lunedì 1 agosto 2011

Debito Usa, Obama annuncia: "C'è l'accordo" aumento del tetto e tagli, no a nuove tasse. - di Federico Rampini


Debito Usa, Obama annuncia: "C'è l'accordo" aumento del tetto e tagli, no a nuove tasse


L'intervento del presidente: "Evitato il default". Il voto, prima al Senato e poi alla Camera, dovrebbe avvenire in giornata. L'accordo prevede l'innalzamento del tetto e tagli di spesa in fasi successive. Accelerano le borse asiatiche.


NEW YORK – L’incubo-default è finito, i mercati esultano, la minaccia che incombeva sull’economia mondiale si dissolve. Sono le 20.40 a Washington (le 2.40 del mattino in Italia) quando Barack Obama dà l’attesa notizia alla nazione, al culmine di una domenica di spasmodica attesa: “Mancano ancora delle importanti votazioni al Congresso, ma voglio annunciare che i leader dei due partiti, nelle due Camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, un default che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia. Comincia a diradarsi l’incertezza che pesava sulla nostra economia”.

Il capo dei democratici al Senato, Harry Reid, parla di “storico compromesso bipartisan che mette fine a uno stallo pericoloso”. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, attribuisce al suo partito una sostanziale vittoria: “Non c’è nulla in questo accordo che contraddica i nostri principi. Abbiamo ottenuto che non ci siano nuove tasse”.

Nelle prime reazioni c’è già una sintesi di bilancio politico: per Obama è un successo perché è stata evitata una catastrofe, il suo talento di negoziatore è premiato, si conferma la sua immagine di statista che mette l’interesse della nazione al di sopra dei calcoli di parte; ma la destra ha avuto partita vinta su molti contenuti. L’America rovescia completamente il segno della politica economica che aveva adottato con Obama durante la recessione del 2008-2009, dalle manovre di sostegno alla crescita passa a drastici tagli di spesa, inaugura l’èra della grande austerità.

I mercati reagiscono subito positivamente, con un rialzo delle Borse asiatiche, le prime ad aprire mentre giunge la notizia dell’accordo di Washington.

Il primo effetto dell’intesa – sempre che oggi ottenga i voti necessari alla Camera e al Senato – è di rialzare il tetto del debito pubblico, giusto in tempo perché il Tesoro sia autorizzato a lanciare nuove emissioni di titoli pubblici. Non s’interromperà il regolare pagamento di stipendi, pensioni, cedole sui titoli di Stato, come rischiava di accadere da stasera. Il rialzo del tetto del debito da parte del Congresso – una condizione necessaria negli Stati Uniti in virtù di una legge del 1917 – è previsto in due tempi. Una prima tranche di aumento, pari a 900 miliardi di dollari, deve scattare subito, accompagnata da immediati tagli di spese pubbliche pari a 917 miliardi.

La seconda tranche di aumento del tetto del debito, tra i 1.100 e i 1.500 miliardi, è condizionata a nuovi tagli di spese per un ammontare equivalente, che devono essere definiti da una commissione paritetica nominata dai quattro leader democratici e repubblicani di Camera e Senato. Qualora quella commissione non arrivi a un accordo in tempo utile, scatteranno tagli automatici suddivisi per il 50% sulle spese di difesa e per il 50% su spese sociali incluso il Medicare (assistenza sanitaria agli anziani).

Insieme al sollievo per lo scampato pericolo, nelle prime reazioni spiccano i malumori di molti parlamentari delle due frange più radicali: l’ala sinistra del partito democratico e alcuni esponenti della destra anti-tasse che fa riferimento al Tea Party. Questi ultimi avrebbero voluto una norma costituzionale sull’obbligo di pareggiare il bilancio.

Ma è soprattutto a sinistra che i malumori si fanno sentire. Nancy Pelosi, capogruppo dei democratici alla Camera, non ha voluto fare previsioni sull’esito del voto di oggi: “Esaminerò la proposta legislativa col mio gruppo parlamentare, per vedere quale livello di sostegno possiamo raggiungere”. In quanto al presidente della Camera, il repubblicano Boehner, deve riuscire a raccogliere almeno la metà dei suoi 240 deputati.

Oltre che nel segno di una manovra economica fortemente restrittiva, e senza nuove tasse, la destra è vittoriosa anche per il metodo: è riuscita a creare un precedente, trasformando in uno strumento di ricatto sul presidente quell’autorizzazione di aumento del debito pubblico che in passato era un atto dovuto e di routine, visto che il debito è la risultante di leggi di spesa già approvate dallo stesso Congresso.



