martedì 20 marzo 2012

Boni, respinta mozione opposizioni. Formigoni dice pirla al capogruppo Idv.




 


Il Consiglio regionale della Lombardia ha respinto la mozione delle opposizioni (Pd, Idv, Udc e Sel) che chiedevano un passo indietro ai rappresentanti istituzionali che siano indagati, con implicito riferimento alla situazione del presidente leghista Davide Boni. La votazione - presieduta da Carlo Saffioti (Pdl) e con Boni assente - si è conclusa con 29 voti a favore 42 contrari. "Siamo di fronte all'ennesimo processo mediatico e di fronte a un attacco più politico che giudiziario", ha sostenuto il capogruppo della Lega, Stefano Galli, durante il dibattito, parlando di una "maggioranza compatta". Per il segretario regionale del Pd, Maurizio Martina, invece è stata "persa ancora un'occasione, dobbiamo dare un segnale unitario, è un'opportunità politica per tutti che si distinguano le situazioni personali dalle responsabilità istituzionali".
BONI, TEMPI MEDIATICI DIVERSI DA TEMPI GIUSTIZIA ''Nel ribadire con fermezza tutto quanto ho gia' detto, voglio anche sottolineare come i tempi mediatici poco si coniughino con i tempi reali della giustizia, nella quale ho da sempre fiducia'': lo ha detto il presidente del Consiglio regionale della Lombardia Davide Boni nell'aula del Pirellone. ''Come voi - ha detto dal banco della presidenza ai consiglieri - ho appreso molte informazioni dalla stampa''. Boni ha deciso di prendere la parola quando le opposizioni hanno depositato la loro mozione urgente.
DIBATTITO FORMIGONI DICE PIRLA A CAPOGRUPPO IDV - Duro scambio polemico al Consiglio regionale lombardo fra il presidente della Giunta, Roberto Formigoni, e il capogruppo Idv, Stefano Zamponi. Durante il dibattito sulla cosiddetta 'mozione Boni', Formigoni ha urlato "pirla, informati tu, pirla" all'indirizzo di Zamponi che lo aveva accusato di non aver mai lavorato. Poi, richiesto di scusarsi dal presidente di turno Carlo Saffioti, Formigoni ha preso la parola: "Mi correggo, lei è un bugiardo". ''Formigoni e' molto nervoso e sembra come l'ultimo giapponese che non ha capito che ormai ha perso la guerra dell'etica e della buona politica''. E' quanto afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. ''Comprendiamo il suo nervosismo - aggiunge l'esponente dipietrista - in quanto ogni giorno partono nuove inchieste giudiziarie sulla sua maggioranza, ma non comprendiamo perche' continui a rimanere aggrappato alla sua poltrona''. ''Faccia un favore a se stesso e alla Regione - conclude - si dimetta immediatamente. La Lombardia e i suoi cittadini non meritano questa cronica mortificazione''. Si è spinto a chiedere l'istituzione di un giurì d'onore, il capogruppo dell'Idv Stefano Zamponi, che stamani al Consiglio regionale lombardo si é sentito dare del 'pirla' e, poi, del 'bugiardo' dal presidente della Regione, Roberto Formigoni. Formigoni ha precisato di aver reagito all'accusa di Zamponi di non "aver mai lavorato e vissuto solo di politica" e non alle accuse politiche rivolte al governatore. Il capogruppo Idv ha però detto di "non essere un bugiardo" e di volere un "giurì d'onore come da regolamento", oltre che "una censura formale" da parte della presidenza per le affermazioni del governatore.

Cancellare la concussione? Il premier Monti non avalli questa porcata.



Massimo Fini denuncia: il reato per cui è imputato Silvio Berlusconi davanti al tribunale di Milano potrebbe essere scorporato in due fattispecie: estorsione e corruzione. Se il presidente del Consiglio non interverrà per fermare questa nuova legge ad-personam, non perderà l'appoggio del Pdl, ma verrà meno la fiducia degli italiani.


