venerdì 10 febbraio 2012

Truffa aggravata per quel volo di Stato “Artifici e i raggiri” dell’ex ministro Calderoli. - di Pierluigi Giordano Cardone



Secondo i pm di Roma il 19 gennaio 2011, il senatore leghista ha usufruito di un velivolo della Repubblica italiana per motivi personali: andare in ospedale a trovare il figlio della compagna. La giunta ha però respinto l'autorizzazione a procedre. Un no sul quale dovrà esprimersi palazzo Madama.


L'ex ministro della Semplificazione Roberto Calderoli
“Artifici e raggiri” per andare e tornare in giornata da Roma a Cuneo su un aereo di Stato. I pm della Procura di Roma e il Tribunale dei ministri non hanno dubbi: il 19 gennaio 2011, l’allora ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, ha usufruito di un velivolo della Repubblica italiana per motivi del tutto personali: doveva andare in ospedale a trovare il figlio della compagna, ricoverato dopo un incidente stradale. Non solo. Al fine di ottenere l’autorizzazione dalla Presidenza del Consiglio (i ministri non possono usufruire di voli di Stato se non tramite “richiesta altamente motivata”) ha ingannato i funzionari e, di conseguenza, il sottosegretario Gianni Letta. Come? Con “artifici e raggiri”, visto che per motivare la richiesta ha parlato di imprecisati impegni istituzionali. Per questo motivo, l’esponente leghista è indagato con l’accusa di truffa aggravata dai pm capitolini, i quali a fine dicembre hanno inviato una richiesta di autorizzazione a procedere al Tribunale dei ministri.

Che si è mosso in proprio: ha ricevuto una memoria difensiva dall’accusato, ha fatto indagini e alla fine ha dato ragione alla tesi dei pm. Iter d’obbligo: il faldone sull’autorizzazione a procedere è passato alla competente Giunta del Senato. Quest’ultima si è riunita il due febbraio scorso per esaminare la ‘pratica-Calderoli’ e, a maggioranza, ha deciso di respingere la richiesta dei pm e di condividere le motivazioni fornite dall’ex componente del governo Berlusconi. Insomma, gli hanno creduto. Per i componenti della Giunta, infatti, il volo Roma-Cuneo (e ritorno) era motivato da “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”, ovvero quanto dichiarato dallo stesso Calderoli pur di ricevere l’autorizzazione.

La richiesta della Procura ora passerà all’aula di Palazzo Madama, che dovrà esprimersi sulla proposta di negare l’autorizzazione a procedere ratificata dalla Giunta. Intanto la questione resta aperta e fa discutere. Non solo per le implicazioni di carattere penale (secondo gli inquirenti il danno per le casse dello Stato ammonta a poco più di diecimila euro), ma anche e soprattutto per il comportamento tenuto da Roberto Calderoli durante tutta la vicenda. Un comportamento ricostruito con dovizia di particolari dagli inquirenti e contenuto nella richiesta di autorizzazione a procedere che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare.

Tutto ha origine da un esposto presentato il 4 aprile 2011 alla Procura della Repubblica di Cuneo da Fabio Biolè, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che aveva avuto notizia dell’uso improprio del volo di Stato da parte di Calderoli. La denuncia è stata trasmessa per competenza alla Procura di Saluzzo, che a sua volta l’ha girata a quella di Roma per poi finire al Tribunale dei ministri. Che a questo punto ha deciso di indagare, avvalendosi della collaborazione di due agenti di polizia.

Secondo la ricostruzione dei fatti, il 19 gennaio 2011 Calderoli “disceso dall’aereo di Stato atterrato all’aeroporto di Levaldigi, dapprima si è recato a Cuneo, in via […] dove si è incontrato con la signora Gianna Gancia (compagna di Calderoli e presidente della Provincia di Cuneo, ndr). Quindi il Calderoli e la signora Gancia sono entrati in un’abitazione privata, all’interno di un immobile sul cui citofono non sono presenti denominazioni di uffici pubblici. I medesimi, usciti insieme dopo circa un’ora dalla predetta abitazione, si sono recati in ospedale”. “Dopo circa un’ora” Calderoli è uscito per recarsi “nuovamente in aeroporto, dove è salito sullo stesso aereo con il quale era precedentemente atterrato”.

