martedì 12 luglio 2011

“Iscritti indagati o condannati, ma gli ordini professionali non avviano procedimenti”. - di Eleonora Bianchini


La denuncia, fatta dal procuratore della Dna Pietro Grasso, ha provocato l'indignazione dell'ordine degli Architetti di Torino. Da qui la protesta dell'Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio Pizzo.


Ordini professionali che non avviano procedimenti disciplinari sugli iscritti indagati e attendono le sentenze dei tribunali. Anche se le norme deontologiche sono state violate. L’accusa era stata rivolta a febbraio dal procuratore generale antimafia Piero Grasso che, nel corso di un convegno a Palermo, ha dichiarato che gli ordini non fanno la loro parte in tema di lotta alla mafia e di rispetto del codice etico. E a raccogliere la sua denuncia, a fronte dell’indignazione degli Architetti di Torino condivisa da altri ordini in tutta Italia, è stata l’Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio pizzo.

Secondo il procuratore antimafia, infatti, gli ordini dovrebbero garantire il corretto esercizio della professione da parte degli iscritti perché il controllo deontologico è indipendente dagli esiti giudiziari. L’ordine degli architetti di Torino, però, ha scritto al procuratore generale che “un Consiglio dell’Ordine non può avviare un procedimento disciplinare a carico di un proprio iscritto – quando sia indagato per fatti di rilevanza penale, quindi anche per mafia – a prescindere dall’esito del procedimento penale, perché non ci è consentito dall’ordinamento giuridico e numerose sentenze di Cassazione lo confermano”. Un’affermazione del tutto “priva di fondamento” secondo l’associazione Liberi Professionisti, che presta il fianco al rischio di infiltrazioni criminali e violazioni deontologiche.

“La lettera di replica alle parole di Grasso, rilanciata anche dall’ordine di Palermo, è stata rintracciata online qualche giorno fa da un nostro iscritto”, spiega il portavoce dell’associazione Giorgio Colajanni. “Nel mondo delle professioni ci sono decine di condannati ma spesso non c’è azione di applicazione delle norme sulla responsabilità disciplinare”. Da notare che “la procedura penale e quella disciplinare stanno su due piani diversi. Ogni albo, a fronte di comportamenti in violazione delle norme etiche, deve effettuare accertamenti e valutazioni diverse e indipendenti da quanto possa stabilire un Tribunale”. Un concetto ribadito anche dall’assessore siciliano per la Salute Massimo Russo, secondo il quale “gli ordini professionali devono promuovere la cultura della legalità e sapere intervenire quando vi sono comportamenti che – a prescindere dal rilievo penale – mettono in crisi il decoro e la dignità della loro comunità professionale”. Il riferimento va alla vicenda di Domenico Miceli, medico siciliano condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e mai sospeso dall’Ordine, ma Colajanni ricorda anche Totò Cuffaro, il senatore condannato per associazione mafiosa e radiato dall’ordine dei medici solo dopo la condanna. Tra i casi celebri anche quello del cardiochirurgo Carlo Marcelletti accusato, tra l’altro, di truffa ai danni dello Stato e detenzione di materiale pedopornografico. Ma anche nei suoi confronti non era stata avviata alcuna azione disciplinare.

“Sappiamo che gli ordini non hanno poteri di polizia giudiziaria – precisa Colajanni – ma devono impegnarsi a raccogliere elementi in contraddittorio con l’interessato e prima di una sentenza. Preferiscono però evitare di consultare gli atti depositati nelle Procure per evitare di assumersi le proprie responsabilità. In questo modo ritroviamo centinaia di mascalzoni conclamati, condannati anche in via definitiva che continuano ad esercitare la professione indisturbati”. E non a caso, conclude il portavoce, “Grasso aveva posto l’accento sulla mafie che oggi hanno bisogno di professionisti. Infatti, secondo un’indagine della Dia di Palermo, oltre 400 sono coinvolti oggi in vicende di criminalità organizzata”.

