sabato 31 marzo 2012

E Mediaset disse a Fede: “Bocca cucita su B.”



Il Biscione propose all'ex direttore del Tg4 un accordo di buonauscita che non è andato a buon fine: silenzio sulle vicende dell'ex presidente del Consiglio. Bunga bunga compreso.


L'ex direttore del Tg4 Emilio Fede
C’era pure una clausola di riservatezza tutta particolare nell’accordo saltato tra Mediaset ed Emilio Fede. L’ormai ex direttore del Tg4 avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa non solo sui particolari dell’organizzazione e dei bilanci del gruppo del Biscione. Ma anche su informazioni di “qualsiasi altro genere” riguardanti gli azionisti della società. Berlusconi compreso, quindi. Il segreto più assoluto sarebbe calato persino sulle serate di Arcore a base di bunga bunga. Quelle al centro dei due processi Ruby che hanno come imputati – in dibattimenti distinti – sia il Cavaliere che il giornalista. Vicende giudiziarie che si aggiungono all’inchiesta in cui Fede è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta dalla Procura di Milano, che proprio ieri gli ha inoltrato un invito a comparire: i magistrati lunedì cercheranno di capire se il suo presunto viaggio a Lugano è stato fatto per depositare denaro sottratto alla LM Management, la società di Lele Mora dichiarata fallita.

L’ACCORDO tra Fede e RTI, società del gruppo Mediaset, era quasi pronto. Per la buonuscita si è parlato di cifre tra i 5 e i 10 milioni di euro. Somme non confermate, che non erano ancora state inserite nella bozza d’intesa di cui il Fatto Quotidiano è venuto in possesso. Nel documento, che risale a metà febbraio, a parte i soldi, sono già chiari tutti gli altri aspetti. La data di cessazione del rapporto di lavoro: quel 30 giugno 2012 messo nero su bianco, mentre Fede avrebbe voluto spostarla più in là. E la clausola di riservatezza: “Il giornalista non divulgherà né rivelerà ad alcuno qualunque rilevante informazione produttiva, organizzativa, finanziaria, fiscale o economica relativa al datore di lavoro”. E fin qui niente di strano. Segue però l’impegno a non divulgare “ogni altra informazione riservata o privata relativa agli affari o alle attività giornalistiche, editoriali o di qualsiasi altro genere” riguardante il gruppo Mediaset. E i suoi “azionisti”, tra cui c’è pure il Cavaliere. Tre parole (“qualsiasi altro genere”) per blindare ogni “segreto”: così vengono definiti nella bozza dati e informazioni da non diffondere. Chissà se Fede ne avrebbe tenuto conto davanti ai pm che lo accusano di favoreggiamento e induzione alla prostituzione per le feste a villa San Martino. Del resto, da imputato, non rischia conseguenze penali se non dice la verità.

Anche alle vicende giudiziarie si faceva riferimento nell’accordo: il giornalista “si impegna espressamente a non trattare personalmente in video sino alla data di cessazione nel corso del Tg4 vicende connesse a procedimenti penali che lo riguardino direttamente o indirettamente”. E connesse “a vicende personali comunque collegate o collegabili con società del gruppo Mediaset o relativi rappresentanti”. Davanti alle telecamere del Tg4, quindi, nessuna parola sui guai giudiziari del Cavaliere. Ne avevano facoltà solo gli altri giornalisti del tg. Sbigottiti per la cacciata. Ieri, con una nota, hanno giudicato negativamente la chiusura della rubrica di spettacolo Sipario, la prima decisione del loro nuovo direttore Giovanni Toti. Che ha mandato via la conduttrice, la favorita di Fede, Raffaella Zardo.

