venerdì 8 luglio 2011

La cattiva commedia quotidiana. - di Gian Enrico Rusconi


E’ facile fare del sarcasmo sulla cacolalia degli uomini al governo, a cominciare dai massimi vertici. Non c’è più pudore nel lasciare libero sfogo alle battute cattive, alle allusioni maligne, ai veri e propri insulti, scrupolosamente riportati dai giornali. Ma viene il sospetto che lo si faccia proprio per i giornali. Come se si trattasse di «intercettazioni» autorizzate, che non hanno bisogno di spioni telefonici. E’ l’intercettazione di governo. («Maurizio, hai sentito quello che sta dicendo? Ma è scemo» dice Tremonti parlando di Brunetta a Sacconi nel fuori onda. «Io non lo ascolto neanche» replica il ministro del Welfare. Dal tavolo di governo partono commenti pesanti. «Questo è il tipico intervento suicida, è proprio un cretino» sibila ancora Tremonti. Poi un tentativo - non riuscito - di interrompere Brunetta con una battuta. I microfoni rimasti aperti smascherano tutto).

Questa pochade cambia aspetto se con il suo stile comunicativo si fa o si intende fare politica. Quando cioè si pensa di poter modificare i rapporti di potere all’interno della maggioranza, del governo o addirittura nei confronti del premier.

Lo scambio di battute, di allusioni, di elusioni, di «gnorri» di Tremonti a proposito della manovra «salva Fininvest» e la replica di Berlusconi, seccata e maliziosa nel far passare il ministro per un «furbetto» che fa finta di non sapere, si collocano in questa logica. Ma non meno significative sono state le reticenze degli Alfano, dei Ghedini e dei Calderoli. Insomma la squadra non ha fatto squadra. O per lo meno ha dato questa impressione. Ma in questo clima l’impressione è più importante della realtà.

E’ la nuova fase del berlusconismo. Quello della tentata transizione al dopo-Berlusconi senza traumi, ma per assestamenti continui che lasciano al Cavaliere l’illusione di guidare, come prima, governo e maggioranza. E intanto lo condizionano da vicino. O ci provano. Lo sta facendo da tempo ormai la Lega, con sfacciato opportunismo. Ottiene assai meno di quello che chiede sempre con toni stentorei e ultimativi. Ma nella cacolalia generale ciò che conta è farsi sentire. E la Lega si fa sentire, in previsione di un possibile dopo-Berlusconi. Ma non farà nulla per provocarlo sul serio. E’ un rischio troppo grosso per il partito di Bossi.

In ogni caso per l’operazione della transizione senza traumi, compresi i dovuti onori di rito al Cavaliere, sono indispensabili due condizioni. La prima sembra acquisita: è l’incredibile impotenza politica dell’opposizione. Il ministro della Cultura Giancarlo Galan ha colto la situazione perfettamente, dicendo a questo giornale che «anche quando noi (della maggioranza di governo) perdiamo, la sinistra riesce a compiere il miracolo di non vincere». E’ inspiegabile che in un Paese che dispone di invidiabili potenziali di mobilitazione, che esprimono una forza comunicativa e simbolica immensa - poi non succede niente. Servono solo a far scrivere, per un paio di giorni, esaltanti commenti giornalistici e pubblicistici che lasciano il tempo che trovano. C’è qualcosa di profondamente enigmatico in una politica che lascia isterilire questi potenziali. O li lascia incattivire.

Al sicuro da possibili alternative politiche - siano esse di sinistra o di nuove combinazioni centriste aperte a sinistra - il gioco del logoramento degli equilibri interni del governo ha una seconda condizione. Cioè che Berlusconi stesso non riesca a controllare questa situazione imprevista. L’atteggiamento da lui preferito ancora ieri nelle sue dichiarazioni è quello di reagire sdrammatizzando i conflitti interni, dichiarandosi vittima di campagne diffamatorie e dipingendo catastrofi imminenti nel caso andasse al governo la sinistra («Nonostante il fango che mi viene gettato addosso, nonostante quello che si vorrebbe decidere nei cosiddetti e fantomatici salotti dei poteri forti, non consegnerò l’Italia a Bersani, Vendola e Di Pietro»).

