Nel 2009, al cronista del settimanale L'Espresso che le chiedeva della sua eventuale presenza a villa Certosa, il 14 agosto 2008, durante la festa organizzata da Silvio Berlusconi, Licia Ronzulli rispondeva: «Sbaglia, non ci sono io. Ci sono tante ragazze more. Mai stata a villa Certosa. Cado dalle nuvole».[5] Fu in seguito smentita da Barbara Montereale, una delle tante ragazze ingaggiate per allietare le feste del Cavaliere da Gianpaolo Tarantini, e in seguito indagato per induzione alla prostituzione per le ragazze offerte ad esponenti del Partito Democratico in Puglia in cambio di favori nel settore della sanità. In un'intervista al quotidiano la Repubblica Barbara Montereale disse di essere stata accolta nella villa di Berlusconi a metà gennaio 2009 proprio da Licia Ronzulli, la quale - secondo la Montereale - «organizza[va] la logistica dei viaggi delle ragazze. [Era] lei che decide[va] chi arriva[va] e chi part[iva] e smista[va] nelle varie stanze».[5] In un comunicato, in cui annunciava di aver sporto querela, Licia Ronzulli rinnegò quanto dichiarato precedentemente, riconoscendo di essere stata ospite di villa Certosa più volte, ma affermando di essere sempre stata in compagnia del marito[6]. (wikipedia)
Nel novembre2009 Elvira Savino è stata messa sotto indagine dalla Procura di Bari per la "sua sospetta pressione verso il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell'Istruzione per favorire progetti gestiti dalla mafia" e per "aver fatto da prestanome per un conto corrente di" un imprenditore i cui investimenti provenivano "da canali di approvvigionamento illecito"[4]. Da prestanome per lo stesso imprenditore aveva fatto ancheSabina Began, amica della deputata[4].
Mentre il governo di occupazione del satiro perseguitato e dei suoi addetti/e alla pompetta vara la manovra rinsecchita che tartassa il popolo, scontenta i padroni e fa pure incazzare i poliziotti, gli altri paesi che stanno combattendo un po’ più seriamente la crisi globale provano a farne pagare le conseguenze prima ai furbi che ai soliti fessi, adottando misure di una certa serietà contro la piaga dell’evasione fiscale.
Non sono notizie facili da trovare sui media distratti dal lato B di Pippa; bisogna scavare un poco in rete ma alla fine le notizie si trovano. Come i tartufi.
Nel mese di agosto è stato sottoscritto in via preliminare e sarà definitivamente siglato entro settembre unaccordo di pace fiscale tra la Confederazione Elvetica e la Germania al fine di combattere l’esportazione illegale di capitali tedeschi tra monti e valli d’or e costringere gli evasori a pagarci su le relative tasse.
E’ il cosiddetto “piano Rubik”, ideato dagli svizzeri e da loro proposto a numerosi stati europei. L’accordo è prossimo alla firma anche con la Gran Bretagna e vi sono già interessamenti concreti da parte di Austria e Grecia.
Le banche svizzere che detengono capitali di cittadini stranieri provenienti dai paesi che sigleranno l’accordo del “piano Rubik”, chiederanno ai loro clienti la prova che già pagano le tasse nel loro paese. In caso contrario, fermo restando il mantenimento del segreto bancario, le banche si impegnano a farsi sostituti d’imposta per conto di quei paesi e ad applicare una ritenuta del 26% sui capitali, che poi sarà girato al fisco del paese di origine dei clienti.
Qualcuno potrebbe pensare che d’ora in avanti, se il piano Rubik avrà successo e sarà approvato da altri paesi, converrà esportare capitali in altri paradisi fiscali piuttosto che in Svizzera.
Gli gnomi non sono impazziti, sono stati in un certo senso costretti a concepire un accordo del genere per sopravvivere ai sempre più frequenti attacchi, anche di provenienza americana – vedi il caso UBS – al loro preziosissimo principio del segreto bancario. In cambio della salvaguardia dei loro altarini, le banche svizzere offrono una contropartita in denaro – a carico dei loro clienti – agli stati colpiti dal fenomeno dell’esportazione illegale di capitali e ottengono in cambio un’apertura agevolata all’accesso di banche e società svizzere ai mercati europei dei servizi finanziari. Do ut des, Clarice.
