Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 12 gennaio 2012
Il costituzionalista Gianni Ferrara: "LA CONSULTA HA SMASCHERATO GLI IMBROGLIONI DELLA CASTA"
Qual è il tuo commento alla sentenza della Consulta?
La Corte non poteva che esprirmersi per inammissibilità perché è assurdo pensare che possano far rivivere i morti. E i morti sono i disposti normativi abrogati. E soprattutto fa piacere constatare che le manovre di alcuni esponenti dei partiti politici, anzi di due partiti politici, quello dell’Idv e quello di Sel, oltre ai seguaci di Parisi e di Veltroni, che hanno inventato questo meccanismo del referendum impossibile mirando invece a far fallire il terreno possibile e giusto per l’instaurazione di un’autentica riforma del sistema elettorale insenso proporzionale, abbiano avuto quel che meritavano. Non si scherza né si deve ingannare il corpo elettorale itlaiano.A questo punto quali scenari sono possibili?
Nella motivazione la Corte Costituzionale ha ribadito la necessità di una nuova legge elettorale. E sono convinto che una nuova legge debba esserci, e debba eliminare finalmente il bipolarismo coatto e ridare agli elettori il diritto di essere rappresentati. E credo che il sistema proprorzionale sia l’unico che possa garantire una rappresentanza vera insieme alla ricostruzione della democrazia italiana.
Chi avrebbe ingannato il popolo italiano?
I promotori hanno mentito. I due quesiti erano a mio giudizio inammissibili, e l’avevo già sottolineato. Bastava guardare alla giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale mai è possibile ammettere il referendum quando verrebbe a privare il Parlamento proprio della legge che serve a formarlo attraverso il voto dei cittadini. I promotori hanno sostenuto che abrogando il Porcellum viene ad essere validato il Mattarellum, ma questo non può accadere. Il Mattarellum è il fratello minore del Porcellum.
Nel Passigli, che tu hai firmato, invece...Il loro vero obiettivo è stato quello di impedire la proposta referendaria Passigli-Ferrara-Villone-ed altri, che mirava all’eliminazione del Porcellum ma consentendo la validità del testo unico delle leggi elettorali. Erano contrari perché così si sarebbe reintrodotto il sistema proporzionale.
Qual è il tuo giudizio sul bipolarismo alla luce del disastro a cui stiamo assistendo, praticamente impotenti...Il bipolarismo l’ho definito un sistema coatto perché impone alle liste minori delle due maggiori coalizioni di allearsi per esistere e svolgere attività politica. La conseguenza è che le coalizioni diventano poco raccomandabili in quanto ad omogeneità con la diffusione del ricatto dei piccoli verso i grandi e viceversa. Quindi il bipolarismo così come è stato tradotto in Italia è una falsificazione e una distorsione tragica della democrazia rappresentativa e per di più blocca la maggioranza e blocca l’opposizione e la blocca al punto tale che il bipolarismo consegna la scelta dei candidati ai vertici delle organizzazioni politiche. Così una volta eletti i rappresentanti vengono utilizzati come scrivani della volontà del capo.
fonte: controlacrisi.org
Nella motivazione la Corte Costituzionale ha ribadito la necessità di una nuova legge elettorale. E sono convinto che una nuova legge debba esserci, e debba eliminare finalmente il bipolarismo coatto e ridare agli elettori il diritto di essere rappresentati. E credo che il sistema proprorzionale sia l’unico che possa garantire una rappresentanza vera insieme alla ricostruzione della democrazia italiana.
Chi avrebbe ingannato il popolo italiano?
I promotori hanno mentito. I due quesiti erano a mio giudizio inammissibili, e l’avevo già sottolineato. Bastava guardare alla giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale mai è possibile ammettere il referendum quando verrebbe a privare il Parlamento proprio della legge che serve a formarlo attraverso il voto dei cittadini. I promotori hanno sostenuto che abrogando il Porcellum viene ad essere validato il Mattarellum, ma questo non può accadere. Il Mattarellum è il fratello minore del Porcellum.
Nel Passigli, che tu hai firmato, invece...Il loro vero obiettivo è stato quello di impedire la proposta referendaria Passigli-Ferrara-Villone-ed altri, che mirava all’eliminazione del Porcellum ma consentendo la validità del testo unico delle leggi elettorali. Erano contrari perché così si sarebbe reintrodotto il sistema proporzionale.
