Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 19 novembre 2011
L'otto per mille e la Santa cresta. - di Stefano Livadiotti
Grazie al contributo fiscale lo Stato italiano versa più di un miliardo l'anno per pagare gli stipendi dei preti. Per i quali però bastano 361 milioni. E le altre centinaia? In un'inchiesta, tutta la verità su business e privilegi del Vaticano. Ecco un'anticipazione.
Trentunomila e 478 euro virgola qualcosa. E' la somma che lo Stato, quindi l'intera platea dei contribuenti, ha versato nel 2010 per il mantenimento di ognuno dei 33 mila e 896 sacerdoti in servizio attivo nelle diocesi del Paese. Il totale fa un miliardo e 67 milioni di euro, l'importo del cosiddetto 8 per mille (salito nel 2011 a un miliardo, 118 milioni, 677 mila, 543 euro e 49 centesimi). E l'assegno l'ha incassato la Chiesa, attraverso la Conferenza episcopale. Che poi a ciascuno di quei preti ha girato direttamente solo 10.541 euro, un terzo di quanto ha stipato nei propri forzieri. L'espressione è un po' forte, ma i numeri sono numeri: e dicono che i vescovi fanno la cresta sullo stipendio dei loro sottoposti.
Wojtyla, si sa, non amava granché Agostino Casaroli. Considerava il suo segretario di Stato troppo amico dei regimi comunisti dell'Est. Quasi un propagandista. E per questo si scontrava spesso con lui. Invece avrebbe dovuto fargli un monumento equestre. Perché la revisione del Concordato che Casaroli trattò con l'allora premier italiano, Bettino Craxi (in sostituzione della "congrua", il salario di Stato garantito ai parroci), è stata di gran lunga il miglior affare che la Chiesa abbia portato a casa nella sua storia più recente. Funziona così. Un po' come in un gigantesco sondaggio d'opinione, ogni anno i contribuenti, mettendo una croce sull'apposita casella nella dichiarazione dei redditi, possono indicare come beneficiaria dell'8 per mille una delle confessioni firmatarie dell'intesa con lo Stato (o scegliere invece quest'ultimo).
Sulla base delle indicazioni effettivamente raccolte, viene poi diviso in percentuale non il solo ammontare versato da quanti hanno espresso una preferenza (il 40 per cento circa del totale), ma l'intero montepremi.
Al gruzzolo concorrono, cioè, anche i versamenti all'erario di coloro che, maggioranza assoluta, non hanno barrato un accidenti (quattrini che nella cattolicissima Spagna restano invece allo Stato). O che magari non hanno neanche mai sentito parlare del trappolone a suo tempo confezionato da Giulio Tremonti nelle vesti di consulente del governo. Il meccanismo, guarda caso, sembra ricalcato da quello scelto dai partiti per i rimborsi elettorali garantiti dal finanziamento pubblico. Il risultato dell'arzigogolo è facilmente intuibile. Anche perché perdere una sfida con lo Stato italiano davanti a una giuria popolare è matematicamente impossibile. Tanto più se lo stesso sedicente avversario ha stabilito regole che lo penalizzano in partenza. E ancor più se durante la gara cammina invece che correre (la Chiesa si affida a un gigante mondiale come la Saatchi & Saatchi per una martellante campagna pubblicitaria costata nel 2005 qualcosa come 9 milioni di euro, il triplo di quanto donato dai preti alle vittime dello tsunami; lo Stato risulta non pervenuto). Ma il vantaggio per la Chiesa va perfino al di là di quanto si possa intuire.