Giunta Zedda, indennità abbassate.


giunta zedda


Dopo la riduzione del numero dei componenti e quello delle auto blu anche quella dell’indennità. Meno di 2000 euro a testa andranno agli assessori di Massimo Zedda. Nessuno di loro ha chiesto l’aspettativa per il mandato politico e pertanto avranno tutti lo stipendio ridotto e percepiranno mille e 800 euro mensili lordi. La metà rispetto a quanto incassavano quasi tutti gli assessori della giunta Floris, dove soltanto tre avevano la riduzione.

Ecco l’elenco dei compensi: il sindaco Massimo Zedda prende 6 mila e 73,53 euro lordi mensili, il vice sindaco Paola Piras 2 mila 277,57 euro (non in aspettativa per mandato politico), mentre le indennità ridotte agli assessornon in aspettativa per mandato politico (Enrica Puggioni, Paolo Frau, Susanna Orrù, Barbara Argiolas, Maria Luisa Sassu, Pierluigi Leo, Luisa Anna Marras, Mauro Coni e Gabor Pinna) garantiscono mille e 822,06 euro lordi mensili ciascuno.

Nella scorsa consiliatura le cose andavano un po’ diversamente. Emilio Floris prendeva 6 mila 73, 53 euro mensili (come Zedda), l’ex vicesindaco Maurizio Onorato 2 mila e 277, 57 euro (come la Piras). Poi gli assessori: Giorgio Adamo, Giovanni Maria Campus, Paolo Carta, Giuseppe Farris, Aurelio Lai, Raffaele Lorrai, Antonello Melis, Anselmo Piras e Edoardo Usai percepivano 3 mila e 644, 12 euro, indennità ridotta soltanto per Gianni Giagoni, Patrizio Mulas e Giorgio Pellegrini (mille e 822, 06 euro).

C’è anche da sottolineare come la giunta Floris a gennaio si fosse tagliata lo stipendio del 10 % dopo il varo di una norma nazionale. Ad aprile però scoprì che la decisione era strata un po’ affrettata e, con una determinazione del capo di Gabinetto Francesco Cicero si aumentò i compensi del 10 %, facendosi giustizia.

http://www.sardegna24.net/cagliari-e-provincia/giunta-zedda-indennita-abbassate-1.10674


domenica 31 luglio 2011

"A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti". - di CARLO BONINI e MARIA ELENA VINCENZI


"A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti"


Le rivelazioni dell'imprenditore Di Lernia nell'indagine Enav. Secondo il teste il ministro sarebbe stato ricattato per la conferma di Guaraglini a Finmeccaninca.


ROMA - Dal carcere, dove è precipitato con l'accusa di corruzione nell'inchiesta sugli appalti Enav e finanziamento illecito per aver acquistato lo yacht da 24 piedi di Marco Milanese, un uomo racconta a verbale una "verità de relato" capace, se riscontrata, di travolgere il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. L'uomo è Tommaso Di Lernia (nel giro, lo chiamano "er cowboy"). È un ex muratore che si è fatto imprenditore edile e che si trova al crocevia di tre vicende annodate tra loro: Finmeccanica, gli appalti Enav, i rapporti incestuosi tra l'ex consigliere politico del ministro e imprenditori corrotti. Il suo racconto svela tre circostanze. La prima: l'affitto della casa abitata dal ministro in via di Campo Marzio, era pagato non da Marco Milanese ma da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav. Lo stesso che quella casa aveva ristrutturato gratuitamente e che è oggi accusato di corruzione per gli appalti ottenuti dalla sua impresa, la "Edilars", con Sogei (società pubblica partecipata al 100 per cento dal Tesoro). La seconda: Tremonti venne ricattato da Lorenzo Cola, uomo del Presidente di Finmeccanica, perché fosse costretto a riconfermare Pierfrancesco Guarguaglini al vertice della holding e la pressione decisiva fu il "dossier" che Cola aveva sulla compravendita della barca di Milanese, sull'affitto della casa, e "sulle sue altre porcate". La terza: Di Lerniachiese a Milanese una pressione sull'Agenzia delle Entrate perché ammorbidisse la verifica sulla sua società "Print Sistem".