Qual è il tuo giudizio sul bipolarismo alla luce del disastro a cui stiamo assistendo, praticamente impotenti...Il bipolarismo l’ho definito un sistema coatto perché impone alle liste minori delle due maggiori coalizioni di allearsi per esistere e svolgere attività politica. La conseguenza è che le coalizioni diventano poco raccomandabili in quanto ad omogeneità con la diffusione del ricatto dei piccoli verso i grandi e viceversa. Quindi il bipolarismo così come è stato tradotto in Italia è una falsificazione e una distorsione tragica della democrazia rappresentativa e per di più blocca la maggioranza e blocca l’opposizione e la blocca al punto tale che il bipolarismo consegna la scelta dei candidati ai vertici delle organizzazioni politiche. Così una volta eletti i rappresentanti vengono utilizzati come scrivani della volontà del capo.
fonte: controlacrisi.org
Nel mirino dei pm e del Fisco 17 conti "segreti" di Marcegaglia
Intestati a Steno, Emma e Antonio. Il gruppo: tutto regolare
di EMILIO RANDACIO e WALTER GALBIATI.
Da sinistra Steno Marcegaglia (fondatore del gruppo mantovano) con i figli Emma, presidente di Confindustria e Antonio
MILANO - Diciassette conti congelati, da "porre in collegamento con le dichiarazioni rese da Marcegaglia Antonio". È il Ministero pubblico della Confederazione elvetica, con una missiva spedita la scorsa settimana all'ufficio del procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, a rialzare il sipario sui conti esteri della famiglia Marcegaglia. Una parte dei quali - quattro per la precisione - erano già stati scandagliati durante l'inchiesta Enipower, una storia di tangenti pagate per accaparrarsi commesse milionarie e che ha visto tra i numerosi protagonisti anche il rampollo della famiglia industriale mantovana. A marzo 2008 il figlio del fondatore del colosso dell'acciaio ha patteggiato una pena (sospesa) di 11 mesi per corruzione. E ha pagato oltre 6 milioni di euro.
Gli inquirenti svizzeri vogliono ora capire cosa fare di quei rapporti bancari, conti da paperoni intestati anche a Steno ed Emma Marcegaglia - presidente di Confindustria - gestiti da Antonio, e finiti nel frattempo sotto la lente dell'Agenzia delle Entrate di Mantova per verificare eventuali reati fiscali. Ma di che conti si tratta?
Per una decina d'anni, tra il 1994 e il 2004, il gruppo Marcegaglia era riuscito a interporre negli acquisti di materie prime e di macchinari alcune società offshore, in modo da creare fondi neri da depositare su conti esteri. Il meccanismo, noto a tutta la famiglia, era semplice: la Marcegaglia Spa non comprava direttamente l'acciaio, ma lo rilevava da alcune società di trading incaricate di riversare i margini di guadagno su appositi conti cifrati. Una di queste, la londinese Steel Trading operava attraverso il conto Q5812712 presso la Ubs di Lugano. Le plusvalenze milionarie venivano poi trasferite sul conto Q5812710 aperto sempre presso la stessa banca svizzera e intestato a una società delle Bahamas, la Lundberg Trading. Il beneficiario finale dei conti era Steno Marcegaglia, padre e fondatore dell'omonima azienda.
Lo stesso meccanismo funzionava per altri due conti svizzeri, intestati a Steno e alla figlia Emma. La Scad Company Ltd che gestiva le vendite dell'acciaieria bulgara Kremikovtzi, versava in nero le differenze di prezzo della materia prima e i frutti economici di eventuali contestazioni favorevoli ai Marcegaglia sul conto cifrato 688342 della Ubs di Lugano. La Springleaf Capital Holding, la Cameo International e la Macsteel International Uk Ltd facevano le medesime operazioni per alcune acciaierie indiane. E sullo stesso conto cifrato della famiglia sono stati convogliati anche i proventi di due vendite in nero: il 31 gennaio 2004 un cliente iraniano ha versato 150mila euro per l'acquisto di un macchinario e ad aprile 2004 un cliente argentino altri 44mila euro per alcuni pezzi di ricambio venduti dalla Marcegaglia Spa. Tutte le provviste accumulate sul conto 688342, oltre un milione di dollari in poco più di un anno, sono state poi riversate sul conto cifrato 688340 della Ubs di Lugano, anch'esso riconducibile a Steno ed Emma. Complessivamente, i soldi transitati sui quattro conti sono nell'ordine di diversi milioni. Quando ad agosto 2004 sono stati chiusi i rapporti bancari della Steel Trading e della Lundberg, il saldo era di 22 milioni, un importo che la famiglia ha provveduto a trasferire a Singapore, prima dell'arrivo della magistratura.
"Si tratta di questioni legate a una società che all'epoca ha svolto una effettiva attività di trading di acciaio esclusivamente a prezzi di mercato, pagando regolarmente le tasse nel Paese di competenza. Società che, peraltro, ha già cessato da molti anni ogni sua attività", spiegano fonti ufficiali del gruppo Marcegaglia interpellate da Repubblica.
