mercoledì 28 settembre 2011

La via è la moral suasion. - di Valerio Onida.




È comprensibile che, di fronte al continuo processo di degrado della situazione politico-istituzionale del paese, e al pervicace rifiuto del Presidente del Consiglio di prenderne atto assumendo un’iniziativa risolutiva (le sue dimissioni), vi sia chi torna a invocare l’intervento del Presidente della Repubblica, diretto a sciogliere le Camere.
Tuttavia, occorre ancora una volta ricordare ai lettori che l’ordine costituzionale ha i suoi principi e le sue regole, che nessuno può pensare di violare.
Questi principi e queste regole ci dicono: primo, che lo scioglimento anticipato delle Camere non è un atto che rientri nel potere assolutamente discrezionale del capo dello Stato, ma è un provvedimento che questi può adottare solo con la controfirma (e quindi con l’assenso) del presidente del Consiglio; secondo, che il presupposto il quale legittima lo scioglimento è l’impossibilità di funzionamento del sistema perché non c’è più in Parlamento una maggioranza che sostenga con la sua fiducia il governo o sia in grado di esprimerne uno nuovo.
La necessità del primo presupposto, cioè dell’assenso sostanziale del presidente del Consiglio in carica, potrebbe essere superata solo nell’ipotesi estrema in cui quest’ultimo, di fronte a un voto parlamentare di sfiducia, rifiutasse di dimettersi, violando così la Costituzione. In mancanza di un voto di sfiducia, cosa potrebbe fare il capo dello Stato (intendo, più di quanto ha già fatto e sta facendo)? Solo esercitare una volta di più il suo “magistero di persuasione e di influenza”, invitando esplicitamente e motivatamente il Parlamento a verificare la permanenza o il venir meno del rapporto fiduciario nei confronti del governo in carica, tenuto conto di ciò che emerge nel paese: ma rischiando così, com’è evidente, di aprire un conflitto politico e istituzionale gravissimo e insanabile nel caso in cui la maggioranza , invece, confermasse la fiducia.
Non c’è, in democrazia, un “demiurgo” onnipotente: c’è un sistema che risponde a una logica precisa e che ha in sé, nonostante tutto, anticorpi anche contro le malattie più gravi: nella specie, questi anticorpi stanno oggi, soprattutto, nel residuo di consapevolezza, di autonomia e di ragionevolezza che non può non albergare nelle menti e nei cuori di molti, se non di tutti, i deputati e i senatori di quella che fino a ora è stata la maggioranza di governo.

Situazione senza precedenti




LORENZA CARLASSARE
Da molto tempo si avverte l’urgenza di porre termine alla scandalosa permanenza in carica di questo screditato governo; e di fronte alla sua pervicace volontà di resistere agli appelli pressanti si parla sempre meno sommessamente della necessità di arrivare allo scioglimento anticipato delle Camere.
Io stessa nel febbraio scorso, sottolineando l’eccezionalità di una situazione senza precedenti, invitavo da queste pagine, a una riflessione approfondita sullo scioglimento e sulle condizioni che lo legittimano in un contesto inedito che, come studiosi, mai avevamo considerato.
Per questo mi pareva necessario, da parte dei costituzionalisti, ripensare ai presupposti di esercizio di quel potere alla luce delle squallide novità. Il discorso, ripreso subito da Gianni Ferrara (su costituzionalismo.it), torna con forza nelle parole di Gustavo Zagrebelsky a Libertà e Giustizia: “Siamo consapevoli della gravità di ciò che diciamo e mai avremmo immaginato di doverlo dire, ma è in gioco la qualità della nostra democrazia e sono convinto che ci sia bisogno di reagire” e ridare la parola ai cittadini: “Non esiste altra via” quando il governo ha la fiducia di una maggioranza parlamentare, ma è la maggioranza a non avere la fiducia dei cittadini. Le anomalie del nostro presente non si limitano a questa frattura. Pesa il ‘blocco’ della nostra democrazia, i cui meccanismi sono paralizzati da una legge elettorale incostituzionale. Inutile però forzare la Costituzione: il decreto presidenziale di scioglimento richiede, a pena d’invalidità, la controfirma del presidente del Consiglio: “Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato” (art. 89).
Si può ritenere tuttavia, di fronte al rifiuto di controfirma, che il capo dello Stato possa rivolgersi alla Corte per denunziare che in tal modo gli viene impedito l’esercizio delle sue funzioni pur in presenza dei presupposti.
Presupposti indiscutibili: il venir meno della corrispondenza tra maggioranza parlamentare e popolo è considerato motivo di scioglimento e rimettere in moto le istituzioni inceppate si considera primo compito del capo dello Stato.
Aggiungendo lo scandalo perdurante, il decoro delle istituzioni violato, la fedeltà infranta, il danno all’economia, non è azzardato pensare che il capo dello Stato, nel conflitto di attribuzioni, veda accolte dalla Corte le proprie ragioni.

