giovedì 25 agosto 2011

Giusto 'spostare' anche la festa del Primo maggio? - di Alberto Asor Rosa





Un paese senza memoria storica è destinato al deperimento e alla decadenza. L'Italia non ne ha mai avuta molta: preferisce al ricordo l'oblio e la dimenticanza. Non s'era mai visto però, neanche da noi, che la memoria storica fosse abolita per decreto: e invece è quanto accaduto negli ultimi giorni. Un paese vive il suo essere comunità solidale anche mediante un sistema di simbologie nazionali, che servono a rammentare il suo incardinamento in questo o quel fatto particolarmente fondamentale del proprio passato.

La pausa domenicale, o il venerdì islamico, o il sabato ebraico, sono sanciti ab origine dai rispettivi libri sacri, e va bene. Ma l'essere in un certo modo di una determinata nazione viene fatto riemergere ogni anno dalle cosiddette "feste nazionali", tutte di ponderata scelta umana (necessariamente laica, dunque). In Italia, per l'appunto, con notevole sobrietà, soprattutto da tre ricorrenze specifiche: il 25 aprile, festa della liberazione dal giogo nazifascista; il 2 giugno, festa dell'instaurazione del nostro regime repubblicano; il 1 maggio, festa del lavoro.

Il decreto emanato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 agosto le abolisce, accorpandole alle domeniche più vicine. E', fra i tanti possibili contenuti in quel decreto, un provvedimento inaccettabile, che andrebbe combattuto fino in fondo.

C'è in questa scelta la manifestazione di un disprezzo profondo, inqualificabile, per la nostra storia nazionale, per la storia italiana. Ed è proprio la crisi, ahimè, che consente ai nostri governanti di espurgare le loro pulsioni più profonde, i loro obiettivi più inconfessabili. Ne risulta confermata una nostra persuasione di antica data: siamo governati da "non italiani". Dei leghisti, da questo punto di vista, non mette neanche conto di parlare. Ma altrettanto è lecito pensare di Silvio Berlusconi: un meteco senza patria, che avrebbe potuto nascere indifferentemente ai Caraibi o in Russia, perché tanto il patrimonio di ideali sarebbe stato in ogni caso lo stesso, ossia il culto della propria (spesso indecente) persona e soprattutto del proprio portafoglio.

Lo schiaffo a quel tanto di comune che le festività nazionali continuavano a rappresentare fra noi è tanto più forte, se si considera che, contestualmente, tutte le festività religiose, in quanto garantite dal Concordato, vengono preservate. Si verificherà dunque questo paradosso: che quanto è cattolico, cioè patrimonio, sebbene rispettabilissimo, di una parte (una parte, fra l'altro, sempre più piccola), verrà celebrato da tutti; mentre quel che è di tutti - perché "italiano" è una categoria che sovraintende e comprende tutte le altre (cattolici, atei, marxisti, protestanti, musulmani) - non verrà neanche più ricordato. E questo per giunta, assicurano gli esperti, senza nessun vantaggio, anzi con molti inconvenienti economici.

Si tratta, in sostanza, di uno sfregio puro e semplice. Ce n'è abbastanza per costruirci una grande battaglia ideale sopra.


mercoledì 24 agosto 2011

Il governo taglia i piccoli comuni ma non sa quanto risparmierà. - di Thomas Mackinson


E' scritto nero su bianco nella Relazione tecnica del Senato: “Effetto che allo stato attuale non si è in grado di quantificare”. Intanto, continua la fronda dei sindaci che dopo Torino si preparano a marciare su Roma e Milano.


Un giro di vite per migliaia di piccoli amministratori e nessuna certezza di risparmio. La manovra“lacrime e sangue” arrivata al Senato per passare al vaglio della commissione Bilancio. Il decreto così com’è solleva troppi dubbi, ma i tempi sono stretti perché il governo vuole arrivare in Aula il 5 settembre con una soluzione accettabile.

Forse in commissione potranno essere approfondite le zone d’ombra in cui l’esecutivo si è mosso finora con tanta libertà, sparando nel mucchio e senza sapere esattamente con quali effetti per le casse dello Stato. L’esempio più clamoroso arriva dai tagli dei piccoli comuni, una misura che la maggioranza ha venduto come segnale di contenimento dei costi della politica. E’ la sera del 13 agosto quando l’esecutivo mette la firma al decreto che taglia, cuce e accorpa 1936 comuni sotto i mille abitanti e stravolge la vita di 17.667 amministratori locali, 73mila dipendenti, un milione di cittadini.