Ora tutta la documentazione dei conti analizzati dalla procura di Milano è nelle mani del nucleo tributario della Guardia di finanza e della Agenzia delle Entrate di Mantova per verificare possibili reati fiscali, soprattutto connessi a compravendite in nero e a eventuali false fatturazioni. Mentre l'Autorità giudiziaria elvetica si trova con un elenco di conti sui quali sono transitati i frutti milionari del trading dell'acciaio e aspetta indicazioni dalla procura di Milano. Era stato Antonio Marcegaglia, nella ricostruzione davanti ai pm, ad alzare il velo su altri rapporti cifrati e a spiegare come venivano utilizzati quei fondi: si tratta di "risorse riservate - aveva messo a verbale il 30 novembre 2004 - che abbiamo sempre utilizzato nell'interesse del gruppo per le sue esigenze non documentabili". Con quei soldi venivano pagati estero su estero i bonus per i manager che lavorano al di fuori dell'Italia, come quelli che gestivano i rapporti con i trader russi e con i paesi arabi, destinatari di commissioni e provvigioni per migliaia di dollari. "Per tutte le esigenze di questo tipo che avevo a Mantova - spiegava ancora Antonio Marcegaglia - mi facevo consegnare presso il mio ufficio il denaro che occorreva per pagare fuori busta dirigenti, collaboratori ed altro". A volte i contanti servivano per acquistare beni, come una Mercedes o un casale in Toscana. "Il patrimonio familiare - precisa oggi il gruppo Marcegaglia - si trova per la sua stragrande maggioranza in Italia, mentre una sua minima parte è all'estero e comunque in regola con le normative fiscali italiane".
Dall'estero, i soldi della famiglia arrivavano in Italia grazie a un vero e proprio servizio di "spallonaggio" che la Ubs offriva chiedendo una percentuale dell'1%. I conti d'appoggio li forniva sempre la banca elvetica. Dal rapporto cifrato 688340 intestato a Steno ed Emma Marcegaglia, per esempio, tra settembre e dicembre 2003, sono stati trasferiti sul conto della Preziofin Sa presso la Ubs di Chiasso oltre 750mila euro per essere poi prelevati in contanti e portati in Italia. Qualcosa come 3 milioni di euro più circa 800mila dollari sono stati trasformati in denaro sonante tra il 2001 e il 2003 dal conto cifrato 664807 aperto nella filiale Ubs di Lugano. Allo stesso servizio obbedivano i conti 614238 presso la Ubs di Chiasso e il conto intestato alla Benfleet presso la filiale di Lugano.
Un altro conto d'appoggio e riconducibile ad Antonio Marcegaglia è il conto "Tubo". Qui per esempio nel '97 sono stati versati dal conto Lundberg 1,6 milioni di dollari per pagare parte dell'acquisto dello stabilimento di San Giorgio di Nogaro. E, secondo la ricostruzione del rampollo di casa Marcegaglia, anche i versamenti effettuati sui conti "Verticale", "Vigoroso", "Borghetto" e "Diametro" (poco più di 2 milioni di euro) non sono altro che pagamenti in nero, l'ultimo dei quali a maggio 2003, destinati alla Mair Spa di Thiene per l'acquisto senza fattura di un macchinario per la fabbricazione di tubi.
Ininterrottamente poi dal '97 al 2004 è stato alimentato un conto cifrato (JC 251871) presso la Ubs di Lugano: 175 milioni di lire l'anno, finché era in voga il vecchio conio, e 90mila euro l'anno con l'avvento della moneta unica. "Trattasi di pagamenti in nero a favore dello Studio Mercanti di Mantova in relazione a consulenze di tipo amministrativo", ha dichiarato Antonio Marcegaglia. Lucio Mercanti è il presidente del collegio sindacale del gruppo mantovano, proprio colui che è preposto a vigilare sui bilanci della società.
http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/economia/conti-marcegaglia/conti-marcegaglia/conti-marcegaglia.html
mercoledì 11 gennaio 2012
Dirigente della Federico II: Acierno si dava a spese pazze.
La responsabile amministrativa al processo in cui l'ex direttore generale e deputato è accusato di peculato: "Utilizzava le carte di credito per giocare al casinò on-line e per fare viaggi".
PALERMO. Mentre la fondazione Federico II era sommersa dai debiti (circa 2,5 milioni a fine 2007) il suo direttore generale, l'ex deputato Alberto Acierno, utilizzava le carte di credito per giocare al casinò on-line e per fare viaggi, e prelevava anche somme dalla cassa della biglietteria di palazzo dei Normanni, le cui visite guidate sono gestite dalla fondazione. L'ha detto in aula la responsabile amministrativa della Federico II, Antonella Razete, deponendo al processo in cui Acierno è accusato di peculato. Il danno erariale è stato quantificato in quasi 150 mila euro, 110 mila ai danni della fondazione e 40 mila al gruppo misto dell'Ars, di cui era presidente.