"Ho deciso di parlare"
Il verbale, dunque. È l'11 luglio e alle 13 e 10, nel carcere di Regina Coeli, Di Lernia compare di fronte al gip Anna Maria Fattori per il suo interrogatorio di garanzia. Di Lernia è accusato di corruzione e frode fiscale nell'inchiesta condotta dai pm Paolo Ielo e Giancarlo Capaldo sugli appalti Enav. Nella ricostruzione dell'accusa, la sua società, la "Print sistem" è infatti lo snodo cruciale del Sistema di appalti e corruzione con cui, attraverso un gioco di sovrafatturazioni, la "Selex Sistemi integrati" (Finmeccanica) di Marina Grossi, per la quale Di Lernia lavora in subappalto, è riuscita a creare fondi neri necessari a corrompere il management dell'Ente e i suoi referenti politici. Ma l'11 luglio, Di Lernia ha un nuovo problema. Una seconda ordinanza di custodia cautelare, chiesta e ottenuta dal pm Ielo, lo accusa di aver acquistato nel 2010 lo yacht di Marco Milanese a condizioni capestro che ne svelano le vere ragioni. Convincere l'allora consigliere politico di Tremonti a pilotare la nomina di Fabrizio Testa al vertice di Technosky (società di Enav). È una nuova mazzata che convince Di Lernia a uscire dal suo silenzio. A scrivere e consegnare al magistrato che lo interroga un memoriale (che gli guadagnerà, di lì a qualche giorno, gli arresti domiciliari). "L'indagato - annota il gip - acconsente a rispondere alle domande, consultando degli appunti che vengono sottoscritti e allegati al presente verbale".

"Milanese, Proietti, la casa di Tremonti"
Di Lernia conferma di aver acquistato lo yacht di Milanese. Le ragioni per cui l'operazione si fece: risolvere un problema al consigliere del ministro, piazzare Testa in "Technosky". Ma, spiega, la sua non fu una scelta, ma l'obbedienza dovuta a un uomo cui doveva tutto: Lorenzo Cola, il "facilitatore" di Pierfrancesco Guarguaglini, che, per conto di Finmeccanica, governa appalti e subappalti in Enav. "Cola - dice Di Lernia - non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l'ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona del Presidente, e dunque che non mi sarei potuto sottrarre. A Cola non si poteva dire di no, e quindi gli chiesi dove avrei dovuto prendere il milione e mezzo di euro per l'acquisto della barca. Lui mi rispose: "Tirali fuori dagli utili che hai dal lavoro che ti diamo"". Quando Di Lernia scopre che il venditore è Marco Milanese, il nome non gli dice nulla. "Confesso la mia stupidità. Poi, tempo dopo, di Milanese mi parlò Cola. Mi disse che era uno che "capiva poco" e "mangiava tanto". Che era "un problema per Tremonti", una sorta di inconveniente imbarazzante". Di Lernia impara a conoscere Milanese, ma, soprattutto ne afferra un segreto. "Sentii parlare di Milanese da Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav. Mi disse che era stanco delle pressioni di Milanese per Testa a "Technosky", ma mi chiese contestualmente di dare lavoro a un certo Angelo Proietti per i subappalti all'aeroporto di Palermo, un lavoro per il quale Cola aveva già deciso che l'affidamento fosse dato alla "Electron", del gruppo Finmeccanica, e al sottoscritto". Perché far lavorare questo Angelo Proietti e la sua "Edilars" nei subappalti Enav? Di Lernia non se lo spiega. Ne chiede conto a Cola. "Mi disse che di Proietti gli aveva parlato Milanese, descrivendolo con queste parole: "È il tipo che mi dà solo 10 mila euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti". Aggiunse di dire a Pugliesi di stare tranquillo perché lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e comunque aggiunse che, in un immediato futuro, Selex avrebbe dato a Proietti dei lavori a Milano".

Il ricatto a Tremonti. "Un blitz per ricordargli le porcate"
A giugno del 2010, accade dell'altro. "Mi chiamò Cola e mi spiegò di essere dispiaciuto per avermi fatto acquistare la barca. Mi disse: "Quel verme di Milanese sta sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica, invece di Guarguaglini. In più, ho saputo che ha fatto delle estorsioni a delle persone a Napoli. E Tremonti non risponde al telefono a Guarguaglini"". A Di Lernia, Cola confida qualcosa di più, che è pronto a usare anche la storia della "barca" e della casa per vincere la partita su Finmeccanica: "Cola aggiunse che questa storia non la mandava giù e dunque avrebbe organizzato un blitz dal ministro (Tremonti) per mostrargli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri. Che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Tanto è vero che poco tempo dopo, Milanese mi fece sapere per il tramite di Testa che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato. E fu Cola, poi, a dirmi che il blitz era andato a segno".