Ma sino a quando funzioneranno questi argomenti? La situazione economica e sociale rimane pessima, mentre non si vedono credibili strategie di rilancio. Nel frattempo l’Italia è letteralmente sparita dalle sedi decisionali europee che contano. Sulle questioni cruciali della presenza militare dell’Italia in Afghanistan e nel delicato e complicato caso della Libia, lo statista Berlusconi è assente, distratto e preoccupato solo di possibili contraccolpi interni. Non a caso proprio in questi ambiti è micidiale l’azione di logoramento all’interno della maggioranza e del governo (Lega, La Russa, Frattini). Ma il guaio è che l’intera classe politica, oltre a essere scarsamente competente su questi temi, è assai meno sensibile che non sui problemi interni. Ma è proprio in questi settori di alto profilo internazionale che la leadership di Berlusconi è finita. La pochade può ricominciare.



Rai, lo scandalo della Struttura Delta così Berlusconi ha ingannato gli italiani. - di Giuseppe D'Avanzo


L'attività di un sodalizio nel sistema pubblico televisivo per condizionare l'opinione pubblica e controllare tutta l'informazione. Al servizio di un solo uomo. Il presidente della Vigilanza Zavoli: fare chiarezza sulle telefonate inquietanti. Lei: nessun giudizio sommario

I DOCUMENTI sonori che le inchieste di Repubblica/l'Espresso vanno pubblicando nella sezione dedicata del sito dimostrano qualche fatto ostinatissimo.

In Rai, nel sistema pubblico televisivo, è stata all'opera - e nessuno può escludere che ancora lo sia, se solo si guarda a quel che combina ogni sera il direttore del Tg1 - un sodalizio che, al servizio di un solo uomo, proprietario di Mediaset e capo del governo, ha manipolato l'informazione. Ha corrotto il linguaggio. Ha falsificato la realtà. Ha concordato l'agenda dell'attenzione pubblica con il network concorrente. Ha schedato, discriminato e danneggiato i discordi, ovunque fossero in quell'azienda: nelle redazioni, sul palcoscenico, tra i funzionari e dirigenti della Rai.

Il manipolo di infedeli (li si può definire così? O come altro li si può definire?) ha tradito i più elementari principi di correttezza aziendale e, quel che più conta, ha ingannato i telespettatori, i cittadini, l'opinione pubblica.

È questo inganno lo scandalo perché - con un'informazione che nasconde i fatti, li manipola e li confonde, li omette o addirittura li sopprime - la libertà d'opinione viene umiliata, la possibilità del cittadino di formarsi in autonomia una convinzione sullo "stato delle cose" diventa una burla.

A fronte di questo scandalo, è uno scandalo doppio l'indifferenza che vuole nascondere quel che è avvenuto e ancora avviene. Sono di palese evidenza le trascuratezze complici della politica, i silenzi colpevoli degli attori istituzionali. A cominciare dalla magistratura. Per dire meglio, dalla procura di Roma sempre all'altezza dell'antica definizione di "porto delle nebbie".

L'inchiesta che consente di raccogliere le conversazioni del drappello di uomini di Berlusconi al lavoro, nel suo interesse, nel corpaccione della Rai nasce a Milano. S'indaga per una bancarotta fraudolenta. Quando i pubblici ministeri ascoltano quelle conversazioni saltano sulla sedia. La notizia di reato è limpida. Ipotizzano l'abuso d'ufficio, per cominciare. Impacchettano ogni cosa - intercettazioni e brogliacci - e spediscono i documenti a Roma, competente per territorio.

Nella Capitale, l'affare è assegnato al dipartimento della pubblica amministrazione della Procura, diretto dall'"aggiunto" Achille Toro. La toga, oggi nei guai per aver violato il segreto istruttorio a vantaggio dei corrotti e corruttori del "sistema Protezione Civile", è sempre prudente quando in ballo ci sono interessi e destini politici. Lo sarà anche in questo caso. Prima di mettersi in movimento - e nonostante le intercettazioni confermino in modo nitido gli abusi - l'inchiesta s'affloscia in una frettolosa archiviazione. È soltanto la prima omissione, il primo nascondimento.

Oggi con sotto gli occhi le interferenze dirette e indirette di Berlusconi e dei suoi uomini sulla programmazione e l'informazione della Rai qualcosa Viale Mazzini doveva muovere. Anche soltanto per dimostrare di essere ancora in vita. È un paradosso fragoroso: se oggi il direttore generale Lorenza Lei e il consiglio d'amministrazione, presieduto da Paolo Garimberti, possono presentarsi davanti alla commissione parlamentare di vigilanza con in mano una mossa, una replica, una qualche reazione allo scandalo, lo devono non alla loro personale volontà di fare chiarezza, ma alla determinazione di un alto dirigente (Gianfranco Comanducci), oggi vicedirettore generale, di uscire pulito dall'"affaire".

