lunedì 12 dicembre 2011

Processo Ruby, i testimoni dell'accusa "Pagamenti sospetti alle Olgettine"






I primi testimoni dell'accusa: confermato che la giovane marocchina partecipava a serate con prestazioni retribuite. "Sull'agenda di Iris Berardi c'erano pagamenti da duemila euro da Papi". Ci sono foto di effusioni tra donne e di travestimenti. La prossima audienza il 27 gennaio.
 di EMILIO RANDACIO

MILANO - Pagamenti sospetti alle ragazze di via Olgettina e le prove che Ruby era presente alle cene a villa Certosa in cui alcune ospiti si prostituivano. Sono questi i punti chiave presentati dai primi testimoni dell'accusa durante il processo Rubygate contro Silvio Berlusconi. L'accusa contro l'ex premier - che non si è presentato - è concussione e prostituzione minorile.

L'INCHIESTA IL RUBYGATE 1

Duemila euro da Papi. Dalle agende sequestrate ad alcune ospiti degli appartamenti di via Olgettina emergono pagamenti sospetti. A sostenerlo è il secondo testimone ascoltato oggi al processo milanese sul rubygate, in cui Silvio Berlusconi è imputato di concussione e prostituzione minorile. Analizzando l'agenda sequestrata a Iris Berardi, il vicequestore Giorgio Bertoli ha spiegato alla Corte come la giovane brasiliana avesse appuntato cifre in euro incassate nei primi sei mesi del 2010. In tre occasioni, la Berardi cita il nome "Papi", con a fianco la cifra duemila euro. Le date dei versamenti coincidono con la presenza della Berardi nella residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore.

"Ad Arcore effusioni tra donne e travestimenti". "Durante le cene ad Arcore, fotografate effusioni tra donne". A sostenerlo in aula è stato uno degli investigatori che hanno seguito l'inchiesta. Il testimone si è riferito, in particolare, al rinvenimento di immagini sul telefono di una delle ospiti, Ioana Visan. Secondo i riscontri informatici effettuati sul cellulare, quella foto sarebbe stata scattata agganciandosi a una cella telefonica nei dintorni di Arcore. 


E ancora: presenza di costumi vari, babbo natali e poliziotti; Iris Berardi, una delle più assidue ospiti del Cavaliere, "è stata anche immortalata vestita da babbo natale in abiti succinti", ha ricordato il testimone alla corte. Barbara Guerra è stata invece fotografata con una divisa da poliziotta e delle manette in mano.

Nel 'fascicolo' anche "nove fotografie - continua Bertoli - di una stanza da letto arredata, con un letto disfatto, e attorno delle foto visibili di Silvio Berlusconi da giovane". Queste foto sono state trovate nel pc di Barbara Guerra, e sono state "scattate alle 4,51 del 24 ottobre 2010 ad Arcore".

"Ruby presente a cene con sesso a pagamento". Primo testimone è stato il vicequestore Marco Ciacci. "Emergono dall'inchiesta - aveva detto Ciacci - elementi convergenti che collocano la ragazza, Ruby Karima, in un contesto di eventi e cene in cui si consumavano atti sessuali a pagamenti". Ciacci, rispondendo alle domande del pm Antonio Sangermano, ha anche sottolineato che all'epoca degli eventi, Ruby "era minorenne".

Il vicequestore ha detto che le indagini sui presunti rapporti sessuali tra l'ex premier e Ruby erano partite dalle dichiarazioni a verbale di Caterina Pasquino, l'ex coinquilina della giovane marocchina, e di Giuseppe Villa, imprenditore e titolare di un bar. E la partecipazione a questa serie di eventi, ossia le cene ad Arcore, ha aggiunto l'investigatore, "è stata ricostruita con le intercettazioni e da molteplici conversazioni telefoniche, tra cui una di Ruby con Luca Risso (il suo fidanzato) del 6 ottobre 2010".
 