"Ammorbidire l'accertamento fiscale"
Di Lernia incontra Proietti nell'estate 2010 perché, dopo l'arresto di Cola (8 luglio), è diventato lui il suo "canale" con Milanese. Una prima volta lo incrocia in Enav, nell'ufficio di Pugliesi, che lo convoca per sollecitarlo "a chiudere l'acquisto della barca". Una seconda volta, in piazza del Parlamento, per risolvere un suo "problema". "Portai a Proietti un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate per il 2005. Gli dissi che volevo "una parola buona" con l'Agenzia, di cui temevo l'accanimento. Tre giorni dopo, Proietti mi diede appuntamento in piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva interceduto con Attilio Befera (direttore dell'Agenzia)". Ma, a dire di Di Lernia, in senso opposto. "Mi hanno fatto una multa di 18 milioni di euro. Roba carnevalesca. Milanese deve essere intervenuto al contrario, proprio per dimostrare che non esistevano connessioni".


Carestia in Somalia, monito del Papa: ''Vietata indifferenza davanti alla tragedia''.



Castel Gandolfo - (Adnkronos/Ign) - Benedetto XVI durante l'Angelus a Castel Gandolfo ha rivolto l'invito a pensare ''ai tanti fratelli e sorelle del Corno d'Africa''. Già il 17 luglio scorso Ratzinger aveva lanciato un appello alla comunità internazionale. Fao: ancora in tempo per scongiurare la catastrofe
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Castel Gandolfo, 31 lug. (Adnkronos/Ign) - Pensare ''ai tanti fratelli e sorelle che in questi giorni in Corno d'Africa patiscono le drammatiche conseguenze della carestia''. E' l'invito rivolto oggi dal Papa ai fedeli durante l'Angelus a Castel Gandolfo.

Parlando della moltiplicazione dei pani, Ratzinger ha spiegato che "il miracolo consiste nella condivisione fraterna di pochi pani che, affidati alla potenza di Dio, non solo bastano per tutti ma addirittura avanzano, fino a riempire dodici ceste". "Il Signore sollecita i discepoli affinché siano loro a distribuire il pane alla moltitudine - ha aggiunto il Papa - in questo modo li istruisce e li prepara alla futura missione apostolica: dovranno portare il nutrimento della parola di vita e dei sacramenti". "In questo segno prodigioso - ha sottolineato - si intrecciano l'incarnazione di Dio e l'opera della Redenzione". "Nel pane di Cristo è presente l'amore di Dio", ha concluso Ratzinger.

Al termine dell'Angelus Benedetto XVI ha lanciato un appello in polacco rivolgendosi ai tanti pellegrini polacchi presenti a Castel Gandolfo. E' "vietato essere indifferenti davanti alla tragedia degli affamati e degli assetati" ha detto il Pontefice ribadendo con ancora maggiore vigore l'invito a non dimenticare i ''fratelli e le sorelle del Corno d'Africa''.

Intanto l'Unione Africana ha convocato un summit per affrontare la grave carestia che sta colpendo la Somalia. Lo ha annunciato il vice presidente della Ua, Erasums Mwencha, durante una visita al contingente di peacekeeping dell'organizzazione africana a Mogadiscio.

"Ho chiesto al continente africano, dal nord al sud, di cercare di vedere cosa possono fare per cercare di alleviare le sofferenze del popolo somalo", ha detto il vice presidente dell'Unione Africana che non ha però annunciato una data per il summit. L'annuncio avviene dopo che sulla stampa africana vi sono state diverse critiche ai leader africani per non essersi mobilitati per aiutare le vittime della carestia e della siccità nel Corno d'Africa, dove oltre 12 milioni di persone sono a rischio.




Roma, anziana muore al pronto soccorso dopo 21 ore di attesa su una sedia a rotelle.



Roma - (Adnkronos) - E' accaduto al San Camillo dove la donna, 82 anni, morta per un'emorragia cerebrale, era stata classificata come codice verde. La figlia al 'Messaggero': ''Non è giusto morire così''. Pd Lazio chiede l'intervento del prefetto.