È per sua iniziativa che la Rai ha messo in movimento la struttura aziendale dell'internal auditing che condurrà un'indagine interna. "Sia ben chiaro - dice però la Lei - che non mi presterò e non consentirò che l'azienda possa vedere pregiudicata la propria immagine sulla base di processi sommari, prima ancora che siano accertate eventuali responsabilità sulla base di fatti puntualmente dimostrati".

Non si capisce quale dimostrazione puntuale attenda ancora Lorenza Lei. I documenti sonori resi pubblici da Repubblica danno ragionevolmente prova di tre circostanze.

1. I dirigenti piovuti in Rai da Mediaset o addirittura dalla segreteria di Berlusconi (come Deborah Bergamini) concordano con i dirigenti Mediaset (come Mauro Crippa) il palinsesto in modo da non danneggiare gli ascolti del network privato del Cavaliere.

2. I dirigenti della Rai di provenienza Mediaset definiscono con il capo azienda (Flavio Cattaneo) e alcune direzioni giornalistiche la manipolazione dell'informazione come accade con l'occultamento della sconfitta di Berlusconi alle Regionali del 2005.

3. Quel sodalizio politico-professionale, che chiamiamo per semplificazione giornalistica "Struttura Delta", è organizzato e guidato direttamente da Silvio Berlusconi (è con "il Dottore" che definisce le linee strategiche del lavoro) e ha, tra l'altro, la missione di fare della Rai un'articolazione del partito di Forza Italia.

Ora non interessano i "processi sommari". Né importa il destino personale della squadriglia di infedeli, sempre che facciano un passo indietro e non coltivino l'ambizione di restare ai vertici dell'azienda pubblica. Quel che conta è comprendere e neutralizzare il sistema di comando che il tycoon di Mediaset e capo del governo ha imposto al servizio pubblico radiotelevisivo e chiedersi se le tossine di quegli anni avvelenano ancora la governance della Rai.

Per venirne a capo è necessario sapere che cos'è la "Struttura Delta". Prima che un sodalizio, la "Struttura Delta" è un dispositivo, un metodo di lavoro che consente di disegnare la trama stessa della realtà, di eliminare ogni differenza tra ciò che accade e ciò che la politica vuole raccontare. E' questo il lavoro della "Struttura Delta". Per dirla con uno slogan, la sua missione è rendere impossibile separare i fatti dalle costruzioni ideologiche o dalla pubblicità politica. Chi ricorda, per fare solo un esempio, il 2001 elettorale quando i telegiornali raccontavano le città italiane attraversate da bande assassine di malavitosi mentre Berlusconi, con il sostegno della Lega, incardinava la sua offerta politica nella sicurezza in pericolo?

Il lavoro della "Struttura Delta" non è altro che l'estensione all'informazione Rai e quindi al discorso pubblico dei vecchi comitati editoriali della Fininvest. E' noto. Una volta al mese, "i principali responsabili e attori della comunicazione del gruppo" si incontravano ad Arcore con il Cavaliere per "un franco e approfondito scambio di informazioni e di idee e tra gli opinion makers".

Vediamo quali sono i presenti in una riunione per molti versi storica (le notizie sono tratte da Passionaccia di Enrico Mentana). È il 20 marzo del 1993 e per la prima volta Berlusconi sostiene che "l'attuale situazione è favorevole come non mai per chi provenendo da successi imprenditoriali voglia dedicare i propri talenti al governo della cosa pubblica". È l'annuncio che il Cavaliere vuole farsi leader politico. Quel giorno lo ascoltano, nella rituale riunione mensile, il fratello Paolo, Letta, Confalonieri, Dell'Utri e Del Debbio (allora in Publitalia), i mondadoriani (Tatò, amministratore delegato; Mauri, direttore dei periodici; Monti, Panorama; Briglia e Donelli, Epoca; Bernasconi e Vanni dei femminili; Orlando, il Giornale; Vesigna, Sorrisi e Canzoni), i televisivi (il capo delle produzioni di Roma Vasile, Costanzo, Ferrara, Fede, Gori, Mentana). Con il tempo si aggiungeranno Paolo Liguori, direttore di Studio Aperto, Paolo Guzzanti che avrebbe condotto un talk show televisivo, Vittorio Sgarbi e Giuseppe Dotter, il direttore de La Notte.

