lunedì 9 gennaio 2012

Spot anti-evasione fiscale Grecia.



Nato da un'idea del Ministero delle Finanze greco questo originale video si rivolge prima di tutto alla gente comune affinché si sviluppi una "coscienza fiscale" condivisa.



I MILIARDARI CHE SPECULANO SULL’AVVENIRE DEL PIANETA.




Carlos Slim



Possiedono compagnie petrolifere, gasdotti, miniere, acciaierie e anche i media. Influenzano governi e istituzioni per impedire qualsiasi regolamentazione che sia troppo stringente. 
E sono tra le persone più ricche al mondo. Un rapporto di un centro di ricerca degli Stati Uniti li considera, a causa del loro potere e dell’inquinamento generato dalle loro attività, la più grande minaccia che pesa sull’ambiente e sul clima. Chi sono questi multimiliardari che costruiscono la loro fortuna ipotecando l’avvenire del pianeta?
Sono cinquanta. Cinquanta miliardari su cui viene puntato il dito per la loro responsabilità nella degradazione del clima. Traggono le loro ricchezze da attività molto inquinanti e non esitano a spendere milioni per influenzare i governi e la pubblica opinione. Le loro ricchezze cumulate assommano a 613 miliardi di euro. 
In 50 hanno un peso finanziario superiore ai i Fondi europei di stabilità che sono stati creati per difendere l’eurozona – 17 paesi – contro la speculazione. Questo per dire la forza che possiedono. È questa aberrante concentrazione di potere che viene denunciata da rapporto del Forum Internazionale della Globalizzazione (IFG), un istituto indipendente insediato a San Francisco che raggruppa economisti e ricercatori tra cui l’indiana Vandana Shiva o il canadese Tony Clarke, noti per le loro battaglie contro gli abusi delle multinazionali.
Il loro voluminoso rapporto, Outing The Oligarchy [1], ha l’obiettivo “di attirare l’attenzione del pubblico sugli individui ultraricchi che traggono sempre più profitto – e che sono più responsabili – dell’aggravamento della crisi climatica“. Per l’inquinamento da loro provocato e dalle pressioni che esercitano per difendere i combustibili fossili, questo gruppo di miliardari costituisce, secondo l’IFG, “la più importante minaccia che pesa sul nostro clima“. L’istituto ha deciso di fare i nomi di coloro che formano questa minaccia. Siccome è il 99% a subire le conseguenze del loro arricchimento smisurato – per riprendere la formula del movimento Occupy Wall Street – deve sapere chi stiamo parlando. Una sorta di “outing” forzato.
L’uomo che valeva 63,3 miliardi
Questi cinquanta miliardari sono statunitensi, russi, indiani o messicani. Ma anche brasiliani, cinesi, di Hong Kong o israeliani. Alcuni sono molto conosciuti in Europa: Lakshmi Mittal, Presidente del gigante della metallurgia ArcelorMittal, Rupert Murdoch, il magnate dei media anglosassoni, Silvio Berlusconi, l’ex Primo ministro italiano con 6 miliardi di dollari, Roman Abramovich, proprietario del club calcistico del Chelsea. Altri sono anonimi per chi non è un lettore assiduo della classifica delle grandi ricchezze pubblicate dalla rivista Forbes. Da anonimi riescono a non farsi notare. Possiedono compagnie petrolifere, miniere, media, un esercito di guardie del corpo.
Prendete il Messicano Carlos Slim, l’uomo più ricco del mondo (63,3 miliardi di dollari) che ha approfittato pienamente della privatizzazione della compagnia pubblica Telmex. Detiene 222 imprese in tutto il mondo – nelle telecomunicazioni, nel settore bancario, nell’industria mineraria, nell’energia, nella ristorazione o nel campo sanitario – che impiegano 250.000 persone e generano un fatturato annuo di 386 miliardi di dollari. Tanto che è “quasi impossibile trascorrere una giornata in Messico senza contribuire ad arricchire Carlos Slim, sia che una persona stia telefonando, mangiando in uno dei suoi ristoranti o depositando del denaro in banca“. È come se ogni Messicano gli versasse 1,5 dollari al giorno.
“Una gran parte dalla ricchezza di Carlos Slim deriva dalle sue holding industriali devastanti in campo ambientale“, denuncia il rapporto. Trasferimento forzato delle popolazioni per costruire le dighe, contaminazione di suoli con l’arsenico, distruzione di villaggi, pessime condizioni lavorative. Sembra che le industrie di Carlos Slim non indietreggino davanti a niente. “Le sue collaborazioni, come le sue attività in campo sanitario col governo spagnolo e l’influente Bill Gates, gli permettono di costruirsi e di curare un’immagine positiva dietro la quale può dissimulare l’evidenza dei danni ambienti e umani dei suoi progetti minerari o petroliferi“, denunciano i ricercatori dell’IFG.
Le nuove oligarchie emergenti
