Tristi anche gli avvistamenti di Zappadu, tornato nei pressi di villa Certosa sul luogo del relitto dopo un paio d’anni di assenza: quel luogo un tempo meta di goderecci pellegrinaggi di decine di ragazze, ministre, ballerine, mignotte, menestrelli di corte, pare improvvisamente troppo vasto, smisurato, sproporzionato per quell’omino flaccido e stanco in tuta blu da benzinaio, affiancato da appena due Papi girl sfuggite alla decimazione giudiziaria e piuttosto annoiate. Una mestizia infinita.
L’altro giorno, poi, l’agghiacciante immagine della saletta deserta di un hotel calabrese, una distesa di poltroncine bianche che ascoltano in religioso silenzio la benedizione telefonica del premier: “Pronto! Vi porto il saluto di tutto il governo, un saluto di cuore a tutti!”. Tecnici ed elettricisti che, dopo il raduno ormai concluso della Fondazione John Motta, stanno smontando gli impianti di amplificazione non credono alle loro orecchie quando sentono giungere dall’oltretomba una voce un tempo nota e ascoltata da folle osannanti. “Ma chi è? Un saluto a tutti chi?”. “Ma che, è proprio Berlusconi?”. “Ma sì, è proprio lui”. E giù a ridere. Chi glielo dice, al pover’uomo, che sono andati via tutti? Riconvocati d’urgenza alcuni relatori strappati al buffet, fra cui Nucara, quello che doveva reclutare folle di “responsabili” ma non ne acchiappò nemmeno uno (provvide poi Verdini, coi suoi metodi persuasivi, a scilipotare la fu maggioranza). Neanche Nucara ha il cuore di svelare al premier che è tutto finito, non c’è più nessuno, nemmeno uno Scilipoti. E allora gli passa un tale avvocato John Motta, uno zio d’America che parla come Stanlio e Ollio e ringrazia tanto il Presidente a nome di tutte le poltroncine bianche all’ascolto. Alcuni camerieri, portabagagli e addetti alle pulizie racimolati alla bell’e meglio si spellano le mani per simulare una platea brulicante. E lui, il Presidente Telefonista, parte in quarta col monologo-fiume. S’è anche preparato, poveretto: “Saluto il nostro Gianni Motta che ha cambiato nome in John Mott e dopo una vita difficile ce l’ha fatta…”. Poi, dopo una ventina di minuti, chiude il comizio tutto accaldato: “Viva gli Stati Uniti d’America che gl’italiani, i figli e i nipoti di italiani hanno contribuito a rendere grandi! Viva la Calabria! Viva l’Italia”. Clap clap. Ora Nucara accusa la solita informazione dell’odio di aver manipolato le immagini, ben sapendo ciò che l’attende al rientro a Roma.
Ieri poi il processo Mills: il primo senza scudo, il primo con un testimone – Attanasio – che osa parlargli contro. Fino a un mese fa ogni udienza richiamava folle di tifosi pro e contro. Ieri invece, a parte i giornalisti, alcuni poliziotti in assetto antisommossa e qualche passante incuriosito da cotanto spiegamento, il deserto. Nemmeno un Lassini sfuso, una cugina della Santanchè, nessuno. Stavolta una voce pietosa, forse quella dell’on. avv. Ghedini, ha avvertito l’insolito ignoto: “Presidente, inutile uscire dall’ingresso principale, ci sarebbe un pertugio secondario. Pazienza, è andata così, sarà meglio la prossima”. L’hanno rimasto solo anche lì, quei quattro cornuti.