Il governo Monti ci ha chiesto pesanti sacrifici, resisi necessari dopo trent’anni di dissennata politica clientelare e di corruzione sistematica (la sola prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico) e, da ultimo, dalla drammatica inerzia di Silvio Berlusconi che, mentre l’UE chiedeva all’Italia interventi urgenti, si limitava a inviare a Strasburgo una ‘lettera di intenti’. Come l’Italia non si è liberata da sé dal fascismo, così non si è liberata da sé dal pericoloso pagliaccio. È dovuta intervenire la Merkel per farci capire che se continuavamo su quella strada facevamo la fine della Grecia. Berlusconi è stato cacciato, al suo posto è subentrato Monti. E gli italiani, pur se tartassati da tutte le parti, gli hanno dato fiducia, anche per il rigore morale, distrutto durante il quasi ventennio di berlusconismo.

Ora però Monti, per non perdere l’appoggio del Pdl e del Pd, si appresterebbe a varare una legge che cancella il reato di concussione di cui, assieme a quello di prostituzione minorile, Silvio Berlusconi è imputato davanti al Tribunale di Milano. Insomma la classica legge ‘ad personam’. Il Codice penale dà una definizione limpida della concussione all’art. 317: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. Berlusconi ci è cascato in pieno. La sola telefonata alla Questura è già, in sé, una indebita induzione, e poco importa che sotto interrogatorio ci fosse la ragazza Ruby, poteva trattarsi di qualsiasi altro. È proprio per l’evidenza del reato che la Procura di Milano ha potuto chiedere il processo per direttissima nel quale Berlusconi non avrebbe avuto scampo (per la prostituzione minorile la questione è più complessa, ma si tratta di una fattispecie meno grave) né avrebbe potuto puntare alla prescrizione perché i fatti sono recentissimi. La concussione, a differenza, poniamo, del “concorso esterno in associazione mafiosa”, non è un reato di nuovo conio, è un reato-base che esiste da quando esiste lo Stato moderno. Modificarla sarebbe come voler modificare il furto o l’omicidio.

E invece cosa si appresta a fare il governo Monti? A scorporare la concussione in due reati: l’estorsione, che esiste già e non riguarda precipuamente il pubblico ufficiale, e la corruzioneche pure c’è già e riguarda il corrotto e non il corruttore. Si ingenera così una gran confusione alle cui larghissime maglie non sarà difficile sfuggire. L’interesse del Pdl a un pateracchio del genere è evidente.

VIDEO DI MANOLO LANARO



Ma il Pd? Ho letto sul “Corriere” del 18/3 un’intervista ad Anna Finocchiaro. Si arrampicava sugli specchi. Diceva che il Pd rispondeva in questo modo “alle sollecitazioni dell’Ocse”. Ma l’Ocse è un’organizzazione internazionale, nemmeno europea, per la cooperazione e lo sviluppo economico e non si vede quale autorità e competenza abbia per modificare la legislazione penale di un Paese. A voler essere buoni si può dare del Pd la definizione che Carlo Maria Cipolla dà del cretino: uno che fa danni senza ricavarne alcun vantaggio.

Ad aggiungere, volutamente, confusione a confusione ci ha pensato Giuliano Ferrara in un articolo sul “Giornale” del 18/3. Evidentemente Manzoni quando disegnava l’immortale figura dell’Azzeccagarbugli conosceva già il ciccione. Ferrara, mette insieme elementi sociologici, psicologici, pseudoculturali, emotivi, che non c’entrano niente col diritto, svariando da Donizetti a Strauss-Kahn. È il solito cambio dei piani del discorso, il gioco delle ‘tre tavolette ‘ che non si pratica nemmeno più in via Prè. Ma raggiunge l’apoteosi quando arriva al punto. “Quello che accadde quella notte lo sanno tutti. Berlusconi fu avvertito che una signorina sua amica di bisbocce private, simpatica e un po’ matta… preda molto appariscente nell’Italia guardona che voleva far fuori il premier per le feste che teneva a casa sua, era nei guai in Questura a Milano. Le diede una mano come farebbe chiunque non abbia gli occhi foderati di loscaggini legalitarie. Chiunque inteso come privato. Lo avrei fatto anch’io. Chiamò, rassicurò con estrema gentilezza il funzionario, sollecitò una soluzione che evitasse guai alla ragazza che si era messa nei guai, raccontò anche qualche balla su Mubarak perché è persona fantasiosa e verbalmente incontinente. Insomma mise la sua voce delicata e suadente un passettino oltre le regole e incaricò un’amica, amica delle sue amiche, di andare a prendere la giovinetta. Tutto qui… Qualcuno mette talvolta un comportamento garbato e possibilmente efficace allo scopo, prima delle astratte leggi etiche e per questo gli si vuole bene. In quanto Berlusconi era presidente del Consiglio, lo scandalo c’era. Poteva essere trattato con dignità e finire con un rabbuffo per un aiutino inopportuno, con delle scuse gentili per una telefonata inopportuna, qualcosa d’inopportuno che soltanto un fantastico ‘italiano nella folla’ come Berlusconi poteva compiere personalmente, con particolari alla Totò, laddove i politici suoi censori dispongono di una catena di comando ed erano bravi in tanti affaires a far fare il lavoretto a qualcuno che non fossero loro”.