Per quantificarlo bisogna necessariamente affidarsi a dati un po' vecchiotti, per il semplice motivo che il ministero dell'Economia fornisce le statistiche sulle scelte effettive dei contribuenti solo alle confessioni religiose ammesse al beneficio. Non è però un problema, dal momento che le percentuali variano in maniera quasi impercettibile tra un anno e l'altro. Dunque: nel 2004 la Chiesa è stata scelta da una minoranza pari al 34,56 per cento dei contribuenti italiani. Ma lo stesso dato, calcolato invece sulla sola platea di quanti hanno ritenuto di dare un'indicazione sull'8 per mille, l'ha fatta schizzare di colpo, e miracolosamente, a una schiacciante maggioranza dell'87,25. Ed è quest'ultima la percentuale utilizzata per ripartire l'intera torta. Che è destinata inevitabilmente a crescere. Il suo valore, infatti, si aggancia ora alla variazione del Pil, cioè alla crescita economica, ora all'aumento della pressione fiscale. Quando non ai due elementi insieme.
Questo garantisce alla Chiesa di incassare sempre più quattrini, a prescindere dal consenso racimolato. E perfino quando questo scende in maniera vistosa. E' successo, per esempio, nelle dichiarazioni dei redditi del 2007 (incassate nel 2010: c'è uno sfasamento temporale di tre anni). Quell'anno, forse sulla scia dello scandalo pedofilia, il numero dei contribuenti che ha indicato come beneficiari Ratzinger & C. si è ridotto, secondo i calcoli degli stessi vescovi, di 95.104 unità.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lotto-per-mille-e-la-santa-cresta/2166754
Leggi anche:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2166758
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quanto-paghiamo-per-la-chiesa/2158813
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-santa-evasione/2159411
Libia, catturato Saif al-Islam Gheddafi. Folla tenta linciaggio. L'Aja: "Datelo a noi"
Tripoli - (Adnkronos/Aki/Ign) - Il figlio del defunto leader libico, ultima icona del regime, è stato arrestato nel sud del Paese (VIDEO). E' ricercato per crimini contro l'umanità. Il Tribunale penale internazionale: "Consegnatecelo". Il Cnt: "Resta qui, ma avrà un giusto processo". Festeggiamenti nelle strade (Diretta Al Jazeera). Gli ultimi istanti del rais: ''Non sparate'' (VIDEO 1 - 2)
Tripoli, 19 nov. - (Adnkronos/Aki/Ign) - Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, e' stato catturato insieme a due collaboratori ''nella regione di al Obari'', nel sud della Libia.
Saif, stando a Mohammad al-Alaqi, esponente del Cnt citato da al-Arabiya, sarebbe stato arrestato mentre tentava la fuga verso il Niger ed è stato trasferito a Zintan. La tv libica al-Ahrar ha trasmesso le immagini di Saif al-Islam dopo la cattura. Nel video, girato con un cellulare, il figlio di Gheddafi appare vivo con la mano destra fasciata. Una folla inferocita ha tentato di assaltare l'aereo su cui Saif veniva trasportato da al Obari a Zintan.
Il figlio del colonnello è ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l'umanità. Dall'Aja il Tpi ha fatto sapere di aver ricevuto conferma dalle autorita' libiche della cattura di Saif al-Islam. ''Ci stiamo coordinando con il ministero libico della Giustizia affinche' ogni circostanza riguardo l'arresto di Saif al-Islam rispetti la legge'', ha detto un portavoce del Tpi.E dopo le polemiche internazionali per il brutale assassinio di Muammar Gheddafi da parte dei ribelli, ora il ministro della Giustizia del Cnt libico, Mohammad Alalaqi, assicura che il figlio del colonnello avrà un ''processo giusto, sulla base degli standard internazionali''. ''Ci coordineremo con il Tribunale penale internazionale per il processo'', ha detto il ministro.Il presidente del Tribunale dell'Aja, Luis Moreno Ocampo, ha detto che si rechera' a Tripoli la prossima settimana per discutere del processo di Saif al Islam. Una sua portavoce inoltre ha dichiarato che la Libia ha il dovere legale di collaborare con il Tpi e che il figlio