Roma, 31 lug. (Adnkronos) - A 82 anni, classificata come codice verde, ''è rimasta per ventuno ore su una sedia rotelle al pronto soccorso del San Camillo'' ed è morta dopo 48 ore per un'emorragia cerebrale, il 16 luglio alle 17,45. A denunciarlo è la figlia, Antonella Marcellini, 47 anni, che al 'Messaggero' spiega: ''Non vogliamo soldi, non vogliamo nulla, vogliamo solo fare sapere come si muore negli ospedali romani. E' l'unico modo per ricordare nostra madre''. E aggiunge: ''Ha vissuto le sue ultime ore in modo indegno, insieme a decine di altre persone sofferenti ammassate in pronto soccorso, senza che i medici per molte ore la visitassero''.

''Comprendo il dolore delle figlie'', replica al quotidiano romano il direttore generale dell'ospedale Aldo Morrone. ''Purtroppo - aggiunge - la signora aveva una condizione molto difficile, non solo per l'età: l'obesità, il diabete, la neuropatia. Appena arrivata aveva la tipica condizione del problema cardiaco, le è stato fatto l'elettrocardiogramma, anche alla luce dell'ischemia cardiaca che aveva avuto in passato. Quando è stata sottoposta alla Tac è emersa una emorragia cerebrale. E' stata visitata dal neurochirurgo e purtroppo non era possibile operare''. Perché fare trascorrere una notte su una sedia a rotelle a una donna di 82 anni? ''Aveva problemi a respirare, la lettiga non sarebbe stata la scelta migliore'', spiega il direttore generale.

Licia Puglielli per tanti anni aveva lavorato proprio nella sanità romana, nel settore amministrativo. Da sette era su una sedia a rotelle per una neuropatia diabetica. Abitava al quartiere Portuense con il marito di 86 anni. ''La chiamavamo la carabiniera perché era molto lucida e ben organizzata - racconta la figlia - Io avevo preso l'aspettativa dal lavoro per assisterla insieme a mia sorella. Il 13 luglio però comincia a sentirsi male. Non riesce più a usare le mani, soprattutto la destra. Alla notte le sue condizioni non migliorano. Ci preoccupiamo. Il diabetologo ci dice che forse la neuropatia sta arrivando alle mani. Il 14 luglio la portiamo al pronto soccorso del San Camillo. Sono le 17, la vede un medico a cui spieghiamo tutto: le sue condizioni, il problema alla mano. Lui ci risponde che anche se fosse stato un ictus ormai era tardi, non era un caso urgente. La classifica come codice verde. Insistiamo, ma lui conferma: codice verde''.

La lasciano su una sedia a rotelle tutta la notte, racconta la figlia. ''Nel pronto soccorso c'erano decine di persone tutte sulle barelle, in condizioni inaccettabili - racconta ancora la figlia - L'umiliazione maggiore quando ha dovuto fare la pipì, riparata come si poteva. Trascorrono le ore, nessuno si occupa di lei. Io e mia sorella ci diamo il cambio. Mia madre cerca di tranquillizzarci, ci chiede di nostro padre che è a casa, si preoccupa per lui. Dorme su quella sedia, appoggiando le gambe come può su una poltrona. Ci dicono i parenti di altri pazienti: funziona così, ci sono anche codici rossi parcheggiati da due o tre giorni. Le hanno fatto solo due elettrocardiogrammi e due prelievi del sangue. Ma noi chiediamo che nelle sue condizioni le venga fatta una Tac''.

Al mattino Antonella non ce la fa più. Licia sta sempre peggio, ''la parte destra è ormai completamente andata, io alle 14 mi arrabbio con una dottoressa che ha appena preso servizio. Mia madre si aggrava, la Tac viene fatta solo alle 16'', spiega ancora la figlia.

''Alle 17.30 non parla più, balbetta. Solo allora diviene codice rosso, la intubano. Trascorre la seconda notte al San Camillo, questa volta in medicina d'urgenza. Al mattino, alle 6.30, ci dicono che è in coma irreversibile. Per capirci: mia madre è arrivata al pronto soccorso il 14 luglio alle 17 ed è stata classificata come codice verde. Trascorre la notte su una sedia a rotelle. Dopo 30 ore è in coma. E il 16 luglio, alle 17.45, è morta, per un'emorragia cerebrale. Non è giusto morire così''.



L'altra Islanda che resiste all'Europa. - di Marco Santopadre.