Ciacci ha spiegato che dopo la famosa notte del 27-28 maggio 2010, quando Ruby venne rilasciata dalla Questura, la "presidenza del consiglio" non intervenne più, neppure quando fu necessario per tre volte ricollocare Ruby in altre comunità. Da giugno - ha chiarito il vicequestore - a "interessarsi" della ragazza fu Lele Mora.

Berlusconi non si presenta. Non era in aula, Silvio Berlusconi, come avevano già anticipato i suoi avvocati. Anche stavolta l'ex premier ha scelto di non essere presente in tribunale, per il processo sul cosiddetto Rubygate, in cui è accusato di concussione e prostituzione minorile. La prossima udienza sarà il 27 gennaio.

Politici e camorra casalese: sequestri per 100 milioni, c’è anche una discoteca a Riccione. - di Vincenzo Iurillo


L'inchiesta aveva portato alla richiesta d'arresto per il deputato Nicola Cosentino, il giorno prima della cattura di Michele Zagaria. Sigilli a quattro impianti per la produzione di calcestruzzo nel casertano.

Un impianto sequestrato dalla Dia nel casertano
La settimana scorsa, l’operazione “Il principe e la (scheda) ballerina” aveva scoperchiato i rapporti tra politica e camorra nella zona di Casal di Principe,  e aveva portato a una richiesta d’arresto per l’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Ora la Dia di Napoli coordinata da Maurizio Vallone sta eseguendo 15 provvedimenti di sequestro preventivo su una vasta area del paese, per un valore di oltre 100 milioni di euro, nei confronti di altrettanti indagati.

I sequestri sono in corso tra la Campania, il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna e la Lombardia. Messi i sigilli, tra l’altro, a quattro impianti per la lavorazione del calcestruzzo, che agivano in condizioni di oligopolio nella provincia di Caserta, nonché una nota discoteca di Riccione, il Beach Cafè. L’elenco dei beni sequestrati è lungo e articolato. Comprende anche fabbricati nel casalese, decine di conti correnti bancari e di auto e motoveicoli, quote di società operanti nella sanità, appezzamenti di terreno, due società “di notevoli dimensioni” di Casal di Principe, operanti nel settore edile, una società edile con sede legale a Roma e intestata in Gran Bretagna, una società informatica, le quote di una società sportiva di Casal di Principe, una impresa edile in provincia di Modena.

“Ora bisogna aggredire i capitali della borghesia mafiosa”, ha detto mercoledì scorso il coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Federico Cafiero de Raho, mentre in Questura di Caserta ancora si stava ultimando il verbale di arresto di Michele Zagaria, il capo dei capi del clan dei Casalesi. L’operazione “Il principe e la (scheda) ballerina”, culminata in 57 arresti, era scattata solo il giorno prima, incidendo col bisturi il cancro dei rapporti tra cosche, imprenditoria e politica collusa, rivelando i condizionamenti camorristici all’interno dell’amministrazione comunale di Casal di Principe (appena sciolta per una crisi politica). Per il deputato e coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino, nei prossimi giorni la Camera deciderà se autorizzare o meno il provvedimento cautelare.

Istituti di cultura all’estero: la parentopoli legalizzata che premia la cricca del ministro. - di Thomas Mackinson



La legge 401 del 1990 permette al potente di turno di collocare ben dieci "personalità di chiara fama" nelle dieci più prestigiose capitali del pianeta. Le nomine sono biennali, rinnovabili per una volta. I politici ne approfittano per sistemare familiari, amici e collaboratori. E così a Madrid arriva la dirigente scolastica che non parla spagnolo.