Perché questi cinquanta e non Bill Gates (secondo patrimonio al mondo) o Bernard Arnault (il più ricco francese, quarto mondiale)? I miliardari che corrispondono a tre criteri hanno attirato l’attenzione degli analisti: la ricchezza complessiva (misurata dalla rivista Forbes), i danni ecologici e le emissioni di carbonio generati dalle loro attività economiche [2] e il loro sostegno, palese o nascosto, ai politici che favoriscono le attività con forti emissioni di CO2, come l’industria petrolifera. Risultato: i miliardari dei paesi emergenti sono quelli più rappresentati. Si contano solamente due europei, Russia a parte – Silvio Berlusconi e il cipriota (ex-norvegese) John Fredriksen, un armatore che ha costruito la sua fortuna grazie alla sua flotta di petroliere – tra cui ci sono 13 russi, 9 indiani, 3 messicani e 2 brasiliani.
I grandi ricchi europei sarebbero più virtuosi dei loro omologhi dei paesi emergenti? Non necessariamente. La deindustrializzazione e la finanziarizzazione delle economie del Nord le hanno resi meno inquinanti. E i nuovi megaricchi dei vecchi poteri industriali costruiscono oggi la loro fortuna sulla speculazione finanziaria o le nuove tecnologie dell’informazione (Internet). Ciò non rende il loro accumulo di ricchezza meno osceno, solo un po’ meno devastatore. Gli autori del rapporto non esonerano quindi le vecchie dinastie industriali europee dalle loro responsabilità in materia ambientale. Ma, a parte alcuni magnati petroliferi statunitensi, non fanno più parte di questa nuova “oligarchia dei combustibili fossili” che tenta di dettare legge nel campo della produzione energetica, dell’estrazione mineraria e dell’inquinamento. Alcuni miliardari della vecchia scuola, come Warren Buffet, adottano anche delle posizioni piuttosto progressiste se comparate al cinismo ambientale che regna in seno alla loro casta.
Da Goldman Sachs ad ArcelorMittal
Il prototipo di questi nuovi miliardari senza scrupoli: Lakshmi Mittal. Malgrado una fortuna stimata in 19,2 miliardi di dollari, il padrone di Arcelor continua a svuotare di operai gli altiforni francesi ed europei. Non per la preoccupazione di inquinare meno, ma per ” razionalizzare” i costi e approfittare dei paesi dove la regolamentazione pubblica è debole o inesistente. La sua rete di influenza è tentacolare, e arriva fuori dal campo siderurgico: a Wall Street, dove siede nel consiglio di amministrazione di Goldman Sachs, una delle banche più potenti del mondo; in Europa (consiglio di amministrazione di EADS), passando dall’Africa meridionale, il Kazakistan o l’Ucraina.
Come si esercitano concretamente le influenze e la lobby di questi cinquanta mega-inquinatori? Dagli Stati Uniti alla conferenza sul clima di Durban, i fratelli Koch sono diventati degli esperti in materia. Con una fortuna stimata in 50 miliardi di dollari, David e Charles Koch sono alla testa di un vasto conglomerato di imprese che operano principalmente nel settore petrolchimico. I loro dollari si accumulano per milioni grazie alle loro partecipazioni negli impianti che trasportano il petrolio, il gas, i prodotti petroliferi raffinati o anche i concimi chimici. La maggior parte delle attività di Koch Industries, la cui sede è in Kansas, sono ignorate del grande pubblico, eccetto alcuni prodotti come i cotoni DemakUP® o ancora la carta igienica Lotus®. Charles e David Koch hanno alle spalle una lunga storia di impegno politico conservatore e libertariano. Suo padre, Fred Koch, fu uno dei membri fondatori del John Birch Society che sospettava il presidente Eisenhower di essere un agente comunista. Nel 1980 i due fratelli hanno finanziato la campagna del candidato Ed Clark che si presentava alla destra di Reagan. Il loro programma suggeriva l’abolizione dell’FBI, della Sicurezza Sociale o del controllo sulle armi.
I milioni per gli scettici del clima
Considerata come uno dei “primi dieci inquinatori dell’atmosfera negli Stati Uniti” dall’università del Massachusetts, Koch Industries è stata denunciata sotto l’amministrazione Clinton per più di 300 sversamenti in mare in sei Stati federati, prima di accordarsi per una multa di 30 milioni di dollari nel gennaio del 2000. I fratelli Koch riservano un sostegno incondizionato alla cerchia degli scettici del clima che negano il cambiamento climatico. Tra il 2005 e il 2008 hanno speso più denaro della compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil – 18,4 milioni di euro – per finanziare alcune organizzazioni che, secondo Greenpeace, “diffondono notizie errate e false a proposito della scienza del clima e delle politiche in materia energetica“.
