domenica 11 marzo 2012

Salvacondotto pacificato per Silvio. - di Luca Telese.





È arrivata la sanatoria occulta? Non siamo (solo) noi perfidi cattivacci del Fatto, a parlarne, ma l’icastico Roberto D’Agostino, che ieri ci regalava una mirabile sintesi politica: “Essì, il salvacondotto giudiziario per l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi esiste davvero, e lotta insieme a noi”. Dopotutto ci sono giorni in cui basta una sentenza dell’immancabile Claudio Scajola per capire che aria tira: “Credo che si incominci a capire – ha dichiarato festante l’ex ministro asuainsaputezza – che questo paese ha bisogno di pacificazione”. E la pacificazione, ovviamente, sarebbe l’annullamento della sentenza per Marcello Dell’Utri, l’ennesimo giro di valzer, l’ennesimo gioco dell’oca nell’Italia in cui mentre i poveracci vanno in galera, chi si può permettere una buona difesa è già mezzo assolto. La sanatoria occulta è una costellazione di fatti giudiziari e non, tutti apparentemente casuali, che – guardacaso – hanno iniziato miracolosamente a manifestarsi in parallelo con l’avvento dell’era Monti. Nel tempo dei professori sembra che le istituzioni si siano sincronizzate magicamente sulla prima legge della tecnocrazia all’italiana. Ovvero: se c’è in gioco un verdetto, o si parla di un provvedimento sgradito alla sinistra, entrambi vengono approvati prima ancora di mettersi al tavolo. Se invece c’è in gioco un verdetto, o si parla di un provvedimento sgradito alla destra, potete star certi che la palla non andrà in buca.

Solo dietrologia? Prendete la sentenza della Corte Costituzionale sul referendum anti-Porcellum. Due settimane prima del giudizio i due più importanti quotidiani italiani scrivono che la Corte è intenzionata a raccogliere una tesi che da tempo circola negli ambienti berlusconiani. Se il referendum dovesse andare in porto ad entrare in crisi sarebbe il governo. Nulla di strano: il Porcellum, come questo giornale scrive da tempo è l’architrave strutturale del governissimo, l’unica possibile ciambella di salvataggio del Pdl, la legge che qualsiasi segretario di partito si sogna la notte: gli permette di mettere i suoi brocchi in lista senza che debba rendere conto a nessuno. E così ecco un’altra coincidenza provvidenziale sulla via della pacificazione: la Corte boccia il quesito sostenendo che non sarebbe auto applicativo (a giugno, in un altro clima, per difendere la volontà dei proponenti aveva addirittura riscritto il testo di uno dei referendum). Ma poi si passa al processo Mills. Se Berlusconi dovesse essere condannato, il leader del centrodestra finirebbe nei guai, la fedina penale resterebbe macchiata, il Cavaliere potrebbe essere costretto, anche solo per difendere la sua immagine, a scuotere le fondamenta della maggioranza. Però come si fa a non condannarlo in un processo in cui il principale testimone ha ammesso (ed è stato anche condannato) il suo illecito? Ecco che, proprio quando persino il granitico Ghedini rinuncia ad ogni speranza arriva la provvidenza. Una nuova coincidenza che stavolta si manifesta sotto forma di prescrizione. Vabbè, d’accordo, sono solo due coincidenze. Ma la prima legge di Conan Doyle ci spiega anche che tre coincidenze fanno un indizio. Nessuna paura. Arriva anche la terza.

C’è una condanna a Marcello Dell’Utri, quello che abbracciato al Cavaliere gridava alla curva sud azzurrina che “Mangano è un eroe”. Quello che ci ha raccontato – mitico – che si è ritrovato (a Londra!) invitato al matrimonio del boss Jimmie Fauci solo perché era andato a una mostra sui vichinghi. Lì ha incontrato un amico (causalmente mafioso), Tanino Cinà, e quello lo ha invitato a una festa. E dispiace che uno si ritrovi in un processo per mafia solo perché ama le mostre e ha una passione per il popolo di Odino. Dopodiché si potrebbe paragonare l’attenzione che Monti e la Fornero hanno avuto per una questione che era vitale per i suoi elettori (il destino dei senza pensione “esodati”), pari a zero. E la ridicola manfrina del beauty contest. Il ministro Passera è andato da Fazio a dire che Mediaset doveva pagare. Cosa annunciata, nulla di fatto. Fedele Confalonieri viene ricevuto con gli onori di un capo di Stato. La legge Gasparri non si tocca. E le coincidenze continuano. Pacificazione sia, Ale-oo.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/11/salvacondotto-pacificato-silvio/196608/

Afghanistan, soldato americano fa strage di civili: 10 morti. “Raptus di follia”



