Tutto questo succede in Provincia di Milano dove il 31 gennaio scorso è ufficialmente partita la procedura di evidenza pubblica per individuare il nuovo Direttore generale dell’Agenzia per la formazione e il lavoro (Afol), l’ente che gestisce gli ex sportelli provinciali del lavoro.
La nomina di Luigi Degan è stata al centro di una doppia partita, durissima, tra maggioranza e opposizione in consiglio e tra correnti dello stesso Pdl al chiuso dellufficio di presidenza. In pratical’affaire Afol ha anticipato lo strappo tra Podestà stesso e i reggenti del centrodestra locale Casero eMantovani, con il primo che avrebbe cercato di imporre a tutti i costi l’uomo di fiducia e gli altri intenzionati a vendere cara una poltrona che vale 130mila euro l’anno per tre anni.
Risultato: un pasticcio su tutti i fronti. Che nella puntata di oggi, grazie all’iniziativa di Matteo Mauri e Ezio Casati (Pd) ha il suo epilogo più divertente e preoccupante con dieci righe che inchiodano Podestà e il suo favorito. Il documento è una scrittura depositata con atto notarile il 9 febbraio scorso, cioé appena aperta la gara per il posto da direttore generale. Il testo non lascia spazio a dubbi: “I sottoscritti consiglieri provinciali Casati e Mauri, informati che Afol Milano ha indetto un bando per la ricerca delle figura del Direttore generale dell’Agenzia, dichiarano di essere venuti a conoscenza che il vincitore sarà il dott. Luigi Degan. (…) Se il nome scelto sarà quello indicato, si manifesterebbe una gravissima violazione delle più elementari regole di trasparenza”.
Un mese dopo, il 4 marzo, il cda di Afol nomina il nuovo direttore: Luigi Degan.
E non è tutto. Perché se nella nomina c’è il trucco, questo sembra avere un pari corrispettivo nei requisiti del bando o nelle credenziali del proponente. Così i consiglieri chiedono formalmente di ottenere tutte le carte utili a verificare le competenze del nuovo dg. Ma gli viene negato. Si rivolgono alPrefetto che impone alla Provincia di mettere a disposizione tutti gli atti. E viene fuori di tutto. Degan risulta persona qualificata, certo, peccato che il suo cv sia stato “gonfiato” ad arte perché avesse i requisiti che altrimenti non avrebbe mai avuto, secondo i consiglieri, per ricoprire quella posizione.
A dirlo non sono solo i detrattori del dirigente ma i suoi stessi datori di lavoro. L’elenco delle esperienze curricolari poi risultate false e mendaci è ora al vaglio della magistratura. Nel mirino finisce la sua esperienza presso il Centro studi Adapt, Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazione industriali, dal 2002 al 2004 e presso Confindustria Bergamodal 2007 al 2011. Queste esperienze, riporta l’esposto, oltre ad essere evidentemente non aderenti al profilo ed ai requisiti di ammissione richiesti, risultano anche non veritiere.
Presso Confindustria, è risultato dalle indagini successive, Degan era un semplice funzionario amministrativo e presso Adapt svolgeva un lavoro di classico “assistente universitario”. Non certo quel ruolo di “coordinamento direzionale di strutture tecnico direzionali” con il quale si è assimilato il lavoro di Degan al requisito del bando nel “vantare una qualificata e pluriennale esperienza, di almeno 5 anni, nel coordinamento direzionale di strutture tecnico gestionali complesse, con poteri di direttiva e spiccate competenze nel ramo del lavoro e della Formazione Professionale”.
A rivelare quanto poco aderente al vero fossero gli incarichi di Degan, si diceva, sono le lettere dei suoi datori di lavoro. Per gli anni dal 2002 al 2004, ad esempio, l’esposto presenta una dichiarazione del Professor Michele Tiraboschi, direttore scientifico di Adapt, in risposta ad una richiesta ufficiale del Presidente della Commissione Garanzia e Controllo della Consiglio provinciale che pur esprimendo apprezzamenti circa il lavoro svolto dal Degan presso Adapt, escluda che questi abbia svolto alcuna attività di coordinamento direzionale di strutture tecnico gestionali complesse con poteri di direttiva e tanto meno di spesa come chiedeva il bando provinciale e attestava il cv del candidato. Adapt al tempo inoltre, per stessa dichiarazione del professor Tiraboschi, era una esile struttura che contava tre dipendenti, alcune collaborazioni e stagisti. Altro che “struttura tecnico gestionale complessa”.
Duro il commento di Matteo Mauri (Pd) che, oltre a svelare il trucco, pone l’accento sui problemi dei lavoratori Afol sui cui si è abbattuta la forbice della Provincia: “Qui c’è in ballo anche la sorte di 27 lavoratori precari di Afol che l’amministrazione guidata da Podestà ha lasciato a casa. Senza dimenticare che una riduzione di personale così elevata sta causando anche grossi problemi al servizio fornito dall’agenzia. Ne hanno fatto recentemente le spese gli insegnati precari che si sono recati nei giorni scorsi negli uffici di viale Jenner per presentare domanda di disoccupazione. Oltre 700 persone hanno fatto la fila sotto il sole. Un vero pasticcio, le cui conseguenze le stanno pagando i lavoratori precari e i disoccupati”.
Insomma, da una parte si regala e dall’altra si taglia.