Dai bei propositi passiamo alla crudezza dei conti. Quanto prevede di incassare il fisco tedesco dall’accordo con la Confederazione Elvetica? 4 miliardi di euro, 1,5 dei quali verrebbe anticipato dalle banche elvetiche entro trenta giorni dalla stipula del contratto a titolo di garanzia e come segno di buona volontà.
Mentre la Svizzera gli stana gli evasori preservandone la privacy, dal canto suo la Germania applicherà una sorta di scudo fiscale per sanare il passato, una liberatoria con aliquote che variano dal 19% al 34%, a tener conto del patrimonio accumulato in base agli anni di detenzione dei capitali in Svizzera.
Pagata la liberatoria, dal 1° gennaio 2013 i tedeschi con capitali in Svizzera potranno scegliere – ob torto collo– se portare i capitali allo scoperto e pagare le relative tasse in Germania o accettare la tassazione alla fonte applicata dalle banche svizzere.
Finito di parlare delle persone serie, ci tocca a questo punto parlare dei simpatici italiani. La Svizzera, che conta una clientela italiana di tutto rispetto nel settore esportazione di capitali all’estero, del valore stimato tra i 130 e i 230 miliardi di euro, aveva proposto l’accordo anche a noi cialtroni, ricevendo una mappata di picche come risposta.
Recentemente, in occasione del complicato travaglio per il parto della manovra finanziaria, il capogruppo dei Democratici in commissione Bilancio, Pier Paolo Baretta, aveva proposto un emendamento che avrebbe introdotto il piano Rubik anche in Italia, con un recupero per l’erario calcolato tra i 5 e i 9 miliardi di euro. La proposta era stata apprezzata dal Presidente della Commissione, il leghista maroniano Giancarlo Giorgetti che però non si era preso la responsabilità di presentarlo personalmente in aula, lasciando al PD l’onore e l’onere di farlo. Mossa che è stata interpretata con il timore di dispiacere a qualcuno all’interno della Lega e della coalizione di governo.
Il piano Rubik infatti, indovinate un po’, non piace a Tremonti e i motivi del suo rifiuto ad introdurlo in Italia sono considerati inspiegabili dagli esperti. Del resto questo è il governo che ha concepito quel ridicolo ed insultante 5% di liberatoria sui capitali rientrati in Italia. E’ il governo di un Presidente del Consiglio che considera legittima l’evasione fiscale e che si forgia leggi ad personam per risparmiare sulle tasse delle proprie aziende. E’ il governo infine che preferisce attingere sempre ed ogni volta alle sicure ma sempre più magre buste paghe piuttosto che toccare le vacche sacre dell’evasione come quegli imprenditori che prosperano sul lavoro nero, quei professionisti con l’allergia per la fattura, quei commercianti dallo scontrino recalcitrante, quegli artigiani con gli Hummer intestati alla nonna con la pensione sociale e tutta quella immensa e variegata platea di gente dal tenore di vita altissimo che risulta però nullatenente e che vanno, tutti assieme, a costarci circa 300 miliardi di euro all’anno. Per non parlare degli introiti della criminalità organizzata, calcolati in135 miliardi di euronel 2010.
Solo volendolo quindi si potrebbero raggranellare molti dei soldi necessari alla manovra economica e soprattutto alla ripresa economica, scegliendo di tartassare i disonesti
al posto degli onesti.
Evidentemente però, i partiti di questo centrodestra berlusconiano considerano gli evasori fiscali- nel senso il più generale possibile del termine – la punta di diamante del loro elettorato di riferimento e sono disposti a tutto pur di difenderne il comportamento truffaldino. Chissà cosa ne pensano gli elettori onesti che li hanno comunque votati? E’ questo il motivo per cui notizie come quella sul “piano Rubik” sono così difficili da sentire per televisione?La crisi sta minando ovunque i privilegi delle Caste e i governi seri sanno che non si possono pretendere i sacrifici dalla gente comune che lavora e stenta a campare, mentre queste gozzovigliano alla faccia loro.
Negli Stati Uniti, paese notoriamente restìo al discorso più tasse per i ricchi, il presidente Obama tenta di far capire ai Repubblicani che anche i ricchi devono cominciare a pagare di più, dopo la politica di sconti outlet per gli alti redditi inaugurata con il reaganismo. I paesi europei prendono provvedimenti seri contro l’evasione, scegliendo la serietà di chi .
Solo noi facciamo finta di non capire che, seppure i ricchi continueranno a non entrare nel Regno dei Cieli, qualche cammello, per amore o per forza, dalla cruna dell’ago bisognerà cominciare a farcelo passare.