In più occasioni - ha spiegato la Razete - ho chiesto ad Acierno di rendicontare queste spese. Lui mi dava qualche pezza di appoggio e per quelle che non riusciva a spiegare mi diceva che poi avremmo fatto i conti a fine anno, ma nel novembre 2007 si licenziò". Il clima alla fondazione non era dei migliori: "Una dipendente, Elisa Musso - ha raccontato la Razete -, mi disse che Acierno le aveva offerto cocaina nel suo ufficio. Il direttore sembrava affabile e lo era, in effetti, a meno che non si arrabbiasse. In molti casi si arrivò a violenti alterchi con il personale e una volta lanciò il telefono in testa al suo segretario particolare".
Poco prima di dimettersi, Acierno presentò alla fondazione diverse fatture per le attività da lui svolte. "Con quelle fatture - ha proseguito la teste - da debitore Acierno diventò creditore e volle che venissero emessi quattro assegni in suo favore per pareggiare i conti. Chiamai Gianfranco Micciché, allora presidente dell'Ars, e appena vide quelle fatture si infuriò e disse che erano false. Poi non ne seppi più nulla".
Degli ammanchi si accorse anche Francesco Cascio al momento del suo insediamento alla presidenza dell'Ars. "Mandai una lettera ad Acierno - ha detto - sia per la fondazione che per il gruppo misto, ma lui mi disse che non doveva nulla. A quel punto presentai un esposto alla procura".
Gianfranco Miccichè avrebbe dovuto deporre, come testimone dell'accusa, ma stamattina ha dato forfait sostenendo di avere impegni istituzionali. Una giustificazione non valida secondo i giudici della terza sezione del tribunale di Palermo che hanno chiesto al pm di citare con diffida, l'ex leader di Fi in Sicilia ora esponente del movimento Grande Sud.
In più occasioni - ha spiegato la Razete - ho chiesto ad Acierno di rendicontare queste spese. Lui mi dava qualche pezza di appoggio e per quelle che non riusciva a spiegare mi diceva che poi avremmo fatto i conti a fine anno, ma nel novembre 2007 si licenziò". Il clima alla fondazione non era dei migliori: "Una dipendente, Elisa Musso - ha raccontato la Razete -, mi disse che Acierno le aveva offerto cocaina nel suo ufficio. Il direttore sembrava affabile e lo era, in effetti, a meno che non si arrabbiasse. In molti casi si arrivò a violenti alterchi con il personale e una volta lanciò il telefono in testa al suo segretario particolare".
Poco prima di dimettersi, Acierno presentò alla fondazione diverse fatture per le attività da lui svolte. "Con quelle fatture - ha proseguito la teste - da debitore Acierno diventò creditore e volle che venissero emessi quattro assegni in suo favore per pareggiare i conti. Chiamai Gianfranco Micciché, allora presidente dell'Ars, e appena vide quelle fatture si infuriò e disse che erano false. Poi non ne seppi più nulla".
Degli ammanchi si accorse anche Francesco Cascio al momento del suo insediamento alla presidenza dell'Ars. "Mandai una lettera ad Acierno - ha detto - sia per la fondazione che per il gruppo misto, ma lui mi disse che non doveva nulla. A quel punto presentai un esposto alla procura".
Gianfranco Miccichè avrebbe dovuto deporre, come testimone dell'accusa, ma stamattina ha dato forfait sostenendo di avere impegni istituzionali. Una giustificazione non valida secondo i giudici della terza sezione del tribunale di Palermo che hanno chiesto al pm di citare con diffida, l'ex leader di Fi in Sicilia ora esponente del movimento Grande Sud.
Micciché, presidente dell'Ars all'epoca dei fatti, nominò Acierno direttore della fondazione e stabilì in 180 mila euro l'anno il suo compenso invertendo la rotta rispetto al passato visto che fino ad allora l'incarico era a titolo gratuito.
Acierno si sarebbe appropriato di 150mila euro sottraendoli alle casse della fondazione e del Gruppo misto all'Ars di cui era presidente. Il processo è stato rinviato al 30 gennaio per la citazione di Micciché. Se il leader di Grande Sud non si presenterà se ne potrà ordinare l'accompagnamento coattivo.
MICCICHE'. "Prima dell'inizio dell'udienza ho comunicato ai giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo di essere impossibilitato a deporre per importanti impegni istituzionali a Roma, confermando, tuttavia, la mia presenza nella prossima udienza". Lo dice, in una nota, il parlamentare nazionale e leader di Grande Sud Gianfranco Micciché, in merito alla richiesta di citazione con diffida sollecitata dai giudici del processo per peculato dell'ex direttore della Fondazione Federico II Alberto Acierno. Il politico avrebbe dovuto deporre stamattina, ma ha presentato una giustificazione, adducendo impegni istituzionali, che il collegio non ha ritenuto valida.
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