sabato 3 settembre 2011

Non è così che si batte davvero l'evasione. - di Angelo Provasoli e Guido Tabellini


Combattere l'evasione fiscale è una priorità fondamentale per qualunque intervento strutturale di risanamento economico e fiscale del nostro paese. Purtroppo, nonostante l'enfasi, i provvedimenti contenuti nella terza versione della manovra non ci consentiranno di avvicinarci significativamente a quest'obiettivo.

La novità che ha ricevuto maggiore attenzione è l'obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi i riferimenti agli intermediari finanziari con cui il contribuente ha intrattenuto rapporti. Tuttavia questa informazione è già disponibile all'amministrazione finanziaria, poiché ogni intermediario è già tenuto a comunicarla all'anagrafe dei conti.

La questione rilevante non è chi debba fornire questa informazione, ma che uso farne. L'amministrazione intende ricostruire per ogni contribuente la consistenza dei patrimoni e confrontarla con la dichiarazione dei redditi, per identificare eventuali inconsistenze, oppure no? Nei provvedimenti governativi la risposta è negativa. L'uso delle informazioni finanziarie è previsto solo per alcune liste selettive di categorie o di contribuenti, sospette di evasione sulla base di altre informazioni. Ma questo cambia ben poco rispetto alla situazione attuale, perché l'accesso ai dati finanziari è già previsto, previa autorizzazione, negli accertamenti fiscali.

La minaccia di usare le informazioni finanziarie anche prima del vero e proprio accertamento, ma pur sempre in maniera selettiva, è quindi soprattutto un deterrente psicologico di dubbia efficacia.
Cosa ben diversa sarebbe la ricostruzione del patrimonio di ogni nucleo familiare, nelle forme della ricchezza immobiliare e mobiliare, per verificarne la coerenza con i redditi dichiarati e con le informazioni sui consumi di beni durevoli.

La dichiarazione annuale dovrebbe pertanto fornire non solo i dati dei redditi conseguiti ma anche quelli della consistenza del patrimonio. I rapporti con gli intermediari finanziari dovrebbero essere documentati con l'attestazione delle disponibilità detenute dal contribuente, comprese quelle in strumenti finanziari, alla data di riferimento della dichiarazione. Nell'era dell'informazione digitale, questa strada sarebbe facilmente percorribile anche nei controlli, e non avrebbe solo un effetto psicologico, ma consentirebbe davvero di identificare le situazioni irregolari e quantitativamente rilevanti. Eppure di questa impostazione non vi è traccia nei provvedimenti governativi.

Una seconda novità è la facoltà data ai comuni di pubblicare le dichiarazioni dei redditi dei residenti. Questo provvedimento è non solo inutile, ma anche dannoso. È inutile, perché non è ragionevole ipotizzare che i vicini diventino delatori in modo sistematico di eventuali evasori. Ma soprattutto è dannoso, perché potrebbe costituire un incentivo per iniziative delittuose e potrebbe inoltre affievolire le già scarse propensioni meritocratiche nel nostro paese. Alla base della bassa crescita della produttività in Italia, sta anche un relativo appiattimento dei redditi all'interno delle imprese e delle organizzazioni, a tutti i livelli e indipendentemente dal merito e dal talento individuale. Rendere pubbliche le dichiarazioni, specie se con specificazioni delle fonti dei redditi, aggraverebbe questa tendenza. Eventuali differenze tra colleghi all'interno della stessa organizzazione genererebbero inevitabili gelosie e riflessi nei rapporti di collaborazione. Ciò scoraggerebbe ulteriormente l'esigenza di dare di più a chi se lo merita.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-03/cosi-batte-davvero-evasione-081027.shtml?uuid=AacOoB1D

Mille volte il nome del premier nelle carte della loggia P3.