L'ex ministro degli Esteri Franco Frattini
Nel sottobosco di nomine per “chiara fama” agli Istituti italiani di cultura si trova di tutto ma soprattutto amici, ex coniugi e parenti dei potenti. L’ex ministro Franco Frattini prima di lasciare il suo incarico ha messo a posto i propri collaboratori. Capolavoro a Parigi, dove lo scranno da 15mila euro al mese passa dal fratello di Giuliano Ferrara (Giorgio) a Marina Valensise, già giornalista del Foglio di Ferrara e corrispondente per Canale 5 da Parigi e (se non bastasse) anche sorella dell’ambasciatore a Berlino Michele Valensise. Quello che scorre tra il ministero degli Affari Esteri e le 352 sedi diplomatico-culturali all’estero è un fiume di denaro pubblico enorme, nel quale è difficile fare ordine e che ben si presta a celare privilegi concessi dalla politica con meccanismi clientelari e designazioni parentali. In particolare gli Istituti italiani di cultura (IIC) sono sempre stati il ricettacolo di una blasonata quanto paludata “parentopoli culturale”.

La nomina per via politica dei direttori è alla luce del sole, legalizzata grazie alla legge 401 del 1990 (art. 14 comma 6 ) che permette al potente di turno di collocare ben dieci “personalità di chiara fama” nelle dieci più prestigiose capitali del pianeta. Le nomine sono biennali e rinnovabili per una volta. “La parentopoli è da lungo presente al ministero degli Affari Esteri sia per soddisfare esigenze interne, non meno di quelle esterne, e ha assunto una rilevanza i cui effetti non si sono esauriti, talora contrassegnati da decisioni bipartisan, un criterio che il ministro Frattini non ha mai rinnegato, non senza dare notevoli opportunità al personale diplomatico di occupare, specie in Europa, posti di prestigio in ambito UE”, spiega un funzionario ministeriale dietro garanzia di anonimato.

Sta per essere perfezionata quella all’Istituto di Bruxelles di Federiga Bindi, che nulla ha a che fare con l’onorevole Rosy ma era collaboratrice diretta del ministro Frattini. A Londra primeggia da tempo una “esperta” di visual art ed un direttore di chiara fama mondiale, tal Carlo Presenti collocato nella capitale britannica a 16.500 euro al mese netti e del quale si ricorderanno le chiusure di biblioteche e di aule per l’insegnamento dell’Italiano (ci fu un articolo dell’Espresso in proposito). L’esperta di arti visuali, Rossanna Pittelli è la sorella dell’onorevole Giancarlo Pittelli (Pdl), indagato nell’inchiesta Poseidone da De Magistris, poi prosciolto per essere riportato a giudizio a Salerno dove l’ex pm lo ha denunciato per presunti tentativi di sottrargli le inchieste di Catanzaro. “Da queste parti è nota per le sue assenze dal posto di lavoro e per consulenze. Viaggia sui 10mila euro al mese”, dice la fonte diplomatica.

A New York offre le sue prestazioni quale “esperta di questioni culturali” la ex-moglie dell’ex ministro Bondi, Gabriella Podestà, per la modica cifra di 15mila dollari al mese. Si parla invece molto bene del direttore Riccardo Viale, anche se non sfugge il fatto che presieda la Fondazione Rosselli, che annovera tra i soci fondatori e coordinatori fior di politici, tra i quali i due Giuliano, Amato e Urbani. E ancora la politica ha portato a Mosca Angela Carpifave, amica personale dell’ex presidente del Consiglio Berlusconi. Un approdo non proprio felice visto che a 8 mesi dall’insediamento (come raccontava Repubblica nell’ottobre 2004), gli intellettuali russi inviarono un accorato appello allo stesso Berlusconi per la sostituzione a favore di un candidato capace di relazionarsi con il governo locale.

A breve scadranno le nomine per Tokyo e Pechino. Sono state inoltre registrate assegnazioni clientelari a Zagabria, in Brasile , in Argentina, a Tokyo e Kyoto, alcune delle quali hanno dato luogo a conflitti con il personale di ruolo, sfociati in ricorsi che hanno, temporaneamente, immobilizzato l’attività degli stessi Istituti e colpito l’immagine dell’Italia, con ripercussioni sfavorevoli nei circoli culturali dei paesi di accoglimento interessati alla produzione letteraria nazionale da destinare alle traduzioni linguistiche.