Non è usuale, dalle nostre parti, sentir parlare di Islanda, un paese abitato da 320mila anime in tutto e relegato nelle estreme e fredde propaggini settentrionali del continente europeo. Eppure gli islandesi meriterebbero più attenzione da parte dei media, visto che sono stati i primi europei a sviluppare una risposta di massa alla gestione della crisi da parte dei governi locali e delle istituzioni economiche internazionali. Qualche giorno fa, ad Atene, durante le manifestazioni dei sindacati e degli «indignati» contro i tagli e le privatizzazioni del governo Papandreou, abbiamo incontrato Thorvaldur Thorvaldsson, un attivista della sinistra radicale islandese, e ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda.


Qual è il vostro giudizio sugli avvenimenti che hanno scosso l'Islanda negli ultimi anni?
La protesta popolare è esplosa nell'ottobre del 2008, dopo il collasso del sistema bancario che ha rivelato in maniera scioccante una crisi fino a quel momento latente del sistema economico capitalista. È emerso allora un movimento di massa che per mesi, ogni settimana, ha manifestato nelle piazze del paese, e in particolare davanti al parlamento. Agli inizi del 2009 la protesta ha imposto un significativo cambio di governo. Prima l'esecutivo era formato dai conservatori, e poi è passato nelle mani di socialdemocratici e verdi. Questa svolta, su pressione della piazza, ha generato una grande illusione e una grande speranza. L'idillio tra partiti di centrosinistra e movimento di protesta è durato per un po'. Nelle elezioni politiche della primavera del 2009 i due partiti hanno ottenuto la maggioranza assoluta. Ma presto la speranza di un cambiamento significativo di rotta, economicamente parlando, è stata frustrata. La gente si è resa conto che il nuovo governo stava proseguendo sulla stessa via di quello precedente, in ossequio ai diktat di banche e istituzioni internazionali. La disillusione è aumentata quando il governo di centrosinistra ha chiesto l'adesione dell'Islanda all'Unione europea, conducendo un'ingannevole campagna propagandistica secondo la quale se il paese fosse stato già membro dell'Ue le nostre banche non sarebbero fallite... Per un po' i sondaggi hanno concesso un leggero vantaggio a coloro che erano d'accordo con l'ingresso dell'Islanda nell'Unione. Ma poi, man mano che le bugie venivano smontate, i contrari hanno raggiunto una quota tra il 60 e il 70%. Anche se il governo continua a tentare di imporre questa scelta al paese, grazie alla profonda contrarietà dell'opinione pubblica il processo di adesione è stato comunque già ritardato di anni, e i negoziati veri e propri sono iniziati da poco. Se mai decideranno di indire sull'argomento un referendum, lo perderanno.


Perché siete così contrari ad entrare nell'Unione europea?
Se entrassimo nell'Ue sarebbe più difficile per noi contrastare le politiche che i vari governi adottano per scaricare la crisi sui ceti sociali meno abbienti. Potremmo dire che l'Unione ha inglobato queste politiche nel suo Dna, ne ha fatto la sua vera Costituzione. Naturalmente l'Unione è interessata anche alle nostre risorse, per questo preme affinché la nostra adesione sia rapida. Vogliono il nostro patrimonio ittico e le nostre riserve di idrocarburi. Per non parlare del controllo che potrebbero stabilire su un quadrante marino così esteso e così vicino al Polo nord, strategicamente fondamentale. Inoltre pensiamo che la nostra resistenza all'ingresso nella confederazione rappresenti un sostegno a chi, all'interno dei suoi confini, oggi discute sull'opportunità o meno di rimanerci. Ormai non siamo più ai tempi delle vane promesse di un futuro migliore, ma dobbiamo tracciare un bilancio realistico e spietato di questa esperienza fallimentare. Non si può non riconoscere che l'adesione all'Ue ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini di molti paesi.