L’operazione viene presentata dal premier Silvio Berlusconi come un toccasana per i conti pubblici. Una grande rivoluzione amministrativa per il Paese. Ma la verità è un’altra. Il governo non abolisce le province, non tocca i privilegi di deputati e senatori ma abolisce giunte e consigli degli enti locali più piccoli senza sapere neppure con quali benefici per le casse dello Stato. E lo scrive pure, nero su bianco. Basta sfogliare la Relazione tecnica al decreto 138, pagina settanta, articolo 16. In cinque righe, l’imbarazzante verità sui dubbi effetti del provvedimento che diventerà presto legge: “Tale previsione – si legge – determina un effetto finanziario positivo sui saldi di finanza pubblica che, allo stato attuale, non si è in grado di quantificare“.

I comuni cancellati per decreto hanno manifestato a Torino, venerdì marceranno su Roma e il 29 saranno a Milano.

In mancanza di dati certi da parte del governo, sono le stesse vittime della manovra a contare i danni e a fornire qualche cifra sugli effetti dell’articolo 16. L’Anpci, l’associazione dei piccoli comuni, ha diramato una relazione di sintesi in cui indica in 1936 i comuni aboliti (499 sotto i 500 abitanti e 1.126 da 500 a 999).

Gli amministratori “tagliati” sarebbero 17.667 e non 50mila come dichiarato da Silvio Berlusconinella conferenza stampa di presentazione della manovra. Individuate le poltrone che saltano la relazione fa di conto sui costi che si risparmierebbero. I compensi dei vicesindaci dei comuni più piccoli sono decisamente micro: 193 euro al mese che moltiplicati per 1963 poltrone e per 12 mensilità portano a un risparmio di 4.546.308. Stesso discorso per i 3.926 assessori che incassano 129 euro al mese e quindi in un anno costano 6.077.448 euro. Dieci milioni di euro e mezzo in tutto, meno del costo annuo di 27 parlamentari. Fra le altre cose, “il 50 per cento dei piccoli amministratori già rinuncia volontariamente alla propria magra indennità, quindi il risparmio reale ammonta massimo a 5.841.888 euro, meno del costo annuo di 13 deputati”, puntualizza il presidente dell’Associazione Franca Biglia, sindaco di Marsaglia (To) che sta guidando la fronda dei primi cittadini.

Critico anche il vice presidente dell’Anci, Mauro Guerra: “l’aspetto inaccettabile di questa manovra è che la creazione delle unioni municipali con i relativi tagli per i comuni sotto i 1.000 abitanti venga proposta come taglio alla casta e ai costi della politica. Si accomodassero su quelle poltrone! Un consigliere in un comune con meno di mille abitanti percepisce la bellezza di 17 euro lorde di gettone a seduta e mediamente in comune di queste dimensioni si fanno 3-4 consigli all’anno. Un assessore percepisce un’indennità pari a 65 euro lorde al mese, quando la prende perché spesso in questi comuni consiglieri e assessori neanche le ritirano, le lasciano per le attività del Comune”. Secondo l’amministratore, “confondere tutto ciò con la casta e i tagli alla politica è offensivo, ma anche ridicolo dal punto di vista della manovra. Mettendo tutto insieme si ricaveranno qualche milione di euro in tutta Italia: possono andare dai 2-3 milioni fino ai 4-5 al massimo perché non abbiamo il dato di quanti non percepiscono nemmeno l’indennità e la lasciano per l’asilo, per l’assistenza agli anziani piuttosto che per tenere in piedi le casse del comune stesso quando è necessario”.

I grandi assenti da questo ragionamento sono appunto i dati. Che non sono in possesso di coloro i quali verranno sacrificati sull’altare dei costi della politica. E neppure il governo che ha varato il provvedimento a occhi chiusi falcidiando i piccoli amministratori locali senza potare la gramigna parlamentare. Un taglio alla cieca al ramo probabilmente sano della politica.