Non sono mancate le ingerenze del ministero della Pubblica Istruzione nel settore delle scuole italiane all’estero e la pretesa di funzionari di quel Gabinetto del ministro di chiedere la destinazione all’estero di propri congiunti, come è avvenuto recentemente per Madrid, ove si è provveduto ad assegnare una dirigente scolastica, senza possedere un’adeguata conoscenza dello spagnolo. “La signora si chiama Fechi ed è la moglie di uno stretto collaboratore dell’ex ministro Gelmini Murano“, racconta il funzionario. L’anomalia ha sollevato riserve da parte delle autorità spagnole. Ma anche in Italia dove il senatore di Fli Aldo Di Biagio ha chiesto con interrogazione scritta di sapere come fosse possibile venisse nominato in un istituto italiano all’estero qualcuno che non conosce neppure la lingua del paese di destinazione. “La risposta – racconta rassegnato – è stata a dir poco evasiva, ma la persona in questione è stata richiamata ai ruoli metropolitani, non senza dare un segnale negativo alle stesse autorità e comportando oneri non trascurabili a carico dell’erario nazionale”.

Giuliano Amato, 31.000 al mese: "Non posso ridurmi la pensione e il vitalizio"



Giuliano Amato e il suo governo tecnico nei primi anni novanta diede il via ad una riforma delle pensioni tra le più pesanti della storia repubblicana.
Tagliò le pensioni di tutti gli italiani, perché “così non si può andare avanti”, diceva nel 1992. E via alla riforma, per punire gli italiani. Non tutti. Perché lui, di certo, non ne è stato colpito.Sapete quanto prende di pensione? 31.411 euro al mese. Che fanno 1047 euro (lordi) al giorno. Una pensione di tutto rispetto… Amato può infatti contare sulla pensione da ex professore universitario, ex-componente della commissione antitrust e il vitalizio da ex parlamentare. In più, l’ex premier e ex ministro, è presidente della Treccani e senior advisor di Deutsche Bank. Complimenti.

Oggi scrive su La Stampa una lettera nella quale dichiara che, seppur è vero che incassa 31000 euro al mese, non è colpa sua e non può farci niente.

"Caro direttore,
in relazione all'articolo sulle pensioni d'oro apparse sul suo giornale, mi permetta di precisare quanto segue.
Quando, nella trasmissione Otto e mezzo, mi venne chiesto da Lilli Gruber come rispondevo a chi mi chiedeva di ridurmi la pensione, risposi che non capivo la domanda, non per tracotanza, ma per la semplice ragione che ormai sono un privato cittadino e non ho quindi alcun potere nè sulla mia nè sulle altre pensioni.
Ma avevo appena ricordato che quando ero stato Presidente del Consiglio, ero stato il primo a introdurre il blocco dell'adeguamento all'inflazione e il contributo di solidarietà delle pensioni elevate, a partire dalla mia.
En passant, avevo anche chiarito che, disponendo della pensione, non avevo voluto gli emolumenti di Presidente del Consiglio e di Ministro del Tesoro. Forse, nell'effigiarmi attraverso la citazione di ciò che dissi in quella trasmissione, anche questo doveva essere ricordato.
Cordiali saluti".
Giuliano Amato, La Stampa 12 dicembre 2011

http://isegretidellacasta.blogspot.com/2011/12/giuliano-amato-31000-al-mese-non-posso.html

Scurriculum, le carriere misteriose di amici e amanti senza alcun merito.




Una rassegna impietosa, e a tratti ironica, di eclatanti casi di raccomandazioni in uffici pubblici e delicati ruoli dirigenziali: mediocrità al potere, mentre l'Italia affonda nelle classifiche della competitività globale.