Mille volte il nome del premier  nelle carte della loggia P3

Dal caso Caldoro al Lodo, ecco le telefonate che portano al "capo supremo". Spesso il Cavaliere viene chiamato Cesare. Nelle 66 mila pagine di inchiesta gli indagati dicono di comunicare con lui regolarmente.

di FEDERICA ANGELI e FABIO TONACCI

ROMA - È il convitato di pietra di ogni pranzo organizzato dalla P3. L'uomo "ombra" evocato in centinaia di conversazioni intercettate. A volte è "Cesare". Altre volte è "l'uomo più importante d'Italia", il "capo supremo". E non c'è affare, decisione o azione della cosiddetta loggia P3 - dalle pressioni sui giudici alla assegnazione delle poltrone - nella quale a un certo punto i protagonisti non sentano l'esigenza di avere l'approvazione del premier, di chiamarlo.

LEGGI Così funzionava il potere della P3
La P3, la P4 e quei milioni regalati

Questo raccontano le migliaia di telefonate contenute nei faldoni dell'inchiesta: 66 mila pagine depositate dai magistrati romani all'inizio di agosto, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio dei venti indagati.

Silvio Berlusconi, per i protagonisti di quella che i pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli hanno definito "una loggia segreta", è più di un'ossessione. Viene citato centinaia di volte, nascosto goffamente dietro nomignoli persino troppo scontati. Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino e Flavio Carboni, i principali indagati insieme agli uomini di partito Denis Verdini e Marcello Dell'Utri, non sembrano leader autonomi. Dicono di comunicare con Berlusconi regolarmente. La P3 non si muove, se "Cesare" non vuole. E il riferimento al premier è presente negli "affari" sporchi dell'associazione.

CANDIDATO COSENTINO
In un'intercettazione del primo marzo 2010 il faccendiere Flavio Carboni e l'ex assessore campano Arcangelo Martino parlano della candidatura di Cosentino alle Regionali. Carboni sostiene che Verdini sia favorevole al coordinatore regionale del Pdl. Ma il parere di Berlusconi è fondamentale. "E poi chiamo anche Cesare d'accordo?", dice Carboni. Il giorno dopo Lombardi al telefono con Cosentino è contento. "Uè, habemus papam, lo sai? Allora ieri abbiamo tenuto una riunione con i tuoi vertici dove abbiamo consolidato la tua candidatura a cons... Presidente, ne abbiamo parlato, perché ieri abbiamo fatto un lungo discorso proprio con il vertice, ci mancava solo Silvio e poi stavano tutti là". Dopo poco Carboni chiamerà Martino e nell'appunto della finanza che precede la trascrizione della conversazione tra i due si legge: "Martino chiede se Cesare è rimasto contento e Carboni risponde di sì".

Il 3 giugno Cosentino e Martino parlano ancora delle candidature per le elezioni regionali. Martino: "M'ha chiamato il gran capo". Cosentino: "Quando quando?" "Il gran capo m'ha chiamato oggi. E mi detto "ti abbiamo accontentato"". Lo stesso giorno Arcangelo Martino avverte anche Lombardi: "Eh eh... mi ha chiamato il grande capo... ha detto "wow, siete una potenza". Ho detto no, siamo gente seria". Nonostante le rassicurazioni di Berlusconi, la candidatura di Cosentino però sfumerà a vantaggio di Caldoro.

L'EOLICO
Per l'affare sull'energia eolica in Sardegna Flavio Carboni riesce a farsi dare 6 milioni di euro da due imprenditori forlivesi, Alessandro Fornari e Fabio Porcellini. Secondo i pm Carboni girerà poi 800 mila euro ai deputati toscani Verdini e Parisi, mentre 100 mila euro finiscono nelle tasche di Dell'Utri. Durante l'operazione, però, ancora una volta i protagonisti si pongono il problema - stando alle carte - di sapere cosa ne pensa il premier.

