lunedì 26 settembre 2011

L’azienda pubblica paga l’affitto ai figli del ministro Tremonti. - di Vittorio Malagutti





L'affare con l'Autostrada Pedemontana, di proprietà della Milano-Serravalle dello scandalo che ha coinvolto Filippo Penati: la società ha preso in locazione gli uffici al centro di Milano di proprietà degli eredi di mister Economia.

Azioni? Obbligazioni? Titoli di Stato? Macché, quando si tratta di investire il gruzzolo di casa, la famiglia Tremonti gira alla larga dai mercati finanziari e va sul sicuro. Anzi, sul mattone. Lo rivelano i bilanci delle società controllate dal ministro dell’Economia e dai suoi parenti stretti, moglie e figli. C’è l’Immobiliare Crocefisso srl, che due anni fa, come Il Fatto Quotidiano ha già raccontato, si è comprata un intero palazzo d’epoca (tre piani) nella centralissima via Clerici a Milano. Quest’ultimo acquisto è andato ad aggiungersi agli uffici di via Crocefisso, pure questi nel centro di Milano, dove ha sede lo studio tributario fondato da Tremonti e ora affidato ai suoi storici collaboratori Enrico VitaliDario Romagnoli Lorenzo Piccardi.

La vera sorpresa arriva però da un’altra società. Si chiama Nitrum e risulta intestata ai due figli del ministro, Luisa, 33 anni, e Giovanni, 26. Anche Nitrum, come vuole la tradizione di famiglia, ha puntato sul mattone. Tra l’altro possiede un intero piano di uno dei palazzi più alti di Milano, un grattacielo costruito negli anni Cinquanta in piazza Repubblica a Milano, vicino alla stazione Centrale. Ebbene, chi ha preso in affitto i locali degli eredi di Tremonti? Le carte ufficiali consultate dal Fatto rivelano che in quelle stanze si è insediata un’azienda pubblica, l’Autostrada Pedemontana lombarda. Proprio lì, al sesto piano del grattacielo milanese, si trovano gli uffici della società che sta realizzando una delle opere più costose e discusse degli ultimi anni. Una nuova autostrada che tagliando il varesotto e poi la Brianza dovrebbe diventare una nuova arteria di collegamento veloce tra il nordovest della Lombardia e Bergamo. Nel 2007 i vertici della Pedemontana, all’epoca presieduta da Fabio Terragni, hanno deciso di cambiare sede. E la scelta per i nuovi uffici, 650 metri quadrati in tutto, è caduta proprio sull’immobile di proprietà della famiglia Tremonti.

Risultato: i figli del ministro dell’Economia, tramite la società Nitrum, incassano l’affitto, che ammonta ad alcune centinaia di migliaia di euro l’anno, da una società a controllo pubblico. L’ufficio stampa della Pedemontana, contattato dal Fatto Quotidiano, ha ritenuto di non commentare né di rispondere alla richiesta di dettagli. Sta di fatto che da principio quel sesto piano era di proprietà di un istituto di credito, la Banca Carige. Nel 2001 arriva la Nitrum che all’inizio si accontenta di un leasing del valore complessivo di 3,8 milioni di euro. Nel 2009, alla scadenza del contratto, l’immobile è stato riscattato dalla società dei figli di Tremonti. Nel frattempo, a metà del 2007, gli uffici sono stati presi in affitto dalla Pedemontana, che nel suo bilancio ha spiegato il trasloco con l’esigenza di avvicinarsi alle “sedi delle istituzioni”. In effetti, non lontano da piazza della Repubblica si trova anche la sede della Regione Lombardia.