del defunto rais libico deve essere trasferito all'Aja.Un appello è stato lanciato anche da Amnesty International, secondo cui Saif al Islam "deve essere consegnato al Tpi e la sua sicurezza e i suoi diritti devono essere garantiti". Secondo Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore dell'ufficio di Medio Oriente e Nord Africa, il figlio di Gheddafi deve "rispondere dei suoi crimini in un giusto processo che non preveda la pena di morte".Col diffondersi della notizia della sua cattura, i libici sono scesi in strada per festeggiare. Al-Jazeera riferisce di festeggiamenti nella citta' costiera di Misurata. Scene di giubilo e spari in aria anche a Tripoli, riporta la Bbc, con caroselli di macchine per le strade piene di libici armati di bandiere.Saif al-Islam e' l'ultimo esponente di spicco della famiglia Gheddafi a essere catturato o ucciso in Libia.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Libia-catturato-Saif-al-Islam-Gheddafi-Tentava-di-fuggire-verso-il-Niger_312662350866.html
San Raffaele, inchiesta sulla banacarotta I voli spericolati di Don Verzè. - di Antonella Mascali
L'ex capo del San Raffaele non gradiva i check-in, venti milioni per l'aereo privato. Ieri interrogatorio fiume per Piero Daccò, il faccendiere arrestato nei giorni scorsi. Su di lui il sospetto di aver creato fondi neri per conto della dirigenza dell'ospedale milanese
Un capriccio del dominus del San Raffaele di Milano, don Luigi Verzé, avrebbe contribuito al buco da oltre un miliardo e mezzo dell’istituto ospedaliero. Almeno, è questa la chiave che usa una testimone ascoltata dai pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, per spiegare l’acquisto di un aereo da “quasi 20 milioni di euro”. Alessia Zacchia, racconta che nel 2007 don Verzé, conMario Cal (il vicepresidente morto suicida a luglio) presero quella decisione perché il sacerdote non voleva fare la coda ai check-in. “Convengo – dice imbarazzata – che si è trattato di un’operazione sopra le righe… Don Verzé, vista l’età, non accetta dei normali check-in quando viaggia in aereo. Convengo che non è una motivazione seria per fare una spesa così enorme”.
Secondo le indagini della procura e della polizia giudiziaria della Finanza, però, nell’acquisto di quell’aereo è coinvolta anche una società riconducibile a Piero Daccò, consulente del San Raffaele, senza incarichi ufficiali, vicino a Cl, amico di Roberto Formigoni. I PM riportano la nota delle fiamme gialle del 24 ottobre scorso nella quale “viene analizzato quanto la Fondazione ha speso per l’operazione Assion, circa 20 milioni di euro” e ricostruisce che dietro la società Assion, che ha acquistato “un aereo Bombardier modello Challenger 604”, c’è la “Norconsulting”, società riconducibile a Daccò.
E’ lui l’uomo sospettato di costituire fondi neri, forse anche per finanziare politici per conto dei vertici del San Raffaele. Oggi il gip, Vincenzo Tutinelli, si pronuncerà sul suo fermo, avvenuto martedì per pericolo di fuga. Ieri, interrogato per oltre 7 ore nel carcere di Opera, Daccò ha respinto l’accusa di volersi rifugiare in Israele e ha fornito la sua versione sulle 4 operazioni contestate da 4 milioni e 300 mila euro. I pm, coordinati dal procuratore aggiunto, Francesco Greco, ritengono che Daccò fosse un finto consulente. Una parte dei soldi che ha preso, li avrebbe distribuiti per conto del San Raffaele. E sul tragitto della montagna di soldi in contanti, sia il provvedimento di fermo che la richiesta di convalida, contengono molti omissis. Qualcosa, però, emerge. Il 4 novembre, come riportato dal Corriere della Sera, Pierino Zammarchi (titolare con il figlio di Diodoro-Metodo), intercettato, confida a un amico quanto detto dal figlio Gianluca: “Io vado là e gli racconto tutto. Che il Mario (Cal, ndr) diceva che dava dei soldi ai politici”, attraverso Daccò. Zammarchi padre, però, fa notare al figlio che si tratta di un racconto de relato: “Non hai le prove, porco cane!”.