Manovra, il governo diserta la Commissione Giallo sul testo: “Modifiche last minute”"


In Senato si discute la legittimità del decreto "lacrime e sangue", ma non si presenta neppure un sottosegretario. Il presidente Vizzini (Pdl): "Disappunto e stupore". Sanna (Pd): "Il testo della relazione illustrativa non è quello inviato a Napolitano". Incongruenze su contributo di solidarietà, riduzione delle Province e Sistri.

La Commissione affari costituzionali del Senato esamina la manovra economica e nessun esponente del governo si presenta in aula. Nessuno, zero, neanche l’ultimo dei sottosegretari. Tanto da suscitare l’ira del presidente Carlo Vizzini, che pure è del Pdl: “La Commissione intera – scrive in una nota – ha espresso il proprio fermo disappunto e l’assoluto stupore per la circostanza che nessuno dei 60 componenti dell’esecutivo riesce a garantire una presenza anche allo scopo di fornire risposte e spiegazioni ai rilievi mossi da tutti i Gruppi”. Lo stesso Vizzini ha più volte sollecitato la presenza del Governo, dato che la commissione deve fornire l’importante parere di costituzionalità sui contenuto del decreto governativo appena approdato in parlamento.

“L’ingiustificabile assenza costituisce l’ennesimo grave atto d’arroganza di un governo che ormai non c’è più”, s’indigna Pancho Pardi, capogruppo dell’Italia dei valori in commissione. “Non è ammissibile che nemmeno un sottosegretario si sia degnato di seguire i lavori sulla manovra correttiva”. Ieri la Commissione affari costituzionali del Senato ha approvato all’unanimità la relazione favorevole del presidente Vizzini sulla sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza sulla manovra economica, a eccezione dell’articolo 8, relativo alla contrattazione collettiva, sul quale il parere favorevole è stato approvato a maggioranza. A chiedere il voto separato sul ‘pacchetto lavoro’ era stato il Pd, valutando che per quelle norme sul lavoro non ci fosse il requisito di urgenza. Nella discussione disertata oggi dal governo, la Commissione entra nel merito della costituzionalità di ciascun articolo del decreto.

Intanto nasce un giallo intorno ai documenti pervenuti al Senato. Il senatore democraticoFrancesco Sanna, componente della Commissione affari costituzionali, si dice convinto che la Relazione illustrativa della manovra approvata dal Consiglio dei ministri sia diversa da quella inviata alla presidenza della Repubblica. Nel suo intervento in aula, Sanna ha fatto notare diverse anomalie. La prima riguarda il contributo di solidarietà sui redditi superiori ai 90 mila euro: il presidente Silvio Berlusconi “ha affermato che il consiglio dei ministri l’aveva approvato per due anni, e non tre come risulta in Gazzetta ufficiale”. In più, ha aggiunto il senatore Sanna, “ci sono ministri che non hanno espresso il loro voto su un provvedimento che li riguardava, per esempio il sistema di monitoraggio dei rifiuti pericolosi (il Sistri, ndr), ma l’anno saputo dopo, sempre dalla Gazzetta ufficiale” (ascolta l’audio dell’intervento di Sanna in commissione)

Un ulteriore problema sorge sull’articolo 14 della Relazione illustrativa, che regola tra l’altro la riduzione delle Province. “Dalla relazione del governo – scrive il senatore in un comunicato – le Regioni devono ridurre il numero di consiglieri regionali ed assessori, con l’aggiunta, per quelle a statuto speciale, dell’obbligo di sopprimere le piccole Province. Nel decreto legge che il Senato sta esaminando, invece, l’obbligo di sopprimere le Province non c’è, mentre appare una sanzione che non riguarda le regioni ordinarie, ma solo quelle autonome. Se non si farà come dice il decreto, lo Stato non dovrà più assicurare alle regioni autonome ‘il conseguimento degli obiettivi costituzionali di solidarietà e perequazionè previsto dal federalismo fiscale”.

Secondo il senatore del Pd, il pasticcio potrebbe derivare da correzioni apportate fuori tempo massimo, dopo l’approvazione in consiglio dei ministri. ”Ho personalmente verificato che la relazione illustrativa della manovra inviata dal governo al Senato è, all’articolo 14, diversa dal decreto legge”, afferma Sanna, “e poiché i dirigenti dello Stato che hanno redatto la relazione non credo si siano inventati il testo su cui hanno lavorato, spero quello deliberato dal Consiglio dei Ministri, qualche manina deve aver successivamente modificato il decreto prima di portarlo alla Presidenza della Repubblica, con buona pace della nostra Costituzione che prevede sia il governo nella sua collegialità ad adottare i decreti legge e non l’ultimo redattore”.