Da questa cronologia della visita ‘istituzionale’, i magistrati traggono una tesi ben precisa: “I predetti elementi di fatto, complessivamente valutati, non integrano esigenze connesse alle funzioni istituzionali del ministro Calderoli, ma evidenziano invece finalità strettamente legate alla vita privata del medesimo”, anche perché “non può attribuirsi rilievo al fatto che il Ministro Calderoli, come affermato nella propria memoria, avesse impegni istituzionali il giorno precedente e nel pomeriggio dello stesso 19 gennaio 2011 (impegni comunque esclusi dalla relazione dell’ispettore capo)”. E sì, perché l’ex ministro della Semplificazione nella sua tesi difensiva aveva cercato di rispedire al mittente le accuse: in un primo momento Calderoli aveva giustificato la necessità del volo di Stato con l’urgenza di far visita in ospedale al figlio della compagna (ricoverato in prognosi riservata per un incidente stradale). Successivamente, però, l’esponente leghista ha modificato versione: era volato a Cuneo su un velivolo della Repubblica perché si è dovuto occupare della situazione finanziaria della Provincia guidata dalla sua compagna e che la sua visita in ospedale era solo una ‘deviazione’ sul programma di lavoro, che prevedeva impegni istituzionali prima e dopo la capatina in ospedale.

A questo punto, a chi gli faceva notare che durante la ‘missione’ non si era recato in nessun ufficio pubblico, Calderoli ha spiegato che le sue funzione politiche le aveva esercitate in un’abitazione privata, giustificando l’utilizzo dell’aereo di Stato perché doveva far rientro immediatamente a Roma per partecipare ai lavori della Commissione sul federalismo. Per gli inquirenti, però, non c’era nessun impegno istituzionale né alcuna riunione di organismi parlamentari. E a chi gli chiedeva perché non avesse raggiunto Torino per prendere un volo di linea e fare rientro a Roma senza gravare sulle casse dello Stato, Calderoli si è giustificato dicendo che da Cuneo al capoluogo piemontese non c’è autostrada e che quindi sarebbe stato problematico salire su un volo per comuni mortali.

Tutte spiegazioni che il Tribunale dei ministri non ha accolto, a differenza di quanto fatto dai membri della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. Per i pm, infatti, l’ex ministro ha gabbato i funzionari della Presidenza del Consiglio, giustificando la sua richiesta con “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”. E’ proprio questa frase a mettere nei guai Calderoli. “Tale affermazione – hanno scritto i pm – volta ad indurre in errore i funzionari competenti in ordine alla sussistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione all’uso dell’aereo di Stato, era altresì idonea ad orientare la conseguente determinazione”. E infatti i dipendenti della Presidenza del Consiglio hanno creduto alla motivazione della richiesta e “nella certezza della veridicità dell’affermazione, in quanto proveniente da fonte qualificata riconducibile al Ministro (il suo capo di gabinetto, ndr), non hanno richiesto chiarimenti ed hanno concesso l’autorizzazione”. Da qui il capo d’imputazione: truffa aggravata nei confronti dei funzionari statali “perché sussistono gli estremi degli artifici e raggiri idonei ad indurre in errore”. Non sussistono, invece, le accuse di peculato e abuso d’ufficio perché Calderoli, in quanto componente del governo, non aveva diritto al volo di Stato, destinato solo agli spostamenti del presidente della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato. Anche dei ministri, in realtà, ma solo in presenza di “richiesta altamente motivata”. E non è il caso di Calderoli. Tutto chiaro, tutto documentato. Per molti, tranne che per la maggioranza della Giunta per le autorizzazioni a procedere.

Le Avventure di un Turista inglese in Italia (M.Travaglio a Servizio Pubblico 12 gennaio 2012)



http://www.ilfattoquotidiano.it
Servizio Pubblico tredicesima puntata del 9 febbraio 2012 - L'Uscita di Sicurezza.In questo video Marco Travaglio e il suo editoriale: Immaginiamo un turista inglese che visita l'Italia. Arriva a Fiumicino e, leggendo i giornali, scopre che c'è un partito chiamato "Margherita" che ogni tanto si fa vivo per prendersi dei soldi e che il Parlamento italiano è il rifugio ideale per i ladri. In una Roma innevata incontra il curioso sindaco della capitale travestito da Pisolo - con tanto di cappello di lana. E inoltre: il mito del posto fisso (che è solo per i figli ed i parenti dei ministri), i processi infiniti a Berlusconi... Tutte le contraddizioni del nostro Paese viste con gli occhi di chi ci guarda da fuori. Ospiti in studio, l'ex ministro Tremonti, lo storico leader no global Casarini e il direttore di Rcs libri Mieli. Inoltre Emanuele Ferragina, ricercatore di Oxford. Marco Travaglio, Vauro e Giulia Innocenzi.


http://www.youtube.com/watch?v=GjTJPQFWC38

L'Fbi spiava Jobs: "Drogato e disonesto"

Reso pubblico un dossier di 200 pagine: Bush senior lo volevo in uno staff governativo.