QUELLO VECCHIO l’hanno mandato via prima che firmasse l’accordo, con una nota che ha fatto riferimento alla trattativa “non approdata a buon fine”. È finita diversamente da quanto previsto: la notizia della risoluzione del rapporto di lavoro, secondo la bozza d’intesa, doveva essere data con un comunicato stampa concordato tra le parti. Blindatissime le informazioni da divulgare sulla trattativa: ogni ulteriore dichiarazione avrebbe dovuto essere coerente con il comunicato stampa e le parti si sarebbero impegnate a “precisare o smentire ogni diversa ricostruzione che dovesse essere diffusa da qualsiasi mezzo o fonte”. L’accordo hanno provato a farglielo firmare qualche giorno prima che la storia della valigetta con i 2,5 milioni di euro facesse precipitare la situazione, fino al licenziamento. Era già definito anche il futuro ruolo che Fede avrebbe avuto all’interno del gruppo: direttore editoriale informazione a partire dall’ 1 luglio 2012 per tre anni, più un’opzione a favore di Rti per il rinnovo di altri due. E, in più, “la conduzione di un programma di approfondimento giornalistico, simile e analogo a Password”.

Ma Fede ha tirato troppo la corda. In passato appassionato di gioco d’azzardo, ha rilanciato un’altra volta. “Sono stato capriccioso, testardo”, ha ammesso. Consapevole che ora gli resta un’ultima trattativa da affrontare, perché la sua uscita da Mediaset sia davvero un arrivederci e non un addio. Anche per questo, forse, ha preso tempo con i pm. Fede ha chiesto di essere ascoltato e si presenterà dai magistrati lunedì. I pm erano pronti a interrogarlo già ieri, ma i suoi legali hanno chiesto un rinvio. L’ex direttore avrà ancora un weekend. Per giocare tutte le sue carte.

venerdì 30 marzo 2012

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 3

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 2

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 1

ESM e Fondo Salvastati il doppiogioco della Merkel (Lidia Undiemi)

LA PISTA DEGLI UFO-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-30/03/12





Le ultime autodifese di Lusi e Fede segnano una nuova svolta nell’inesauribile repertorio di alibi dei Vip coinvolti negli scandali. Fermo restando che a nessuno passa mai per la testa di dire “sono innocente, quella cosa non l’ho fatta, non è mai esistita”, ecco un breve prontuario di alibi  prêt-à-por ter.


Così fan tutti. Un classico, già sperimentato con insuccesso da Craxi, Mastella e vari epigoni e i cascami di Prima Repubblica, ma anche da Moggi, ma ancora molto in voga per il suo innegabile fascino. 
Funziona così: se ti accusano di un reato, tu non dire mai “non c’entro ”, tanto non ci crede nessuno: di’ che lo fanno anche gli altri. Dunque, se lo fanno in tanti, non è
reato .


A prescindere. È la linea B.. Mai entrare nel merito delle accuse né dei fatti accertati, ma spostare l’attenzione altrove: sull’orario dell’indagine, del processo, della requisitoria, della sentenza (sempre “a orologeria”); o sulle presunte idee o intenzioni o patologie del magistrato (comunista, giustizialista, matto, golpista). Alla peggio si rivendica il diritto di esser “giudicato dai miei pari” (che non esistono), o dopo la cessazione dalle cariche (campa cavallo), o
previa autorizzazione delle Camere (cioè mai), o meglio a non essere giudicati, punto. “Sono un cittadino più uguale degli altri perché ho avuto i voti”  B.), “il premier non è primus inter pares, ma super pares ” (Pecorella), “le annotazioni del premier impongono l’immediata assoluzione” (Bonaiuti), “Io so’ io e voi nun siete un cazzo” (marchese Onofrio del Grillo).


Modica quantità. È la linea Romiti, che tentò di farsi assolvere perché i fondi neri sottratti ai bilanci della sua Fiat – 100 miliardi di lire o giù di lì – erano “irrilevanti” sui risultati di esercizio. Naturalmente fu condannato lo stesso, ma la sentenza fu poi revocata grazie alla legge B. che introdusse la modica quantità per i falsi in bilancio come per la droga: uso personale.


