mercoledì 27 luglio 2011

La sconfitta di Maroni-don Rodrigo. - di Domenico Gallo



“Questo matrimonio non s’ha da fare!” esclamò il principe conte, don Rodrigo, riferendosi al matrimonio fra Renzo e Lucia. “Questi matrimoni non s’hanno da fare” esclamò il Ministro dell’interno Maroni, fiero del suo “pacchetto sicurezza” appena approvato nel luglio 2009, con il quale aveva emanato l’editto che reintroduceva in Italia, a settant’anni dalle leggi razziali, il divieto dei matrimoni misti.
Perché proprio questo era l’oggetto della oscena disposizione introdotta da Maroni nel codice civile che la Corte Costituzionale, con la sentenza depositata lunedì scorso ha cancellato dall’ordinamento giuridico.

Con il Regio decreto legge del 17 novembre 1938 (provvedimenti per la difesa della razza italiana) furono introdotte nell'ordinamento una serie di misure discriminatorie, la prima delle quali consisteva nel divieto dei matrimoni misti (art. 1 "il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito").
Lo stesso divieto, con altre forme, è ritornato nel pacchetto sicurezza dove è stata decretata l'impossibilità giuridica per gli stranieri, privi di un permesso di soggiorno in corso di validità, di contrarre matrimonio. In questo modo è stato reintrodotto nel nostro ordinamento il divieto dei matrimoni misti (fra cittadini italiani e cittadini extracomunitari in condizione di irregolarità amministrativa), un divieto fondato sulla stessa discriminazione, questa volta non più religiosa, ma su base etnica.

Per quanto possa sembrare strano, il divieto dei matrimoni misti introdotto da Maroni si è rivelato, sul piano pratico, una misura molto più grave del divieto introdotto da Mussolini con le leggi razziali, poiché afferente ad una popolazione che oscilla fra le centinaia di migliaia ed il milione di persone. E gli effetti si sono visti immediatamente, perché se nel 2008 sono stati celebrati circa 37.000 matrimoni misti, nel 2009, anno in cui (negli ultimi quattro mesi) la legge Maroni è entrata in vigore, il numero dei matrimoni misti è sceso a 32.000. Quindi a migliaia di coppie è stato impedito di contrarre matrimonio, proprio come accadeva, nei Promessi sposi, a Renzo e Lucia.

Dopo Alessandro Manzoni, il prototipo dell’ingiustizia più ingiusta e dell’esercizio più arbitrario del potere è rappresentato proprio dalla rottura di quel legame di coppia che la religione consacra attraverso il matrimonio. Sul piano giuridico questo vuol dire che il diritto di contrarre matrimonio con la persona che amiamo (discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione) rientra nei diritti fondamentali, diritti che – come ha osservato la Corte Costituzionale – spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani».

Eppure quest’ingiustizia è stata perpetrata, nel silenzio generale, malgrado lo strepito dei partiti e dei leaders politici che si sbracciano a farsi paladini dei valori “non negoziabili” della famiglia.
E’ successo anche questo nell’Italia di oggi: don Rodrigo si è reincarnato ed ha assunto le sembianze umane del Ministro dell’Interno Maroni.

Don Rodrigo aveva le sue ragioni per interdire il matrimonio: si era invaghito di Lucia. Ma quali erano le ragioni di Maroni? E’ difficile che Maroni o i suoi amici leghisti si fossero invaghiti di tutte le badanti, le colf, le commesse, le infermiere, le ballerine e le donne delle pulizie che meditano di contrarre matrimonio con un cittadino italiano. La ragione è un’altra. La spiegazione ce l’ha data l’eurodeputato leghista Mario Borghezio quando ha dichiarato alla radio che: “il 100% delle idee di Breivik (il nazista massacratore dei ragazzi norvegesi) sono buone, in qualche caso ottime”.
Quando un ceto politico frequenta ideologie di questo tipo, non c’è da stupirsi proprio di niente. Peccato che la Corte costituzionale non le capisca e si attesti ancora sull’idea retrograda che tutti gli uomini sono uguali.



martedì 26 luglio 2011

Il bluff leghista dei ministeri al Nord Gli uffici inaugurati sono già tutti chiusi


Il deputato dell'Udc Luca Volonté è andato alla Villa Reale di Monza alla ricerca di informazioni sulle nuove sedi. Ma non ha trovato nemmeno un cartello o un citofono. E sugli eventuali costi in più dei dicasteri ora si attiva la Corte dei conti.