La quota di maggioranza della società Autostrada Pedemontana è di proprietà della Milano Serravalle, proprio la società tornata alla ribalta in questi mesi per lo scandalo che ha travoltoFilippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, fino a pochi mesi una dei più importanti esponenti del Pd al Nord. La Serravalle, a sua volta, ha come soci principali Provincia e Comune di Milano. Azionisti a parte, la Pedemontana è però legata a filo doppio al mondo politico. I finanziamenti pubblici per la nuova autostrada lombarda arrivano grazie al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica di cui Tremonti, come ministro dell’Economia, è vicepresidente. Ma oltre a questa relazione istituzionale c’è, come abbiamo visto, anche una connection familiare: la Pedemontana paga l’affitto ai figli del ministro, Luisa e Giovanni. Gli eredi di Tremonti hanno comprato la Nitrum, che già possedeva un importante patrimonio immobiliare, a metà del 2006. Un affare tutto in famiglia. A vendere è stata la signora Tremonti, cioè la mamma degli acquirenti. Che se la sono cavata con poco: 37 mila euro.



Troppi bluff sullo sviluppo. - di Alberto Orioli




Se esiste un caso Tremonti, ha un corollario. È l'idea che finora ha "disegnato", nell'ambito delle politiche economiche, il concetto di sviluppo e di crescita. E, per questa via, anche i poteri e il raggio d'azione del ministero ad esso preposto (lo Sviluppo economico, appunto) e degli altri dicasteri orientati alle misure per l'avanzamento economico del Paese.
Poteri sempre meno, risorse quasi zero.
Una china che ha portato al progressivo deterioramento della portata strategica delle idee di rilancio dell'azione economica, anche se a costo zero.
L'idea che la manovra da 54 miliardi ha degli investimenti nella banda larga è emblematica di una intera cultura di governo. I pochi fondi ancora destinati all'ammodernamento delle reti tecnologiche di base (con l'obiettivo di colmare il digital divide italiano) sono la prima voce di "garanzia" nel caso in cui venisse a mancare il gettito previsto per l'incremento dell'Iva o se non funzionassero i tagli ai ministri. Basta questa clausola di salvaguardia contabile a rendere quel "tesoretto", destinato in apparenza allo sviluppo, una voce solo virtuale e non spendibile.
È questa la considerazione di fondo nel Governo per gli investimenti nella modernità. Piccoli bluff, come questo del fondo per la banda larga, e grandi bluff come la conclamata azione di revisione costituzionale dell'articolo 41, in nome del "tutto è permesso tranne ciò che sia espressamente vietato", la madre di tutte le liberalizzazioni che altro non produrrebbe se non una marea di "leggi di divieto", con buona pace delle semplificazioni.
È in atto – per dirla con parola tristemente in voga – un downgrading del peso politico di quei ministri e di quelle azioni volte alla crescita, creato, giorno dopo giorno, in nome di una doverosa ma ambigua preoccupazione per il rigore nei conti. Le idee – dalla più incisiva riforma delle pensioni, con l'obiettivo di superare quelle di anzianità, alla spinta alle liberalizzazioni soprattutto dei servizi locali, regno del socialismo municipale; dall'attenzione alla ricerca e alla diffusione di know how tecnologico tra università e imprese alla messa in atto delle infrastrutture sempre invocate, ma mai cantierate – ancora una volta trovano sede di discussione nei molti tavoli aperti con le parti sociali.
Si tratta di altrettanti argomenti proposti e riproposti in altre stagioni, quando ci sarebbero state anche più risorse – nel rispetto del rigore finanziario – per poterle far attecchire. Ora è alto il rischio che questa riedizione dell'azione riformatrice sia un colpo d'immagine per dare un belletto a un Esecutivo dilaniato dalle polemiche e incerto nelle alleanze.
L'inchiesta pubblicata a pagina 2 e 3 dimostra che la strada dello sviluppo è lastricata di incompiute, di mezze riforme, di riformine, di ripicche tra ministri e di tira-e-molla sulle risorse. Con un'idea sfuocata su quale debba essere il Paese tra 10 anni e dove l'Italia debba indirizzare le sue eccellenze e i suoi talenti nel futuro medio lungo.
Il recente passato ha triturato Industria 2015 e il suo corredo di 600 milioni di euro per i settori innovativi, lo Statuto dell'impresa e il riordino degli incentivi, la revisione della rete di assistenza per l'export, la legge annuale sulla concorrenza (mai varata). E ancora i crediti d'imposta al Sud, gli stessi fondi Fas destinati al Mezzogiorno.
Di energia non si parla in modo organico e razionale da anni: si giocano partite un po' casuali sugli incentivi, si guarda poco ai grandi temi come sono i protocolli europei, ma anche ai piccoli temi come sarebbe stato un piano casa ben calibrato con le regioni per arrivare all'efficienza energetica e al risparmio sui consumi.
È noto che il rilancio di un'economia e di un intero Paese non si fa per decreto. Ma con riforme serie di struttura dal welfare, al fisco alla pubblica amministrazione come Il Sole 24 Ore chiede da tempo nel suo Manifesto per la crescita, Manifesto mutuato in gran parte anche dalle parti sociali, pronte a rilanciare con forza i temi delle riforme.
Ora la casa brucia, i mercati ci attaccano quotidianamente in nome di una crisi di fiducia e credibilità e, nostro tramite, attaccano l'euro e l'Europa tutta. Il Paese è smarrito e assiste, un po' assuefatto un po' impotente, all'imbarbarimento del costume pubblico, al degrado della vita istituzionale cui solo l'alto magistero del Quirinale cerca quotidianamente di porre freno con gli atti e con lo stile. 
Nel sentire comune dei tecnici della finanza globale la traslazione tra Italia e Grecia è quasi nelle cose: ma è un errore marchiano che non considera i fondamentali di un'economia manifatturiera di eccellenza, di un'industria che esporta nel mondo un intero stile di vita, di un patrimonio di intelletti e di saperi, oggetto di una diaspora che deve far pensare tutti. Per primo chi mette a punto la politica economica.
Con la casa in fiamme, il Governo corre ai ripari e riunisce quelle energie che non ha finora voluto considerare; ripropone quelle ricette finora disconosciute con alterigia; chiede un'impossibile supplenza a un'autorevolezza persa e irrecuperabile. Più passano le ore, più sembra tardi.