A marzo del 2010 Carboni e Martino si parlano per mettere a punto gli ultimi passaggi dell'affare. "Ecco - dice al telefono Carboni - io vado (in Sardegna, ndr) stasera per quel contratto importante. Col "supremo" non faccio nessuna chiamata per il momento". "No, no, no - risponde Martino - non serve".

IL LODO ALFANO
La P3 cerca di pilotare il verdetto dei giudici che dovranno decidere sul lodo Alfano. Prova ad avvicinare alcuni magistrati. Il verdetto è previsto inizialmente per il 6 ottobre, poi slitterà al 7 e sarà negativo: il lodo è illegittimo. Settimane prima però, in un incontro a pranzo del 23 settembre, Lombardi aggiorna gli altri sulla conta dei voti favorevoli e contrari. "Abbiamo fissato che ogni giorno, ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere ando stà o' buono e ando sta o' malamente - spiega - e poi ammo vedè Cesare quanto prima".

Il 2 ottobre, è ancora Berlusconi il protagonista delle chiacchierate della P3. E' importante sapere se approva o no l'azione nei confronti della Corte Costituzionale. "Io la settimana prossima mi incontro con Cesare - rivela Nicola Cosentino a Lombardi - lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 e allora giustamente ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non m'ha scassà o' cazz'".