23:22 - L'Fbi aveva un dossier su Steve Jobs. L'indagine sul co-fondatore della Apple risale al 1991, quando il nome di Jobs era stato preso in considerazione dall'allora presidente George Bush senior, per far parte del President's Export Council, il comitato di consulenza sul commercio estero.
Come riferisce il Wall Street Journal, l'Fbi ha ora reso pubblici gli incartamenti, dai quali emerge l'intenzione dell'Federal Bureau of Investigation di capire se Jobs facesse uso di alcol o droghe. Una circostanza, quest'ultima, verificatasi in età giovanile e ammessa pubblicamente dallo stesso Jobs. 
Nel dossier, compilato per raccogliere informazioni sul numero uno della Apple in vista della eventuale nomina presidenziale, sono presenti varie interviste con persone che avevano frequentato Jobs. Una fonte dell'Ibm riferì agli agenti federali di non aver "mai assistito ad alcun uso illegale di droghe o abuso di alcol da parte di Jobs" che "sembra vivere in linea con i propri mezzi finanziari" e non aver mai assunto "atteggiamenti stravaganti".
Uno stile di vita confermato anche da una fonte femminile anonima che riferì che Jobs "si limitava a bere un po' di vino e non faceva uso di stupefacenti". "Tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 - si legge nel rapporto dell'Fbi - Jobs potrebbe aver sperimentato l'uso di droghe illegali, in quanto figlio di quella generazione", mentre un'altra fonte riferì di essere a conoscenza del fatto che Jobs, negli anni del college, fece uso di marijuana e Lsd.
Nel dossier c'è poi una sezione dedicata alla "personalita'" di Jobs. Due persone all'epoca a lui vicine riferirono che il fondatore della Apple era "un uomo dalla forte volontà, un grande lavoratore, molto motivato", ritenendo queste "le ragioni del suo grande successo". Un'altra, una donna, si rifiutò di rispondere alle domande degli agenti, spiegando che aveva avuto con lui "discussioni riguardanti la sua etica e moralita'".
Non manca, tra gli intervistati, chi parla di Jobs come di una personalità "fondamentalmente onesta e degna di fiducia", ma "complessa". Questa fonte, di Palo Alto, in California, che si definiva un "ex buon amico" di Jobs, conosciuto mentre stava "avviando" un'azienda non specificata, spiega che Jobs "si alienò molte persone alla Apple a causa della sua ambizione". Un'altra fonte riferì invece che Jobs aaveva avuto un "cambiamento di filosofia entrando in contatto con la religione e il misticismo indiani" e che questo contatto mostrava di aver cambiato "in meglio" la sua vita.

Gianni Dragoni: il premio di Marchionne (Servizio Pubblico 9 febbraio 2012)



http://www.ilfattoquotidiano.it 
Servizio Pubblico tredicesima puntata del 9 febbraio 2012 - L'Uscita di Sicurezza. In questo video: I dipendenti della Fiat hanno ricevuto la prima busta paga in base all'accordo di Pomigliano. La Fiom calcola per un operaio di 3° livello l'aumento è di circa 17 centesimi in più per ogni giorno. Il premio di Marchionne (oltre 50 milioni di Euro) è più alto del dividendo che la Fiat pagherà ai soci e si aggiungerà allo stipendio di 400 mila euro al mese. Per pagare le tasse su questo premio Marchionne ha rivenduto in borsa le azioni gratuite che aveva ricevuto. Essendo un residente in Svizzera, però, paga meno tasse dei suoi dipendenti. La Fiat produce meno auto in Italia e sta guadagnando di più in America. Si dice che Marchionne abbia salvato la Chrysler... salverà anche la Fiat? 


http://www.youtube.com/watch?v=kAWBWDqSFq4

giovedì 9 febbraio 2012

Se la Fornero facesse l’operaia. - di Alessandro Robecchi.