domenica 25 settembre 2011

sabato 24 settembre 2011

Inchiesta G8, 18 rinvii a giudizio ci sono Bertolaso, Anemone e Balducci.






La decisione del Gup di Perugia sulla cosiddetta 'cricca'. Ci sarebbe stato uno scambio di favori e corruzioni tra imprenditori e pubblici ufficiali per l'assegnazione degli commesse per i Grandi Eventi.


ROMA - Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Perugia Claudia Matteini ha rinviato a giudizio 18 dei 19 imputati dell'inchiesta G8 relativa ad appalti e corruzione. Tra le persone che saranno processato il 23 aprile del prossimo anno vi sono l'ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, l'ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici Angelo Balducci e l'imprenditore Diego Anemone.

Secondo l'accusa ci sarebbe stato uno scambio di favori e corruzioni tra imprenditori e pubblici ufficiali per l'assegnazione degli appalti per i Grandi Eventi. Fra i reati contestati, a vario titolo, l'associazione per delinquere e la corruzione. L'unico degli indagati ad essere stato prosciolto è stato Francesco Alberto Covello. Nessuno degli indagati era presente in aula al momento della lettura del dispositivo.

Le tappe dell'indagine. Una "cricca di banditi" che operava in un sistema "gelatinoso". Scrisse così, riferendo i termini adoperati dagli stessi indagati nelle telefonate intercettate, il gip di Firenze Rosario Lupo, nell'ordinanza di custodia cautelare firmata il 10 febbraio 2010 che fece deflagrare il caso dell'inchiesta sugli appalti del G8 e i 'Grandi eventi'. E che portò in carcere il costruttore Diego Anemone e i funzionari pubblici Angelo Balducci, Mauro della Giovampaola e Fabio De Santis.
La procura fiorentina era arrivata al gruppo indagando sulla costruzione della nuova Scuola Marescialli. Ma dalle intercettazioni emerse fin da subito, per l'accusa, come la "cricca" avesse influenzato alcuni dei maggiori appalti degli ultimi anni, dai Mondiali di nuoto a Roma del 2009 al G8 della Maddalena, fino alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. 

