sabato 7 aprile 2012

Rosi Mauro, il compagno e le lauree pagate Dalle casse leghiste ai “Kooly noody”. - di Giampiero Calapà e Silvia D’Onghia


"Denaro all'amante di Rosy Mauro per diploma e laurea". Si tratta di Pier Moscagiuro, in arte Pier Mosca, cantante di Varese che ha inciso con Enzo Iacchetti la canzone 'Kooly noody' . Poliziotto in aspettativa, ex scorta del Senatur e di Maroni, Moscagiuro ora lavora per la leghista . La Mauro si difende: "M'infangano per colpire il SinPa", che via Bellerio ha già deciso di chiudere.

Le banche, la politica, la borsa coi suoi guai / e a fine mese non si arriva mai / Aumentano le spese poi, benzina luce e gas / e a kooly noody ci hanno messo già / Le promesse non valgono, i patti non si rispettano / loro di noi se ne fregano / siamo rimasti tutti a kooly noody”. Proprio tutti forse no. Pier Mosca è un cantautore varesotto di 36 anni, anzi, un “giovane artista appassionato di musica”, che ha avuto la fortuna di incidere una canzone con Enzo Iacchetti (“Kooly noody”, che si legge “culi nudi”, appunto) e di farsi produrre un disco dalla Immaginazione srl, l’etichetta dello stesso conduttore di Striscia. Col quale ha l’onore di salire sul palco della Notte Bianca di Varese. “È successo un anno e mezzo fa, è da allora che non lo vedo – conferma Iacchetti –. Non lo conoscevo, l’ho solo trovato un giorno in casa discografica, mi ha chiesto di incidere una canzone per beneficenza”. Che c’entra il cantautore Pier Mosca con Rosy Mauro? È lo stesso Iacchetti a legare i fili: “So che faceva il poliziotto”.

IL VIDEO DI PIER MOSCA




Ma si scopre che Pier Mosca è il nome d’arte di Piero Moscagiuro, poliziotto in aspettativa, finito a lavorare con un contratto alla Vicepresidenza del Senato. Infatti, a quanto racconta Nadia Dagrada, la segretaria di Umberto Bossi, ai pm che stanno indagando su “Lega ladrona”, l’agente cantautore sarebbe il compagno di Rosi Mauro, anzi “il gigolò, perché in fondo quello è”, dice Nadia Dagrada a Francesco Belsito, l’ormai ex tesoriere della Lega, come rivelano le intercettazioni. Proprio a Pier, secondo la Dagrada, sarebbero arrivati i soldi per pagare gli studi per conseguire diploma e laurea in Svizzera, intorno ai 130 mila euro (a cui avrebbe attinto anche la stessa Mauro), oltre a un aiuto per ottenere un mutuo agevolato.

Nel verbale dell’interrogatorio si legge: “Per quanto attiene l’amante di Rosi Mauro – afferma Dagrada –, Belsito mi ha riferito che Pier Giuramosca (sic), poliziotto, attualmente suo segretario particolare, è stato da lei aiutato a ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa e ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosi è Vicepresidente dello stesso organo”. A quanto ammonterebbero queste spese passate dalle casse padane agli affari di Rosi e del cantautore Pier secondo la Dagrada? Tutto verbalizzato dai pm di Napoli e Milano: “Il diploma e la laurea (forse in corso) di Mosca-giuro Pier, compagno e segretario particolare della Rosi Mauro; il diploma e laurea (forse in corso) per la Rosi Mauro per complessivi 130 mila euro”.

Poi ancora “spese per acquisto e noleggio di autovetture, spese di soggiorno per vacanze, spese per la telefonia, comodato d’uso a titolo gratuito dell’associazione umanitaria Padana”. Quando, qualche anno fa, l’agente Moscagiuro è stato trasferito dalla Questura di Varese, i colleghi sono rimasti perplessi. Quel poliziotto era in servizio presso l’ufficio tutele dei ministri Bossi e Maroni. Nel frattempo avrebbe conosciuto la tredici-anni-più-grande-di-lui Rosi Mauro. “Era entrato nell’occhio del ciclone”, rivela al Fatto un ex collega che vuole rimanere anonimo. A Varese la sua famiglia è conosciuta e di lui si sa che amava dilettarsi alle feste con la musica. Un bel salto di qualità, dunque, anche musicale. Sarà che l’anno della Notte Bianca a Varese Pier Mosca ha già conosciuto una platea di tutto rispetto, Radio Padania Libera, dove è approdato il 2 maggio, il giorno dopo la “batelada” del Sin. pa sul Lago di Como.

Sul battello Orione ci sono molte personalità leghiste e c’è, naturalmente, la fondatrice del sindacato, Rosi Mauro. “Io sono un buono – spiega Pier ai microfoni leghisti –, appaio sicuro di me, ma in fondo sono un timido”. Ma davanti a tutti loro Pier Mosca si esibisce ed è la stessa Mauro, svela il conduttore di Radio Padania, a innamorarsi della canzone e a sceglierla come sigla delle trasmissioni del sindacato.