Scene di lotta di classe ai tempi della crisi e della “monotonia” del posto fisso? 
Randellate a colpi di curricula spessi come le Pagine Gialle? 
Si sta trasformando in questo, lentamente ma inesorabilmente, la piccola polemica sul caso di Silvia Deaglio, figlia della ministra Fornero, docente universitaria (medicina) nella stessa università (Torino) dove insegnano papà (economia) e mammà (pure). 
Dalla rete sale la solita furente indignazione, dai piani alti della società e dei giornali piovono nobili difese: una spaccatura rivelatrice. La dottoressa Deaglio se ne tira fuori con una certa eleganza (“Per me parla il mio curriculum”, Corriere della Sera), ma l’impressione è che non basti. Mai come in questa occasione sembra di assistere a un dialogo con due lingue diverse: da una parte chi brandisce l’invidiabile curriculum della dottoressa Deaglio in difesa del famoso “merito”; dall’altra chi dice che non è questione di talento ma di opportunità e di “partire tutti da uguali posizioni”. In più, va notato, se mammà non stesse picconando i diritti di molti sottoforma di articolo 18 e se un’altra ministra, la signora Cancellieri, non avesse ironizzato sui giovani che “vogliono il lavoro vicino a papà e mamma”, probabilmente nessuno ne parlerebbe: le università in cui pullulano cognomi uguali sono un classico italiano. 
Ma qui c’è di più. C’è sullo sfondo, bloggante e twitterante, una comunità dolente che vede ancora una volta consegnato un premio di maggioranza alle solite nomenclature, convinta di venir scippata di opportunità per la sola colpa di non avere il cognome giusto. Una plebe sapiente che vede accanto a sé corsie preferenziali per i soliti noti e che si sente ferma nel traffico, a passo d’uomo, in fila indiana, mentre altri sfrecciano con il lampeggiante e la sirena. Ed ecco gli strali, anche scomposti, dettati da indignazione, contro la dottoressa Deaglio.
Ma il caso personale, il caso specifico, come sempre è fuorviante. Non si tratta qui di decidere se la dottoressa Silvia Deaglio abbia i titoli (e li ha) per ricoprire il suo incarico e per occupare il suo “monotono” posto fisso. Piuttosto si tratta di chiedere se tutti coloro che hanno lo stesso talento e le stesse capacità abbiano avuto le stesse possibilità. In sostanza, dunque, non della dottoressa Deaglio si parla, ma di tutti i possibili dottori e dottoresse che fin lì non sono potuti arrivare per questioni di ceto, cognome, appartenenza dinastica o estrazione sociale. Su questo sì, la dottoressa Deaglio potrebbe dire qualcosa: conoscerà certamente la situazione dell’università italiana e potrebbe senz’altro argomentare su tanti lavoratori del sapere che il posto fisso non ce l’hanno e forse non l’avranno mai, anche con ottimi curricula.
E la lotta di classe, direte voi, che c’azzecca? Ma sì che c’azzecca. Perché a ben vedere la figlia dei due docenti universitari (uno dei quali ministro) che fa la docente universitaria non è una notizia, esattamente come il cane che morde l’uomo. Se si scovasse in qualche anfratto del Paese, in qualche provincia remota, in qualche sottoscala umido e male areato un figlio di ministro che lavora in un call-center, con contrattini variabili e poverissimi, ricattabile e precario, impossibilitato a chiedere un mutuo (ma figurati!) o a fare dei figli (miraggio!), allora sì che sarebbe una notizia. Allora sì che avremmo l’uomo che morde il cane, con conseguente scoop e giusto stupore. Questa è la vera questione politica, che merita di essere girata non alla dottoressa Deaglio, ma alla mamma ministro del Lavoro.
Rimbalza sui blog (nel partito dei difensori) la notizia che la dottoressa Fornero, ministro del Lavoro, è figlia di un ferroviere, e che nonostante questo è arrivata fin lì, addirittura a sedere nel governo, mirabile esempio di giustizia sociale interclassista. Ottima notazione: negli anni Sessanta e Settanta (Fornero è del ’48) ciò era possibile. Era ancora possibile. La domanda a cui bisognerebbe rispondere – e a cui il ministro del Lavoro dovrebbe rispondere per prima – è: oggi è ancora così? Con una forbice tra ricchi e poveri sempre più larga, con un Paese che sta ai primi posti per diseguaglianza economica nel mondo, può succedere ancora? E quando ai ceti medi e bassi verranno tolte alcune garanzie di sicurezza come il ministro Fornero si appresta a fare, sarà ancora possibile far funzionare l’ascensore sociale come ha funzionato nel suo caso? Come si vede, i curricula spessi come le Pagine Gialle c’entrano sempre meno, si perdono sullo sfondo. Mentre l’esistenza di una questione “di classe” (che parole antiche!) prende la scena e conquista il primo piano. Ciò che ieri era possibile, oggi sembra inarrivabile. E’ questo che ci dice un piccolo “caso” come quello di Silvia Deaglio e di mamma Fornero, è questa la luna che il dito della rete ha indicato. Certo, come al solito, guardare il dito – un poderoso e meritatissimo curriculum – è più comodo, fa fine e non impegna.