Nel tempo sono cambiati i nomi e gli incarichi, non il metodo. Ora immaginiamo la squadra di Berlusconi, che già controlla buona parte dell'informazione e dell'intrattenimento, allargata al direttore generale della Rai, ai direttori di Rai 1 e Rai 2, ai direttori del Tg1 e del Tg2, come a dire quasi del tutto all'altra metà dell'informazione e dell'intrattenimento. Questa "squadra", questa "Struttura" consente a Berlusconi, presidente del Consiglio, di decidere buona parte dell'attenzione pubblica perché il 40 per cento non legge un giornale mentre tutti gli italiani (98.5 per cento) guardano la televisione e per il 70 per cento il telegiornale è la sola e unica finestra sul mondo.

Il Cavaliere si ritrova così tra le mani il controllo pieno dell'agenda dell'informazione. Decide quel che avrà la posizione principale nelle news televisive e sulle prime pagine dei giornali e, quel che più conta, stabilisce ciò che il Paese saprà di se stesso e che cosa gli sta accadendo. Ordina quel di cui discuterà o di che cosa non si discuterà.

È di questo dominio incondizionato sull'attenzione pubblica e sulla realtà che parlano i documenti sonori resi pubblici da Repubblica. Sollevano una questione politica decisiva perché, come scrisse Carlo Azeglio Ciampi nel messaggio alle Camere del 23 luglio 2002, "la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta".

Quel che il dispositivo della "Struttura Delta" mette in gioco è quella garanzia e dunque la qualità della nostra democrazia, la sua compiutezza, il diritto di informazione garantito dall'articolo 21 della Costituzione. E' un diritto che può dirsi soddisfatto, si legge in una sentenza della Corte Costituzionale (155/2002), "dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presente punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - e dall'obiettività e dall'imparzialità delle dati forniti, e infine dalla completezza e dalla correttezza dell'informazione".

È impossibile anche per un mago conciliare queste parole con l'inganno imposto ai cittadini dalla posizione dominante della "Struttura Delta". Lo scandalo è qui. Interpella la Rai, certo, ma anche la politica e chi ha a cuore le parole della Costituzione.


La barca, le auto, gli orologi «Ci penso io, ricompensami». - di Giovanni Biancone.


L'imprenditore Viscione: era esoso, ma mi portava le intercettazioni

ROMA - «E quindi, se lei dovesse fare un conto delle somme che ha dato?», domanda il magistrato. «In tutto una milionata, non sono preciso... sulle novecentocinquanta, un milione e cinquanta. Con esclusione della barca e dei regali che tra l'altro, soprattutto nella prima ondata, sono stati numerosi e molto costosi. Tipo un paio di gioielli, un paio di orecchini da sette carati di brillanti, che io sono stato costretto a regalargli, perché erano stati prenotati da lui in un negozio di Capri».

Uno «scapocchione fortunato»
Il 19 dicembre scorso l'imprenditore Paolo Viscione, arrestato per truffa e altri reati, decide di denunciare pagamenti e regalie al deputato del Pdl ed ex ufficiale della Finanza Marco Milanese, strettissimo collaboratore del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Gioielli, orologi, macchine e soldi per essere protetto dalle indagini delle Procure e delle Fiamme gialle, spiega. E il giudice, che vuole arrestare Milanese anche per il reato di associazione a delinquere commesso proprio insieme a Viscione, ritiene il suo racconto «intrinsecamente credibile, non essendovi motivi per dubitare della scelta collaborativa». Vengono dallo stesso paese, Viscione e Milanese, Cervinara in provincia di Avellino: «Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant'anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno "scapocchione" per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l'ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l'ha accompagnato...». Un «ragazzo» che dalla posizione raggiunta, fianco a fianco con il ministro dell'Economia, intorno al 2004 si è ripresentato a Viscione: «Ha cominciato a portarmi notizie e a intimorirmi sulle posizioni mie che sembravano preoccupanti rispetto a indagini da parte della magistratura... Mi venne a dire che ci stava un problema su Napoli... Chiaramente la cosa mi ha impressionato molto, perché già si parlava di associazione a delinquere finalizzata a reati finanziari». Insieme al problema, Milanese offriva la soluzione. Non gratuitamente, però: «Dice "qua ci penso io, ci penso io, ci penso io"... Insomma, c'è stata una richiesta di danaro a cui ho dato soddisfazione... Poi abbiamo cominciato a parlare del leasing di un'automobile, una Aston Martin che gli abbiamo preso usata; si è arrabbiato perché era usata e abbiamo cambiato la macchina».