L'Italia degli Scurriculum, di quei tanti personaggi che pur non avendo titoli adeguati sono stati piazzati dalla politica a fare i manager di imprese pubbliche, di Asl, di istituti di ricerca statali o di municipalizzate, potrebbe riassumersi tutta nella trascrizione di un interrogatorio dell'inchiesta Tarantini, l'imprenditore delle escort di Arcore e delle mazzette sulle protesi. Al pm Digeronimo l'ex direttore generale dalla Asl di Taranto racconta di aver incontrato un politico pugliese al pronto soccorso di Massafra. "Gli ho chiesto come mai fosse lì e fosse così preoccupato  -  fa mettere a verbale il direttore generale  - e lui m'ha risposto che la figlia aveva avuto un incidente automobilistico. Allora l'ho rassicurato: guarda oggi dentro ci sta proprio il primario di ortopedia. E lui: è per questo che sono preoccupato, quello ce l'ho messo io là e so come ho fatto". Sembra una barzelletta, ma come in tante altre storie raccontate nel libro "Scurriculum, viaggio nella demeritocrazia", è solo uno dei tanti esempi che dimostrano come l'Italia sia sempre più una Repubblica fondata sulla mediocrità, una "mediocracy". Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario.
E' proprio questo il filo conduttore di Scurriculum (Aliberti editore, oggi a Roma la presentazione - qui uno dei capitoli 1), il saggio appena scritto dal giornalista Paolo Casicci e da Alberto Fiorillo di Legambiente, con la prefazione di Gian Antonio Stella: mostrare come, a forza di spintarelle, raccomandazioni, tanti onesti gregari dall'esperienza professionale leggera e dalle amicizie pesanti, in virtù del tocco magico della politica, siano stati trasformati in straordinari manager e capitani d'impresa che hanno a che fare col domani del Paese e con l'oggi di tutti noi: con la salute, il trasporto pubblico, la spazzatura, la cultura, l'istruzione, il lavoro, l'ambiente... Una corte di vassalli che ha l'unica funzione di soddisfare le esigenze del principe (e ovviamente le proprie) a scapito della collettività. Come scrive Gian Antonio Stella nella prefazione, infatti, "da noi vige un sistema, ignobile e suicida, che mortifica i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza ai Paesi stranieri e premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera giusta o il telefono del deputato giusto. Un errore che ha infettato la società italiana rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra".

E infatti via via Scurriculum dipana una galleria degli orrori: storie esemplari raccolte in altrettanti curricula, che spiegano come un ex calciatore dilettante o un insegnante di francese in pensione possano
guidare due importanti enti di ricerca, come il dentista fidanzato con la Brambilla possa essere tra i boiardi che decidono le sorti della Formula1 a Monza, o come un cacciatore e un ultrà possono governare due aree protette, una nazionale e una regionale. Dal mazzo si può pescare ancora la carriera di Massimo Zennaro, portavoce e direttore generale dell'ex ministero della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini. L'uomo è famoso per avere inventato l'esistenza di un tunnel costruito tra il Cern in Svizzera e i laboratori del Gran Sasso, lungo il quale i neutrini avrebbero superato la velocità della luce. Oggetto che gli è valso a lungo gli sfottò della Rete (e l'incredulità della stampa straniera). Laureato in Scienze politiche, un precedente di semplice "comunicatore" al Comune di Milano, Zennaro scala il ministero praticamente senza curriculum. Ed è ancora lì, dirigente all'istruzione, con il nuovo governo. La conclusione degli autori? "Ci resta la dignità della denuncia. O una moratoria contro i 'figli di'".

domenica 11 dicembre 2011

Storia di G., evasore record. - di Paolo Biondani








Negli ultimi 15 anni ha dichiarato dieci euro lordi. In tutto. Inclusi i redditi della moglie. Ma possiede 200 milioni di euro (all'estero) e diversi hotel a Verona. Ora l'hanno scoperto. Ma lui è tranquillo: «Finirà tutto in niente»