Anche Valsecchi, indagato per concorso in bancarotta e false fatturazioni, ammette il metodo delle fatture gonfiate con rientri in nero. Racconta di aver visto gli Zammarchi dare denaro a Cal e che Cal gli aveva detto che era per Daccò. Ma è Stefania Galli, segretaria di Cal, a entrare nel dettaglio: “Le consegne delle buste da parte di Pierino Zammarchi al dottor Cal sono iniziate orientativamente nel 2005…”. Poi descrive le buste: “Erano dell’altezza di 3-4 centimetri e contenevano banconote da 500 euro”. Rivela che era lei a conservarle in una “cassaforte” della vice presidenza e poi, nella cassaforte “dell’albergo Rafael”. Secondo Galli, se non c’era Cal, le mazzette erano affidate a Valsecchi. Nelle mani dei pm c’è anche il notebook di Cal con 20 mila e-mail intestate fittiziamente alla segretaria. E soprattutto, scrivono, sono stati estratti “alcuni file particolarmente significativi” in riferimento a società riconducibili a Daccò. L’inchiesta sul quasi crac del San Raffaele, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni in Regione Lombardia che garantisce all’ospedale 450 milioni di euro all’anno di rimborsi pubblici. Sel ha proposto una commissione d’inchiesta con l’accordo di Pd e Udc. Ma Formigoni non la vuole: intralcerebbe il lavoro della procura. Prende anche le distanze da Daccò: “Non aveva nessun rapporto con la Regione Lombardia. Può darsi che esponenti della Regione lo abbiano incontrato”, se lo ha mandato in rappresentanza il San Raffaele. Il governatore parla di Daccò come se fosse uno sconosciuto. Eppure, è stato anche ospite su uno degli Yaught dell’uomo d ’ affari.
Secondo le indagini della procura e della polizia giudiziaria della Finanza, però, nell’acquisto di quell’aereo è coinvolta anche una società riconducibile a Piero Daccò, consulente del San Raffaele, senza incarichi ufficiali, vicino a Cl, amico di Roberto Formigoni. I PM riportano la nota delle fiamme gialle del 24 ottobre scorso nella quale “viene analizzato quanto la Fondazione ha speso per l’operazione Assion, circa 20 milioni di euro” e ricostruisce che dietro la società Assion, che ha acquistato “un aereo Bombardier modello Challenger 604”, c’è la “Norconsulting”, società riconducibile a Daccò.
E’ lui l’uomo sospettato di costituire fondi neri, forse anche per finanziare politici per conto dei vertici del San Raffaele. Oggi il gip, Vincenzo Tutinelli, si pronuncerà sul suo fermo, avvenuto martedì per pericolo di fuga. Ieri, interrogato per oltre 7 ore nel carcere di Opera, Daccò ha respinto l’accusa di volersi rifugiare in Israele e ha fornito la sua versione sulle 4 operazioni contestate da 4 milioni e 300 mila euro. I pm, coordinati dal procuratore aggiunto, Francesco Greco, ritengono che Daccò fosse un finto consulente. Una parte dei soldi che ha preso, li avrebbe distribuiti per conto del San Raffaele. E sul tragitto della montagna di soldi in contanti, sia il provvedimento di fermo che la richiesta di convalida, contengono molti omissis. Qualcosa, però, emerge. Il 4 novembre, come riportato dal Corriere della Sera, Pierino Zammarchi (titolare con il figlio di Diodoro-Metodo), intercettato, confida a un amico quanto detto dal figlio Gianluca: “Io vado là e gli racconto tutto. Che il Mario (Cal, ndr) diceva che dava dei soldi ai politici”, attraverso Daccò. Zammarchi padre, però, fa notare al figlio che si tratta di un racconto de relato: “Non hai le prove, porco cane!”.