In occasione della riunione di Durban, Greenpeace ha inserito i fratelli Koch tra i primi dodici dirigenti di imprese inquinanti che operano in sintonia per minare un accordo internazionale sul clima. Concedono enormi sovvenzioni alle associazioni industriali come l’American Petroleum Institute, un organismo che rappresenta le compagnie petrolifere americane. Anche se il loro ruolo nei negoziati del clima è importante, i fratelli Koch vogliono rimanere nell’ombra. Charles Koch ha dichiarato che bisognerebbe “passargli sul corpo” prima di vedere la sua società quotata in Borsa. Senza una quotazione, la società non ha l’obbligo di pubblicare le sovvenzioni accordate alle diverse organizzazioni. Una situazione ideale per praticare nell’ombra un lobbying intenso. L’azienda ha versato così più di un milione di dollari all’Heritage Foundation, un “pilastro della disinformazione sui problematici climatici e ambientali“, secondo Greenpeace.
I fratelli Koch avrebbero largamente partecipato all’amplificazione del “Climategate” nel novembre del 2009. Questo scandalo era stato scatenato dalla pirateria e dalla diffusione di una parte della corrispondenza dei climatologi dell’università britannica di East Anglia. I Koch hanno finanziato alcuni organismi, come il think tank della destra radicale Cato Institute – di cui sono cofondatori – per montare questa iniziativa, mettendo in dubbio l’esistenza del riscaldamento. Altro fatto essenziale: in risposta al documentario del vicepresidente Al Gore sul cambiamento climatico, i due miliardari hanno versato 360.000 dollari al Pacific Research Institute for Public Policy per il film An Inconvenient Truth… or Convenient Fiction, un libello assolutamente climatoscettico.
Il petrolio nel Tea Party
Koch Industries ha anche iniziato un anno fa una campagna referendaria che vuole impedire l’entrata in vigore della legge californiana per la lotta al il cambiamento climatico (la “AB32″). La loro posizione: lo sviluppo di energie proprie in California costerebbe molti fondi allo stato. Insieme ad altri gruppi petroliferi, i fratelli Koch ci hanno investito un milione di dollari. La loro proposta è stata alla fine rigettata e la legge impone oggi alla California una riduzione del 25% delle emissioni di gas ad effetto serra di qui al 2020 (per tornare al livello del 1990). Malgrado questa sconfitta, il comitato di azione politica di Koch Industries, KochPac, ha continuato a praticare intense pressioni a Washington per ostacolare ogni legge che limitasse le emissioni di gas serra. Secondo il rapporto di Greenpeace, il comitato ha speso più di 2,6 milioni di dollari nel 2009-2010 per condizionare il voto sulla legge Dodd-Frank che ha l’obbiettivo di una maggiore regolazione finanziaria.
I fratelli Koch finanziano anche il Tea Party dei conservatori e partecipano al gruppo Americans for Prosperity (AFP). Creato nel 2004, l’AFP è all’origine di numerose manifestazioni contro l’amministrazione Obama, in particolare contro il suo progetto di tassa sul carbonio. Siccome la Corte Suprema ha tolto nel gennaio 2010 i limiti al finanziamento delle campagne elettorali nazionali da parte delle imprese, i Koch sembrano pronti a investire ancora più denaro nel Tea Party in vista delle elezioni del 2012. Il loro lobbying è così tentacolare che sono soprannominati “Kochtopus”, un gioco di parole che unisce il loro cognome a quello della piovra (octopus in inglese).
Il 99% sacrificato dall’1%?
Per restringere il potere di queste nuove plutocrazie e di queste ricchezze smisurate, il rapporto dell’IFG raccomanda una serie di misure fiscali per assicurare una vera distribuzione della ricchezza: indicizzare gli alti stipendi a quelli più bassi, aumentare l’imposizione sugli alti redditi o tassare le transazioni finanziarie. Sono quindi necessarie nuove leggi per impedire queste enormi concentrazioni societarie e per evidenziare i danni ambientali che provocano.
C’è un’urgenza: “Un aumento di 4°C della temperatura mondiale […] è una condanna a morte per l’Africa, per i piccoli Stati insulari, per i poveri e le persone vulnerabili di tutto il pianeta, avverte Nnimmo Bassey, presidente degli Amici Internazionali della Terra a Durban: “Questa riunione ha amplificato l’apartheid climatico. L’1% più ricco del pianeta ha deciso che era accettabile sacrificare il 99%“. Ciò significa che gli Stati, i governi e i cittadini devono riprendere in mano la situazione. Nel frattempo, sono sempre più sotto pressione di quei “mercati finanziari” di cui questi cinquanta multimiliardari sono attori imprescindibili.