Secondo il gip, Anemone anche tramite persone e società a lui riferibili o collegate, riuscì a corrompere diversi funzionari pubblici, facendo compiere loro atti contrari ai doveri d'ufficio connessi all'affidamento e alla gestione degli appalti per i 'Grandi eventi'. L'opera di convincimento, sempre secondo le carte dell'inchiesta, avveniva grazie alle "utilità", che comprendevano l'uso di cellulari e di auto, arredi per la casa ma anche il pagamento di prestazioni sessuali. La prima svolta nell'inchiesta avvenne quando emerse il coinvolgimento, tra gli altri, dell'ex procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, a causa del quale il fascicolo passò per competenza alla procura di Perugia. Una volta nel capoluogo umbro, i pm chiesero e ottennero una nuova misura cautelare per Anemone, Balducci, De Santis e Della Giovampaola: il provvedimento, disposto dal gip il 27 febbraio, confermò quanto sancito a Firenze.
Il centro intorno a cui, per chi indaga, ruotava il "sistema gelatinoso" è il Dipartimento per lo Sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, la struttura cosiddetta "della Ferratella" (di cui facevano parte Balducci, De Santis e Della Giovanpaola). I magistrati ritengono che le prove dell'illecita aggiudicazione degli appalti alle imprese di Anemone siano nelle numerose intercettazioni eseguite, nei file trovati all'interno dei computer sequestrati e nei tanti documenti acquisiti.

Il coinvolgimento di Bertolaso. Nelle settimane successive arrivano le richieste di arresto (respinte dal gip) anche per l'ex commissario dei mondiali di nuoto a Roma, Claudio Rinaldi, per il commercialista Stefano Gazzani e per l'architetto Angelo Zampolini. Non mancano nomi eccellenti toccati dall'inchiesta.
E' il caso dell'ex numero uno della protezione civile, Guido Bertolaso, che per gli inquirenti avrebbe favorito Anemone in alcuni appalti in cambio di dazino di denaro e favori sessuali, goduti al Salaria sport village.

Ma il caso più eclatante è quello che porta, il 4 maggio 2010, alle dimissioni da ministro di Claudio Scajola (peraltro non indagato) per via dell'ormai celebre casa di via del Fagutale, a due passi dal Colosseo, che sarebbe stata - secondo chi indaga - in parte pagata da Anemone. Sugli atti raccolti a Perugia sta ora indagando la procura di Roma.
Tra i presunti beneficiari dei lavori di Anemone spuntano intanto altri nomi illustri, come quelli dell'ex ministro Pietro Lunardi e del cardinale Crescenzio Sepe, fino al 2006 alla guida di Propaganda Fide. I due vengono indagati per corruzione ma il filone che li riguarda viene separato dall'inchiesta in attesa delle decisioni in merito alla richiesta di autorizzazione a procedere al Parlamento per l'ex ministro.

Il 26 gennaio 2011 l'inchiesta principale viene chiusa dai magistrati perugini per 22 indagati, a 15 dei quali viene contestata l'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Il 5 maggio la procura deposita la richiesta di rinvio a giudizio per 19 indagati e 11 società. Non ci sono tre indagati che hanno chiesto di patteggiare: il 19 maggio il primo è l'architetto Zampolini (11 mesi con pena sospesa per il reato riqualificato da riciclaggio in favoreggiamento). Il 12 luglio davanti al gup di Perugia tocca ad Achille Toro e al figlio Camillo, che patteggiano rispettivamente 8 e 6 mesi di reclusione, con pena sospesa, per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio.

Nei giorni scorsi, i pm Sottani e Tavarnesi hanno riconfermato il quadro accusatorio ribadendo le richieste di processo per i 19 indagati, parlando di "compravendita illecita della discrezionalità amministrativa" da parte di funzionari pubblici in favore di Anemone, definito il "golden boy" dell'imprenditoria. Dal canto loro, tutti gli indagati si sono sempre proclamati innocenti ed estranei alle accuse. Tra di loro, Bertolaso, che si è definito vittima di una "macelleria mediatica" sottolineando di aver "lavorato sempre a servizio dello Stato".



http://www.repubblica.it/cronaca/2011/09/24/news/rinvio_giudizio-22173723/

 

I neutrini del Cern più veloci della luce: l’elogio della Gelmini per il tunnel che non c’è.