“Un raptus di follia”. E’ questa, per ora l’unica spiegazione della strage di civili provocata, in Afghanistan, da un soldato americano. Almeno 10 dieci persone sono morte e 5 sono rimaste ferite in due località della provincia di Kandahar, in Afghanistan. Lo scrive il Washington Post online citando Javed Faisal, il direttore del Media Center del governo provinciale, contattato per telefono. Il militare, che è stato arrestato,ha agito da solo, in quello che – appunto – potrebbe essere stato un raptus di follia. Il soldato, dopo avere lasciato la sua base, ha iniziato a sparare intorno alle 3 di notte locali (le 06:30 italiane), colpendo civili in due distinti villaggi del distretto di Panjwai. Il distretto in questione, a sud-ovest di Kandahar City, è stato uno dei campi di battaglia più duri della guerra in Afghanistan, in quanto luogo di nascita del movimento dei Talebani. La strage si è verificata poche settimane dopo la vicenda dei corani bruciati da militari Usa, proprio quando l’ondata di protesta, con diversi morti tra cui anche soldati americani, iniziava a calmarsi.

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Pare, come riferisce l'agenzia IGN - Adnkronos, che tra le vittime vi fossero anche donne e bambini:

Roma (Ign) - Anche donne e bambini colpiti dal fuoco del soldato americano in due località della provincia di Kandahar. Un'azione confermata dalle autorità Usa che hanno detto che l'uomo è stato arrestato, ancora ignote le motivazioni del folle gesto e i dettagli.

Lusi, da Londra a Parigi fino alle Bahamas. Vacanze a cinque stelle a spese del partito. - di Rita Di Giovacchin


L'ex tesoriere della Margherita portava anche la famiglia: per andare ai Caraibi anticipò all'agenzia di viaggi 33mila euro. Rutelli: "Mai detto che vogliamo una restituzione parziale del maltolto. Noi vogliamo indietro l’intero maltolto".

L'ex tesoriere Luigi Lusi
Viaggi a New York, Londra, Malaga, Birmingham, Parigi, Venezia. Luigi Lusi, l’ex tesoriere, era un globe trotter, sempre con la famiglia al seguito e sempre in alberghi a cinque stelle. Il 20 marzo del 2011 all’Agenzia di viaggi Dolby Travel ha anticipato 33 mila euro per un viaggio alle Bahamas prenotato per il mese di agosto per lui e altri sei familiari. Il 20 marzo altri 20mila euro di anticipo, il 28 aprile altri 27 mila: alla fine questa vacanza è costata, alla Margherita s’intende, 80 mila euro. E il bilancio complessivo fornito dalla Dolby Travel ammonta a 218 mila euro e rotti.

Il senatore non badava a spese, due antipasti di pesce alla Rosetta, noto ristorante romano, sono costati 280 euro. Gli operai che hanno ristrutturato la villa di Genzano alloggiavano in un albergo pagato, sempre dalla Margherita, 1200 euro alla settimana. Per un week end da trascorrere a Sveti Stefan in Montenegro, dal 30 agosto al 4 settembre, aveva già anticipato 11.600 euro, poi per colpa della Finanziaria di Berlusconi, Lusi è stato costretto a rinunciare e ha addebitato all’ex partito una penale da 8.700 euro. Alla fine il bilancio è stato di 218.250 euro, almeno a quanto risulta dalle ricevute rilasciate dall’Agenzia di viaggi Dolby travel.

Alle allusioni, poco velate, sulle responsabilità degli ex compagni di partito nello sperpero del denaro pubblico, fatte dall’ex tesoriere Luigi Lusi durante “l’intervista rubata” trasmessa giovedì sera da Servizio pubblico di Michele Santoro, la risposta di Francesco Rutelli e della disciolta Margherita non si è fatta attendere.

Gli avvocati Titta Madia Alessandro Diddi hanno consegnato ieri ai pm Caperna e Pesci un’anticipazione dell’attesa superperizia affidata dall’ex partito al Kpmg, ufficio tra i più quotati nella revisione dei conti societari. Colpo su colpo. Le conclusioni annunciate dallo Studio K di fatto coincidono con quelle del nucleo tributario della Guardia di Finanza: tra il 2007 e il 2011 Lusi ha fatto sparire dal conto corrente 7975 – il polmone bancario dell’ex Margherita presso lo sportello della Bnl al Senato – 11 milioni attraverso il prelievo di contanti e di assegni di piccola e media entità a cifra tonda. Dall’analisi dei conti bancari emerge che in media l’ex tesoriere prelevava 30 mila euro al mese in contanti (che in quattro anni fanno 1 milione e 339.100 euro) somma che “mal si concilia con le esigenze di un partito con pochi dipendenti e teoricamente con poche operazioni di piccola tassa”. Sono tre i capitoli di spesa analizzati dal Kpmg da cui, come sottolineano i legali della parte offesa, emerge la vocazione “predatoria e la spregiudicatezza” del senatore Lusi, ormai non più indagato soltanto per appropriazione indebita, ma anche per “trasferimento fraudolento di beni provento di reato” che prevede fino a 12 anni di reclusione.