Eccessiva quantità. È la linea Bertolaso che, accusato di avere preso 50 mila euro da  Anemone, dichiarò al Corriere: “Ma le pare che uno del mio livello si fa comprare per 50 mila euro?”. Non è sbagliata l’accusa, ma la tariffa. 
Anche Pomicino, accusato per 3,5 miliardi di lire da Montedison, corresse Di Pietro, piccato: “Prego, dottore, i miliardi erano 5,5”. Guai a passare per un pezzente che si vende per un piatto di lenticchie. 
Previti, beccato a inquinare le prove di Imi-Sir, si salvò dall’arresto alla Camera non per il fumus  persecutionis, ma per l’arrostus delinquentonis: le prove a carico erano così tante e
gravi che lui, anche volendo, non poteva inquinarle tutte. 
Stessa tecnica usa Dell’Utri, che fa amicizia con tutti i criminali che incontra, si fa intercettare, filmare e fotografare con loro, s’infila in ogni scandalo, compra all’asta i volantini Br, dice che la mafia non esiste. Tutto per poter poi dire, come l’avvocato interpretato da Alberto Sordi: “Il mio cliente ha la faccia da ladro. Ma nessuno, con la sua faccia da ladro, farebbe mai il ladro. Per rubare ci vuole la faccia onesta. Chiedo pertanto l’assoluzione perché la faccia non costituisce reato”. Nel film il cliente di Sordi finisce in galera. In Cassazione Dell’Utri trova un Pg e 5 giudici col “ragionevole dubbio”.


A mia insaputa. Inventato da Scajola per la casa pagatagli da Anemone senza dirgli niente, l’alibi è tosto dilagato da B. (credevo che Ruby fosse la nipote di Mubarak) a Malinconico (ferie pagate dalla cricca a sua insaputa), da Minzolini (usava la carta di credito Rai per cazzi suoi, ma pensava si potesse) a Rutelli (Lusi rubava all’insaputa della Margherita). 
Cioè: non sono un delinquente, sono un idiota. 


Al posto mio. Ed ecco l’ultima, decisiva svolta. 
Lusi, beccato a spendere e spandere milioni tra hotel e ristoranti con la carta di credito della Margherita: “Qualcuno l’ha strisciata al posto mio”. Fede beccato in Svizzera mentre tenta di esportare 2,5 milioni in contanti in una valigetta: “Qualcuno è andato in Svizzera al posto mio per incastrarmi”. 


Prossima mossa: gli Ufo.


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giovedì 29 marzo 2012

Vogliono peggiorare il Porcellum. - di Paolo Flores d'Arcais




Il diavolo sta nei dettagli, e dunque non è detto che una nuova legge elettorale veda la luce in tempo per le prossime politiche. Ma intanto si sono messi d’accordo sulle linee fondamentali, e chiamarlo “inciucio” è perfino riduttivo. Bersani, Casini e – absit iniura verbis – Alfano esibivano l’aria palesemente e giustamente soddisfatta del gatto col sorcio in bocca. Peccato che la loro preda siano in questo caso gli elettori, una volta di più “cornuti e mazziati”. Perché sembrava impossibile, dopo la “Porcata” di calderoliana memoria, confermare il detto popolare che “al peggio non c’è mai fine”, e invece la nostra “banda dei tre” sembra intenzionata a riuscirci. Il modello elettorale delineato riesce a mettere insieme, in fatto di scippo ed espropriazione della volontà dei cittadini, il meglio (cioè il peggio) dei diversi sistemi esistenti. 

Non è chiaro se i collegi elettorali (di ridotte dimensioni) saranno uninominali o meno. Se sì, col turno unico si fanno fuori d’emblée tutti i partiti tranne i due (o tre) più forti, e si sopprime nella culla ogni possibilità di nascita per forze nuove che vengano dalla società civile. Se saranno collegi che eleggono con il metodo D’Hondt 5-7 deputati, il meccanismo cancellerà di fatto liste che non prendano il 10 per cento o anche più. Inoltre, l’obbligo di indicare un candidato premier manterrà la personalizzazione della campagna elettorale, ma la mancanza di ogni vincolo di coalizione consentirà ai gerarchi dei (tre) partiti maggiori di decidere le alleanze dopo le elezioni, secondo opportunità e alla faccia delle promesse agli elettori. Che ovviamente continueranno a contare zero nella scelta dei candidati, e avranno la solita libera alternativa: “O questa minestra o saltare dalla finestra”.