Colajanni non sa se trincerarsi dietro alle indagini giudiziarie sia dovuto “a un eccesso di corporativismo o collusione”. In ogni caso gli Ordini devono ribadire che la sede disciplinare è diversa da quella giudiziaria e sollevare la necessità di procedimenti istruttori per acquisire fatti ed elementi. “Il nostro compito è quello di costituire un movimento collettivo per chiamare ogni iscritto alla responsabilità individuale”, conclude il portavoce. L’obiettivo è quello di raccogliere entro ottobre 1000 firme di professionisti per il manifesto contro le mafie e la corruzione. Un impegno per la legalità in cui gli Ordini sono chiamati a partecipare.




Ha fondato il comitato “Silvio ci manchi” Adesso è indagata per falso a Napoli. - di Vincenzo Iurillo



Emanuela Romanello, ex assessore a Castellammare di Stabia, è diventata famosa per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia. Da lì, poi, andò ospite a villa La Certosa.


Non chiamatela Papi girl, altrimenti querela. Ma ora tocca a Emanuela Romano difendersi nelle sedi giudiziarie. L’accusa: false attestazioni a pubblico ufficiale, nell’ambito di un’inchiesta sulla sua elezione al Corecom Campania. Il capo d’imputazione è incartato in un avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm di Napoli Giancarlo Novelli, del pool dei reati contro la pubblica amministrazione. Una fastidiosa gatta da pelare per la cofondatrice del comitato ‘Silvio ci manchi’, che accoglieva con striscioni e scene di giubilo le frequenti puntate di B. a Napoli prima e dopo le elezioni del 2008. La Romano è poi diventata famosa l’anno successivo per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia, per essere ospite nella residenza sarda del Cavaliere a Villa Certosa. Negli anni successivi la Pascale è diventata consigliere provinciale di Napoli, la Romano assessore a Castellammare di Stabia e poi componente del Corecom, la Bello ha fatto parte per un po’ della giunta di Torre del Greco.

La Procura di Napoli ha indagato la Romano perché quando ha presentato la candidatura al Corecom autocertificò di non trovarsi in nessuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge regionale. Peccato però che la Romano, al momento di firmare la domanda, fosse assessore alle Politiche Sociali del Comune di Castellammare di Stabia. Una carica che la legge prevede espressamente come condizione di incompatibilità. La Romano si è poi dimessa dalla giunta stabiese. Ma secondo la Procura le dimissioni sarebbero avvenute “fuori tempo massimo”, solo dopo la nomina nel Corecom, avvenuta il 13 gennaio scorso in consiglio regionale.

Oltre alla Romano, per lo stesso reato risulta indagato anche un altro componente del comitato che vigila sulle comunicazioni e sulla composizione delle graduatorie per l’erogazione dei contributi alle emittenti televisive regionale, Andrea Palumbo. Anche lui, sostiene il pm, sarebbe incompatibile perché ha svolto il ruolo di consulente di direzione aziendale, marketing e sviluppo del gruppo di televisioni locali Tele A, Tele A+ e Tv Capital.

L’inchiesta è nata in seguito all’esposto di Remigio Del Grosso, segretario nazionale della Lega consumatori delle Acli, uno dei 386 presentatori di domanda al Corecom, non eletto. Va detto che l’insediamento del Corecom ha attraversato numerose vicissitudini. Una sentenza del Tar, proposta da 8 dei 9 componenti del vecchio organismo, aveva congelato le nomine, compresa quella della Romano. Ma il Consiglio di Stato ha concesso la sospensiva, insediando di nuovo gli eletti del 13 gennaio. Il 4 novembre dovrebbe uscire la sentenza nel merito.

Prima di diventare assessora e poi componente del Corecom, la Romano, laureata in psicologia con master in Publitalia, nel 2006 partecipò nella lista di Forza Italia alle elezioni della municipalità San Lorenzo Vicaria. In un primo momento risultò eletta. Ma nel ricalcolo delle preferenze dovette lasciare lo scranno a Nunzia Stolder, la figlia del boss Raffaele. Nel 2009 per la Romano stava per spalancarsi la grande occasione: aveva partecipato insieme ad altre giovani e belle ragazze come lei, alcune provenienti dal mondo dello spettacolo, al corso di formazione politica che doveva essere il preludio della candidatura all’Europarlamento nelle fila del Pdl. Ma gli strali di Veronica Lario sul “ciarpame senza pudore” fecero piazza pulita delle “euro veline”, tutte depennate all’ultimo minuto, con l’eccezione di Barbara Matera. Il padre della Romano non la prese bene. Si cosparse di benzina e minacciò di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli. La chance è arrivata solo l’anno dopo, con la candidatura alle elezioni regionali. Ma non è andata bene: ultima su 31 candidati Pdl, con 3669 preferenze. Poche settimane dopo, la Romano è stata ‘ripescata’ nella giunta stabiese guidata dall’ex pm Luigi Bobbio.