Anche Valsecchi, indagato per concorso in bancarotta e false fatturazioni, ammette il metodo delle fatture gonfiate con rientri in nero. Racconta di aver visto gli Zammarchi dare denaro a Cal e che Cal gli aveva detto che era per Daccò. Ma è Stefania Galli, segretaria di Cal, a entrare nel dettaglio: “Le consegne delle buste da parte di Pierino Zammarchi al dottor Cal sono iniziate orientativamente nel 2005…”. Poi descrive le buste: “Erano dell’altezza di 3-4 centimetri e contenevano banconote da 500 euro”. Rivela che era lei a conservarle in una “cassaforte” della vice presidenza e poi, nella cassaforte “dell’albergo Rafael”. Secondo Galli, se non c’era Cal, le mazzette erano affidate a Valsecchi. Nelle mani dei pm c’è anche il notebook di Cal con 20 mila e-mail intestate fittiziamente alla segretaria. E soprattutto, scrivono, sono stati estratti “alcuni file particolarmente significativi” in riferimento a società riconducibili a Daccò. L’inchiesta sul quasi crac del San Raffaele, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni in Regione Lombardia che garantisce all’ospedale 450 milioni di euro all’anno di rimborsi pubblici. Sel ha proposto una commissione d’inchiesta con l’accordo di Pd e Udc. Ma Formigoni non la vuole: intralcerebbe il lavoro della procura. Prende anche le distanze da Daccò: “Non aveva nessun rapporto con la Regione Lombardia. Può darsi che esponenti della Regione lo abbiano incontrato”, se lo ha mandato in rappresentanza il San Raffaele. Il governatore parla di Daccò come se fosse uno sconosciuto. Eppure, è stato anche ospite su uno degli Yaught dell’uomo d ’ affari.
Enav, perquisizioni e arresti. Nel mirino anche la Selex della moglie di Guarguaglini
Ai domiciliari finisce l'ad Guido Pugliesi. E' accusato di finanziamento illecito ai partiti in realzione a una presunta tangente di 200mila euro. Coinvolta anche la società della moglie di Guarguaglini.
A Roma il sabato di cronaca inizia molto presto. L’inchiesta sugli appalti Enav, l’Ente nazionale di assistenza al volo, è arrivata a una svolta. In queste ore, infatti, Finanza e carabinieri del Ros stanno eseguendo perquisizioni e arresti. Nel mirino degli inquirenti c’è l’amministratore delegato Guido Pugliesi. L’ultima accelerazione riguarda anche gli appalti dati alla Selex guidata dall’ingegner Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Lo stesso Pugliesi è finito ai domiciliari. Per lui l’accusa è quella di finanziamento illecito ai partiti per una presunta tangente da 200mila euro. In carcere, invece, il commercialista Marco Iannilli e Manlio Fiore, di Selex. Entrambi indagati per frode fiscale. Sul registro degli indagati finisce anche Lorenzo Borgogni, responsabile delle Relazioni esterne di Finmeccanica, dimissionario. Per lui era stato richiesto l’arresto, ma il gip non l’ha concesso. Le perquisizioni in corso riguardano gli uffici dell’Enav e le abitazioni di alcuni dirigenti dell’Ente. Il sospetto di chi indaga è che i destinatari di questi accertamenti abbiano preso denaro in modo illecito nella gestione di alcuni appalti.
LA TANGENTE AL TESORIERE DELL’UDC
Pugliesi è accusato di illecito finanziamento in relazione a una presunta tangente da 200 mila euro versata dall’imprenditore Tommaso Di Lernia, titolare della Print System, al segretario amministrativo dell’Udc Giuseppe Naro. Quest’ultimo, a sua volta, è indagato dalla Procura di Roma per illecito finanziamento. Pugliesi avrebbe accompagnamento Di Lernia nell’ufficio di Naro in via Due Macelli, a Roma. Per la Procura le prove dell’incontro sono dimostrate dal fatto che il telefono cellulare di Di Lernia risultava agganciato alla cella di via Due Macelli e dal passaggio della sua auto nella zona a traffico limitato (Ztl). Non solo, Di Lernia, che con le sue rivelazioni ha consentito di aprire uno squarcio nel meccanismo degli appalti dell’Enav, avrebbe riconosciuto Naro durante un interrogatorio attraverso una fotografia.