L’aspetto più nauseabondo di questo patto monopolistico della “banda dei tre” è che le formule per consentire insieme sia un’ampia scelta agli elettori (il famoso “riavvicinamento” tra elettori ed eletti, che a ciance tutti predicano e spergiurano) sia la stabilità di governo per l’intera legislatura, ci sono, sono più d’una (sia di stampo proporzionale che maggioritario), sono ben note e sono facili da introdurre. Hanno il solo difetto che toglierebbero agli attuali cacicchi delle tre forze principali l’abnorme potere del Minosse dantesco che “giudica e manda secondo ch’avvinghia”: fare e disfare a proprio piacimento e nella certezza dell’inamovibilità (che poi è anche garanzia di impunità).


Se si sceglie il versante proporzionale, per la stabilità dei governi non c’è necessità di sbarramenti, basta la sfiducia costruttiva e il rischio che in caso di dimissioni senza alternativa il Parlamento va a casa. Il difetto resta però la scarsa rappresentatività dei partiti-macchina, grandi o piccoli che siano. C’è allora un sistema maggioritario che consente di soddisfare a tutte le virtuose richieste sia di rappresentatività che di stabilità: il maggioritario a doppio turno con primarie vincolanti, cioè incorporate nel sistema stesso. Tecnicamente se ne possono dare alcune varianti, la sostanza non muta: fin dal primo turno il cittadino si trova a scegliere fra coalizioni (dunque nessun opportunismo post-elettorale con gran tripudio di voltagabbana), ma lo fa votando uno dei molteplici candidati della coalizione, che saranno i candidati dei singoli partiti, ma anche degli outsider senza partito che abbiano raccolto un numero sufficiente di firme (l’obbligo di raccogliere tot firme dovrebbe valere anche per i candidati sponsorizzati dai partiti, sia chiaro: niente privilegi).


Facciamo un esempio: nella mia circoscrizione per il centrosinistra il Pd candida Bersani, il Sel Vendola, l’Idv Di Pietro, ma per fortuna un gruppo di cittadini con una petizione di grande esito costringe a candidarsi anche Andrea Camilleri, mentre dei “fighetti” rampichini raccolgono firme per Renzi. Finalmente potrei votare senza turarmi il naso, e con me una parte cospicua di quel 45 per cento di elettori che oggi dichiarano esplicitamente che – sic stantibus rebus – a votare non ci andranno più. Al secondo turno passerebbero le due coalizioni più votate, e per ciascuna di esse il più votato all’interno della coalizione.

 
Dato il carattere uninominale del voto, sarebbe altissima la probabilità che in Parlamento una delle coalizioni abbia la maggioranza assoluta. La stabilità del governo potrebbe essere rafforzata dalla clausola della sfiducia costruttiva, ma tale stabilità avverrebbe restituendo potere ai cittadini, non concentrandolo nelle mani di tre leader e dei loro amici e amici degli amici. Sia chiaro, una legge elettorale non produce miracoli. Se non si combatte l’illegalità, la prevaricazione di classe, il crescere a dismisura della diseguaglianza, anche con le primarie a vincere potranno essere i Toni Mafioso e Toni Corrotto di Ascanio Celestini. Un rinnovamento radicale, insomma, può essere figlio solo di tante lotte che mobilitino la società civile in tutti gli ambiti essenziali della vita pubblica.


Ma mentre la proposta di “riforma” elettorale della “banda dei tre” non farebbe che rafforzare il circolo vizioso di monopolio partitocratico – disaffezione dei cittadini – monopolio ancora più corrotto, una legge elettorale che garantisca l’irruzione permanente della società civile nella vita politica fin già dalla scelta dei candidati, aprirebbe degli spazi di rinnovamento e dunque anche di moralizzazione. Che la riduzione radicale dei parlamentari, il limite a due mandati, e altre misure di cui tante volte abbiamo parlato, amplificherebbero ancora.




http://temi.repubblica.it/micromega-online/vogliono-peggiorare-il-porcellum/