Processo Aldrovandi, poliziotti colpevoli spalleggiati dalla Questura




Gli hanno schiacciato il cuore. Anche la corte d’appello di Bologna ha messo nero su bianco che Federico Aldrovandi è stato ucciso dalla «violenta e pesante contenzione da parte delle forze di polizia». La droga non c’entra («dato tossicologico modesto»), né c’entra la “excited delirium syndrome” su cui si sono asserragliati i consulenti della difesa degli agenti - uno dei quali ritenuto tanto poco attendibile quanto pronto a smentire sé stesso - tanto nel primo, quanto nel secondo processo di cui sono appena uscite le motivazioni che confermano le condanne a 3 anni e mezzo per eccesso colposo.
E’ partito dal cuore di Federico il ragionamento del giudice di secondo grado. Da quella foto spuntata dopo molto dopo le «tormentate indagini preliminari» che hanno prodotto inservibili perizie. Quel cuore aveva due ematomi contrapposti: «Segno evidente e inequivocabile» di un trauma. In breve: il ragazzo ammanettato a faccia in giù aveva una fame d’ossigeno che non poteva soddisfare visto che lo schiacciavano i corpi dei suoi aggressori e la sua pressione arteriosa era aggravata dalla «violenta colluttazione fisica». I segni sul corpo sono anche quelli dei manganelli riportati a pezzi in centrale.
Stabilito questo la Corte ha provato a ricostruire lo scenario stabilendo che la volante Alpha 3, la prima a giungere in via Ippodromo all’alba di quel 25 settembre del 2005, fosse sul luogo del delitto ben prima di quanto dichiararono gli agenti. Prima delle chiamate al 112 e al 113 di due abitanti della stradina allarmati dalle grida e dai rumori. Il giudice non ha creduto che il primo “scontro” tra il ragazzo e la volante, con la ritirata degli agenti, l’arrivo dei rinforzi di Alpha 2 e la predisposizione allo scontro finale tra quattro armati di manganelli e un diciottenne a mani nude «non particolarmente corpulento», si sia svolto in una manciata di minuti a cavallo delle 6. Tanto più che uno dei quattro colpevoli è stato registrato mentre ammetteva al telefono di averlo «bastonato di brutto per mezz’ora». L’ambulanza fu chiamata solo a cose fatte e arrivò «quando ormai il tragico epilogo del pesante intervento si era compito». Tuttavia la Corte d’appello ritiene anche che Federico quella notte fosse in stato di agitazione per via delle sostanze, smentendo in parte le conclusioni del processo ferrarese. Ma anche un “bad trip”, un violento senso di angoscia e terrore forse per il tardivo effetto dell’Lsd, avrebbe imposto agli agenti un contegno ben diverso dall’«assalto a manganellate». Dunque le grida sentite da chi allertò la questura sarebbero quelle prodotte dall’incontro tra Aldrovandi e due dei suoi assalitori. E questo fa tornare in mente il «mancato testimone», quel signore che chiamò “Chi l’ha visto?” per descrivere una scena simile salvo poi rimangiarsi tutto in Aula nello scetticismo generale. Infatti, il giudice di secondo grado non crede alla versione ufficiale dell’assalto di Federico alla prima volante poiché «priva di un serio supporto probatorio, smentita dall’assenza sul cofano di qualunque segno di rotture». I segni sullo scroto del ragazzo sono da ricondurre alle botte. In generale, l’intervento degli agenti «cooperanti» fra loro, oltre che violentissimo e consapevole, è anche stato inadeguato per fermare un ragazzo che aveva posto in essere un «goffo» tentativo di sforbiciata testimoniato dalla superteste camerunense. Anche fosse stato solo «un pazzo che si agita da solo in un parco e ingiustificatamente li aggredisce» resta l’«assoluta distanza della condotta degli imputati dalla doverosa linea comportamentale».
Ma «perché c’era una volante a fari spenti in una stradina chiusa», via Ippodromo, e «perché l’intera ricostruzione degli imputati e della Questura di Ferrara, fin dal primo momento, sia stata indirizzata a creare e avvalorare apparenze tali da contrastare tale dato?». La domanda del giudice resta «priva di risposta».
Una sentenza che, per Patrizia Moretti, la mamma di Federico, si incrocia con le risultanze della cosiddetta inchiesta bis, quella per cui altri quattro poliziotti hanno dovuto rispondere dei depistaggi delle prime ore. «Manipolazioni ordite dai superiori», dirà anche Daniela Margaroli, la giudice d’appello, «attività di falsificazione e distorsione dei dati probatori» che vanno a comporre, assieme alle condotte dei quattro un contesto di «discredito» per il corpo di Polizia che lo stesso Viminale ha «implicitamente riconosciuto» con il risarcimento alla famiglia già prima del secondo grado.
Le difese dei quattro poliziotti hanno già annunciato ricorso in Cassazione. Resta, per i genitori del diciottenne ucciso, Lino e Patrizia, quella domanda senza risposta sulla prima fase del contatto tra gli agenti. Resta l’appello di sei anni fa, «chi sa parli», e a cui ha risposto in pieno, forse, solo una cittadina. Restano i danni dei depistaggi della prima «tormentata» fase delle indagini preliminari che avrebbero influenzato la prima pm che seguì il caso. «Quello che vorrei - spiega Fabio Anselmo, legale degli Aldrovandi, a Liberazione - è che questo caso serva per spazzare via il pregiudizio deleterio della presunzione di fidefacenza degli imputati in divisa e dei loro colleghi che indagano. Gli imputati in divisa andrebbero trattati come imputati normali e le indagini su di loro affidate a terzi. Ma questo non accade mai».



Due Metri Sottoterra non si Negano a Nessuno. Comandante Nebbia


69. Un bel numero. Simmetrico, elegante, anche un po’ osé con il suo riferimento ad uno dei tanti modi con i quali le persone possono dimostrarsi affetto.
Eppure, qualcosa mi dice che all’11 novembre 2001, la data entro la quale secondo il Sole 24 Ore, statisticamente l’Italia dovrebbe dichiarare default, non ci si arriverà.

Stamattina le pagine dei giornali sono inondate dall’ennesimo scandalo nel quale è coinvolto Silvio Berlusconi. Nel corso della mia vita mi sono imbattuto spesso in situazioni nelle quali mi sono chiesto: ma come fanno queste persone a vivere così? La risposta è: si fa l’abitudine a tutto.
Noi, per strano che possa sembrare, ci siamo abituati ad avere un presidente del consiglio coinvolto nello sfruttamento della prostituzione (come utilizzatore finale, intendiamoci), nelle estorsioni (come estorto), nella corruzione dei testi (ma è solo colpa di Mills che si è fatto corrompere), nelle società segrete (P2,P3,P4; Pn. Ci siamo abituati agli attacchi del Fatto Quotidiano, ai sermoni di Saviano, alle difese di Sallusti, alle menzogne di Minzolini.