Considerazioni...



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Cosentino e i legami con i colletti bianchi della camorra casalese: ecco le foto dell'incontro.




Martedì la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera esprimerà il proprio voto sulla richiesta di autorizzazione all’arresto inoltrata dal giudice per il coordinatore campano del Pdl - di Amalia De Simone.






NAPOLI - La settimana che si apre dovrebbe essere decisiva per l’immediato futuro del coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino. Martedì la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera esprimerà il proprio voto sulla richiesta di autorizzazione all’arresto inoltrata dal giudice delle indagini preliminari di Napoli Egle Pilla che nello scorso mese di dicembre ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del deputato, accogliendo la richiesta della Procura antimafia di Napoli che indaga sul riciclaggio, attraverso attività imprenditoriali, dei capitali appartenenti ai clan camorristici di Casal di Principe. Riciclaggio che, secondo le ipotesi dell’accusa, Cosentino avrebbe favorito quando ancora ricopriva l’incarico di sottosegretario all’Economia con delega al Cipe nel governo Berlusconi, facendo pressioni sui funzionari dell’Unicredit affinché sbloccassero la pratica relativa a un prestito di cinque milioni e mezzo di euro in favore dell’imprenditore Nicola Di Caterino, cugino di due potenti capiclan come i fratelli Giuseppe e Massimo Russo.
Cosentino e i legami con la camorra: le fotoCosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto
L’ingente cifra, che sarebbe dovuta servire per realizzare un centro commerciale nella zona di Casal di Principe, era stata chiesta da Di Caterino presentando una falsa fideiussione, e la pratica si era quindi arenata. Ma grazie all’intervento di Cosentino - sostiene la Procura con argomentazioni ritenute convincenti dal gip - la questione fu rapidamente sbloccata, anche se poi il centro commerciale (per il quale l’impresa di Di Caterino avrebbe ottenuto le necessarie licenze pur in violazione delle norme edilizie, sempre grazie alle pressioni di Cosentino sui responsabili dell’ufficio tecnico comunale) non fu mai realizzato.
La Procura antimafia ritiene l’incontro tra il parlamentare di Casal di Principe e i funzionari di Unicredit fondamentale per stabilire il legame tra Cosentino e i colletti bianchi della camorra casalese. Perciò quel 7 febbraio del 2007 davanti agli uffici della banca in via Po a Roma c’erano anche gli investigatori della Dia, che raccolsero il materiale fotografico riportato in esclusiva da Corriere.it. Insieme a Cosentino si riconosce perfettamente il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, anch’egli parlamentare del Pdl, e anch’egli indagato dalla Dda, che però non ha chiesto nei suoi confronti alcun provvedimento cautelare. Per Cosentino, invece, quella su cui la giunta voterà martedì (e che dovrebbe andare in Aula l’11 o il 12) è la seconda richiesta d’arresto, dopo quella, mai concessa, per concorso esterno in associazione camorristica, reato per il quale il deputato è attualmente sotto processo davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Quando il 21 dicembre scorso la giunta per le autorizzazioni a procedere si spaccò tra chi voleva votare subito e chi puntava alla riunione di martedì, la Lega appoggiò i vecchi alleati del Pdl facendo prevalere l’opzione del rinvio. I suoi due rappresentanti, i deputati Paolini e Follegot, dissero di aver agito «secondo buonsenso» perché preferivano avere «più tempo per leggere le carte appena arrivate in giunta». Ora, per decidere, hanno a disposizione anche le foto, e non solo quelle: alla Camera è stata depositata anche la recentissima ordinanza del tribunale del riesame di Napoli che ha respinto il ricorso di Cosentino contro l’ordinanza di arresto, dando quindi un’ulteriore conferma alla validità di quel provvedimento sul quale ora l’ultima parola tocca alla politica.