Palermo, morto il consigliere comunale Angelo Ribaudo




Palermo, morto il consigliere comunale Angelo Ribaudo

Stroncato da un grave male. Aveva 56 anni. Tanti i messaggi di cordoglio su Facebook

PALERMO. È morto questa notte, stroncato da un grave male, il consigliere di Italia dei Valori al Comune di Palermo Angelo Ribaudo. Aveva solo 56 anni. Già molti i messaggi di cordoglio pubblicati sulla bacheca del suo profilo facebook.
Al Comune la camera ardente.


http://www.gds.it/gds/sezioni/politica/dettaglio/articolo/gdsid/165002/



L'avevo conosciuto su face book, una persona splendida.



lunedì 11 luglio 2011

Ponzio Pilato.



Credetemi, non ho ancora capito se il Ponzio Pilato de noatri, Napolitano, quello che si lava le mani e lancia moniti che si perdono nell'etere, ci è o ci fa.

Pertini il piccolo Grande uomo, già avrebbe agito, avrebbe già sciolto le camere e avrebbe dato mandato di formare un governo tecnico ad una persona responsabile e di pluriennale esperienza in attesa di nuove elezioni.

Napolitano, invece, si limita a firmare tutto quello che gli passano sotto il naso e accetta la nomina a ministro della Repubblica di un indagato per mafia.

Stanno travolgendo la nostra Costituzione, la stanno sporcando, fanno leggi inutili o addirittura dannose.

Assistiamo quotidianamente a episodi di corruzione a tutti i livelli, dal più basso al più alto.

Siamo fermi, immoti, l'Italia tutta è bloccata in una terrificante morsa da limbo.
L'economia è statica, non c'è lavoro e quello che c'è è assai precario.

Hanno permesso che tante aziende si trasferissero all'estero per non abbassare il costo del lavoro; per non rinunciare ai loro privilegi, stanno facendo crollare l'intera economia...e nessuno fa niente.

Abbiamo ministri che abitano inconsapevolmente in case pagate da altri, faccendieri che promettono posti di prestigio a chiunque ricambi il favore con regali costosissimi.

E nessuno fa niente.

Abbiamo ministri nominati da un corruttore con il conflitto di interessi, ministri scelti tra faccendieri e amichette di vita privata. E nessuno fa niente.

Siamo senza speranza di riscatto morale ed economico?

Se dobbiamo fidarci di chi ci amministra oggi, non credo che andremo molto lontano, perchè siamo già arrivati al punto di non ritorno!


Fine vita: fermate questi due. di Silvia Cerami


Paola Binetti e Maurizio Gasparri

Con la regia di Gasparri e Binetti, la Camera domani potrebbe approvare il sondino di Stato: una legge medioevale e probabilmente anticostituzionale. Da Veronesi a Ignazio Marino, ecco perché è un obbrobrio.

«Una norma ingiusta», «impietosa», «massimalista sul piano ideologico e fragilissima dal punto di vista giuridico». «Una legge di una gravità inaudita», peggio «anticostituzionale». «Una sopraffazione giocata sulla pelle dei cittadini», «una soluzione irrazionale e in aperto contrasto col principio del rispetto della persona umana», perché «si parla di Stato di diritto, ma qui i diritti vengono violati».

Martedì, dopo due anni di rinvii, la Camera vota sul disegno di legge relativo al testamento biologico e lo scontro si riapre. Il testo non sarà definitivo, perché il provvedimento dovrà essere votato anche al Senato, ma la maggioranza prova la spallata decisiva.