http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201202/se-la-fornero-facesse-loperaia/

'ndrangheta, arrestati i familiari della pentita uccisasi con l'acido. - di Giuseppe Baldessarro




Secondo la procura la madre, il padre e il fratello di Maria Concetta Cacciola avrebbero portato la donna a suicidarsi "attraverso reiterati atti di violenza fisica e psicologica". Le avevano fatto scrivere sotto la minaccia di non farle più vedere i suoi figli una lettera di ritrattazione di quanto aveva raccontato ai magistrati antimafia.


'ndrangheta, arrestati i familiari della pentita uccisasi con l'acido
Maria Concetta Cacciola

REGGIO CALABRIA - L'hanno picchiata fino a rompergli le costole, le impedivano di uscire di casa e quando capitava la facevano seguire dai loro scagnozzi. Ma quel più le faceva male era quando la minacciavano di non farle vedere i suoi tre figli. Per questo Maria Concetta Cacciola ha deciso di farla finita bevendo l'acido muriatico. Per questo una donna di 31 anni che pure aveva iniziato a collaborare con la giustizia, aveva ritrattato tutto. Le avevano fatto scrivere sotto dettatura una lunga lettera pubblica e, come se non bastasse, le avevano fatto registrare un nastro audio nel quale confermava che le cose dette ai magistrati della Dda di Reggio Calabria erano false. Tutte false. Stamattina Michele e Giuseppe Cacciola, padre e fratello della donna, e la madre Anna Rosalba Lazzaro, sono stati arrestati. Contro di loro la Procura della Repubblica di Palmi muove un'accusa terribile: "Attraverso reiterati atti di violenza fisica e psicologica" l'avrebbero portata "a togliersi la vita".

La storia di Maria Concetta affonda le sue radici nella sua adoloscenza, quando a 13 anni sposa un uomo che non ama e da cui non è amata. Appartiene ad una famiglia contigua ai clan della 'ndrangheta di Rosarno. Una che insomma ha per anni respirato l'aria dei padrini della Piana di Gioia Tauro. Una vita di sofferenze e privazioni che lei stessa descrive in alcune lettere inviate alla madre il giorno in cui decide di lasciare Rosarno per affidarsi ai magistrati. Sceglie ad un certo punto della sua vita di seguire le orme di sua cugina, di Giuseppina Pesce, l'altra pentita della cosca riuscita a sfuggire assieme ai figli dalla Calabria solo pochi mesi prima. Maria Concetta parte, ma compie un errore. Affida alla madre i tre ragazzini, confidando nella solidarietà tra donne. E' un errore perché i bambini diventano lo strumento di pressione psicologica attraverso cui la famiglia la farà tornare a casa. 

Ed è qui che scattano le ritorsioni, feroci. La Cacciola tenta più volte di chiamare i carabinieri a cui chiede di andarla a prendere assieme ai figli. Ma c'è sempre gente in casa, è sempre circondata. E per le forze dell'ordine non è possibile fare irruzione in quella casa. Lei stessa aveva detto agli uomini del Ros che non voleva andarsene in presenza della madre contro cui si sarebbe scatenata l'ira del resto della famiglia. Deve essere lei a uscire volontariamente in un momento in cui non è vista. E' questo l'accordo preso il 18 agosto scorso con le forze dell'ordine. Qualcosa però non va per come sperato e la donna si uccide. Nel più atroce dei modi. Bevendo l'acido muriatico, il 20 agosto.

Scrive il Gip di Palmi, Fulvio Accurso, nell'ordinanza di custodia cautelare: "Se le pagine del processo che saranno a breve esaminate non fotografassero una realtà brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l'appassionante scenografia di un film, nella quale una giovane donna di soli 31 anni, madre di tre figli e costretta a vivere una vita che non le appartiene, decide in un anonimo pomeriggio di fine estate di togliersi la vita, ingerendo acido muriatico, nella disperata illusione di poter riacquistare la tanta sognata libertà". All'alba, mentre polizia e carabinieri eseguivano l'ordine di custodia cautelare contro i familiari della donna, la Dda di Reggio Calabria faceva eseguire agli uomini del Ros e del Comando provinciale altri 13 fermi. In manette sono finiti altri affiiati della cosca guidata da Ciccio Pesce. E contro di loro saranno usati anche i contenuti degli unici tre verbali di dichiarazioni lasciate ai magistrati da Maria Concetta.