Ci sono anche falsificazioni: un rimborso spese da 8.200 euro si è trafsormato d’incanto in 28.200. Un quadro non troppo distante da quello offerto dal decreto di sequestro di una villa e dei cinque appartamenti di Capistrello che hanno coinvolto mezza famiglia: con lui sono sotto inchiesta la moglie Giovanna Petricone (“ricettazione, riciclaggio e trasferimento fraudolento»), il cognato Francesco Giuseppe Petricone («riciclaggio e trasferimento fraudolento”) come Micol D’Andrea, la nipote acquisita, che si è fatta intitolare la sontuosa villa di Genzano, pagata con il solito sistema degli assegni di piccolo taglio, tutti a cifra tonda per un milione e 250 mila euro. La lista dei “complici e presta-nomi” non si limita alla famiglia, nel decreto c’è un esplicito riferimento ad “altri”, commercialisti che curavano la contabilità delle società Ttt.

L’iniziativa degli avvocati Madia e Diddi apre un nuovo capitolo giudiziario. I legali della parte lesa chiedono alla procura di indagare anche sulle dichiarazioni fatte da Lusi a Servizio pubblico. Infuriato è apparso Rutelli: “Una cosa sia chiara, noi non abbiamo mai detto che vogliamo una restituzione parziale del maltolto. Noi vogliamo indietro l’intero maltolto. Quando si parla di patteggiamento riguarda una richiesta di Lusi”. L’ipotesi in effetti era stata avanzata dal difensore del tesoriere, l’avvocato Luca Petrucci che ieri ha presentato ricorso contro i sequestri disposti dai pm. Non si esclude neppure che Lusi venga nuovamente interrogato, e allora si capirà meglio se le sue premonizioni funeste si avvereranno: “Quando su di me sarà riversata altra merda… Se parlassi salterebbe il centrosinistra”.

Ieri, raggiunto da una nostra telefonata, si è limitato a dire: “Non dico nulla per carità, attenzione a notizie fatte filtrare. Alle Bahamas ci sono stato una volta soltanto anni fa, le cifre di cui mi parla sono iperboliche. Quanto all’agenzia Dolby è l’agenzia della Margherita”. L’ex boy scout ruggisce come un leone ferito. Degli 80 milioni incamerati in quattro anni, 20 sono ancora nella cassa Dl, 24 li avrebbe rubati Lusi (sugli ultimi quattro le indagini della Gdf sono a buon punto) ne mancano 36. Un pozzo di cui non si vede il fondo.

sabato 10 marzo 2012

Interno di edificio dell'architetto Michele Potito Giorgio.




La struttura di sostegno, sempre opera dell'architetto, è ispirata alle sculture del grande H. Moore.
Un insieme perfetto di spazio, luce, trasparenza ed arte ad altissimi livelli.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=3216788511881&set=a.2649667254204.127062.1631424268&type=1&theater&notif_t=photo_reply

Dell’Utri, sua onnipresenza. - di Peter Gomez



Filippo Alberto Rapisarda, l’amico del vecchio capo dei capi, Stefano Bontade, interruppe il suo discorso e, rivolgendosi al giovane cronista, chiese: “Ma lei conosce il dottor Dell’Utri?”. Subito dopo il discusso finanziere siciliano, con alle spalle una fedina penale alta qualche centimetro e una latitanza in Venezuela trascorsa alla corte dei boss Caruana-Cuntrera, si mise a urlare quasi a squarciagola: “Marcellino, Marcellino, Marcellino”. Fu così che Dell’Utri, versione 1989, entrò nella grande sala riunioni da una porticina nascosta tra gli stucchi. Guardò il giornalista e tendendogli la mano disse: “Io la leggo sempre, lei scrive molto bene. Ma sa… l’importante non è solo come si scrive. È importante soprattutto cosa si scrive”.

Ecco se si vuol raccontare davvero chi è Marcello Dell’Utri e la sua quasi infallibile capacità di avere rapporti con le persone sbagliate nel momento sbagliato, si può benissimo partire da qui. Dal palazzo di Rapisarda in via Chiaravalle a Milano, che Dell’Utri riprende a frequentare a partire dal 1988, dopo averci lavorato e vissuto sul finire degli anni Settanta, quando per quasi quattro anni si era allontanato da Silvio Berlusconi.