Aveva una montagna di soldi, almeno 201 milioni di euro, investiti in una meravigliosa società-cassaforte lussemburghese. E' conosciuto in tutta la provincia di Verona, ma anche a Venezia, Gorizia, Treviso o nell'Est Europa, come uno dei più ricchi possidenti veneti, sempre pronto a fare affari dispensando mazzi di contanti. A Bussolengo, il paesone dove è nato e cresciuto, ha potuto costruire uno stupefacente grattacielo rosa, che porta il nome della sua famiglia e svetta, in tutta la sua psichedelica grandiosità, su chilometri di case, campi e capannoni. Eppure dal 1996 al 2008 non ha mai presentato la denuncia dei redditi. Nel 2009 si è messo una mano sulla coscienza e si è fatto vivo per la prima volta con il fisco: ha dichiarato quattro euro. Nel 2010 si è sprecato: cinque euro lui, uno la moglie. Totale dei redditi lordi denunciati negli ultimi 15 anni: dieci euro in due. E adesso che è arrivata la Guardia di Finanza a sequestrargli 52 milioni e rotti, come si sente un italiano così? Disperato? Rovinato? "Ma che rovinato... Finirà tutto in niente. Come l'altra volta. Anche Tangentopoli per me era finita in niente: prosciolto da tutte le accuse".

Giovanni Montresor
, per gli amici "Lolo", 68 anni portati grintosamente, non è tipo da farsi spaventare. La sua cascina padronale, di fianco alla statale Verona-Brescia, ha uno scenografico vialone di cipressi e magnolie che è un varco obbligato. Mezzo chilometro di sterrato di sicurezza. La figlia lo avverte per telefonino che stanno arrivando i curiosi. Ma lui resta lì, in piedi, appoggiato alla cancellata in ferro, sguardo fiero e voce forte: "Non ho niente da nascondere". E le tasse mai pagate? "Balle. I redditi li hanno sempre dichiarati le mie società. Ne ho avute tante. Ma io come persona non dovevo dichiarare niente". E di cosa è vissuto, se le sue imprese non le hanno fatto guadagnare un soldo? "Glielo spiego. Se presto soldi a una mia società che poi me li restituisce, quello è reddito? No, è il rimborso di un prestito". Finanziamento soci? "Bravo". Ma su quell'affare incriminato, la vendita di terreni per 65 milioni davanti al mare di Eraclea, non avrebbe dovuto pagare almeno l'Iva? "Ascolti qua: i terreni erano di una mia società e sono passati in un fondo che è ancora mio. Quindi non c'è stata nessuna vendita. E nessuna plusvalenza da tassare".

Plusvalenza è l'unica parola che Lolo non pronuncia in veneto stretto. Calzettoni di lana, ciabatte di gomma, maglione, mani sporche da lavoro pesante, il signor Montresor sta rubando tempo al suo hobby: alleva pecore e agnelli, da immolare in grigliate memorabili. Toccherà ai giudici, dopo tre gradi di processo, stabilire se abbia davvero commesso i reati fiscali per cui la Procura di Verona ha convinto il tribunale del riesame a etichettarlo come "evasore totale" di rara sfrontatezza. 

Che sia colpevole o innocente, comunque la sua vita insegna molto sull'Italia di oggi. Prima lezione di economia reale: in molti comuni, anche al Nord, ci sono famiglie benestanti che tra gli anni '70 e '80 sono diventate di colpo ricchissime, con una facilità sospetta. 

Di sicuro i "Loli", il soprannome che distingue la sua famiglia in una zona dove molti estranei hanno lo stesso cognome, hanno fatto i primi soldi con la carne: Giovanni lo rivendica con orgoglio. Il padre, Brunone Montresor, era proprietario dell'unico macello. "Grande uomo", lo ricorda il figlio: "Siamo arrivati a macellare 200 tori alla settimana". Tempi eroici, quelli. A vent'anni, diplomato ragioniere, Giovanni si vedeva mettere in mano rotoloni di banconote "per andare all'estero a comprare le bestie". Allora i "Loli" avevano solo un piccolo negozio a Bussolengo, ma vendevano all'ingrosso "soprattutto al Sud", ricorda un mediatore del posto. Il salto economico arriva con la speculazione edilizia. Brunone e i suoi tre figli cominciano a trasformare vecchi fabbricati, compreso il loro ex macello, in palazzoni di cemento e vetro. E a costruire alberghi di gusto assiro-babilonese.