E’ dunque evidente, secondo il senatore Pd, che il “correttore ombra” del decreto legge “si è dimenticato di avvertire non solo i ministri che avrebbero dovuto approvarlo, ma anche gli uffici del governo che lo dovevano illustrare al Parlamento. Del resto siamo in continuità: il governo scrive una manovra (sbagliata) sulla base di una nota confidenziale della Bce non resa nota al Parlamento, e confidenzialmente adotta il decreto legge senza la responsabilità collegiale del Consiglio dei Ministri”.



Casta, nessuno tocchi gli onorevoli privilegi. - di Caterina Perniconi


Dall'eurotassa ai doppi stipendi, la stangata non scalfisce la classe politica. Nessuno stop per chi ha più di una carica. E le Province si organizzano per salvare gli uffici

Lacrime, sudore, sangue. Lo chiese Winston Churchill agli inglesi di fronte alla guerra mondiale. L’ha chiesto nel 2011 Giulio Tremontiagli italiani, di fronte alla crisi economica. Ma, a differenza del primo ministro britannico, ha dimenticato di dire che lui e il suo esercito di parlamentari in battaglia non sarebbero mai scesi. I tagli previsti nella manovra non toccheranno infatti la Casta, se non marginalmente.

SOLIDARIETÀ Gli onorevoli possono dormire tranquilli: il contributo di solidarietà a loro richiesto è sì il doppio di quello dei cittadini, cioè il 10% per i redditi sopra i 90 mila euro e il 20% per quelli sopra i 150, ma l’articolo 13 della manovra, dal titolo “riduzione dei costi degli apparati istituzionali”, specifica che “a seguito di tale riduzione il trattamento economico non può essere comunque inferiore a 90 mila euro lordi l’anno”.

INCOMPATIBILITÀ Il comma b3 dello stesso articolo introduce anche l’incompatibilità della carica parlamentare con qualsiasi altra carica pubblica elettiva. Quindi sindaci, presidenti di Provincia e Regione, ma anche consiglieri. Perderanno allora il doppio incarico gli 86 deputati e senatori che mantengono più poltrone? Assolutamente no. Per non agitare nessuno l’incompatibilità si applicherà “a decorrere dalla prima legislatura successiva all’entrata in vigore del presente decreto”.

DOPPIO LAVORO Sarà allora impedito di fare un doppio lavoro mentre si siede in Parlamento? Assolutamente no. Sempre l’articolo 13 stabilisce che “l’indennità parlamentare è ridotta del 50 per cento per i parlamentari che svolgano qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15 per cento dell’indennità medesima”. Ci si aspetta quindi un taglio di circa 7 mila euro, la metà dello stipendio di un parlamentare. Ma non è così: l’indennità non è l’intero stipendio (formato anche da rimborsi per collaboratori, viaggi, spese telefoniche, ecc.) ma per i deputati ammonta a 5 mila 486 euro. La “stangata” per i 446 doppiolavoristi ammonta quindi a 2743 euro netti. Che a fronte di redditi da 100 mila euro in su, sono briciole. Ma dai diretti interessati, nessun commento.

RISTORANTE Anche gli onorevoli stomaci non hanno risentito della manovra. Ad agosto, convocati d’urgenza a Roma per discutere le misure economiche, i senatori hanno trovato il ristorante di Palazzo Madama aperto e pronto a saziarli. Naturalmente allo stesso prezzo di prima delle vacanze, e senza cenno in merito all’interno delle 38 pagine “lacrime e sangue”. I primi piatti restano a 1,60 euro, i secondi tra 2,60 e 5, 23 euro (per filetto di carne o di pesce, prezzo massimo), e i dolci al carrello valgono ben 70 centesimi.