APPALTI NEL MIRINO
Dalle carte dell’inchiesta emergono almeno dieci appalti assegnati senza gara pubblica da Enav a Selex Sistemi. In particolare, al vaglio del pm Paolo Ielo sono finiti lavori, sia tecnici sia di opere civili, riguardanti gli aeroporti di Napoli e Palermo. Secondo l’accusa i lavori assegnati a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc Trade, Techno Sky e altre hanno determinato una sovrafatturazione dei costi e la creazione di un surplus, poi redistribuito tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav. Il tutto in un arco di tempo che va dal 2005 al 2010. Uno dei capitoli di questa indagine ha coinvolto il deputato del Pdl Marco Milanese, in relazione alla compravendita di uno yacht pagato una somma superiore a quella di mercato. Per la Procura tale maggiore valutazione dell’imbarcazione costituisce una forma di finanziamento illecito di un singolo deputato. Milanese, ex collaboratore dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, è già stato citato in giudizio.
LO YACHT DI MILANESE
Per questa vicenda risulta indagato lo stesso Borgogni. Il responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica, infatti, è indagato per le presunte irregolarità che hanno caratterizzato la compravendita dell’imbarcarcazione del parlamentare Pdl da parte della società Eurotec diMassimo De Cesare. Stando al capo di imputazione contenuto nell’ordinanza firmata dal gipAnna Maria Fattori, “De Cesare, previo concerto con l’imprenditore Tommaso Di Lernia (che di Eurotec è considerato il ‘dominus’, ndr) e con la mediazione di Fabrizio Testa (ex consigliere Enav, ndr) e in accordo con il commercialista Lorenzo Cola, che agiva assieme a Borgogni, erogava al deputato del Pdl, già consigliere politico dell’ex ministro dell’economia, con riferimento alla cessione dell’imbarcazione Mochi Craft, una utilità non inferiore a 224mila euro, pari al valore della sopravvalutazione del natante”. La vicenda, che si è sviluppata tra il 2009 e il 2010, è già stata oggetto di accertamento da parte del pm Paolo Ielo che ha ottenuto il processo per Milanese davanti al tribunale monocratico.
LA FRODE FISCALE
Per Fiore e Iannilli l’ordinanza contesta il reato di frode fiscale. Fiore, si legge nel documento firmato dal giudice, “nella sua qualità di organo apicale di Selex Sistemi Integrati, anche al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette a Selex SI, concorreva con Tommaso Di Lernia, legale rappresentante di Print Sistem, nell’emissione di tre fatture” pari a un milione e 200mila euro circa. Il reato è aggravato “per essere stato commesso anche al fine di realizzare le provviste per l’erogazione di utilità a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, per il compimento di atti contrari ai doveri del loro ufficio”. Stessa accusa è rivolta a Marco Iannilli che, nella veste di dominus di Arc Trade, “al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette” alla societa’, “concorreva con Sabastiano Giallongo, legale rappresentante di Suiconsulting srl”, a emettere nel 2010 tre fatture per operazioni inesistenti recanti un importo pari a quasi 850mila euro.
venerdì 18 novembre 2011
“Salvezza nazionale”, ma per tutti. - di Paolo Flores d’Arcais
Che sia davvero un governo di “salvezza nazionale”, la salvezza di tutti e in primo luogo del “terzo Stato”, non dei privilegiati d’establishment e delle cricche: è questo che chiede la schiacciante maggioranza dei cittadini che all’80%, secondo i primi sondaggi, appoggia il nascente governo Monti. Salvezza dal default, ovviamente, tecnicismo che significa in concreto, per chiunque possieda titoli di Stato (milioni e milioni di italiani), perdere in un colpo solo la metà o i due terzi dei risparmi di una vita. Ma “salvezza nazionale” significa anche, altrettanto essenzialmente, liberare il Paese dalla melma onnipervasiva del crimine impunito e della menzogna catodica, autentiche sabbie mobili che lo stavano inghiottendo.