Napolitano può mandarlo a casa. - di Massimo Fini.







 L’articolo 88 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere”. La Carta non pone alcun limite a questa facoltà del capo dello Stato salvo l'obbligo di sentire il parere, peraltro non vincolante, dei presidenti dei due rami del Parlamento e che non può esercitarla “negli ultimi sei mesi del suo mandato”. Il fatto che la Costituzione dedichi un preciso articolo sui 17 che lo riguardano, a questa facoltà del presidente della Repubblica, senza accompagnarla con alcuna specificazione, indica che i nostri Padri fondatori non la consideravano, come altre, puramente ornamentale, ma un potere concreto e fondamentale della massima carica dello Stato che la può esercitare in piena libertà quando a suo giudizio ne ricorrano le condizioni.
   L’articolo 88 fa quindi piazza pulita delle talmudiche asserzioni degli esponenti del centrodestra che a ogni piè sospinto, di fronte alle reiterate richieste di dimissioni del presidente del Consiglio, che provengono da varie parti e non solo dalle opposizioni, strillano che “nessuno può mandare a casa un governo che ha la maggioranza in Parlamento ed è stato voluto dal popolo sovrano” . Qualcuno c’è: è il capo dello Stato. Naturalmente, a lume di logica, e non perchè la Costituzione gli ponga alcun limite, il presidente della Repubblica eserciterà questa sua peculiarissima facoltà in casi eccezionali e di fronte a situazioni di emergenza.
   I costituzionalisti si sono esercitati e sbizzarriti, nell’elencare una serie di situazioni che costituirebbero un valido motivo per lo scioglimento anticipato delle Camere. Ne citiamo due che sembrano tagliati su misura per il caso nostro.
   1) “L’emergere di nuove questioni fondamentali su cui i candidati non avevano preso posizione al momento della campagna elettorale e che gli stessi elettori non potevano aver preso in considerazione al momento del voto”. Nel 2008, quando fu eletto il terzo governo Berlusconi, non esisteva il rischio di default dell’Italia.
   2) “Se sussiste un tentativo di sovvertimento legale della Costituzione”. Sono diciassette anni che Berlusconi sovverte, fra gli altri, uno degli articoli-cardine della Costituzione, l’articolo 3 che sancisce il principio basilare dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
   Ma non voglio girare intorno ai pareri dei costituzionalisti. Se c’è un momento per un capo dello Stato, di esercitare la facoltà di sciogliere anticipatamente le Camere e mandare a nuove elezioni, è questo. L’Italia vive una situazione economica gravissima di fronte alla quale c’è un governo indeciso a tutto che ha dovuto cambiare cinque volte la legge finanziaria. È più vicina alla Grecia che alla Spagna. Ma più del governo, dove ci sono anche ottimi ministri, il problema è proprio lui: Silvio Berlusconi. Con i suoi comportamenti, pubblici e privati, agiti anche all’estero, ci ha ridicolizzato di fronte all’opinione pubblica internazionale e ci ha tolto credibilità proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno. L’ “Express” in una sua copertina lo ha definito “il buffone d’Europa”. Ma critiche feroci e sbeffeggianti sono state mosse al premier italiano da vari giornali europei (inglesi, tedeschi, spagnoli e persino bulgari), americani, giapponesi, molto spesso di ispirazione liberale. Recentemente il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, si è detta stufa di vedere l’Italia considerata “uno zimbello”. Ma, soprattutto, Berlusconi è stato ed è un autocrate alla Putin che per diciassette anni, sotto mentite spoglie di democrazia, ha lato leggi, massacrato tutti i principi dello Stato liberale e democratico, promosso le sue favorite in Parlamento e nelle Istituzioni grazie al potere del suo denaro e avendo, per sopramercato, un’origine politica illegittima a causa di un colossale conflitto d’interessi mai risolto. Oggi ha una maggioranza, in parte prezzolata, in Parlamento, ma quasi tutto il Paese contro: al di là delle opposizioni politiche, la società civile, la Confindustria, la Chiesa, i leghisti di base non lo possono più sopportare. Ma lui suona il suo solito refrain: “Non mollo”. Invece è necessario liberarsene al più presto prima che il Paese precipiti nella catastrofe.
   Solo il presidente della Repubblica può farlo. Certo ci vuole del coraggio per mandare a casa un presidente del Consiglio in carica. Giorgio Napolitano è sempre stato un uomo in grigio, un politico mediocre di cui, prima che salisse al Colle, non si ricordava un discorso significativo, un atto di qualche valore, ma solo l’imbarazzante somiglianza con il re Umberto. E anche adesso si segnala solo per la sua inerzia, per moniti omnicomprensivi che, in quanto tali, non vogliono dire nulla. Giorgio Napolitano ha 85 anni. Trovi, per la prima volta nella sua lunga vita, il coraggio di fare un atto di coraggio.

http://4erre.blogspot.com/2011/09/napolitano-puo-mandarlo-casa.html

Fiat, Romani avalla chiusura Termini Imerese e imbroglia i lavoratori.