Negli Usa con la Ferilli e De Sica
Intorno al 2009 c'è quella che Viscione chiama «la seconda ondata», quando Milanese gli si ripresenta in un ristorante della capitale: «Mi incontra... "guarda che hai due indagini in corso, una del dottor Piscitelli di Napoli, l'altra ce l'ha la dottoressa non so chi di Roma"». Le promesse sono sempre le stesse: «Non ti preoccupare, ci penso io... E siamo arrivati al febbraio che lui mi dice "sei intercettato, non si può parlare più"». Anche stavolta, in cambio dell'avviso il deputato pretende un corrispettivo. «Fa delle richieste esosissime, io le adempio gradualmente», confessa Viscione che poi fa qualche conto: «Come soldi gli ho dato quattro e cinquanta (450.000 euro, ndr), che avrei dovuto dargliene seicento... Tutti in cash, prelevati dalle banche». A prenderli e portarli andava un uomo di fiducia dell'imprenditore, «cento, cento, cento alla volta». In un'occasione Milanese gli avrebbe portato le trascrizioni delle conversazioni registrate, «mi ha fatto leggere proprio i testi delle intercettazioni», ma già prima - a sentire l'imprenditore - il deputato aveva aumentato le sue pretese. Per esempio un viaggio negli Stati Uniti per le vacanze natalizie del 2009: «Questo è volgarissimo, perché si è fatto disdire dieci volte il viaggio, perché doveva partire con la Ferilli, con De Sica... dovevano stare tutti allo stesso piano e si doveva trovare lo stesso albergo...». Il particolare è riscontrato, secondo il giudice, dalle dichiarazioni di Flavio Cattaneo, fidanzato dell'attrice Sabrina Ferilli, e della fidanzata di Milanese, Manuela Bravi, portavoce del ministro Tremonti. E il viaggio negli Stati Uniti risulta saldato da una delle società di Viscione.

La barca, la Ferrari, gli orologi
L'imprenditore pagava e trovava altri che pagavano, riferisce ai magistrati. Come quando Milanese voleva vendere una barca, e lui gli trovò l'acquirente: Fabrizio Testa, poi nominato nel Consiglio di amministrazione dell'Enav e al vertice di una società controllata dall'ente. È Viscione a convincerlo: «Lo faccio portare da me e gli dico... ti compri la barca, la fai comprare da qualcuno e quello ti farà il piacere sicuramente... Cosi è stato... Fabrizio Testa, inquisito nello scandalo famoso delle fatture false Enav... Non lo voleva Matteoli, non lo voleva Alemanno, Tremonti l'ha fatto nominare...». Le indagini hanno accertato che «la barca è stata pagata a un prezzo molto superiore a quello effettivo di mercato» da una società che poi «ha quasi contestualmente versato somme alla Fondazione Casa della Libertà, chiara articolazione di natura politica». Tra le regalie a cui Viscione si sentiva costretto e alle quali ha deciso di ribellarsi, c'è pure una Ferrari Scaglietti, presa e data a Milanese usando la Aston Martin in permuta «più assegni miei, di portafoglio»: E ci sono «gli orologi, adesso ma anche prima, ci stanno gli orecchini alla moglie...». Gli investigatori hanno rintracciato il venditore di orologi, che conosce anche Milanese, il quale ha ricordato gli acquisti di Viscione per il Natale 2009: «Comprò tre orologi di prestigio, un "Frank Muller" da donna con brillantini e forma a cuoricino e due "Patek Philippe", mod. 5055 con cinturino in pelle e mod. 5035, entrambi da uomo, dal valore complessivo di mercato di circa 50.000 euro... Gli orologi erano destinati a un nostro cliente, il dottor Marco Milanese, che venne personalmente a sceglierli e a ritirarli». Disse che uno era per Tremonti, ma il ministro ha detto ai magistrati di non averlo mai ricevuto.

Le nomine pagate
In cambio di denaro e altre utilità, l'accusa ritiene che Milanese abbia «promesso prima e assicurato poi l'attribuzione di nomine ed incarichi in diverse società controllate dal ministero, ricevendo come corrispettivo somme di denaro e altre utilità». È successo con le due persone messe ieri agli arresti domiciliari: Guido Marchese, «ricevendo dallo stesso la somma di 100.000 euro», con Barbieri Carlo, attraverso «lo stesso modus operandi». A queste conclusioni il giudice è arrivato attraverso conferme autorevoli: il direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Il primo «confermava quanto già reso evidente dagli atti acquisiti, e cioè che il nominativo del Marchese gli era stato fornito da Marco Milanese»; il secondo, «pur dichiarando di non ricordare chi gli avesse sottoposto, per raccomandarlo, il nominativo di Barbieri Carlo, confermava però che la sua nomina era stata certamente a lui proposta dall'esterno della società. Precisava, inoltre, che delle nomine per conto del ministero dell'Economia si era sempre occupato il Milanese».


giovedì 7 luglio 2011

Vizzini: "Mi sospendo da cariche e gruppo Pdl".