Né un custode, né una segretaria. Nessuna insegna e nemmeno un citofono o un campanello. Degli uffici ministeriali al Nord inaugurati in pompa magna il 23 luglio a Monza, dopo tre giorni rimane solo una porta sbarrata. Tutto chiuso. Inutile cercare l’avviso “La sede sarà operativa da settembre”, come previsto daBossi e compagni.

Il deputato dell’Udc Luca Volonté racconta alMessaggero la sua visita alla Villa Reale del capoluogo brianzolo. Alla vana ricerca di quelle tre stanze da 150 metri quadri che devono essere condivise dai ministri Calderoli, Tremonti, Brambilla, oltre che dal Senatùr. E che per ora hanno avuto l’effetto di fare arrabbiare diversi esponenti del Pdl e di suscitare l’interesse della Corte dei conti per l’aumento delle spese dei quattro dicasteri. “E’ stata una specie di caccia al tesoro – spiega Volonté -. Ero in Brianza per alcuni impegni familiari e ho deciso di fare una deviazione per scoprire quali servizi sono offerti dalle nuove sedi di rappresentanza ai cittadini e agli imprenditori. Alla fine, per fortuna, ho trovato alcuni operai che facevano lavori di manutenzione e sono stati loro a indicarmi la palazzina. Credevo di avercela fatta, invece nisba”. Tutto chiuso. Nessuna traccia delle targhe ministeriali in ottone mostrate sabato dall’orgoglioso Calderoli. Il quotidiano romano parla di “sedi fantasma”, “bluff in salsa verde”, “inaugurazione tarocca”.

Niente, a Volonté non è proprio riuscito di rivedere i tre uffici con tanto di foto di Napolitano e Bossi. E la statuetta dell’eroe leghista Alberto da Giussano, vicino a quell’unico computer che in Calderoli ha suscitato qualche imbarazzo in Calderali il giorno dell’inaugurazione. “Speravo che qualcuno mi potesse dire se, e quando, avrei potuto ottenere le informazioni che cercavo – continua Volonté -. Un altro buco nell’acqua”. E poi la sconsolata conclusione: “Ho visto una desolazione assoluta, questa storia dei ministeri al Nord è una grottesca pantomima”. Alemanno può stare tranquillo, quindi. “A Monza non c’è nulla”, garantisce l’esponente dell’Udc.

Eppure l’inaugurazione c’è stata. E per non mancare Bossi ha inforcato un paio di occhiali da Top Gun, convalescente dall’operazione di catarratta che solo il giorno prima gli aveva impedito di essere presente al Consiglio dei ministri. Ha parlato con una mazzetta di banconote in mano, il Senatùr. Come a dire: “I soldi per questi uffici ce li mettiamo noi”. Ma non tutti ne sono convinti. “Il contenimento della spesa e le regole per non duplicare gli uffici non valgono?”, si chiede il presidente della Toscana Enrico Rossi. “A me sembrano tutti un po’ matti. Con queste sedi avremo più spesa pubblica, più sprechi”, commenta Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma. Certo, sui decreti dei ministeri che prevedono le nuove sedi c’è scritto che “non devono derivare maggiori oneri a carico dello Stato”. Personale e gestione dei locali, però, dovranno pur essere pagati. E così un occhio ai decreti l’ha già iniziato a dare la Corte dei conti.


"Dossier per far eleggere Bossi jr" blitz negli uffici della leghista Rizzi


La guardia di finanza ha perquisito anche l'abitazione dell'assessore regionale lombardo.
L'inchiesta riguarda una serie di documenti per colpire 'nemici' fuori e dentro il Carroccio.