Un ritorno strano il suo. Ambiguo e carico di misteri, come è stata ambigua e carica di misteri la sua vita, destinata a farlo incappare, come testimone o indagato, in inchieste giudiziarie di ogni tipo: dalle stragi, alla P4, dalla corruzione, ai furbetti del quartierino, dalla frode fiscale, alla mafia e alla ‘ndrangheta. A fargli vestire, al di là dell’esito dei processi, i panni dell’'uomo nero della Seconda Repubblica.

Dell’Utri torna a calcare i pavimenti di via Chiaravalle che, secondo i testimoni, erano stati calpestati da uomini d’onore del calibro di Ugo Martello, Pippo Bono, Vittorio Mangano e, forse, Vito Ciancimino, pochi mesi dopo un esplosivo interrogatorio di Rapisarda. Un lungo verbale del luglio del 1987 in cui il finanziere, in quel momento accusato di bancarotta e mafia (sarà poi prosciolto), sostiene di averlo assunto nelle sue aziende nel 1978, dietro i pressanti consigli di Bontade, del costruttore mafioso Mimmo Teresi e di un loro parente acquisito, Gaetano Cinà, il proprietario di una piccola lavanderia palermitana. “Era molto difficile dire di no a Cinà” ricorda davanti a un magistrato Rapisarda, che poi aggiunge un carico da novanta. Dice di aver un giorno incontrato per caso Bontade e Teresi in piazza Castello a Milano. I due boss, afferma, gli avrebbero domandato un consiglio: “Berlusconi ci ha chiesto 20 miliardi di lire per diventare soci nelle sue televisioni. Secondo te è un buon affare?”.

Dell’Utri non presenta denuncia per calunnia. Incassa, tace e dopo anni di cattivi rapporti, fa la pace con il suo accusatore. Torna a frequentarlo, mentre sua moglie, Miranda Ratti, tiene a battesimo una figlia di Rapisarda. Nel 1992 a chi gli chiederà il perché di questo singolare atteggiamento, risponderà citando un proverbio siciliano: “Non si può tirare un sasso a ogni cane che abbaia”.

Smussare, mediare, alzare la voce solo quando è strettamente necessario, usare spesso frasi e detti della tradizione palermitana, è del resto una caratteristica di Dell’Utri. Così nel 1991, eccolo mentre dice al senatore repubblicano Vincenzo Garraffa, deciso a non versare una grossa somma in nero a Publitalia: “Abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Poche parole a cui seguirà un incontro tra Garraffa e un boss trapanese che chiede al parlamentare lumi sui problemi insorti “con l’amico Marcello”. Cinque anni dopo ancora una frase destinata, nel suo piccolo, a diventare celebre. Dell’Utri è appena stato ascoltato per 17 ore dalla procura di Palermo che lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei suoi problemi è il legame antico con il boss Mangano, in quel momento detenuto al 41 bis. Ma lui affronta i giornalisti con piglio sicuro: “Mangano? Se fosse libero ci prenderei un caffè”. Poi quando Piero Chiambretti gli chiede “esiste la mafia?”, sorride: “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”.

Insomma quando è in pubblico Dell’Utri dà l’impressione di fare di tutto per mostrarsi a proprio agio nei panni nei dell’uomo nero. E in privato addirittura raddoppia. Nel 2007, mentre il suo processo a Palermo è in corso, intercettando due uomini legati alla cosca Piromalli Molè i carabinieri scoprono che parlano con Dell’Utri, chiedendo aiuti per gli affari e promettendo voti. Intanto l’ex big boss della Banca di Lodi, Gianpiero Fiorani, racconta di avergli versato 100.000 in contanti, attraverso un altro senatore, per ottenere appoggi per la sua banca. Mentre la sorella di un capomafia siciliano latitante in Sud Africa gli telefona proponendogli un incontro. Dell’Utri non si nega. Ha una buona parola per tutti. E continua a far politica e business. Che poi per lui sono una cosa sola. Così nel 2009 di nuovo i carabinieri fotografano una riunione di lavoro. Intorno a un tavolo ci sono lui, il faccendiere Flavio Carboni e due esponenti dell’organizzazione poi ribattezzata P4: Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Con loro si discute di soldi e di giustizia. Ci sono appalti legati all’energia eolica da concludere e, secondo, l’accusa nomine al Csm da pilotare, giudici della Corte costituzionale e di Cassazione, da avvicinare.

Perché la linea della palma, come diceva Leonardo Sciascia, sale di un metro all’anno. Ormai ha superato abbondantemente Roma. E Dell’Utri, lo sa. Sciascia lo ha letto. Lui infatti è un uomo colto. Sul fatto.


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