Vertice a Palazzo Graziali con Alfano, Cicchitto e Gasparri
alla ricerca di una nuova strategia politica.
di Marco Conti
ROMA - «Traditori, tutti traditori! Mi vogliono far fuori, vogliono farmi arrestare, me o i miei figli. Stavolta non è il ’96». Alle sei del pomeriggio a palazzo Grazioli, al capezzale di un Berlusconi fuori di sé, arrivano prima Gianni Letta, poi i capigruppo Cicchitto e Gasparri e infine Angelino Alfano. Non c’è Verdini, ma ci sono i suoi conteggi e l’avvertenza che il coordinatore del Pdl ha lasciato al Cavaliere di prima mattina: «Se insisti a restare ce ne porteranno via altri». La profezia non tarda ad avverarsi e l’unico riguardo che la Carlucci usa al Cavaliere, e non solo a lui, è quello di non ufficializzare l’uscita dal Pdl a ridosso di qualche telegiornale.
La due giorni muscolare è finita. D’altra parte i bicipiti si erano sgonfiati già in mattinata quando il Cavaliere non era intervenuto a braccio alla convention di Moffa, ma ha preferito leggere un testo per non tradire il suo umore. A palazzo Grazioli i telefoni sono roventi sin dalla mattina. Il problema è che l’area grigia dei possibili «pugnalatori» si allarga di ora in ora invece di restringersi. Anche perché il Cavaliere, liquidando a Cannes il problema come una storia di poltrone, ha finito per irritare coloro che intendono dare altro significato al loro maldipancia, e al tempo stesso ha dato l’impressione di essere pronto a riaprire quel solito mercato delle poltrone, che ha solleticato nuovi appetiti. I tentativi del Cavaliere di rimettere insieme i pezzi della sua maggioranza vanno avanti sino alle sette di sera. Nei suoi giri telefonici sarebbe anche arrivato a chiedere a più di un sottosegretario, annoverabile tra i fedelissimi, di mollare la carica in modo da poterla assegnare ad altri.
Una mossa un po’ disperata che allarga lo sconcerto che serpeggia tra i deputati che continuano ad essere subissati da sms nei quali si raccomanda di essere «assolutamente» presenti alla seduta di domani.
All’ora di cena Berlusconi tira le fila del suo tentativo e si rimette ai suoi ospiti con un laconico «che facciamo?». Tocca a Letta riprendere, due giorni dopo, il filo dei ragionamenti iniziati nella notte di venerdì scorso. Il summit dei «pettegolezzi» e dei «chiacchiericci», come qualche tg aveva bollato i racconti del drammatico venerdì sera, si interrompe subito per ascoltare Maroni che, al programma di Fabio Fazio, chiude ogni possibile speranza dicendo che «i numeri non ci sono», che «è inutile accanirsi» e che sarebbe un errore far fare a Berlusconi la fine di Prodi. «Beh, allora, che si fa?», prova a sdrammatizzare il Cavaliere una volta spenta la tv.
Nessuno dei presenti pronuncia la parola dimissioni, ma torna d’attualità l’iter immaginato venerdì scorso: salita al Quirinale prima del voto sul Rendiconto. Voto in aula sul provvedimento e poi dimissioni sbarrando la strada ad ogni possibile governo tecnico per puntare poi ad elezioni a primavera. Berlusconi però sembra resistere ancora e prima di prendere decisioni definitive, intende consultarsi oggi a Milano con Confalonieri e con i figli, Marina in testa.
I ragionamenti che proseguono per buona parte della serata, investono il Pd, e la «voglia di urne di Bersani» e «l’Udc che alla fine farà accordi alle elezioni con il Pd».
«Dobbiamo convincere il Quirinale - sostiene il Cavaliere - che non sono possibili altre maggioranze e che se la situazione dovesse precipitare siamo disposti a guidare un governo che vari le misure chieste dall’Europa e che, se è possibile, riveda la legge elettorale». Anche se fino a ieri sera non ha mai pronunciato la parola «dimissioni», i ragionamenti del Cavaliere sembrano guardare molto al dopo manifestando, almeno fino a ieri sera, tutta la sua intenzione di restare a palazzo Chigi anche in caso di elezioni.