Il presidente della Commissioni affari costituzionali accusato dalla Procura di Palermo di concorso in corruzione aggravata "Sono vittima attacco mediatico per rapporto con Lapis : mai preso tangenti". Il politico riconferna la sospensione anche dopo le attestazioni di stima dal suo partito.

Il presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato Carlo Vizzini ha deciso di sospendersi dalla sua carica e dal gruppo del Pdl ( ed ha riconfermato la propria scelta anche dopo le numerose attestazioni di stima venute dal suo partito e non solo) per difendersi nell'ambito dell'inchiesta su presunte tangenti pagate del tributarista Gianni Lapis con denaro di don Vito Ciancimino.
Accusato dalla procura di Palermo di concorso in corruzione aggravata in relazione a sospette tangenti da Vito Ciancimino, si autosospende dal partito e dal gruppo in attesa della conclusione delle indagini preliminari.
E in una lettera inviata al presidente Schifani, al presidente Berlusconi, al segretario Alfano, al capogruppo Gasparri rivendica la sua estraneità ai fatti.

"Mi sono sempre comportato con correttezza e lealtà nel rispetto delle istituzioni della Repubblica - scrive Vizzini -. Proprio per questo decido, con animo sereno, di astenermi dall'esercizio delle funzioni inerenti agli incarichi che ricopro in parlamento e di sospendermi dal gruppo parlamentare e dal partito per attendere la conclusione dell'indagine preliminare. Ribadisco di non essermi mai occupato di appalti e di affari della società gas e di non avere mai conosciuto, come lui stesso ha dichiarato, nè Massimo nè Vito Ciancimino che in realtà, a detta del figlio, mi considerava ostile in quanto 'sbirrò'".
"Mi trovo oggi di fronte ad un attacco mediatico di un quotidiano che mi indica come percettore di somme illecite da me mai ricevute, nell'ambito di un'indagine che mi riguarda e per la quale, da due anni a questa parte, ho fornito tutta la mia collaborazione alla procura della repubblica di Palermo" spiega ancora nella lettera inviata al presidente del Senato e al vertice del partito Vizzini.

"Mi sono spogliato di ogni prerogativa parlamentare, ho fornito conti bancari, documentazioni e corrispondenze private che provano come il mio rapporto con il professor Lapis, mio consulente e già collega all'università di Palermo, abbia avuto come oggetto la restituzione di una somma, proveniente dai miei risparmi e dalle mie liquidazioni, da me lecitamente investita per il suo tramite nel 1994 (non ero più parlamentare) e restituitami dopo ben 10 anni per un importo finale pari a circa 130 mila euro - aggiunge -. Ho anche indicato alla procura cinque testimoni dei fatti, dei quali quattro già ascoltati, mentre il quinto è un avvocato civilista che mi ha assistito per operare il riconoscimento del debito da parte del professor Lapis.
Adesso, come è giusto che sia, vengono depositate intercettazioni dell'epoca 2003/2004, che ritengo superate dai documenti depositati".

"In un clima politico esasperato - sottolinea ancora Vizzini - vengono pubblicate notizie artefatte che possono fuorviare l'opinione pubblica e, proprio perchè io sono uomo pubblico, voglio che la verità sia accertata con equilibrio e rigore perchè è giusto che i cittadini e coloro che mi hanno sempre dato fiducia sappiano che mi sono sempre comportato con correttezza e lealtà nel rispetto delle istituzioni della Repubblica".
"Ricordo - conclude infine Vizzini - che ho denunciato per calunnia chiunque abbia affermato di avermi consegnato somme non dovute e dato contestualmente mandato al mio legale di perseguire chiunque dica o scriva il falso su questa mia vicenda. Mi riservo, appena possibile, di rendere pubblici tutti i documenti che provano la mia correttezza".