Ma il vero business è la variante urbanistica, che in Italia è l'anello di congiunzione tra affari e politica: si comprano terreni agricoli, si convince il comune a renderli edificabili e a quel punto si vende. Incassando da 10 a 100 volte di più. "I capannoni qui attorno li ho fatti fare tutti io", rivendica, indicando la sterminata distesa di centri commerciali e magazzini che circondano la sua tenuta. "Noi siamo il primo gradino: vendiamo il lotto di terra".
Quel primo gradino, però, si sale solo se accompagnati dai politici. Infatti nei primi anni '90, quando anche a Verona scoppia Tangentopoli, Montresor sente arrivare la bufera. E così, appena il procuratore Guido Papalia fa arrestare un assessore-chiave, lui annuncia in piazza: "Se vengono a prendermi, sfianco tre cancellieri". Detto, fatto. Dopo una confessione-fiume durata due giorni, Lolo è già a casa. A quel punto l'ex sottosegretario Psi Angelo Cresco, tuttora in circolazione, ricorda di aver intascato una mazzetta di 200 milioni di lire, risarcisce e patteggia. Mentre un ex parlamentare della Dc ne rimborsa altri 300. 

I verbali di Montresor inguaiano decine di faccendieri, che per lo più patteggiano. Lui no. E i processi all'italiana gli danno ragione. Il guaio più grosso è l'accusa di aver costruito la Montresor Tower, cioè il grattacielo rosa con un hotel ora intestato ai nipoti, comprando con le tangenti perfino 4,6 miliardi di lire di contributi statali per gli alberghi dei Mondiali di Italia '90. Imputato di corruzione, truffa e abuso, saluta tutti con un verdetto trionfale: amnistia e prescrizione. Anche questa è una lezione: spesso la giustizia non riesce a condannare neppure quelli che hanno confessato.

Dopo Tangentopoli, Lolo cambia vita. Liquida le imprese più indebitate. Dal '96 smette di presentare la dichiarazione dei redditi. E intanto trasferisce società all'estero. La prima tappa è la Gran Bretagna. Dal 2000 passa a Madeira, il paradiso fiscale portoghese. E nel 2005 approda in Lussemburgo. Dove, secondo la Finanza, possiede una società anonima, chiamata Kempinsky, che nel 2008 custodisce 201 milioni di euro. Non male, per un nullatenente. Quella scatola lussemburghese è proprietaria di un'intera laguna nel verde a Eraclea, vicino a Venezia: 180 ettari di terreni in teoria protetti, ma in pratica trasformati in una super area edificabile. Il progetto, approvato da una giunta targata Lega e Pdl (che si spacca), autorizza una cascata di cemento: 480 mila metri cubi di villette con 1.500 posti barca. Un affare da mezzo miliardo, votato dai politici senza che i cittadini potessero sapere neppure chi fossero i veri beneficiari. 

A far cadere il segreto è la Guardia di Finanza di Venezia. La proprietà estera è tanto oscura che il colonnello Renzo Nisi affida l'indagine alla sezione antimafia. Usando le norme anti-riciclaggio i militari scoprono che il 20 maggio 2008 la Kempinsky si è scissa in due casseforti: la prima, con lo stesso nome, gestisce un patrimonio di 140 milioni, la seconda si chiama Essential e controlla immobili valutati 46 milioni. Sono i terreni di Eraclea, che dopo appena nove giorni vengono trasferiti, ma per 65 milioni, in un "fondo immobiliare chiuso di diritto italiano". Altra magia: nella stessa data un quinto delle quote cambia padrone. L'operazione, volutamente complicata, secondo l'accusa nasconde una furbata: il fondo somiglia a uno scudo, perché permette di pagare le tasse solo se e quando si venderanno le quote; però è italiano, per cui non desta sospetti. Geniale anche il tempismo: i terreni vengono "italianizzati" poco prima della stretta di Giulio Tremonti contro le società di comodo "estero-vestite".