La casa e gli uffici dell'assessore regionale a Giovani e sport della Lombardia, la leghista Monica Rizzi, sono stati perquisiti da agenti della polizia giudiziaria. Le perquisizioni, ha spiegato il suo legale Alessandro Didd, sono state affettuate per "ricercare tracce di una ipotizzata attività di dossieraggio" su richiesta della Procura di Brescia.

Non è ancora noto l'episodio o gli episodi ai quali si riferisce l'inchiesta. Nei mesi scorsi, comunque, un ex collaboratore dell'assessore, Marco Marsili, aveva presentato una denuncia nei confronti della Rizzi alla Procura di Brescia per trattamento illecito di dati personali. Dossier, ha spiegato Marsili, che sarebbero serviti poi per colpire 'nemici' fuori e dentro la Lega Nord assicurando anche il miglior risultato elettorale possibile alle scorse regionali a Renzo Bossi detto 'il Trota', figlio del leader leghista Umberto.

"Io sono stato sentito dalla guardia di finanza - ha detto Marsili - Una con un minimo di decenza sarebbe andata a casa da un pezzo". "L'assessore Rizzi non si dimetterà - ha spiegato in una nota l'avvocato Didd - essendo consapevole di non aver nulla da temere e di potere confidare nella serenità della magistratura, che certamente non si farà ingannare da queste manovre". L'avvocato Didd parla di una vera e propria "delegittimazione" nei confronti dell'assessore Rizzi. "Avendo intuito l'organizzazione di queste operazioni - ha aggiunto - avevo richiesto all'autorità giudiziaria di Brescia di conoscere se la stessa fosse o meno indagata. Il pm mi ha anticipato nel fornirmi la risposta notificando all'assessore l'avvio dell'indagine". Già in settimana il legale ha detto che prenderà contatti con il pm Fabio Salamone "perché in tempi brevissimi possa ascoltarla".

"E' stato un atto dovuto", ha commentato l'assessore Rizzi. "Sono serena e, anzi, contenta che siano venuti a controllare se c'erano carte collegate a dossieraggi, non hanno trovato nulla". "In Lega non funziona il metodo dei dossier, ci si candida in altri modi e si viene esclusi per altre ragioni", ha aggiunto "Un po' mi sono sentita sotto tiro da parte di qualcuno e penso che qualcuno dovrà risponderne in un secondo tempo".

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/07/26/news/dossier_per_far_eleggere_bossi_jr_blitz_negli_uffici_della_leghista_rizzi-19642398/?ref=HREC1-11

Un solo neurone per portare avanti due testate giornalistiche.


















No comment.

PD, terremoto in diretta - Marco Travaglio



Borghezio: "La strage di Oslo colpa della società multirazziale. Che fa schifo"



“E’ una vicenda esemplare che fa capire che le strade del buonismo portano all’inferno, quello vero”, afferma sulla strage in Norvegia l’europarlamentare leghista Mario Borghezio. “L’ideologia della società aperta crea mostri – dice ai microfoni della Zanzara su Radio 24 -. Il killer Breivik è il risultato di questa società aperta, multirazziale, direi orwelliana. Questo tipo di società è criminogeno. Certe situazioni di disagio e di insofferenza è inevitabile che sfocino in tragedia. Quando una popolazione si sente invasa, poi nascono dei fenomeni di reazione, anche se gli eccessi sono da condannare. Quando si diceva prima che la Norvegia e la Svezia accoglievano decine di migliaia di tunisini, bisognava tener conto dell’impatto che un afflusso di questo genere poteva generare. La società aperta e multirazziale non è quel paradiso terrestre che ci voglion far credere coloro che comandano l’informazione. La società aperta e multirazziale fa schifo”.


Non ho parole!
Questo è un nostro rappresentante...

lunedì 25 luglio 2011

Il boss calabrese e l’uomo di Ferrovie nord. - di Davide Milosa


In un'informativa depositata agli atti dell'inchiesta milanese Caposaldo viene documentato l'incontro tra Pasquale Guaglianone, ex tesoriere dei Nar, oggi nel cda della spa controllata da Regione Lombardia e Paolo Martino, considerato dai magistrati il referente delle cosche in Lombardia.