REAZIONI PDL
"Chi conosce bene la realtà siciliana sa che il senatore Vizzini è uomo di grande onestà.
La sua storia personale e politica tramanda decine e decine di atti concreti formulati in politica contro la mafia, l'illegalità, il malaffare. L'inchiesta che oggi lo vede coinvolto non potrà che certificare la sua assoluta estraneità ad ogni ipotesi di reato. Per questo a lui, vittima di una bolla giudiziaria, esprimiamo convinta solidarietà". Lo scrivono, in una nota, i deputati siciliani Marinello, Misuraca, Germanà, Gibiino, Garofalo, Torrisi, Vincenzo Fontana.
Il ministro della Giustizia e neosegretario del Pdl, Angelino Alfano, ha sentito, "in una lunga e cordiale telefonata", il senatore Carlo Vizzini. "Nel corso dell'affettuosa conversazione - spiega una nota del ministero della Giustizia - il Guardasigilli gli ha confermato ferma stima che si basa anche su una profonda conoscenza della sua storia personale". "Per queste motivazioni", Alfano, "nella sua qualità di segretario del Pdl, ha respinto la decisione del senatore Vizzini di autosospendersi dal partito, esprimendogli solidarietà personale e politica".

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/07/07/news/vizzini_mi_sospendo_da_cariche_e_gruppo_pdl-18791526/?ref=HREC1-9



Bersani: «Un non senso confondere le Province con i costi politica».



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Il no all'abolizione delle Province solleva polemiche tra gli elettori di sinistra. Che criticano l'astensione del Pd alla Camera al disegno di legge dell'Idv: tanti hanno interpretato questa scelta come una difesa del sistema partito. Perciò Pier Luigi Bersani ha preso carta e penna e in una nota ha voluto chiarire come stanno le cose: «Il Partito Democratico ha le sue precise proposte sia sui costi della politica sia sulle riforme istituzionali. Noi siamo pronti a discutere con tutti. Ma confondere i costi della politica con il tema delle istituzioni, come si sta facendo in una confusa discussione sulle province, è un nonsenso. Di questo passo si potrebbe arrivare a reintrodurre la figura dei podestà, tanto per risparmiare».

L'abolizione delle province è vissuta da molti cittadini, dai più probabilmente, come un passo per togliere spese inutili. Soprattutto a sinistra, i malumori si sono diffusi a macchia d'olio dopo la bocciatura alla loro abolizione. Lo confermano i commenti che appaiono alla pagina on line sulla proposta di legge del Partito Democratico proprio sulle province: dove gli elettori e le elettrici manifestano delusione verso la scelta dei Democratici e la vivono come una scelta della “casta” della politica (per vedere la pagina del Pd CLICCA QUI)
Così il segretario dei Democratici risponde alle polemiche dentro e fuori dal partito.



In Sicilia il record di auto blu Ma sono ferme: è finita la benzina.





Non è più possibile fare rifornimento alle auto blu dell'intero parco macchine regionale, salvi solo i mezzi del presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. Sono finiti, infatti, i soldi per la benzina, come scrive il Giornale di Sicilia. Ieri il responsabile dell'autoparco regionale, Walter Burrescia, ha informato tutti i vertici della Regione della decisione di fermare le auto e che «chiunque utilizzerà un mezzo della Regione dovrà pagare di tasca propria la benzina». Le auto blu si fermeranno tutte ufficialmente il 15 luglio prossimo, ma già in questi giorni potrebbero verificarsi problemi nel finanziamento del rifornimento dei carburanti.

La notizia, che ha già dell'incredibile, diventa ancor più bizzarra se si considera l'elevatissimo numero di berline di cui si è dotata la Regione, un numero spropositato rispetto alla media nazionale: ben 90 auto blu e altre 55 di media cilindrata, dotate comunque di autista e spesso usate per sola rappresentanza. L'uso delle auto blu costa alla collettività 8,7 milioni di euro, 1,3 solo per il leasing delle macchine di servizio. Cifre e flotta abnorme se paragonata alle sole 11 auto di servizio della Regione Lombardia, le 28 della Campania, e le 5 dell'Emilia Romagna, con un trend in diminuzione: la giunta piemontese ha ridotto le auto blu di 5 veicoli, quella toscana di 10.


P4, Gip: “Stretto e attuale rapporto fiduciario tra Milanese e Tremonti”. - di Davide Vecchi





Corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere: sono i capi d’accusa contestati al deputato del Pdl, Marco Mario Milanese, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti e trasmessa oggi alla Camera dei Deputati per l’autorizzazione all’arresto.

