Da un lato infatti i pm lo descrivono come una vittima del ricatto esercitato da Sica nei primi cinque mesi del 2009, conclusosi con la sua nomina ad assessore. Dall’altro il Cavaliere è descritto come un premier ricattabile da un sindaco di periferia perché due anni prima lo aveva scelto come complice nella compravendita dei senatori. Il premier ha molto da temere dall’inchiesta napoletana.
Una volta terminate le indagini sul “ricattatore” Sica in quel di Napoli, non si può escludere che le carte sul “ricattato” Berlusconi siano trasmesse a Roma per valutare la sussistenza di eventuali reati. Anche perché Berlusconi proprio per l’istigazione alla corruzione di altri senatori del centrosinistra è già stato indagato e prosciolto nel 2007-2008. Proprio per paura che Sica riaprisse quel capitolo chiuso con una denuncia sull’attività comune di “corruzione”, il premier fece nominare il sindaco di Pontecagnano, in provincia di Salerno, celebre per la festa della pizza, assessore all’avvocatura della Regione Campania. Sica, per arrivare fino alla poltrona di Governatore della Campania, cercava di fermare la corsa del rivale Stefano Caldoro veicolando notizie false su fantomatiche frequentazioni di transessuali. Ma mentre preparava il suo dossier per far fuori Caldoro, al telefono il 27 gennaio del 2010, insieme all’amico Arcangelo Martinoparlava di un piano B, che sarebbe entrato in azione “se questo dovesse mantenere quella posizione”. L’ “analisi B”, come la chiamava Martino, per l’accusa è proprio il ricatto a Berlusconi.
L’inchiesta è soprannominata scherzosamente dagli investigatori partenopei, per differenziarla da quella di Henry John Woodcock e Francesco Curcio, la “P3 bis”. Il nome discende dalla sua origine. L’indagine avviata da Milita (inizialmente insieme al collega Giuseppe Narducci, oggi assessore alla legalità di De Magistris) parte dalle carte dell’inchiesta romana sulla P3, appena conclusa dai pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli. Mentre a Roma però i pm contestano a Cosentino e Sica la diffamazione e la violenza privata per il dossier fasulli contro il rivale Caldoro, la Procura di Napoli ipotizza reati più gravi: l’estorsione, punita con la reclusione fino a dieci anni, e le minacce a corpo dello Stato, punite fino a sette anni. Se Roma vede il bicchiere mezzo vuoto (Sica non è riuscito a diventare presidente), Napoli lo vede mezzo pieno: la sua nomina ad assessore della giunta campana non è piovuta dal cielo, per il pm Milita, ma è stata ottenuta grazie al ricatto su Caldoro e Berlusconi. Ecco perché la compravendita dei senatori del 2007 non interessa Capaldo mentre è il presupposto logico dell’indagine per minacce a Napoli. Il reato, secondo la Procura di Napoli, si consuma il 19 maggio del 2009. Quel giorno l’azione intimidatoria e ricattatoria di Sica viene portata a termine anche grazie a Cosentino che si fa ambasciatore delle sue richieste.
Per l’accusa, “la nomina di Sica è stata imposta a Caldoro” ed è figlia dei colloqui di Sica stesso con Denis Verdini e Silvio Berlusconi. I vertici nazionali del partito erano terrorizzati, secondo l’accusa, dalla minaccia di Sica di rivelare i suoi trascorsi con Berlusconi e cercavano disperatamente di procurarsi una copia della denuncia che il sindaco di Pontecagnano voleva presentare. Sica fu imposto a Caldoro dal vertice del Pdl di Roma per “l’elevata capacità ricattatoria”. Ecco perché a Napoli è stato contestato a Cosentino e Sica il reato di minaccia al corpo amministrativo. Se a Trani la “vittima” era l’Agcom, qui è la Regione Campania. L’intimidazione di Sica di rivelare quello sapeva su Berlusconi e Caldoro ha prodotto per la Procura una coartazione della volontà prima dei vertici del Pdl e poi del presidente Caldoro che non fu libero di scegliere l’assessore e si ritrovò una serpe in seno fino al giorno delle dimissioni di Sica (dopo l’esplosione dello scandalo P3) il 16 luglio del 2010. L’inchiesta, affidata da Milita ai Carabinieri del Reparto operativo di Napoli, muove da un’intercettazione e da due verbali. L’intercettazione è del 23 gennaio del 2009. Quel giorno Sica incontra Verdini a Viareggio e gli chiede senza successo la candidatura a presidente della Campania. All’uscita chiama Martino infuriato: “Sappia il presidente che non mi fermo. Io racconterò da agosto 2007 fino ad oggi quello che è successo”.
Per spiegare il senso di quella frase è stato sentito due volte Arcangelo Martino. Nel primo verbale del 17 settembre, depositato nell’inchiesta P4, ha detto al pm: “ Sica affermava di essere creditore di Berlusconi, affermando di avergli “dato una mano” per la caduta del Governo Prodi avendo, a suo dire, agito per convincere tre Senatori della maggioranza nel passare con l’opposizione”. Il secondo verbale invece è ancora segreto.