A rovinare il capolavoro sono le perquisizioni della Finanza. L'estate scorsa, nella sede della società di gestione del fondo, che deve rispettare le norme anti-riciclaggio, salta fuori il nome del "titolare effettivo" del tesoro lussemburghese: Giovanni Montresor, il nullatenente. In ottobre la procura di Verona sequestra l'80 per cento delle quote "italianizzate", pari a 52,5 milioni. La difesa ribatte esibendo l'immancabile scudo fiscale e alcune denunce dei redditi delle società estere. Queste però risultano aver dichiarato "solo 52 mila euro". Mentre la sanatoria si ferma al 2002. Quindi il tribunale conferma il sequestro. In attesa della Cassazione.

Nel frattempo si scopre che Montresor era già nella lista dei 552 italiani con i conti all'estero sequestrata nel 2009 all'avvocato svizzero Fabrizio Pessina. Qui Lolo risultava titolare di altri 8,3 milioni. Lui giura che è un errore: "Se qualcuno mi trova un conto estero, glielo intesto". Se ha ragione la Finanza, significa che ce l'aveva, ma l'ha svuotato. Quindi, super-multa. Ma le tasse bisogna anche riscuoterle. E prima che si scoprisse la cassaforte lussemburghese, cosa avrebbe potuto spremere, il fisco italiano, da un nullatenente?

Oggi, mentre attende sereno la giustizia fiscale, Montresor sta lasciando l'immobiliare: "La crisi durerà vent'anni". E in cosa investe adesso, uno come lei? "Fotovoltaico. Ho già i permessi per 42 megawatt". Dove? "Qui davanti a casa". Investimento previsto? "Cento milioni di euro. Sto cercando soci esteri, anche cinesi, meglio tedeschi". Tanto ottimismo è sorretto dall'ultima lezione di vita italiana. A conti fatti, se Montresor dovesse pagare tutte le multe fiscali con gli attuali sconti di legge, rischierebbe di sborsare circa 60 milioni. E nella cassaforte estera gliene resterebbero altri 141. Lavati e ripuliti.



Le proprietà del maxievasore


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/storia-di-g-evasore-record/2168201//0

Professoressa choc a Caserta: ''Tu non sei come gli altri, sei nera''. E le abbassa il voto.


sanniopress.it

Caserta - (Adnkronos) - La vicenda, riportata dal 'Corriere del Mezzogiorno' è avvenuta alla scuola media statale 'Pietro Giannone' di Caserta. Dopo la denuncia dei genitori della piccola, è intervenuta la dirigente scolastica denunciando a sua volta l'insegnante agli organi competenti. La docente, attualmente in malattia, non ha più fatto rientro a scuola.


Caserta, 11 dic. (Adnkronos) - La prof di Geografia le abbassa il voto e, alla sua richiesta di spiegazioni, le risponde: ''Tu non sei come gli altri, sei nera''. A raccontare la vicenda, avvenuta alla scuola media statale 'Pietro Giannone' di Caserta, è il 'Corriere del Mezzogiorno', che spiega come quanto accaduto sia stato regolarmente denunciato agli organi superiori dalla dirigente scolastica, Maria Bianco, che quella professoressa seguiva con attenzione già da qualche anno dopo i primi problemi avuti con gli studenti di alcune classi e, di riflesso, con i loro genitori.
Dopo essere stata informata dell'accaduto dalla mamma della 12enne, la dirigente scolastica ha chiesto ai compagni di classe della bambina conferma del racconto e, ottenutala, ha chiamato a colloquio la professoressa, che ora è in malattia.
Insomma al momento c'è una prof sott'accusa, e che da alcuni giorni non ha fatto più rientro a scuola, e un carteggio tra l'istituto dove la docente è di ruolo e l'Ufficio scolastico provinciale, quello regionale e forse già anche con il ministero della Pubblica istruzione.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Professoressa-choc-a-Caserta-Tu-non-sei-come-gli-altri-sei-nera-E-le-abbassa-il-voto_312737082069.html