Nelle 73 pagine è ricostruita la rete di favori e ricatti che Milanese ha imbastito dal 2004 sfruttando, scrivono gli inquirenti, la sua “posizione privilegiata” di “consulente del ministro Giulio Tremonti e alto ufficiale della Guardia di Finanza, tra i massimi esponenti del Ministero istituzionalmente preposto alla repressione dell’ evasione fiscale”. Milanese, secondo quanto ricostruito dalle indagini, in cambio di informazioni riservate in merito a indagini e con la promessa di fermare l’attività delle Fiamme gialle sull’imprenditore irpino Paolo Viscione ha chiesto e ottenuto gioielli, orologi, auto di lusso (Aston Martin e Ferrari), viaggi e 450 mila euro in contanti. Per una somma complessiva di “oltre un milione di euro”.

Determinante è il ruolo che Milanese svolge in via XX Settembre. E soprattutto il rapporto che lo lega al ministro dell’Economia. Gli inquirenti si dicono convinti del fatto “le dimissioni presentate il 28.6.2011 dal Milanese non facciano venir meno il pericolo, tuttora concerto ed attuale, di inquinamento probatorio, in considerazione del fatto che, nonostante la cessazione dall’incarico, permane una situazione di oggettiva vicinanza tra l’odierno indagato ed il Ministro Tremonti, al quale il primo è legato da un rapporto di stretta fiducia che prescinde dall’incarico formale rivestito dal parlamentare e sopravvive alle dimissioni rassegnate”. Emblematica “dell’attualità del rapporto fiduciario esistente tra i due uomini politici è la vicenda relativa all’immobile sito in Roma, in via (…), di proprietà del Pio Sodalizio dei Piceni. Detto immobile, infatti, è stato concesso in locazione a Milanese Marco per un canone mensile di 8.500 euro, ma viene di fatto utilizzato dal Ministro Tremonti, il quale, a sua volta, risulta aver emesso, nel febbraio 2008, un assegno di 8.000 euro in favore del Milanese”.

Del resto, prosegue il Gip: ”I rapporti finanziari tra Tremonti e Milanese sono assolutamente poco chiari”. Milanese paga l’affitto dell’abitazione in uso al ministro a Roma. Si legge a pagina 70: “Milanese paga mensilmente un canone molto alto il cui complessivo ammontare rispetto alle rate già pagate risulta di oltre centomila euro; le fonti di rimborso da parte del beneficiario Tremonti non risultano dall’esame dei conti esplorati dal Ctu, il quale, riferisce di non aver rinvenuto assegni o bonifici provenienti da Tremonti; un assegno del febbraio 2008 attiene evidentemente ad altra partita economica tra i due”. Dopo una serie di accertamenti e grazie ad altri elementi acquisiti, si “evince l’esistenza di uno stretto ed attuale rapporto fiduciario tra i due esponenti politici che prescinde, evidentemente, dal ruolo istituzionale rivestito dal Milanese”.

Milanese, consigliere politico del ministero dell’Economia, aveva lasciato l’incarico a fine giugno, spiegando le sue ragioni in un comunicato che faceva riferimento al caso Adinolfi, il generale della Finanza accusato dallo stesso Milanese di avere rivelato segreti sulle indagini che riguardano Luigi Bisignani: “Le ultime vicende che vedono coinvolti altissimi ufficiali della Guardia di Finanza in un’indagine della Procura della Repubblica di Napoli mi vedono interessato quale persona informata sui fatti. Ritengo opportuno rassegnare le dimissioni da consigliere politico del ministro dell’Economia e delle Finanze al fine di salvaguardare l’importante ufficio dalle polemiche sollevate da una doverosa testimonianza”, aveva detto allora.

Le indagini rappresentano lo sviluppo dell’inchiesta in cui è coinvolto, tra gli altri, Paolo Viscione, in relazione alle attività della società assicurativa Eig. Secondo l’accusa, Milanese avrebbe ricevuto da Viscione e dalla società somme di denaro nonchè orologi di valore, gioielli e auto di lusso come una Ferrari e una Bentley, viaggi e soggiorni all’estero. Tali regali, secondo le affermazioni fatte da Viscione costituivano il corrispettivo della rivelazione di notizie riservate e interventi per rallentare le indagini della Guardia di Finanza sulla società assicurativa. Nell’ambito dell’inchiesta, gli agenti della Digos di Napoli hanno eseguito anche altre due ordinanze agli arresti domiciliari nei confronti del sindaco di Voghera, Carlo Barbieri, e del commercialista Guido Marchesi, anch’egli di Voghera.