Perciò, se sotto il profilo economico e sociale, l’equità dei sacrifici non può che cominciare dallo scandalo dello scudo fiscale, 107 miliardi tassati al 5% anziché al 30% (esigere quel 25% di differenza dovrebbe essere moralmente l’abc), e proseguire con la patrimoniale e draconiane leggi anti-evasione (altrimenti pagano solo i ricchi ufficiali, e quelli veri continuano a rapinare), Monti e Napolitano non possono dimenticare che il (quasi) ventennio di melma e macerie in cui il regime ha precipitato il paese poggiava e ancora poggia da una parte sulle picconate inferte ai magistrati fedeli alla “legge eguale per tutti” (e sulla ragnatela di quelli leali alle P3 e P4 in spergiuro della Costituzione) e dall’altra sul monopolio orwelliano del sistema televisivo. “Questione morale” che interessa solo le anime belle, replicheranno troppe sponde “moderate”, incapaci ormai di pensare con categorie diverse da quelle di Giuliano Ferrara. Eppure è solo per il combinato disposto dell’illegalità/impunità e della televisione/menzogna se un metro di autostrada o metropolitana costa in Italia tre o quattro volte più che nel resto d’Europa. La corruzione impunita impone un costo economico altissimo, oltre a devastanti effetti sociali e infine antropologici.
Restituire l’etere televisivo al giornalismo-giornalismo, dove i fatti sono sovrani, realizzando imparzialità e pluralismo, e ripulire politica e istituzioni dalla pletora di leggi ad personam, autentiche leggi-canaglia che strangolano la vita civile, sono due banchi di prova su cui i cittadini giudicheranno il governo Monti, e su cui Monti giocherà la propria credibilità non meno che sullo “spread”. Indulgere su questi temi, anche in dosi omeopatiche, alla continuità e alle “garanzie” che Berlusconi pretende, significherebbe insultare gli italiani onesti.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/salvezza-nazionale-ma-per-tutti/
Governo Monti, l'occasione perduta della politica. - di Mauro Barberis
Chi mi legge sa cosa ho sempre pensato di Silvio Berlusconi e del suo governo; bene, ora ce ne siamo liberati, ma a che prezzo? Il discredito internazionale dell’Italia e la possibile rovina del paese: troppo, anche per un antiberlusconiano della prima ora.
Avevano un bel dire Rosy Bindi e Susanna Camusso, invitate a Ballarò, che il governo è caduto per un voto parlamentare. Non è vero: è caduto perché era divenuto impresentabile per i nostri partner europei, costretti a finanziare il nostro debito pubblico, e soprattutto per i mercati finanziari, che attaccavano noi, e non altri, perché da anni il Cavaliere non governava più. Ma fosse stato per la politica, ce lo saremmo tenuti sino al 2013, se non oltre.
L’unica via di uscita onorevole è stata indicata subito da Giorgio Napolitano: un accordo politico alto fra i maggiori partiti, la formazione di un governo politico di salvezza nazionale, con dentro i leader dei partiti maggiori, benché presieduto da un tecnico autorevole e gradito ai mercati. È bastata l’indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio, diffusa irritualmente dal Presidente della Repubblica nominando senatore a vita Mario Monti, per fare calare di cento punti lo spread con i titoli tedeschi e farci risparmiare miliardi di debito. Ma fra l’indicazione lungimirante di Napolitano e il governo tecnico che sembra profilarsi, l’unica cosa comune sembra il nome di Monti.