Ecco, in questo quadro, la maniera dilettantesca, picaresca e strapasticciata con la quale si sta affrontando la crisi è, paradossalmente il male minore.
Alla peggio, per novembre (o prima), saremo in default. Abbiamo già raccontato su queste pagine cosa vuol dire andare in default per una nazione. Si rimane senza soldi, senza servizi, senza opportunità, ma vivi. L’Islanda insegna che non necessariamente il fallimento equivale alla morte.

Invece, il problema più grosso e che si arriva al default con la predisposizione alla tolleranza per questo modo di vivere, con l’abitudine alla puzza di merda, non si potrà mai ripartire seriamente, ma solo rimanere in un lunghissimo stato di coma profondo.

Negli ultimi giorni, su queste pagine, si è variamente vagheggiata la catarsi. Provocazione? No, nessuna provocazione, solo la serena consapevolezza che un nuovo paese può nascere solo se non ci sarà più abitudine ad un certo genere di cose.
Forse, fra un certo numero di generazioni, gli italiani saranno così educati dal punto di vista civico, che non sarà più il terrore di essere puniti severamente a farne dei bravi cittadini, ma la consapevolezza che una società stabile e serena è un investimento vantaggioso per tutti.
Fino ad allora, però, quando serve la severità della pena deve rappresentare il baluardo che obbliga a non oltrepassare certi limiti.

Questo vale per tutti: per questa classe politica che va completamente estirpata dalla storia di questa nazione, per i giornalisti e gli intellettuali che hanno servito per decenni un sistema degenerato, per gli “imprenditori” che hanno munto la vacca fino a farne sanguinare le mammelle, per “i comuni cittadini” che hanno evaso le tasse, lucrato sulle pieghe del sistema e approfittato della fiducia che, ingenuamente, gli era stata concessa.

Niente chiacchiere, quindi, ma una vera e propria guerra civile tra chi vuole una nazione da costruire e chi vuole solo una tavola a cui sedersi per mangiare. O gli uni o gli altri. In questo mondo non c’è spazio per tutte e due le categorie.

Abbiamo poco tempo per deciderci. Poco tempo per arrotolarci le maniche e iniziare a rimettere in riga il paese e chi, dopo aver lucrato, vorrà cambiare e collaborare. Chi vuole continuare a mungere deve andarsene. Se rimane qui avrà diritto al suo spazio. Una cella di tre metri per tre se non sono io a decidere, ma se toccasse a me ho un’idea che riduce gli spazi necessari e sfrutta anche il sottosuolo.
Aspettare per vedere.

https://www.facebook.com/notes/mario-scarpanti/da-wwwmentecriticanet/10150307435055909

Sacchi e piedi di porco. By ilsimplicissimus


L’etimologia della parola sacco è incerta. Secondo alcuni deriva dal fenicio saq, per altri più plausibilmente, deriva dal latino saccare, ovvero saccheggiare, fare bottino da cui poi si sarebbe evoluta la parola saccus. E la permanenza di espressioni in cui sacco sta per razzia o spoliazione, mi fa propendere per questa ipotesi. Ma in questo post mi voglio occupare solo di accrescitivi e precisamente dei Sacconi, ovvero degli strumenti di saccheggio dei diritti che si sono evoluti dal brodo primordiale dell’era berlusconiana .

Strumenti rozzi ovviamente, sfridi di fabbrica del craxismo, buoni a nulla, piedi di porco utili solo a sfasciare e manomettere, ma con i quali non si può costruire nulla. Eppure in questo perverso mondo rivoltato, in questa Italia di merda, come dice l’utilizzatore finale dei sacconi, questi strumenti fingono di essere dei sofisticati dispositivi che possono dare lezioni a tutta la ferramenta.