Piacerebbe a tutti, credo, commettere reati da dodici anni di galera e cavarsela con un ‘rabbuffo’. Piacerebbe a tutti, credo, raccontare balle sesquipedali alla polizia e non subirne conseguenze. Un ‘aiutino’ che sarà mai? Da parte poi di una persona così generosa che, con la collaborazione di “un’amica delle amiche”, ha fatto finire la minorenne Ruby proprio là dove non doveva finire: in casa di una prostituta patentata. La sola cosa sensata che Ferrara scrive è che così fan tutti anche, e meglio, quelli di sinistra.

Siamo alle solite. Questi qui, destra e sinistra, si lavano le mani l’uno con l’altro. Ma non hanno ancora capito che destra e sinistra non esistono più e che non possono più salvaguardarsi vicendevolmente con i soliti, logori, trucchetti. La loro credibilità è al 4%. E se Monti avallerà quest’ultima porcata, gli italiani gli toglieranno quella fiducia che gli hanno così generosamente concesso. Sono quarant’anni che noi ‘italiani nella folla’ veniamo presi per il culo. Dai politici, di destra e di sinistra, dagli intellettuali al loro servizio e adesso anche dai cosiddetti ‘tecnici’. La misura è colma. Per questi Ben Alì l’ora è vicina.


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lunedì 19 marzo 2012

Evasione fiscale, Lombardia al top nel 2010 scovati più di otto miliardi.


La regione è al primo posto anche per numero di controlli effettuati dall'Agenzia delle entrate e imposta accertata. Al secondo posto della lista c'è il Lazio, seguito a ruota dalla Campania.


Gli accertamenti fiscali diminuiscono, ma diventano più fruttuosi. Nel 2010 l'Agenzia delle entrate ha effettuato seimila controlli in meno rispetto all'anno precedente ma ha aumentato il 'bottino', almeno in termini di evasione scovata, anche se resta un sensibile scarto fra quanto accertato e quanto poi viene effettivamente riscosso. La maggiore imposta accertata si attesta a 27,8 miliardi di euro, il 5,7 per cento in più rispetto al 2009. In Lombardia la caccia agli evasori ha fatto registrare un aumento della presunta evasione: +48,6 per cento rispetto all'anno precedente, per un ammontare di 8,2 miliardi di euro. In crescita invece la fedeltà fiscale in Emilia Romagna, dove i controlli del 2010 hanno fatto emergere un calo dell'evasione (sempre in termini di maggiore imposta accertata) del 54,9 per cento. E' quanto risulta dai dati della lotta all'evasione nel 2010 dell'amministrazione fiscale, divisi regione per regione.

In termini assoluti è ancora la Lombardia in cima alla classifica per accertamenti e imposta accertata. E' evidente però che sul dato incide il peso che la regione ha nell'economia nel Paese. Al secondo posto per maggiore imposta accertata dall'amministrazione fiscale figura il Lazio (5,5 miliardi di euro, ammontare che però registra un calo del 4,8 per cento rispetto all'evasione scovata nel 2009). In questo caso va ricordato il fatto che in questa regione si sono registrate importanti operazioni (come Telecom Sparkle) che hanno fruttato importanti introiti per l'erario. Terzo posto per la Campania con poco più di 2 miliardi di euro, pari a quelli dell'anno precedente.