Se si fosse formato un esecutivo con gli esponenti più autorevoli dei due schieramenti – e ce ne sono ancora, in entrambi – ci saremmo presentati all’Europa con un volto infinitamente più credibile. Invece, questa prospettiva è stata sabotata anzitutto dalla destra: da Berlusconi, interessato solo ad avere garanzie per sé e per le sue aziende, e da Umberto Bossi, pronto a gettarsi nelle praterie dell’antipolitica e della secessione. Ma la sinistra non è stata da meno, quanto a disinteresse; sin dal primo momento ha fatto pesare che tutti i sondaggi la danno in testa di almeno dieci punti, e che rinunciando alle elezioni rinunciava a una sicura vittoria elettorale: come se questo non fosse un suo preciso dovere, di fronte alla possibile rovina del paese.
Quel che rischia di uscirne, così, è un governo non politico ma tecnico, tecnicissimo, formato quasi esclusivamente di professori universitari e di alti funzionari dello Stato: un esecutivo figlio di nessuno che, per programma e durata, dipenderà mani e piedi dagli umori e dai veti incrociati degli opposti schieramenti, ugualmente refrattari a prendersi le proprie responsabilità e a pagarne il prezzo elettorale. Ma non si dica, se questa sarà la soluzione, che la democrazia e i politici italiani sono stati commissariati dall’Europa: si sono commissariati da soli, perdendo l’ultima occasione per riscattarsi.
Contro i professionisti della delusione. - di Cinzia Sciuto
Il governo Monti va valutato senza mai dimenticare il ventennio che l’ha preceduto e avendo ben presenti i suoi obiettivi e i suoi limiti strutturali. In questa prospettiva, ha già dato forti segni di discontinuità.
La prima, sulla riorganizzazione dei dicasteri: non dovendo fare i conti con il bilancino della (cattiva) politica, non è stato necessario scorporare e inventarsi deleghe per moltipliare le poltrone, per cui a ogni ministero corrisponde un oggetto reale. Alcuni segnali forti: scompare il ministero delle Riforme per il federalismo, mentre c’è quello per la Coesione territoriale. Dalla strisciante secessione alla ritrovata unità nazionale. Non mi pare poco. Scompare l’inutile ministero per l’Attuazione del programma (?), quello della Gioventù, quello della Semplificazione normativa, quello della Pubblica amministrazione e con loro i vari Rotondi, Calderoli, Brunetta e Bossi (e pure la Meloni, alla quale in quanto ‘ggiovane’ era stato affidato il ministero dei ‘ggiovani’, che nessuno si filava). Nasce invece un ministero importantissimo, quello della Cooperazione internazionale e dell’integrazione: un nome che, tenendo insieme cooperazione internazionale e integrazione, esprime una vocazione cosmopolita del nuovo governo che ci fa prendere una boccata d’ossigeno, dopo anni di becero provincialismo. È scomparso anche il ministero delle Pari opportunità, correttamente reintegrate in quello del Lavoro e delle politiche sociali (perché di politiche sociali si tratta).
La seconda riguarda la presenza delle donne. A dispetto dei numeri, è un governo molto più femminile del precedente, che contava ben 6 ministre, di cui però 4 senza portofoglio. La sensazione netta è che nel governo Berlusconi alle donne fossero assegnate deleghe del tutto secondarie, non tanto perché lo fossero in sé ma perché tali erano ritenute dai ‘boss’ del governo. Al femminismo della bella presenza e dei numeri è di gran lunga da preferire il femminismo delle competenze e della sostanza. Tre ministre di grandissimo peso: l’Interno, la Giustizia e il Lavoro. Le donne vincono quando giungono a ruoli di alto livello non in quanto donne, ma per le loro competenze e capacità.
Adesso ovviamente attenderemo il governo alla prova dei fatti. Avendo però ben presente l’obiettivo di questo esecutivo: acchiapparci per i capelli per evitare di cadere nel baratro apparecchiato per noi dalla crisi economico-finanziaria e iniziare a rimettere insieme i cocci di quelle macerie. Il tutto, non dimentiachiamolo, con il sostegno parlamentare fondamentale e inevitabile di chi quelle macerie le ha prodotte. Inutile quindi aspettarsi chissà quale rivoluzione. Ma i professionisti della delusione, se vogliono, possono ricominciare a illudersi.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/contro-i-professionisti-della-delusione/
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