Punto chiave l'articolo 3 del ddl con cui si stabilisce la platea della Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT) e si affronta la questione dell'alimentazione e dell'idratazione assistita. Per le opposizioni si tratta di una decisione che calpesta i diritti individuali tutelati dalla Costituzione e non riconosce la sovranità della libertà di coscienza.

Ecco le voci di chi si oppone a questa legge obbrobrio.

Umberto Veronesi: «Il Parlamento sta prendendo decisioni che calpestano i diritti individuali tutelati dalla Costituzione italiana e alcuni suoi principi fondamentali , come quelli contenuti nell'articolo 31. Per questo l'alternativa più ragionevole in questo momento é fermare l'iter legislativo : l'assenza di una legge sia un male minore rispetto a una cattiva legge. Il movimento a favore del Biotestamento , che io stesso ho promosso in Italia, aveva auspicato una legge, come forma di tutela ulteriore della volontà della persona e come estensione naturale del Consenso Informato alla Cure , che è già norma in Italia. Ma paradossalmente ora il disegno di legge al voto nega il principio stesso per cui è il biotestamento è nato nelle democrazie avanzate e, unico caso in occidente , dice no all' autodeterminazione dell'individuo rispetto ai trattamenti che vuole o non vuole ricevere. La mancanza di una normativa permetterebbe a tutti , medici e cittadini, malati e famigliari , di decidere in scienza e coscienza a seconda dei casi e delle proprie convinzioni, la propria fede o l'assenza di fede, rispettando così l'unico punto fermo nel dibattito : la volontà della persona e la sua inviolabile dignità . Viviamo in un Paese civile e dovremmo credere nelle nostre capacità di scelta come individui e come comunità. Inoltre siamo aiutati in questo da strumenti condivisi anche a livello internazionale, come il nuovo codice di deontologia medica e la Convenzione di Oviedo sui diritti del malato, che il nostro Paese ha sottoscritto nel 1997».

Emma Bonino, Radicali: «Con questa legge la Camera deciderà che il cittadino non ha diritto di scegliere sulla cosa più difficile e importante della sua vita, cioè sulla propria morte. Eppure noi radicali chiediamo una cosa semplice, quasi banale: che ogni individuo possa scegliere se continuare a vivere ad ogni costo - anche quando si tratta non più di "vita" ma di mera "esistenza" allo stato vegetativo - o se smettere le cure e morire in pace. Chiediamo che sia l'individuo, nella Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT), a poter elencare - primo - le cure cui vorrà fare ricorso e - secondo - quelle a cui non vorrà essere sottoposto in caso di malattia terminale o di morte celebrale. Grazie al voto di domani la seconda possibilità gli sarà sbarrata: non saremo quindi noi padroni dei nostri ultimi istanti, saranno altri a decidere. Al grido "Nessun altro caso Englaro", stanno per imporre lo stato vegetativo per legge. Da domani ci sarà una libertà di scelta fondamentale in meno per noi e il rischio di un reato in più per i medici».

Ignazio Marino, Pd
: «La legge sul testamento biologico votata alla Camera dei Deputati è una sopraffazione giocata sulla pelle dei cittadini. E' una normativa contraddittoria che il centrodestra ha voluto esclusivamente per ragioni di basso tatticismo politico e con cui si lascia allo Stato il potere di decidere come gli italiani dovranno curarsi nel momento in cui dovessero perdere coscienza, senza alcuna ragionevole speranza di recupero dell'integrità intellettiva. In nome del principio della indisponibilità della vita, l'individuo viene privato del diritto di scegliere le terapie che ritiene di poter accettare e indicare quelle alle quali non vuole essere sottoposto. La legge dello Stato, al contrario, potrà imporre l'accanimento terapeutico sul corpo del malato, anche contro la sua volontà. La legge introduce il testamento biologico ma sarà un pezzo di carta senza valore, infatti non sarà vincolante per il medico, che potrà non tenerne conto, e inoltre troverà applicazione solo per i pazienti che si trovino in stato di "accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale", ovvero che siano praticamente morti. Sarà possibile indicarvi le prestazioni terapeutiche cui si desideri essere sottoposto in caso di perdita di coscienza, ma non quelle che si intende rifiutare o sospendere. Non sarà possibile dire no ad una procedura medica che ritenuta sproporzionata, né ci si potrà sottrarre all'idratazione e alla nutrizione artificiali somministrate attraverso un tubo inserito nell'intestino anche avendo indicato chiaramente in precedenza di non accettarli. Ha ragione chi dice che si introduce il "sondino di Stato". Gli italiani sono sempre stati favorevoli ad una legge che lasci al singolo libertà di scegliere e che garantisca nello stesso modo sia chi decide di avvalersi di ogni tecnologia, presente e futura, sia chi, al contrario, intende rinunciare ad un inutile accanimento. Questo governo non li ha ascoltati»