Da sinistra: Pasquale Guaglianone, Paolo Martino e Fabio Mucciola

Il boss e l’ex tesoriere dei Nar (i Nuclei armati rivoluzionari fondati nel 1977 dal terrorista nero Giusva Fioravanti), oggi nel Cda di Ferrovie nord, la spa controllata da Regione Lombardia e presidente del collegio sindacale di Fiera Milano congressi. Estremismo di destra, mafia e impresa pubblica. C’è anche questo nel romanzo criminale della ‘ndrangheta alla milanese. Incroci pericolosi che rimescolano le carte e sul tavolo dei grandi affari lombardi squadernano rapporti inquietanti con protagonisti degli anni di Piombo che si riciclano nella politica lombarda da tempo commissariata alle direttive del Pdl, ala ex An. Tradotto: il ministro della Difesa Ignazio La Russa.

Per capire, però, bisogna tornare al 2009, quando va in scena un incontro decisivo. Siamo in via Durini 14, pieno centro di Milano. A due passi piazza San Babila. Altri quattro e arrivi sotto al Duomo. Diciassette settembre. Dieci minuti alle undici di mattina. Vacanze in archivio e città al lavoro. Il traffico rallenta. Due uomini s’incontrano sul marciapiede davanti al palazzo che ospita gli uffici di diverse società. Si salutano e scompaiono dentro al portone di vetro. Chi sono? Il primo indossa un impermeabile chiaro, pantaloni scuri e scarpe sportive. E’ nato a Reggio Calabria, ma da tempo ormai vive sotto la Madonnina. Si chiama Paolo Martino e gli investigatori del Ros lo considerano un influente boss della ‘ndrangheta, imparentato con la potente famiglia De Stefano. A carico ha una lunga latitanza e anche una condanna per omicidio. L’altro, invece, è molto alto. Indossa un abito grigio senza cravatta e tiene la sigaretta nella mano sinistra. Si chiama Fabio Mucciola, è nato a Roma, ma vive a Reggio Calabria dove ha sede la sua impresa. La Mucciola spa è una holding dell’impiantistica che da anni lavora in riva al Naviglio. Tanto da vincere (nel 2008) un appalto pubblico milionario messo sul tavolo dal Pio Albergo Trivulzio. L’incontro tra i due viene prima filmato dai carabinieri e poi trascritto in un’informativa agli atti dell’inchiesta Caposaldo: 15 marzo 2011, trentacinque arresti per associazione mafiosa. Un lungo elenco di indagati che comprende anche il nome di Paolo Martino. In quella tiepida giornata di settembre, però, il presunto referente delle cosche reggine al nord si muove alla grande. E con Fabio Mucciola, che ad oggi non risulta indagato dalla procura di Milano, entra al numero 14 di via Durini.

Mezz’ora più tardi i due sono di nuovo sul marciapiede. Ma non sono soli. Con loro c’è un altro uomo. Un tipo non alto, ma robusto. Pochi capelli in testa, indossa un vestito elegante e controlla il cellulare. Sul momento viene catalogato come “persona sconosciuta”. Ma un rapida “comparazione fotografica del cartellino d’identità”, lo identifica in Pasquale Guaglianone, detto Lino, nato a San Sosti, provincia di Cosenza, il 22 gennaio 1955, professione commercialista, un incarico nel Cda di Ferrovie nord, un altro in Fiera Milano Congressi spa e una passione per l’estrema destra.

Per capire da dove arriva Guaglianone basta spulciare un’informativa della Digos del 28 novembre 1981. Si legge: “Il segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Vittorio Guaglianone è stato chiamato alla ferma militare. Pertanto l’interinato del Fronte è stato dato a suo fratello Lino (Pasquale,ndr), protetto da La Russa”. Dieci anni dopo, lo stesso Guaglianone viene condannato in primo grado (sentenza confermata in Cassazione) per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti,Francesca Mambro, Franco Anselmi e Alessandro Alibrandi. L’accusa è precisa: “Compiere atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale, contribuendo a creare una struttura associativa interamente clandestina” che “progettava e compiva attività delittuose strumentali (…) predisponeva idonei rifugi per i militanti (…) acquistava ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi”. Nel 1992 Guaglianone incassa cinque anni di condanna. Nel 1994, la Corte d’appello gli riconosce le attenuanti generiche scontando qualche mese.