Secondo il ministro dell'Istruzione l’Italia avrebbe contribuito alla
costruzione dell'infrastruttura che collega Ginevra ai laboratori del Gran 
Sasso. L'opera, però, non esiste.

La notizia del superamento del limite della velocità della luce da parte di neutrini, un risultato fisico choc che sarebbe stato ottenuto nell’ambito di un esperimento del Cern, potrebbe essere oscurata dalla rivelazione che, secondo il ministro Mariastella Gelmini, l’Italia avrebbe contribuito “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso”. Un tunnel unico di 732 chilometri che parte dal Gran Sasso e collega direttamente con la cittadina elvetica. Peccato che in realtà il tunnel non esiste.

L’incredibile svista del ministro è tratta dall’entusiastico comunicato stampa diramato ieri dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in cui Mariastella Gelmini intende esprimere le sue congratulazioni all’intero mondo della ricerca italiana, non avendo però esattamente chiaro cosa abbiano fatto gli scienziati italiani. “Credo che quello della Gelmini sia uno svarione notevole – ha commentato Giuseppe Longo, professore ordinario di astrofisica dell’università Federico II di Napoli – non c’è alcun tunnel costruito fra il Cern e i laboratori del Gran Sasso. I neutrini dell’esperimento sono stati accelerati nell’acceleratore Lhc costruito sotto Ginevra, e poi sono stati orientati e sparati verso il Gran Sasso. Queste particelle praticamente non interagiscono con la materia e quindi, sostanzialmente, trapassano la roccia. Non c’è nessun tunnel. Tra l’altro, se si fosse scavato per 730 chilometri, data la curvatura terrestre questa fantomatica infrastruttura avrebbe attraversato il mantello, e quindi si sarebbe fuso tutto».

I fasci di neutrini lanciati dal Cern di Ginevra verso i laboratori dell’Infn (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) del Gran Sasso hanno prodotto una grande quantità di dati, registrati nell’ambito dell’esperimento ‘Opera‘, che ora sono in fase di verifica da parte degli scienziati di tutto il mondo. “Questi dati sono a disposizione degli studiosi. La comunità scientifica li sta vagliando con cautela proprio in queste ore. Il Ministro, però, deve avere tra l’altro dei risultati tutti suoi, perché dà già per assodata la cosa” ha aggiunto Longo. Nel comunicato, infatti, il ministro emette già il giudizio: “Il superamento della velocità della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo”. “Le informazioni che invece ha diffuso il Cern sono serie e professionali e hanno espresso tutte le cautele possibili e immaginabili sulla verifica di questo risultato” ha continuato Longo.

Nel comunicato stampa, inoltre, si fa riferimento agli investimenti italiani in questo progetto, a testimonianza del presunto grande impegno del Governo a favore della ricerca scientifica in Italia. Quello che però non c’è scritto è che l’esperimento ‘Opera’ ha come portavoce Antonio Ereditato, 56 anni, napoletano di origine, che ha avuto una cattedra non dal suo paese, ma dalla Svizzera. Da cinque anni, Ereditato è infatti direttore del Laboratorio di alte energie all’Albert Einstein Center for Fundamental Physics dell’Università di Berna. Si tratta di uno scienziato che “lavorava al Dipartimento di Fisica dell’Università Federico II di Napoli, era un mio collega. E certamente ricade nella categoria dei cervelli in fuga, dato che alla fine ha trovato una cattedra in Svizzera. Una categoria che testimonia l’assoluta eccellenza della ricerca italiana, e che però è costretta a scontrarsi con un mondo dell’università gestito dal Governo in modo incompetente come, tra l’altro, dimostra il recente comunicato del ministro Gelmini» ha concluso Longo.


di Stefano Pisani