Antonio Di Pietro, IdV: «Consideriamo qualsiasi norma che impedisce alla persona umana di scegliere cosa fare della propria vita e anche della propria morte ingiusta. E trovo un'anomalia che una legge imponga un obbligo. Ognuno deve poter essere libero di scegliere, senza alcuna imposizione».

Benedetto Della Vedova, Fli: «E' una legge sbagliata, massimalista sul piano ideologico e fragilissima dal punto di vista giuridico. Si prevedono le DAT e li si nega con vincoli irragionevoli. Se questa fosse la legge, dopo i primi inevitabili ricorsi, resterà il principio delle DAT e cadranno i vincoli (ci riflettano i fautori di questo testo). Meglio fermarsi e fare una "soft law" in cui riconoscersi tutti perché non è la legge di nessuno: no all'eutanasia, no all'accanimento terapeutico; decidano i medici secondo il codice di deontologia medica con i famigliari, caso per caso. L'Italia capirebbe».

Pietro Ichino, Pd
: «La libertà di coscienza del cittadino deve essere sovrana. Il governo e il parlamento dovrebbero riconoscere e proteggere, come impone la Costituzione, nella zona tra i due confini - della certezza di vita umana da una parte, della certezza di morte dall'altra -, quella band of reasonableness delle opzioni possibili, all'interno della quale ogni cittadino, cristiano o no, deve poter decidere e agire secondo la propria coscienza. Penso inoltre che la testimonianza di una Chiesa cristiana non debba mai consistere nell'indicare la soluzione giuridico-legislativa specifica da preferire, né tanto meno le concrete modalità dell'impegno politico; penso che essa invece debba educare i cristiani all'esercizio responsabile della propria coscienza, lasciando che proprio quest'ultima resti il punto di riferimento fondamentale per ciascuno di loro nelle scelte politiche, giuridiche, tecniche. Personalmente in una situazione nella quale, come nel caso di Eluana Englaro, fosse ragionevole ritenere irreversibile la mia totale perdita di coscienza, sentirei gravemente lesa la dignità della mia persona se quel corpo venisse mantenuto in vita per lungo tempo».

Flavia Perina, Fli: «E' una legge che non serve a niente, esageratamente prescrittiva. A mio avviso si tratta di una legge bandiera, con cui il Pdl cercare di accattivarsi una certa parte del mondo cattolico. Di fatto tentano di recuperare i valori persi con gli scandali, ma questo manifestino per dire che sono rispettosi, non avrà alcun effetto. Non serve alle persone, alle famiglie, ai malati terminali. E' solo un atto di prepotenza. Due anni fa infatti il presidente della Repubblica rifiutò di controfirmare il decreto su Eluana Englaro e fu allora che si aprì il primo scontro tra Berlusconi e Napolitano».

Ivan Scalfarotto, Pd: «Considero questa legge di una gravità inaudita, perché fa diventare etica di Stato quelli che sono i valori di una parte del Paese. Si privano i cittadini malati del diritto alla propria autodeterminazione e si consegna alla maggioranza una sfera delicatissima che appartiene alla parte più intima di ognuno di noi».