Cosa pensa della questione del debito e delle misure che il Fondo monetario internazionale sta imponendo ai vari paesi?
Dopo il fallimento delle banche l'Islanda è stato il primo paese del continente europeo ad essere sottoposto da decenni ad un piano di aggiustamento del Fmi. Il fatto che un paese europeo avesse «bisogno» dell'aiuto di questa istituzione finanziaria internazionale ha generato uno shock nell'opinione pubblica. Ma i cosiddetti aiuti dell'Fmi non sono affatto tali, anzi impediscono ai popoli e ai paesi di risollevarsi. L'Islanda è stata obbligata a chiedere un prestito di 2.1 miliardi all'Fmi. Ogni scadenza delle varie tranche del debito è servita al Fondo per obbligarci ad accettare condizioni capestro che servivano a garantire le banche britanniche che hanno speculato nel nostro paese ma poi sono fallite. Sulla questione del pagamento del debito il governo è stato sconfitto ben due volte in altrettanti referendum, e con percentuali altissime, dopo che il Presidente si era rifiutato di accettare l'imposizione di un altro prestito. I prestiti sono stati «concessi» in cambio di un ulteriore processo di privatizzazione di ogni aspetto della nostra economia. Nel 2013, data entro la quale il nostro debito dovrebbe essere estinto e il prestito restituito con enorme sacrificio per gli islandesi, cominceranno i veri problemi: perché i soldi per farlo non ci saranno, e la cifra da restituire non sarà più di 2,1 miliardi, ma sarà salita per gli interessi a 2 e mezzo, se non di più. E noi non potremo pagare. Così, il governo islandese dovrà chiedere un altro megaprestito per pagare gli interessi nel frattempo maturati su quello precedente. L'Fmi a quel punto diventerà l'unico e incontrastato padrone dell'Islanda, e imporrà ulteriori tagli. È così che lavora il Fondo monetario. All'inizio della crisi si era diffusa la voce che ci sarebbero stati dei cambiamenti importanti nel suo modo di procedere, che in Europa l'Fmi si sarebbe comportato diversamente rispetto ai metodi normalmente utilizzati nel cosiddetto Terzo mondo. Una speranza infondata, basata sul pregiudizio di superiorità dell'Europa rispetto al resto del pianeta. Perché mai l'Fmi dovrebbe essere meno aggressivo e invadente con i paesi europei? Se non ci saranno profondi cambiamenti politici ed economici, a breve lo standard di vita per le grandi masse di cittadini europei andrà drammaticamente a fondo. In questi anni «l'esercito di schiavi», se così posso chiamarlo, sta ingrossando le sue fila, mentre lo strato benestante della popolazione si sta assottigliando e i ricchi diventano sempre più ricchi. Bisogna cambiare, e subito! La nostra organizzazione politica si è formata sulla spinta della nuova situazione che si era venuta a creare nel 2008 in occasione del fallimento delle banche. Al centro della nostra piattaforma e della nostra azione politica abbiamo posto il recupero della nostra sovranità nazionale e popolare, oltre che la proprietà comune, collettiva delle risorse naturali. Le infrastrutture economiche devono essere riportate sotto il controllo pubblico, sottratte alla dittatura del mercato. Inoltre difendiamo un allargamento della democrazia e della partecipazione politica a tutti i livelli. Non ci accontentiamo della democrazia formale, pretendiamo che le persone abbiamo più strumenti a disposizione per dire la propria. L'azione dei partiti e dei governi non può prescindere dall'opinione delle persone e dalla volontà popolare, non può restare impermeabile . Stiamo lavorando per veicolare questi valori nel movimento popolare, in particolare all'interno dei sindacati e nelle organizzazioni impegnate nella mobilitazione contro l'Ue.


Cosa pensa che accadrà a breve per quanto riguarda le crisi negli altri paesi europei: la Grecia, la Spagna, l'Italia?
Penso sia solo una questione di tempo per tutti questi paesi. Le differenze sociali e di classe aumentano, e lasciano spazio a due sole opzioni. Si possono svendere tutti i beni pubblici e obbedire senza eccezioni ai mercati, cosa che stanno facendo tutti i governi finora, anche quelli cosiddetti di sinistra, accontentando tutte le richieste del capitale. Oppure i popoli si possono organizzare e unire a partire da un proprio programma indipendente, sviluppando processi realisticamente rivoluzionari. Unirsi e organizzarsi: è l'unico modo per poter imporre dei reali cambiamenti nell'immediato futuro. È ciò di cui abbiamo estrema necessità.


http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/07/articolo/5099/



Altro che austerity i partiti sbancano. - di Francesco Perfetti

In 14 anni hanno incassato 2,2 miliardi e speso 579 milioni. Il resto è utile (loro).