“Noi siamo messi così, come uomini. Tu, io, poi Carlo Rossella, presidente di Medusa e Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1 e responsabile di tutta la fiction Rai. Sono persone che possono far lavorare chi vogliono. Quindi le ragazze hanno l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino”.
Lo stralcio della conversazione tra Silvio Berlusconi “premier a tempo perso” e il prosseneta Gianpaolo Tarantini, con cui si spartisce le “patonze” come merce-premio, è rivelatore di quanto da tempo affermiamo: non è questione di sesso, ma di politica. E, ancor prima, di potere.
La prosa berlusconide è d’abitudine sfilacciata, miseranda, greve e pneumaticamente vuota, il vuoto asettico del piazzismo televisivo. Negli ultimi tempi s’è trasformata in gergo e il vuoto asettico ha assunto un odore mefitico e pestoso. E, tuttavia, mantiene intatta la sua espressività, staremmo per dire il suo espressionismo. Nella comunicazione, nulla avviene per caso.
Ritorniamo su quelle sciagurate parole. Colpisce la prima differenza tra il “noi uomini” e le “ragazze”. Non si tratta solo dell’ennesima rivelazione sulle manie d’un satiro settantacinquenne, che giunge a considerare “vecchietta” una donna di ventinove. No, questo è solo il primo livello di lettura. “Uomo” designa, come sappiamo, l’essere umano integrale; per millenni, anche sui vocabolari, l’essere umano per eccellenza. È “il” sostantivo. “Ragazza” (e il suo corrispettivo maschile) lo è molto meno, per la valenza sminuente attribuitagli nella chiacchiera. E accantoniamo pure le discussioni sull’origine araba del termine (portalettere o schiavo, anche sessuale): ma qualcosa di quell’antico significato permane, a livello inconscio, e riaffiora, qua e là, specialmente se pronunciato dai potenti.
Ebbene: secondo le intercettazioni, il premier a tempo perso non ricorre mai al vocabolo “donne”, bensì appunto a “ragazze”, non di rado a “bambine” – a mano a mano che l’età avanza, le desidera sempre più giovani e fresche – ma ancor più alla sineddoche: cioè la parte per il tutto. La donna, cioè la ragazza, cioè la femmina, si riduce a “patonza”. La sua disumanizzazione diventa così totale.
C’è, in quelle parole, la cultura dell’harem nel significato primo, di separazione. La tronfia fierezza del “Noi Uomini” da una parte; l’ammucchiata di “ragazze” sottomesse e consenzienti, dall’altra. Infatti: “Devono avere l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino”. La storia ha ampiamente dimostrato quali nefandezze e crimini si siano perpetrati ai danni non solo delle “femmine”, ma di qualsiasi altro essere umano considerato inferiore (per etnia, cultura, religione, orientamento sessuale…) quando gli Uomini (maschi) hanno “deciso del loro destino”.
Scrissi già alla vigilia del 13 febbraio che la questione da risolvere è tutta qui: squisitamente politica; e antica. Dal disprezzo dell’uomo-maschio verso la donna-femmina sorgono infatti tutte le incomprensioni, violenze, guerre, razzismi, intolleranze ecc. ecc.
Adesso scrivo ancora. Ma per cosa, e per chi?
Per esortare le donne a mobilitarsi, come è già accaduto? Forse, anche. Ma non sono loro, stavolta, le mie principali interlocutrici.
Spetterebbe agli uomini, infatti, se hanno anch’essi coscienza della propria, autentica dignità, se tengono a esser considerati, e a sentirsi, uomini e non semplici maschi, indignarsi di fronte a un individuo di potere che dà del loro genere un’immagine così degradante, primitiva e violenta.
Ma non accade. Non mi risulta abbiano intenzione di organizzare una protesta di massa. Erano in tanti il 13 febbraio, d’accordo. Ma con noi, con le donne. Ci seguivano a ruota. Sembravano sinceramente solidali, molti provavano disgusto quanto noi. Grazie, ma non basta. Non basta più.
Occorre un segnale forte, che non arriva. Mentre càpita ancora molto, troppo spesso di leggere e udire, a mezza bocca o in modo aperto, apprezzamenti compiaciuti nei confronti del vecchio maschio che se la gode e sa, finalmente, “come trattare le donne”.