Berlusconi sa che un voto a primavera rappresenta una sconfitta sicura per il centrodestra, ma è sicuro di poter giocare ancora una partita al Senato: «Anche se le astensioni saranno altissime, a palazzo Madama il centrosinistra non avrà la maggioranza», sostiene Berlusconi nei suoi ragionamenti ormai tutti proiettati verso una nuova campagna elettorale. Da candidato premier, ovviamente.
La due giorni muscolare è finita. D’altra parte i bicipiti si erano sgonfiati già in mattinata quando il Cavaliere non era intervenuto a braccio alla convention di Moffa, ma ha preferito leggere un testo per non tradire il suo umore. A palazzo Grazioli i telefoni sono roventi sin dalla mattina. Il problema è che l’area grigia dei possibili «pugnalatori» si allarga di ora in ora invece di restringersi. Anche perché il Cavaliere, liquidando a Cannes il problema come una storia di poltrone, ha finito per irritare coloro che intendono dare altro significato al loro maldipancia, e al tempo stesso ha dato l’impressione di essere pronto a riaprire quel solito mercato delle poltrone, che ha solleticato nuovi appetiti. I tentativi del Cavaliere di rimettere insieme i pezzi della sua maggioranza vanno avanti sino alle sette di sera. Nei suoi giri telefonici sarebbe anche arrivato a chiedere a più di un sottosegretario, annoverabile tra i fedelissimi, di mollare la carica in modo da poterla assegnare ad altri.
Una mossa un po’ disperata che allarga lo sconcerto che serpeggia tra i deputati che continuano ad essere subissati da sms nei quali si raccomanda di essere «assolutamente» presenti alla seduta di domani.
All’ora di cena Berlusconi tira le fila del suo tentativo e si rimette ai suoi ospiti con un laconico «che facciamo?». Tocca a Letta riprendere, due giorni dopo, il filo dei ragionamenti iniziati nella notte di venerdì scorso. Il summit dei «pettegolezzi» e dei «chiacchiericci», come qualche tg aveva bollato i racconti del drammatico venerdì sera, si interrompe subito per ascoltare Maroni che, al programma di Fabio Fazio, chiude ogni possibile speranza dicendo che «i numeri non ci sono», che «è inutile accanirsi» e che sarebbe un errore far fare a Berlusconi la fine di Prodi. «Beh, allora, che si fa?», prova a sdrammatizzare il Cavaliere una volta spenta la tv.
Nessuno dei presenti pronuncia la parola dimissioni, ma torna d’attualità l’iter immaginato venerdì scorso: salita al Quirinale prima del voto sul Rendiconto. Voto in aula sul provvedimento e poi dimissioni sbarrando la strada ad ogni possibile governo tecnico per puntare poi ad elezioni a primavera. Berlusconi però sembra resistere ancora e prima di prendere decisioni definitive, intende consultarsi oggi a Milano con Confalonieri e con i figli, Marina in testa.
I ragionamenti che proseguono per buona parte della serata, investono il Pd, e la «voglia di urne di Bersani» e «l’Udc che alla fine farà accordi alle elezioni con il Pd».
«Dobbiamo convincere il Quirinale - sostiene il Cavaliere - che non sono possibili altre maggioranze e che se la situazione dovesse precipitare siamo disposti a guidare un governo che vari le misure chieste dall’Europa e che, se è possibile, riveda la legge elettorale». Anche se fino a ieri sera non ha mai pronunciato la parola «dimissioni», i ragionamenti del Cavaliere sembrano guardare molto al dopo manifestando, almeno fino a ieri sera, tutta la sua intenzione di restare a palazzo Chigi anche in caso di elezioni.
Berlusconi sa che un voto a primavera rappresenta una sconfitta sicura per il centrodestra, ma è sicuro di poter giocare ancora una partita al Senato: «Anche se le astensioni saranno altissime, a palazzo Madama il centrosinistra non avrà la maggioranza», sostiene Berlusconi nei suoi ragionamenti ormai tutti proiettati verso una nuova campagna elettorale. Da candidato premier, ovviamente.