Questa pochade cambia aspetto se con il suo stile comunicativo si fa o si intende fare politica. Quando cioè si pensa di poter modificare i rapporti di potere all’interno della maggioranza, del governo o addirittura nei confronti del premier.
Lo scambio di battute, di allusioni, di elusioni, di «gnorri» di Tremonti a proposito della manovra «salva Fininvest» e la replica di Berlusconi, seccata e maliziosa nel far passare il ministro per un «furbetto» che fa finta di non sapere, si collocano in questa logica. Ma non meno significative sono state le reticenze degli Alfano, dei Ghedini e dei Calderoli. Insomma la squadra non ha fatto squadra. O per lo meno ha dato questa impressione. Ma in questo clima l’impressione è più importante della realtà.
E’ la nuova fase del berlusconismo. Quello della tentata transizione al dopo-Berlusconi senza traumi, ma per assestamenti continui che lasciano al Cavaliere l’illusione di guidare, come prima, governo e maggioranza. E intanto lo condizionano da vicino. O ci provano. Lo sta facendo da tempo ormai la Lega, con sfacciato opportunismo. Ottiene assai meno di quello che chiede sempre con toni stentorei e ultimativi. Ma nella cacolalia generale ciò che conta è farsi sentire. E la Lega si fa sentire, in previsione di un possibile dopo-Berlusconi. Ma non farà nulla per provocarlo sul serio. E’ un rischio troppo grosso per il partito di Bossi.
In ogni caso per l’operazione della transizione senza traumi, compresi i dovuti onori di rito al Cavaliere, sono indispensabili due condizioni. La prima sembra acquisita: è l’incredibile impotenza politica dell’opposizione. Il ministro della Cultura Giancarlo Galan ha colto la situazione perfettamente, dicendo a questo giornale che «anche quando noi (della maggioranza di governo) perdiamo, la sinistra riesce a compiere il miracolo di non vincere». E’ inspiegabile che in un Paese che dispone di invidiabili potenziali di mobilitazione, che esprimono una forza comunicativa e simbolica immensa - poi non succede niente. Servono solo a far scrivere, per un paio di giorni, esaltanti commenti giornalistici e pubblicistici che lasciano il tempo che trovano. C’è qualcosa di profondamente enigmatico in una politica che lascia isterilire questi potenziali. O li lascia incattivire.
Al sicuro da possibili alternative politiche - siano esse di sinistra o di nuove combinazioni centriste aperte a sinistra - il gioco del logoramento degli equilibri interni del governo ha una seconda condizione. Cioè che Berlusconi stesso non riesca a controllare questa situazione imprevista. L’atteggiamento da lui preferito ancora ieri nelle sue dichiarazioni è quello di reagire sdrammatizzando i conflitti interni, dichiarandosi vittima di campagne diffamatorie e dipingendo catastrofi imminenti nel caso andasse al governo la sinistra («Nonostante il fango che mi viene gettato addosso, nonostante quello che si vorrebbe decidere nei cosiddetti e fantomatici salotti dei poteri forti, non consegnerò l’Italia a Bersani, Vendola e Di Pietro»).
Ma sino a quando funzioneranno questi argomenti? La situazione economica e sociale rimane pessima, mentre non si vedono credibili strategie di rilancio. Nel frattempo l’Italia è letteralmente sparita dalle sedi decisionali europee che contano. Sulle questioni cruciali della presenza militare dell’Italia in Afghanistan e nel delicato e complicato caso della Libia, lo statista Berlusconi è assente, distratto e preoccupato solo di possibili contraccolpi interni. Non a caso proprio in questi ambiti è micidiale l’azione di logoramento all’interno della maggioranza e del governo (Lega, La Russa, Frattini). Ma il guaio è che l’intera classe politica, oltre a essere scarsamente competente su questi temi, è assai meno sensibile che non sui problemi interni. Ma è proprio in questi settori di alto profilo internazionale che la leadership di Berlusconi è finita. La pochade può ricominciare.