Enzo Raisi, Fli: «E' incomprensibile. Si parla di Stato di diritto e qui i diritti vengono violati. E lo dico da uomo di destra. Una legge così è anticostituzionale. Piuttosto che una situazione del genere avrei preferito un vuoto legislativo. Nei momenti finali della propria vita una persona deve essere libera di decidere, io personalmente non accetterei l'alimentazione forzata perché lascerei la natura al suo corso e questo non significa eutanasia». Gianni Cuperlo, Pd: «La Camera licenzierà una legge ideologica, incostituzionale e lesiva della dignità della persona. Una norma che sottrae al malato la responsabilità di decidere. Il testo prevede una soluzione irrazionale e in aperto contrasto col principio del rispetto della persona umana sancito dall'articolo 32 della Costituzione. E' necessario garantire il diritto di ognuno a essere rispettato se in discussione è la vita e la decisione su di sé. In tanti, nei mesi passati, hanno denunciato i rischi di una legge impietosa e hanno spiegato che a fronte di una brutta legge sarebbe preferibile non legiferare. Ci batteremo per questo ed è bene che le voci si levino alte. Sarebbe un errore grave se la politica, per ragioni di convenienze, chinasse gli occhi di fronte a uno sbrego di civiltà».

Pippo Civati, Pd: «Questa legge dimostra che nel nostro Paese non esiste una destra liberale, non c'è mai la possibilità di costruire un fronte laico. Proprio su questi argomenti la maggioranza, a partire dal caso Englaro, ha dato il peggio di sé».

Marco Cappato, Radicali: «E' una legge contro la Costituzione e ci organizzeremo per cercare di smontarla attraverso i ricorsi individuali, come per la legge 40. Se fossimo in democrazia, un testo del genere non potrebbe passare. E' una legge che va contro l'opinione pubblica, visto che tutti i sondaggi dicono che l'80 per cento degli italiani è a favore del fatto che uno possa scegliere per sé della propria vita. Se passa è solo perché nessuna trasmissione di approfondimento politico ha dato spazio alla questione e nemmeno le opposizioni si sono mobilitate».




Basta torture a chi sta morendo. - di Umberto Veronesi


Umberto Veronesi

«Anche quando siamo prossimi alla fine abbiamo il diritto di non soffrire. E porre fine al dolore di un malato è un gesto dovuto. Da medico». Umberto Veronesi interviene su una questione attualissima.

Pubblichiamo le pagine introduttive del volume "Il diritto di non soffrire. cure palliative, testamento biologico, eutanasia", di Umberto Veronesi, che l'editore Mondadori manda in questi giorni in libreria.

"Io penso che sia necessaria una nuova definizione del termine "eutanasia". Non c'è una vera differenza tra "lasciar morire" (interrompendo l'accanimento terapeutico), "aiutare a morire" (sedando il male e il dolore con dosi sempre più elevate di oppiacei) e "provocare il morire" (somministrando un farmaco o un'iniezione letali). Tutti e tre questi percorsi sfociano, infatti, nella morte. Chiesta o cercata; solo perché la sofferenza ha toccato limiti insopportabili, che sviliscono ogni dignità umana.

E' diritto dell'uomo chiedere la morte, se è stato colpito da una malattia inguaribile e irreversibile? La risposta non può essere che affermativa, perché la vita è un diritto, e non un dovere. Scegliere la morte per evitare sofferenze intollerabili fa parte dei diritti inalienabili della persona, e non si può affermare che la vita è un bene "non disponibile" da parte dell'individuo senza negare il concetto stesso di libertà, sottoponendolo a categorie morali che non possono che essere collettive, e che quindi, di fatto, cancellano l'individuo e negano la sua libera autodeterminazione.

Forse è addirittura giusto e opportuno che scompaia la parola "eutanasia", troppo carica di significati ideologici, che non possono che confondere il discorso. E' ora di porre fine agli schieramenti. Non si tratta di essere "pro vita" oppure di sostenere l'eutanasia. Si tratta di considerare lecita l'anticipazione della morte, se questa è la libera decisione di un essere umano gravemente sofferente.

__img__Non occorre una legge che permetta l'eutanasia, come in Olanda, in Belgio e in Lussemburgo. E' necessario, invece, che l'azione pietosa di anticipare la fine della vita su richiesta del malato inguaribile venga considerata una cura dovuta, e non un atto omicida da depenalizzare. Ovviamente, alla libertà di morire corrisponde specularmente la libertà di vivere. Nessuno può decidere al posto di un altro se una vita è degna di essere vissuta, e il concetto di "qualita' della vita" non può che restare strettamente soggettivo. Questo è vero se si vuole vivere, ed è vero se si vuole morire. In entrambi i casi, tutte le risorse della scienza devono essere messe a disposizione della volontà del malato, che va considerata sovrana e intangibile.