Giornata di protesta per centinaia di lavoratori della Fiat di Termini Imerese giunti a Roma questa mattina per manifestare contro la decisione di Marchionne di chiudere lo stabilimento siciliano e per chiedere al governo un impegno serio per garantire un futuro occupazionale ai dipendenti del Lingotto e a quelli dell'indotto.
La manifestazione è iniziata questa mattina in piazza Santi Apostoli e si è poi spostata di fronte a Montecitorio. Qui gli operai hanno avuto un incontro con il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando e il segretario siciliano del partito, Fabio Giambrone. 
Nel pomeriggio i manifestanti sono affluiti all'esterno della sede del ministero dello Sviluppo economico, in via Molise, per il previsto tavolo tra Governo, Regione Sicilia, sindacati e l'advisor Invitalia. 
Ma proprio da questo incontro, conclusosi intorno alle 18.30, sono arrivati segnali negativi per gli operai: "Dentro il palazzo - ha denunciato il responsabile welfare e lavoro dell’Italia dei Valori, Maurizio Zipponi -, è accaduto un fatto gravissimo: il ministro Romani avalla la decisione dell’azienda di chiudere lo stabilimento e propone fantomatici piani industriali privi di serietà, consistenza finanziaria e prodotti credibili. Romani è addirittura arrivato a dire che nasceranno più di duemila posti di lavoro in Sicilia, di cui 1300 con l’imprenditore Massimo  Di Risio che, nei giorni scorsi, si era offerto di acquisire anche la Irisbus di Avellino”. 
“Secondo il ministro - ha aggiunto Zipponi -, Di Risio sarebbe un produttore di auto. Si tratta di una bufala megagalattica perché Di Risio in realtà non fa altro che importare pezzi cinesi e montarli nel suo stabilimento di Macchia d’Isernia”. 
“E’ evidente, quindi, che è in atto il tentativo di liberare la Fiat dall’incombenza di rispondere a tutta la comunità siciliana dei soldi pubblici percepiti finora”. 
“L’IdV – ha concluso Zipponi – denuncia il clamoroso imbroglio che il governo sta perpetrando ai danni della Sicilia. Sembra di rivivere quello che è già avvenuto in Sardegna con la vicenda Vinyls, quando il ministro Romani annunciò la rinascita della chimica di base e dopo una settimana venne smentito dai fatti”.

Il buco nero della casta dei professionisti delle intercettazioni.







Che le intercettazioni telefoniche possano essere uno strumento utile per il contrasto della criminalità organizzata, compresa quella politica, è fuori discussione.
La cosa ignobile è invece la privatizzazione della gestione di un settore così delicato.
Alcuni pescecani negli ultimi anni si sono attrezzati per lucrare sulle macerie della giustizia italiana.
I tribunali, per scaristà di mezzi e risorse, sono costretti a rivolgersi a loro per la gestione di intercettazioni telefoniche e ambientali, per l'intrusione nelle auto e nelle case private per l'installazioni di cimici, per il reperimento del materiale informatico necessario.
Sono così spuntate come i funghi queste società private, a volte sono ex-poliziotti che hanno fiutato l'affare, quasi sempre parenti o amici con agganci nei piani alti delle procure e della politica che prima di spendere milioni di euro in attrezzature hanno preteso "garanzie" per appalti multimilionari e ultradecennali.
Il punto ignobile di questa privatizzazione sono i costi esorbitanti che ricadono nelle tasche dei cittadini.
Ogni anno il ministero della giustizia spende all'incirca 200 milioni di euro per il noleggio di queste apparecchiature.
Troppi, veramente troppi soldi, soprattutto se pensiamo che con all'incirca 60 milioni di euro si potrebbe provvedere all'acquisto delle medesime attrezzature.
Dal 2008, da quando Berlusconi guarda caso ha tagliato tutti i fondi pubblici destinati al settore, è nata finanche l' i.l.i.i.a. (Italian Lawful Interception & Intelligence Association), che è un consorzio di  "aziende che si occupano di installazione, produzione, assistenza tecnica e servizi di noleggio di attrezzature per  l’intercettazione telefonica, ambientale e video su disposizione dell’Autorità Giudiziaria", che asserisce di vantare un credito con lo stato di oltre mezzo miliardo di euro!
E' il classico imbroglio all'italiana: si privatizza un servizio (come ad esempio mense, sanità privata, immobili pubblici, ecc....) per poi prenderlo in appalto da privati con i costi quadruplicati.
Rinternalizzare il servizio porterebbe ingenti risparmi.
Ma nelle casse italiane, non nelle tasche degli imprenditori e dei politici in affare. 

Spider Truman
"L'ignoranza è forza, 
la guerra è pace, 
la libertà è schiavitù"



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Passaparola - Lega di mafia e di governo - Marco Travaglio

CROZZA A BALLARO 27_09_2011