Così un sacconi qualunque si permette di parlare in pubblico di cattivi genitori, di cattivi maestri, di bastardi anni ’70, proprio lui, nullità servile, proprio lui che faceva il ministro della sanità quando la moglie reggeva Farmitalia e ha fatto spendere a questo Paese decine di milioni in vaccini inutili e oltretutto pericolosi. E chi sa se nei sacconi non sia rimasto qualcosa appiccicato. Proprio lui noto per parlare a vanvera, per non avere mai un dato preciso e per mentire spudoratamente sugli stessi.

Proprio lui che adesso prende ordini da quell’altro saccone di Bonanni, che a sua volta pende dalle labbra del cardinal Bagnasco, in quanto neo catecumeno, cioè appartenente a una setta sulla cui “riservatezza” persino Papa Woityla ebbe a dire. Questo signore invece di andare in giro con i santini, fa il sindacalista.

Che all’assemblea delle Acli dove il sacconi si è allargato con le intelligenti dichiarazioni citate prima, facendo uscire il maleodorante contenuto, gli hanno gridato “fascista!” Ma a uno strumento usato per manomettere cosa gliene può importare da quali mani è usato. Lui manomette e basta. E certo dire piede di porco è riduttivo. Altro che piede.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2011/09/03/sacchi-e-piedi-di-porco/#comment-3414

Leggi anche:

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/09/01/il-pallottoliere-di-sacconi/


Capo Suvero, storie e leggende. In questa zona sarebbe spiaggiata la sirena Ligea.



Autore: Valentina Tortelli
Fonte: Quotidiano della Calabria
Data: 29/08/2011


GIZZERIA - C'E' un promontorio che si allunga sul mar Tirreno sulla cui groppa la storia si incrocia conla leggenda.è CapoSuvero, dove si ha ragione di pensare sia finita, spiaggiando, la sirena Ligea. Produzioni letterarie antiche, prima fra tutte l'Odissea, narrano delle tre sirene Partenope, Leucosia e Ligea impegnate con il loro canto ad attirare le navi in transito e a farle naufragare.
Ulisse, avvertito, non cadde nel tranello e riuscì a resistere al canto delle sirene legato all'albero maestro della propria nave e con i marinai resi sordi dai "tappi" che aveva fatto loro mettere alle orecchie. Le sirene deluse si lasciarono annegare e si dispersero. Conoscenza comune e leggenda vogliono che le sirene sostino sempre in prossimità dei capi e dei promontori, i quali sono già di per sé un pericolo per la navigazione e sono spesso segnalati da un faro. Esattamente come Capo Suvero.
Dopo essersi lasciate andare, sempre secondo i racconti tramandati, la sirena Partenope spiaggia a Napoli e dà il toponimo alla zona oggi conosciuta come partenopea; Leucosia finisce dalle parti di Punta Licosa, nel salernitano, che dalla sirena sembra trarre il nome e Ligea, stando anche alla testimonianza del geografo greco Licofone, spiaggia sugli scogli vicino Terina, alla foce del fiume Ocinaro. Con queste premesse, Camillo Trapuzzano appassionato di storia e archeologia e rappresentante legale dell'associazione Hydria Onlus, ipotizza che il luogo esatto in cui Ligea è approdata sia proprio Capo Suvero.
Che il territorio lametino, in particolare la fascia tirrenica tra Gizzeria e Nocera Terinese, sia stato abitato nel periodo greco e poi romano, ormai è appurato su più fronti. Lo confermerebbe la storia, ma anche i ritrovamenti archeologici.
Monete e arredi funerari sono stati rinvenuti in questa zona, segno di frequentazione antica del sito e sono custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Una decina di anni fa è stata rinvenuta nel territorio anche una hydria, un'anfora per la conservazione dell'acqua, che ha ispirato il nome dell'Associazione Hydria Onlus costituita nel 2000. Lo scopo di Hydria è la promozione culturale del territorio e quello di Gizzeria è ancora piuttosto sconosciuto.
"Reperti archeologici antichi sono stati trovati anche sui fondali marini" spiega Roberto Spadea, curatore del Museo Archeologico di Lamezia "le acque sono molto pescose in questo senso e per tutelarle è stata siglata una intesa tra Soprintendenza e Guardia di Finanza".
Tornano alla leggenda e alle sirene, l'ipotesi di Hydria sembra quadrare: "L'antica città di Terina sorgeva più o meno dove si trova Sant'Eufemia vecchia" spiega Trapuzzano "mentre gli storici non concordano sull'esatta rispondenza attuale del fiume Ocinaro. Per alcuni si tratta del torrente Bagni, per altri del fiume Amato. C'è anche chi sostiene che l'Ocinaro sia l'attuale Savuto o il corso d'acqua Zinnavo. Ma l'unico capo, in zona, che sia vicino a Terina e in corrispondenza della foce dell'Ocinaro non è che Capo Suvero". Non solo, nelterritorio gizzerota,Ligea avrebbe addirittura trovato la propria tomba.
"Non è infatti da escludere che il mausoleo circolare del III - IV secolo d.C trovato in zona, sia stato edificato su una precedente costruzione" conclude Trapuzzano. Oltre la leggenda e oltre l'intuizione degli studiosi, l'Amministrazione di Gizzeria e l'Associazione Hydria hanno voluto inserire la sirena Ligea accovacciata su uno scoglio di Capo Suvero su tutti i manifesti culturali dell'estate 2011. Proprio per promuovere il territorio e la sua affascinante leggenda.