Per quanto riguarda le tipologie di contribuenti, 5,4 miliardi dell'evasione scoperta nel 2010 arrivano dai 2.609 grandi contribuenti oggetto di controlli: le società con un giro d'affari superiore ai 150 milioni di euro. Considerato il tessuto economico dell'Italia, il lavoro del fisco tra i 'paperoni' è stato concentrato al Centro-Nord. La metà dei controlli sono stati effettuati fra Lombardia e Lazio. Al Sud i controlli sui big sono stati una manciata: 46 in Campania (16,9 milioni l'evasione rintracciata), 33 in Puglia (con 88,9 milioni di maggiore imposta accertata), 20 in Sicilia (3 milioni) e sei in Calabria (2 milioni).

Compravendita auto, frode da 85 milioni.



Contabilita' parallela e fatture false, violazioni iva per 23 mln.


ANCONA - Una frode fiscale da 85 milioni di euro nel settore della compravendita di auto è stata scoperta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Ancona, che ha anche accertato violazioni all'Iva per 23 milioni di euro, e denunciato i responsabili di due società specializzate nella vendita e riparazione di veicoli.
Al centro del raggiro, una vera e propria contabilità parallela messa in piedi dalle due società fra il 2003 e il 2006, con l'emissione di fatture per operazioni inesistenti in modo da poter beneficiare di detrazioni di imposta non dovute. Dopo aver venduto un'auto o una moto e fatturato l'acquisto nei confronti del cliente, le due società emettevano a favore dell'acquirente, e a sua insaputa, una nota di credito a storno dell'operazione di vendita.
Salvo poi, e solo nel momento più utile ai truffatori, emettere una nuova e diversa fattura verso il cliente, ignaro di tutto. Un meccanismo esteso a moltissimi clienti, che ha consentito di rinviare all'infinito il versamento delle imposte dovute. I titolari delle società sono stati denunciati per frode fiscale e emissione di fatture false. La Gdf ha proposto il recupero a tassazione di una maggiore base imponibile ai fini delle imposte dirette di 85 milioni di euro, somma contestata separatamente anche ai fini Irap.

Conto m'arrangio...



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=297264157004425&set=a.268918666505641.65638.257665444297630&type=1&theater

Ventiquattro miliardi persi nei derivati, di chi è la colpa? - di Gianfranco Modolo



 

31 miliardi di dollari, circa 24 miliardi di euro al cambio attuale, che l’Italia ha perso dal 1994 ad oggi per errate manovre sui prodotti derivati (a tutto vantaggio di un ristretto manipolo di banche estere tra cui primeggia Morgan Stanley) non sono una cifra di poco conto. 24 miliardi di euro equivalgono a più di una delle tante manovre di aggiustamento dei conti pubblici che i governi di Silvio Berlusconi e di Mario Monti hanno propinato al paese nel tentativo di salvarlo da una situazione per molti versi simile a quella di altri paesi europei. Con 24 miliardi di euro si potrebbero ridurre tasse e accise sulla benzina, si potrebbero aumentare gli ammortizzatori sociali, si potrebbero assumere i 10.000 insegnanti precari che stanno sospesi, tanto per restare ai fatti più eclatanti. In questa vicenda sorprende il fatto che poca attenzione sia stata dedicata dai media e dalle forze politiche e sociali a chi dovrebbe assumersi la responsabilità del danno la cui entità riportata da Bloomberg, 24 miliardi di euro, non è stata sino ad oggi smentita. Chi nel lontano 1994 ha preso la decisione di affidarsi ai prodotti derivati, con le più lodevoli intenzioni, speriamo, portandoci ai risultati di cui sopra? Chi in questi 18 anni non ha fatto nulla per uscire da un contratto che si rivelava sempre più un salasso per le finanze nazionali?