PROVINCE E COMUNI L’annuncio del ministro dell’Economia era quello dell’eliminazione di 36 province (quelle sotto i 300mila abitanti) e l’accorpamento di un migliaio di piccoli comuni (quelli sotto i 100 abitanti). Naturalmente il processo inizierà dopo le prossime amministrative e previo censimento da cominciare nell’autunno 2011. Ma non potrà andare come annunciato da Tremonti: le province a rischio si stanno già organizzando per accorpamenti con le attigue, per mantenere gli uffici già presenti nelle due località. Per farlo basterà superare i 500mila abitanti. Sarà eliminata solo qualche poltrona, anche se province più grandi consentiranno una moltiplicazione degli incarichi. Per quanto riguarda i Comuni la guerra interna alla maggioranza è appena cominciata: ieri il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha dichiarato che sarà in piazza con i piccoli Comuni il 29 agosto perché “non sono contrario all’accorpamento delle funzioni ma questo non ha nulla a che vedere con la cancellazione dei comuni stessi”.

VOLI ONOREVOLI Una misura su cui Tremonti punta per dimostrare l’abbattimento dei vantaggi della Casta è quella dell’utilizzo dei voli in classe economica da parte di parlamentari, amministratori pubblici e dipendenti dello Stato. Mentre i ministri, al contrario della precedente legislatura guidata da Prodi, continueranno a far volare i loro privilegi sugli aerei di Stato.


Gli stipendi.



- poliziotto 1.600 euro per rischiare la vita

- pompiere 1.800 euro per salvare le vite

- maestro 1.400 per prepararti per la vita

- dottore 2.200 euro per mantenere la vita

- deputato guadagna 30. 000 euro per fottere la vita degli altri!

Manovra, il governo diserta la Commissione affari costituzionali del Senato.


Si discute la legittimità del decreto "lacrime e sangue", ma in aula non si presenta neppure un sottosegretario. Il presidente Vizzini (Pdl): "Disappunto e stupore". Giallo sulla relazione tecnica di accompagnamento. Sanna (Pd): "Non è la stessa inviata a Napolitano"

La Commissione affari costituzionali del Senato esamina la manovra economica e nessun esponente del governo si presenta in aula. Nessuno, zero, neanche l’ultimo dei sottosegretari. Tanto da suscitare l’ira del presidente Carlo Vizzini, che pure è del Pdl: “La Commissione intera – scrive in una nota – ha espresso il proprio fermo disappunto e l’assoluto stupore per la circostanza che nessuno dei 60 componenti dell’esecutivo riesce a garantire una presenza anche allo scopo di fornire risposte e spiegazioni ai rilievi mossi da tutti i Gruppi”. Lo stesso Vizzini ha più volte sollecitato la presenza del Governo, dato che la commissione deve fornire l’importante parere di costituzionalità sui contenuto del decreto governativo appena approdato in parlamento.

Ieri la Commissione ha approvato all’unanimità la relazione favorevole del presidente Vizzini sulla sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza sulla manovra economica, a eccezione dell’articolo 8, relativo alla contrattazione collettiva, sul quale il parere favorevole è stato approvato a maggioranza. A chiedere il voto separato sul ‘pacchetto lavoro’ era stato il Pd, valutando che per quelle norme sul lavoro non ci fosse il requisito di urgenza. Nella discussione disertata oggi dal governo, la Commissione entra nel merito della costituzionalità di ciascun articolo del decreto.

Sempre ieri, il senatore democratico Francesco Sanna, componente della Commissione, ha avanzato il sospetto che la relazione illustrativa della manovra approvata dal Consiglio dei ministri possa essere diversa da quella inviata alla presidenza della Repubblica. “Dalla relazione del governo – afferma – le Regioni devono ridurre il numero di consiglieri regionali ed assessori, con l’aggiunta, per quelle a statuto speciale, dell’obbligo di sopprimere le piccole province. Nel decreto legge che il Senato sta esaminando, invece, l’obbligo di sopprimere le province non c’è, mentre appare una sanzione che non riguarda le regioni ordinarie, ma solo quelle autonome. Se non si farà come dice il decreto, lo Stato non dovrà più assicurare alle regioni autonome ‘il conseguimento degli obiettivi costituzionali di solidarietà e perequazionè previsto dal federalismo fiscale”.
Secondo il senatore del Pd, il pasticcio potrebbe derivare da correzioni apportate fuori tempo massimo, dopo l’approvazione in consiglio dei ministri.



Diritti? Che sono?