http://www.repubblica.it/cronaca/2012/02/09/news/arresti_famiglia_pentita-29577508/?ref=HREC1-1

LA STREGA CATTIVA. - di Eugenio Benetazzo



Eugenio Benetazzo

Ho avuto modo recentemente all'interno di una piccola e media impresa della marca trevigiana di ascoltare la filippica di un sindacalista durante una giornata di sciopero sindacale, condita di informazione e critica contro il governo tecnico di Mario Monti e le strategie messe in atto dallo stesso per il rilancio del paese, soprattutto sul piano occupazionale. Sentirlo esporre le sue ragioni e preoccupazioni sul piano sindacale penso sia stata una delle migliori lectio magistralis a cui ho assistito durante la mia vita. Se non fosse che ad un certo punto mi è vibrato il cellulare per una chiamata e d'improvviso mi sono ricordato che eravamo nel 2012 e non nel 1950. Sono stato particolarmente colpito quando, menzionando le proposte di politica occupazionali di Elsa Fornero, la si è soprannominata la strega cattiva. Che triste destino che attende questo paese, soprattutto per le sue genti e la loro forma mentis, più che per la situazione pericolante dei suoi conti pubblici.
 
Ancora oggi ci sono lavoratori e rappresentanti degli stessi che non hanno ben compreso cosa sta accadendo attorno a loro: una trasformazione epocale dell'economia occidentale che nessun sindacato potrà mai fermare o invertire nella rotta. Forse non lo sapete ma se quantificassimo pari a cento il costo del welfare sociale di tutto il mondo (assistenza, previdenza e sostegno al reddito in tutte le sue forme) il sessanta per cento di questo costo sarebbe sostenuto in Europa, con l'Italia in prima fila a vantare il primato mondiale. Quando sentite parlare di riforme strutturali per il paese (e ne applaudite all'idea) per sganciarlo da quelle logiche medioevali di protezionismo viscerale significa anche ridefinire e riformare quasi completamente il mercato del lavoro. In un paese in cui la curva demografica è girata verso il basso, solo la ricerca della piena occupazione può consentire la generazione di gettito fiscale e di risorse previdenziali per la preservazione del grado di coesione sociale della sua popolazione così come la conosciamo.
 
Perciò non si tratta di una strega cattiva che vuole sottrarre qualcosa a qualcuno per cattiveria, ma di riformare quei diritti e privilegi acquisiti nel settore del lavoro dipendente che hanno creato nel tempo l'ennesima casta nel nostra paese. Per questo motivo in Italia esportiamo eccellenze intellettuali e importiamo manodopera extracomunitaria di basso profilo desindacalizzata: chi vuole e potrebbe assumere non rischia a farlo, chi ha bisogno di maestranze docili punta a disperati disposti a tutto pur di lavorare e migliorare il proprio status sociale. In un paese in cui esiste una giungla di contratti di lavoro (se ne stimano quasi quaranta) che ha prodotto causa deregulation una massa di lavoratori troppo protetti ed un'altra priva di quasi tutto, la exit strategy per il rilancio occupazionale passa proprio per una profonda liberalizzazione, se non desindacalizzazione della forza lavoro al fine di mettere le imprese in grado di riassumere con velocità, dinamismo e senza costi impliciti assurdi. Gran parte del tanto osannato modello scandinavo infatti si basa proprio su questo.

Il futuro del mercato del lavoro deve pertanto portare ad una democratizzazione del rischio di impresa, coinvolgendo tutti i soggetti con essa correlati e collegati, non si può più ipotizzare una responsabilità solo in senso unico, ma anche le maestranze saranno chiamate a partecipare all'alea dell'insuccesso, della competizione e del rischio imprenditoriale. Purtroppo questo cambiamento (se non un vero e proprio stadio pupale) che avrebbe dovuto verificarsi in due decenni per consentire l'adattamento di tutti i soggetti coinvolti nel mondo del lavoro si dovrà verificare in appena due anni, generando le più grandi tensioni e rivalità che il nostro paese abbia mai vissuto in precedenza. Le prossime proposte di legge che verranno adottate andranno quindi in questa direzione, con la triste consapevolezza che la nuova medicina produrrà maggiori benefici non per chi si trova in età lavorativa oggi ma per chi si trova ancora sui banchi di scuola.