Non è più tempo di maschere. Se il desiderio profondo, recondito degli uomini italiani (e non solo) è il maschio delle caverne, con tutto ciò ch’esso comporta a livello storico, sociale e politico, se ne assumano le responsabilità e lo proclamino apertamente. E altrettanto apertamente, tutte le persone d’ogni sesso che hanno a cuore la libertà, la democrazia e il rispetto reciproco, lo combatteranno senza tregua.
N.d.R. Su questo sito si è espressa chiaramente una posizione in merito. Vedasi “Lo squallore del chiavare” articolo nel quale si esprime una posizione direttamente proporzionale all’intensità del titolo.
Il leader dell'Idv: "Non possiamo chiedere al presidente della Repubblica un atto incostituzionale, ma neppure accettare di arrivare a fine legislatura con un governo fatto solo per non andare a votare". E aggiunge: "No a inciuci, no alla solidarietà nazionale. Sì solo a un esecutivo di tot giorni per la legge elettorale"
Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro
ROMA - Il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, sposa l'appello lanciato dal fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari 1 affinché il presidente della Repubblica investa il Parlamento del caso Berlusconi: cioè del problema della sua credibilità. "Noi - ha detto di Pietro dal palco di Vasto, dove ha chiuso la festa del partito - non possiamo chiedere al capo dello Stato di fare un atto incostituzionale, non possiamo domandargli di sciogliere le Camere, ma non possiamo neanche accettare in nome della legge elettorale di arrivare al 2013". Quindi, si schiera con l'editoriale di Repubblica: "Facciamo nostro l'appello di Scalfari a Napolitano", per chiedere cioè al capo dello Stato di utilizzare il suo potere di indirizzare messaggi al Parlamento. Di Pietro, poi, ha aggiunto: "Ora noi dobbiamo completare la raccolta di firme per il referendum, poi dare la nostra disponibilità solo per cambiare la legge elettorale e quindi rivolgerci ai cittadini per far capire loro che siamo in grado di governare".
Insomma, nessun governo tecnico, se non una fase di collaborazione tra varie forze politiche per dare il via a una nuova legge elettorale. Per il resto, voto subito. "La nostra disponibilità c'è solo per cambiare la legge elettorale - dice - perchè non ho alcuna intenzione di consegnare la vittima all'assassino, anzi. No al governo di unità nazionale per ricostruire il Paese, chi lo ha ucciso non può ricostruirlo. No a mantenere in vita questa maggioranza, salvo che ci sia l'impegno del Presidente della Repubblica a un governo di tot giorni per fare una nuova legge elettorale".
Il leader dell'Idv ha annunciato che nelle prossime ore l'Idv chiederà il voto segreto sulla richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare di Marco Milanese. Mentre non ha parlato nel dettaglio di quanto emerge dalle inchieste di Bari e Napoli sul conto del premier. "Star qui a parlare di escort - ha detto - sarebbe partecipare alla distrazione di massa in corso dai problemi reali del paese". Ma ha aggiunto: "Sarebbe bene se il premier accettasse l'invito di don Gallo ad andare in comunità a disintossicarsi, mentre chi ha ancora la credibilità per farlo si assume la responsabilità di governare". Fra i credibili, Di Pietro ha inserito proprio l'Italia dei valori, ma "in squadra", perché bisogna avere "la consapevolezza di poter fare i passi in ragione delle proprie gambe".
E qui è scattato l'ultimo punto dell'intervento di Di Pietro, l'alleanza con Pd e Sel, iniziata venerdì con il faccia a faccia con Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola. Con gli alleati, ha detto, serve "identità di programma", che deve esserci anche per i candidati alle primarie, da "fare il prima possibile", perché "abbiamo bisogno che quelle consultazioni siano una simbiosi tra le persone e il programma".
"Non è possibile che ognuno arrivi portandosi il proprio programma, altrimenti succede quel che succede sempre: siccome vince de Magistris, i partiti non ci stanno". Quindi l'Idv chiede di stare in squadra, ma anche di definire subito un programma di base. "Dobbiamo identificare subito quali sono le nostre priorità", una decina di punti, ha concluso Di Pietro citando il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Ma la festa di Vasto non sarà ricordata solo per le prove di Nuovo Ulivo tra Di Pietro, Vendola, e Bersani. A distanza si è consumato anche l'ennesimo duello tra il leader dell'Idv e quello dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. Un'incognita che pesa al momento sulla compattezza dell'opposizione e poi - più o meno a breve - sulle alleanze elettorali del voto che verrà.