Nel primo caso, quello dell'uomo che vuol vivere nonostante le sofferenze, non deve essere lasciato nulla d'intentato per prolungargli la vita, fosse pure di un'ora soltanto. Nel secondo caso, la scienza deve trovare il coraggio di anticipare la morte decisa e desiderata, e la società civile deve abbandonare il ruolo di guardiana (per conto di chi? Di che cosa?) di una vita torturata e non più voluta. Se diciamo basta alla concezione di eutanasia così com'è stata tramandata nei secoli, diciamo basta a tutta una galassia di vicende oscure, dalle eutanasie clandestine alle interminabili sofferenze dei malati che non ottengono il "permesso" di morire.

Non esiste un'Amnesty International per queste storie di tortura e di negazione dei diritti umani. E per i casi che emergono grazie alla disperata volontà dei tormentati protagonisti, oggi non c'è una risposta di rispetto, ma solo la violenza ideologica dei pareri contrari. Ora bisogna dire: "Basta, silenzio. Diamo la pace a un uomo che ha chiesto di morire. Restituiamo quest'uomo a se stesso".



Stato, mafia e classe politica. di Nicola Tranfaglia


Stato, mafia e classe politica.

Se qualcuno mi viene a raccontare che le trattative tra mafie e Stato sono state l’invenzione di una procura “rossa” e che, nella nostra storia anche recente, non c’è stato mai nulla di simile,avrò la forte tentazione di rispondergli male,magari con una imprecazione.
Basta guardare cosa sta succedendo in questi giorni nelle aule giudiziarie e nei palazzi del potere per rendersi conto che quella è stata una verità storica, di cui purtroppo troppi italiani non riescono a prender coscienza.
Non abbiamo soltanto un ministro, il siciliano Saverio Romano, imputato per associazione esterna a Cosa Nostra, dopo che il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti è sfuggito al carcere soltanto grazie alla prescrizione giudiziaria dopo i processi degli anni novanta.
Ne abbiamo altri due ministri, prima Scaiola e oggi Tremonti, interrogati dalle procure perché hanno acquistato o abitano case pagate da altri. E abbiamo un consigliere politico, l’onorevole Milanese, vicino al superministro dell’Economia,che si fa ristrutturare gratuitamente una casa nel centro di Roma da un’impresa edile amica dello stesso Milanese o di chi altri non sappiamo.
Nello stesso tempo ci sono i vertici della Guardia di Finanza, il corpo che si dedica agli accertamenti tributari dei cittadini normali, che è attraversato da lotte senza esclusioni di colpi che prevedono la diffusione di segreti di stato e altre piacevolezze necessarie a chi condivide il potere del leader populista autoritario.
Quei vertici,a quanto pare, si dividono tra una cordata che fa capo al potente Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,e l’altra che si riferisce al ministro dell’Economia.
La lotta è aspra e non sappiamo quale delle due cordate prevarrà anche se ormai i rapporti diretti tra Tremonti e Berlusconi sono così peggiorati che il ministro teme addirittura che il leader applichi a lui i noti metodi applicati qualche tempo fa al dissidente Fini e poi al malcapitato direttore dell’Avvenire Dino Boffo.
Del resto quando un ciclo di potere sta per chiudersi e un sistema complessivo di potere entra in crisi- come sta avvenendo sicuramente dopo diciassette anni per il longevo berlusconismo- non c’è da stupirsi che i tecnici servano meno e che i capri espiatori diventino utili e addirittura preziosi nella speranza di allontanare l’inevitabile esito negativo.
Perciò in questo momento è importante che le forze del centro-sinistra non si facciano saltare i nervi, utilizzino tutte le risorse culturali e politiche di cui dispongono per prepararsi ad affrontare il confronto indispensabile per mandare i populisti all’opposizione e a lavorare,con le idee chiare, per la rinascita dell’Italia. Se non ora quando,è il caso ancora di dire.