Da avvocati, tassisti e petrolieri i primi dubbi sul «piano Passera».

Settimana chiave per il confronto. Malumori pdl, vertice con Alfano.

Corrado Passera, il ministro per lo Sviluppo Economico

ROMA - Gli avvocati si preparano a una resistenza silenziosa fatta a colpi di emendamenti che sarà affidata ai numerosi legali eletti in Parlamento (in entrambi gli schieramenti); i tassisti hanno cominciato a convocare assemblee in vista di una manifestazione nazionale a Roma per sabato prossimo; i petrolieri - raccontano gli insider in Confindustria - cercano un incontro riservato con il ministro Corrado Passera per tentare di scongiurare le misure per la diffusione dei distributori di benzina indipendenti o multimarca; i commercianti mettono sul tavolo la chiusura di 80 mila esercizi commerciali.
Si apre oggi una settimana di grandi manovre e trattative sul tema delle liberalizzazioni, che sta causando non pochi maldipancia nel Pdl. Il premier Mario Monti entro questa settimana o al massimo entro la successiva vuole portare in Consiglio dei ministri il primo decreto. E sarà solo l'inizio, perché l'intenzione, svelata ieri dal ministro Corrado Passera in un'intervista al Corriere , è di approvare un decreto al mese per liberalizzare un po' tutti i settori dell'economia: dalle professioni ai servizi pubblici locali; dalle farmacie ai taxi; dalle autostrade all'energia; dagli aeroporti alle ferrovie.
L'esecutivo dovrebbe ricalcare il piano d'azioneindividuato dall'Antitrust nella segnalazione inviata a governo e parlamento il 5 gennaio. Lo strumento del decreto legge è stato individuato per cercare di blindare il testo dall'assalto delle lobby. Mario Monti vuole portare a Bruxelles misure concrete già approvate, al Consiglio d'Europa di fine mese. Il premier ha chiesto ai propri collaboratori di mantenere il massimo riserbo sui contenuti del decreto.
Secondo le indiscrezioni si dovrebbe partire con un provvedimento che definirà il cronoprogramma del piano generale, ma anche i primi interventi concreti per liberalizzare la rete dei carburanti per arginare il caro-benzina, che rappresenta una vera e propria urgenza. L'obiettivo di questa misura è duplice: dare un segnale alle famiglie già colpite dai sacrifici della manovra e al tempo stesso cercare di evitare spinte inflattive a catena (sui prodotti trasportati su gomma), che potrebbero avere effetti pesantissimi sui consumi già in crisi. Inoltre, se il caro-benzina non si fermasse, si rischia il boomerang sui conti pubblici: i consumi petroliferi sono in calo, se la tendenza dovesse accentuarsi il Tesoro sarà costretto a rivedere le stime delle entrate legate alle accise sui carburanti.
L'altra misura immediata dovrebbe riguardare le banche: e cioè è possibile che scatti subito il divieto di vendere polizze assicurative degli stessi istituti abbinate ai mutui per l'acquisto delle case.
Una pratica, questa adottata dalle banche, che ha fatto lievitare i costi dei finanziamenti in un periodo già caratterizzato dalla difficoltà di accesso al credito, per di più con il mercato immobiliare che dopo il boom degli anni passati ha incassato una brusca battuta d'arresto. «Ci saranno anche altre misure importanti con effetti immediati sull'economia», assicurano da palazzo Chigi.
Il problema sarà sconfiggere le resistenze che in passato avevano già mandato in fumo i progetti di liberalizzazione dell'allora ministro Pierluigi Bersani. Il leader dei tassisti Loreno Bittarelli avverte: «Se il governo Monti recepisse il progetto dell'Antitrust non sarebbe più un governo tecnico, ma un governo politico». Il centrosinistra, pur con qualche voce di dissenso, sembra pronto a sostenere il governo in questo percorso, anche se l'Italia dei valori annuncia barricate contro eventuali «privatizzazioni dell'acqua». Nel centrodestra invece i maldipancia sono ogni giorno più numerosi. Domani si riuniranno i vertici del Pdl alla presenza del segretario Angelo Alfano per decidere la linea. L'ex premier Silvio Berlusconi, secondo i rumors, sarebbe irritato per l'uso del decreto legge. «Devono trattare con noi», si sarebbe sfogato proprio con Alfano. In particolare il Pdl, pur chiedendo con forza la liberalizzazione dei servizi pubblici, frena su professioni, taxi e farmacie.