http://www.gizzeriaonline.it/newsDettaglio.php?news=883

La monetazione italica. - di Michele Bisceglie



La monetazione italica, che oggi sarebbe considerato “patrimonio dell’umanità”,
veniva cancellata dai barbari invasori delle due sicilie nel 1862.

La storia numismatica delle Due Sicilie risaliva a 2500 anni prima con le zecche della Magna Grecia. Le monete furono “battute” nell'Italia meridionale tra il VI ed il V secolo a.C. per lo più dalle colonie Achee della costa ionica. Si trattava per lo più di stateri d'argento dal valore di tre dracme, coniati secondo lo standard Acheo (o Italo-Acheo). La monetazione “incusa” iniziò pressoché contemporaneamente a Sibari, Metaponto e Crotone poco dopo la metà del VI secolo a.C. All’epoca dei fatti e per molti secoli a venire in molte parti d’Italia e del mondo era in uso il baratto in natura. La coniazione delle monete rimase sempre nel sud, fino ad approdare a Napoli, ed 20 aprile del 1818 Ferdinando I emanò una direttiva che uniformava il sistema monetario della parte continentale ed insulare del regno delle Due Sicilie; l’unità di riferimento teorico della moneta meridionale, la più solida d’Italia, era il ducato, ed i maestri incisori della Regia Zecca a S. Agostino Maggiore erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle realizzazioni, che i saggi di conio dell’istituto d’emissione inglese erano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico Ci pensò Garibaldi con il decreto del 17 agosto 1860 a sopprimere il plurimillenario sistema monetario italico duo-siciliano e successivamente il governo unitario mise fuori corso il ducato con la legge del 24 agosto 1862. Iniziava lo smantellamento della nostra storia e della nostra cultura, per consegnare ai posteri una falsa realtà tesa a camuffare la loro barbara ignoranza presentandoceli come gli illuminati “padri della patria”, quelli che noi, ancora oggi, siamo costretti a festeggiare, nel mentre condanniamo i “talebani” per la distruzione dei Buddha di Bamiyan !!
Michele Bisceglie

(Tratto in parte da “Il sud e l’unità d’Italia” di G. Ressa.