Giorgio NapolitanoQualche giorno fa Pier Luigi Bersani, comprensibilmente turbato dalle vicende che stanno scuotendo il Pd, ha chiesto «una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici, pena l'inammissibilità a provvidenze pubbliche o alla presentazione di liste elettorali». Si tratta di una presa di posizione che, in realtà, conferma la voracità della Casta postulando, ancora una volta, la volontà dei partiti di accedere a quella mangiatoia delle «provvidenze pubbliche» che i cittadini, nell'ormai lontano 1993, avevano deciso di voler chiudere con una quasi plebiscitaria votazione. A quell'epoca, infatti, sull'onda emotiva dello scandalo di Tangentopoli, gli italiani, in un referendum abrogativo proposto dai radicali, si espressero in massa - il 90,3% dei voti - a favore della eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti. Naturalmente la volontà degli italiani non fu tenuta nel minimo conto. Il risultato del referendum abrogativo venne tradito immediatamente con uno squallido trucco: il rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie disposto per legge, attraverso una normativa più volte ritoccata nel corso degli anni in modo da rendere le cifre versate sempre più consistenti fino al punto da superare di gran lunga le somme effettivamente spese. In tal modo è stato reintrodotto di fatto il finanziamento pubblico dei partiti. Alla faccia degli italiani e delle loro - inequivoche - indicazioni. Ho parlato di trucco, ma - diciamolo a chiare lettere - siamo in presenza di una truffa. Una truffa colossale imbastita dalla Casta ai danni dei cittadini costretti a tirare la cinghia per dover pagare le tasse imposte da uno Stato sempre più pervasivo e vorace. Le cifre di questa truffa non sono bruscolini. E lo dimostra un solo, ma eloquente, dato. Fra il 1994 e il 2008, stando ai numeri certificati dalla Corte dei Conti, i partiti hanno speso 579 milioni di euro e hanno incassato 2,25 miliardi di euro. La differenza, ben 1,67 miliardi di euro, è per i partiti tutto utile, utile netto. È finanziamento pubblico allo stato puro. Ammesso naturalmente - e non concesso - che il rimborso delle spese elettorali non sia da considerarsi finanziamento. Ma non basta. L'arroganza della Casta è arrivata, qualche mese fa, al punto da presentare un disegno di legge, rigorosamente bipartisan, per raddoppiare di fatto il finanziamento ed estenderlo ai partiti che abbiano superato la soglia dell'1% dei suffragi in qualsiasi tipo di votazione. Infine, come se ciò non bastasse, nella recente e vessatoria manovra socialista del ministro Tremonti, è stabilito che l'erogazione dei rimborsi viene effettuata persino «in caso di scioglimento anticipato» delle Camere e che «il versamento della quota annua di rimborso» viene «effettuato anche nel caso in cui sia trascorsa una frazione di anno». Dulcis in fundo, poi, la stessa norma precisa che «le somme erogate o da erogare ai sensi del presente articolo ed ogni altro credito, presente o futuro, vantato dai partiti o movimenti politici possono costituire oggetto di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi». Altro che riduzione del costo della politica! Roba da non credere! La verità è che il finanziamento pubblico dei partiti - sotto qualunque forma - andrebbe abolito. In primo luogo perché contrasta con una concezione autenticamente liberale della democrazia. Un caposaldo teorico della democrazia concorrenziale è, infatti, l'uguaglianza nei punti di partenza che viene meno, ovviamente, se al nastro di partenza della competizione elettorale si presentano soggetti che, proprio grazie al finanziamento pubblico, si trovano in una posizione privilegiata rispetto a chi di tale finanziamento non può (ancora) godere. In altre parole, il finanziamento pubblico riduce la concorrenza politica, favorisce la cristallizzazione del sistema politico e la sua trasformazione in un sistema oligopolistico di potere. In una Casta, appunto. In secondo luogo - e le attuali vicende giudiziarie e paragiudiziarie lo dimostrano ad abundantiam - il finanziamento pubblico non elimina affatto né il finanziamento occulto ottenuto tramite tangenti. Si somma, semmai, ad esso in una spirale corruttiva e di malaffare. Si dirà. La politica costa. Ed è vero, ma è anche vero che sarebbe più giusto, pure da un da un punto vista etico, che il peso del mantenimento degli apparati burocratici e della vita dei partiti fosse sopportato dai militanti e, più in generale, da coloro, privati individui o gruppi economici, che ne hanno interesse. Anche per evitare che un cittadino sia costretto a finanziare gruppi, partiti, uomini che portano avanti idee contrarie a quelle nelle quali egli crede. Naturalmente tutto ciò dovrebbe avvenire alla luce del sole, con precisi controlli e bilanci certificati. In nome della libera concorrenza e in ossequio ai principi di una democrazia liberale. Mettendo da parte l'idea che lo Stato sia una greppia alla quale attingere per i propri interessi. Come ha fatto finora, e continua a fare, la Casta.

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