprese di notte e con brutto tempo. La definizione militare arriva fino a 40-50 cm su un'area di 11 chilometri quadrati; quella civile non è mai sotto il metro. Con risoluzione di 15 metri si può coprire un'area di 40 km di larghezza e 4500 di lunghezza

GESTIONE
Asi per la parte civile, Stato maggiore Difesa per quella militare. Scambio di informazioni militari con la Francia. Accordi di scambio informazioni civili con Argentina e Giappone. Trattative in corso con l'Australia

AUTONOMIA
Previsti cinque anni di servizio dal momento dell'entrata in orbita, si ritiene che la vita operativa possa essere prolungata di altri due anni.