A partire dal 2000, l’ex Nar inizia la sua riabilitazione politica. Nel 2005 si candida per An alle regionali. Una candidatura che il ministro La Russa commenta così: “Ci interessa dare posti a quella destra più a destra di noi”. Eppure, nonostante un tale sponsor, le elezioni naufragano. Anche se Guaglianone, candidato nel comune di Buccinasco, fa incetta di voti. La sua carriera politica, però, non si ferma. E così nel 2009, dopo essere confluito nel Pdl, il “protetto da La Russa” entra nel Cda di Ferrovie nord. In realtà il vecchio amore resta sempre l’estrema destra. E così l’ex Nar figura anche tra i primi finanziatori del centro sociale Cuore nero.

Nel frattempo il Lino porta avanti anche la professione di commercialista assieme al suo storico socioAntonio Italica (non indagato). Originario di Reggio Calabria, nel 1997 Italica si candida alle comunali di Milano nelle file di Alleanza nazionale. Progetto politico poi abortito. E sul quale pesa un particolare curioso. Il 10 aprile di quello stesso anno, in piena campagna elettorale, Atomo Tinelli, consigliere comunale di Rifondazione comunista, viene accoltellato mentre attacca dei manifesti. L’aggressione avviene in zona Ticinese. I suoi accoltellatori fuggono e si rifugiano nel ristorante Maya, dove, tra l’altro, ha lavorato l’ordinovista Nico Azzi (morto nel gennaio 2007). Il locale, all’epoca, è di proprietà di Guaglianone. Quella sera, poi, la sala è riservata a un cena elettorale in favore proprio di Antonio Italica. Ovviamente l’episodio non avrà alcuna rilevanza penale e non sarà mai connesso all’aggressione.

Italica e Guaglianone lavorano negli uffici in via Durini 14. Entrambi sono soci nello studio di commercialisti Mgim. E sono presenti nel collegio sindacale della Finman Spa dell’immobiliarista calabrese Mario Pecchia, il cui nome compare nell’inchiesta Cerberus sul monopolio del movimento terra da parte della ‘ndrangheta padana. Sia Pecchia che Guaglianone non risultano indagati dalla Dda di Milano. Il fattoquotidiano.it oggi ha contattato la segretaria dello stesso Guaglianone illustrandole la vicenda. Il consigliere di Ferrovie nord, però, non ha richiamato per spiegare il motivo dell’incontro filmato dai carabinieri.

Al di là delle responsabilità penali resta, però, un fatto: l’incontro, filmato dai Ros di Milano, tra l’ex Nar, recordman di incarichi nelle partecipate pubbliche, e il presunto boss della ‘ndrangheta. I due, assieme all’imprenditore Fabio Mucciola, si congedano pochi minuti prima di mezzogiorno del 17 settembre 2009. Con loro c’è anche una signora bionda, il cui nome compare solo in una nota dell’informativa. Si tratta di Carla Spagnoli nata a Perugia nell’aprile del 1953 (non indagata). La signora, figlia dell’ex presidente del Perugia Calcio, aderisce ad Alleanza nazionale durante la svolta di Fiuggi del 1995. Nel 2004 fonda la corrente dei Cristiano-Riformisti. In quello stesso anno si candida alle europee. Nel 2007 lascia An e confluisce nella Destra di Storace, lista con la quale, nell’aprile 2008, si candida al Senato. Nel 2009 fonda il Movimento per Perugia. E’ febbraio. Pochi mesi dopo la ritroviamo nel pieno centro di Milano in compagnia di un ex terrorista nero e di un presunto boss della ‘ndrangheta.