Un breve ripasso della recente storia politica può chiarire un quadro che nessuno sembra intenzionato a rendere pubblico. Nel 1994, anno di stipula dell’accordo, i due governi che si alternano non sono certamente guidati da sprovveduti in materia di ingegneria finanziaria e conoscenze. Sino a maggio troviamo ai vertici dell’esecutivo l’ex governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, mentre il ministero del Tesoro, è  guidato da Piero Barucci, banchiere fiorentino. Sotto il suo controllo si trovano l’immensa massa dei Bot e degli altri titoli di Stato che generano il debito pubblico nazionale, nonché il rapporto con la Banca d’Italia per la gestione della lira, ancora in tensione dopo la tempesta dei cambi. Non dimentichiamo infine che  nel 1994 alla direzione generale del Tesoro, guidata da Mario Draghi (poi governatore di Bankitalia e quindi di BCE), troviamo l’attuale vice ministro delle finanze Vittorio Grilli, in qualità di capo della commissione per le analisi finanziarie e le privatizzazioni. Insomma, governo e ministero del Tesoro sono in mano a persone competenti.

A maggio arriva a palazzo Chigi Silvio Berlusconi, appena sceso in campo, e con grande successo. Forse Berlusconi se ne intende più di immobili, di Tv commerciali e di supermercati, ma il Tesoro è retto da Lamberto Dini, brillante economista fiorentino, fino ad un anno prima direttore generale di Bankitalia. Dini non è arrivato ai vertici di Via Nazionale perché il governatore Ciampi, scrivono le cronache dell’epoca, gli avrebbe preferito il vice Tommaso Padoa Schioppa. Si raggiunge  un compromesso tra Ciampi e il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, e in Via Nazionale arriva Antonio Fazio. Al fianco di Dini ci sono sempre Mario Draghi e Vittorio Grilli, mentre alle finanze troviamo Giulio Tremonti. Tutte teste fini, dunque.

Gli anni passano, il contratto con i derivati continua a macinare perdite ma il ministero del ministero del Tesoro, che poi viene conglobato con le finanze, non si muove. Ai vertici del ministero nell’ordine si susseguono nel 1995 Dini ad interim nel governo da lui stesso presieduto, Ciampi nel primo governo di Romano Prodi 1996-1998, Giuliano Amato nel governo D’Alema 1999-2000, quindi Tremonti nei tre governi Berlusconi sino al 2011 e Padoa Schioppa nel secondo governo Prodi 2 del 2006-2008.

Per concludere, non sono più di undici i personaggi che dovevano per forza essere al corrente del contratto con Morgan Stanley, o per averlo progettato o per averlo autorizzato: Ciampi, Barucci, Dini, Amato, Prodi,Tremonti, Berlusconi, Draghi, Grilli, D’Alema e Fazio. Sempre che qualche direttore generale del Tesoro non si sia mosso di propria iniziativa inguaiando i conti pubblici ad insaputa dei vertici. Ma gli undici appena indicati che facevano, non erano lì per controllare?

Scriveva ieri Repubblica: nei bilanci vige il principio dello scarafaggio, dove ne vedi uno ce ne sono tanti. Perché il governo non prende posizione in merito, non rivela la vera storia di questo contratto e non rende nota l’eventuale esistenza di altri contratti del genere? L’incertezza alimenta il sospetto nella comunità degli investitori italiani ed esteri. Aveva forse ragione l’analista di Wall Street che qualche mese fa ha accusato l’Italia di essersi comportata come la Grecia nell’imbellettare i conti pubblici? E perché Morgan Stanley nel disdettare il contratto (lo ha fatto la banca, che pure ha guadagnato non poco) afferma che sarebbe stato più oneroso per lei rinnovarlo che chiuderlo? Forse la banca teme che in futuro l’Italia non potrà far più fronte agli impegni? Gli italiani hanno fatto e sono pronti a fare altri sacrifici, ma almeno devono avere certezze. Sopratutto devono sapere che in questo frangente gli autori di scippi di penna (come chiamano a Napoli i buchi finanziari) devono essere chiamati a rispondere del loro operato. Nessuno escluso.


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