INTERVISTA A RADIO PADANIA CON PIER MOSCA




Quel Sinpa, sindacato padano – a cui secondo la Dagrada sarebbero stati versati dalla Lega 60 mila euro nel 2011 – che adesso la Mauro difende con tutte le sue forze dopo la decisione di via Bellerio di chiuderlo: “Non sono solita commentare le notizie di stampa – scrive in una nota Rosi Mauro – che spesso riguardano la mia persona. Sono abituata a lavorare, ma in questo momento mi trovo costretta a ribattere alle ‘ porcherie ’ che i giornali si stanno inventando, per salvaguardare il bene più prezioso, il sindacato, che ho creato con enormi sacrifici”. È furiosa Rosi Mauro: “Contesto questa campagna mediatica denigratoria; ogni questione riguardante la mia persona o il sindacato è assolutamente legale e ciò verrà dimostrato in ogni sede. I nostri detrattori vogliono affossare il Sinpa, ma non glielo permetterò. Proprio per questa ragione risponderò personal-mente agli attacchi e alle accuse prive di ogni fondamento che mi vengono fatte, ciò anche davanti alle autorità competenti, tutto quanto come per legge, contro tutti coloro che mi stanno infamando”.


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Da un fungo velenoso una tossina in grado di annientare la crescita delle cellule tumorali.


L'Amanita Falloide è un fungo mortale che, tuttavia, pare possa arrestare le cellule tumorali per mezzo del suo veleno

Quasi tutti hanno sentito nominare almeno una volta l’amanita falloide (Amanitaphalloides), il fungo tristemente famoso per essere la causa di alcune morti che si verificano ogni anno per via della sua erronea ingestione da parte di improvvisati raccoglitori di funghi.
Questo fungo contiene un potente veleno – l’a-amanitina– in grado di uccidere in breve tempo chi lo ingerisca. Ma questo stesso veleno mortale pare possa essere invece utile nell’offrire una speranza a chi è colpito da un altro potenziale agente mortale: il cancro.
Ricercatori tedeschi del Centro tedesco di Ricerca sul Cancro ( Deutsches Krebsforschungszentrum, DKFZ), il Centro Nazionale per le Malattie TumoraliHeidelberg e del Max Planck Institute for Medical Research hanno scoperto che il veleno contenuto nell’amanita falloide è in grado di annientare e arrestare la crescita delle cellule tumorali di diversi tipi di cancro come quello della prostata, del seno, dei condotti biliari e del colon.
L’immunologo dottor Gerhard Moldenhauer, insieme al professor Heinz Faulstich, ha testato l’effetto del veleno su un linea di cellule tumorali dei diversi tipi, osservando come la tossina fosse in grado di uccidere le cellule cancerogene senza sortire danni all’organismo.
Il segreto del successo starebbe nel far giungere il principio attivo direttamente alle cellule malate. Per far ciò, i ricercatori hanno sfruttato un anticorpo specifico che si occupa di attaccare una proteina che si trova sulla superficie delle cellule tumorali chiamata EpCAM. In questo modo, sono riusciti a recapitare direttamente a domicilio il veleno, in modo da attaccare le cellule cancerogene senza intaccare quelle sane. Un ulteriore vantaggio di questo metodo è che il veleno si lega all’anticorpo per mezzo di una connessione chimica stabile.
Durante i test sulle cellule coltivate in vitro il veleno si è dimostrato efficace nell’annientare le cellule malate. In un secondo test, condotto su modello animale, si è scoperto che nei topi portatori di tumore del pancreas umano, una singola iniezione era in grado di inibire la crescita tumorale. Ulteriori due iniezioni con dosi più alte della tossina hanno infine provocato la completa regressione del tumore nel 90 percento dei topi malati.
Un’altra serie di test atti a verificare la possibile tossicità di dosi maggiori di veleno hanno evidenziato come non vi fossero effetti avversi sul fegato degli animali.
«Trattamenti con anticorpi non coniugati contro l’EpCAM sono già stati testati in studi clinici come quelli per il cancro al seno. Essi avevano lo scopo di attaccare il cancro soltanto con le armi del sistema immunitario, ma si sono rivelati essere clinicamente inefficaci – spiega Moldenhauer nel comunicato DKFZ – tuttavia, il nostro anticorpo a-amanitina coniugato ha un potenziale molto maggiore nell’uccidere le cellule tumorali».
Se ulteriori approfondimenti potranno confermare i promettenti risultati di questo studio, si aprono nuove possibilità nel combattere il cancro utilizzando metodi che abbiano meno effetti indesiderati come le radio o chemio terapie.


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Banca padana, giornale e villaggio turistico Stefani e le tre disavventure della Lega. - di Ferruccio Sansa



L'orafo di Vicenza, 74 anni, parlamentare da 4 legislature e sottosegretario in tre governi, è "l'uomo nuovo". Il suo nome è stato legato alla vicenda della Credieuronord, poi salvata da Fiorani. Ma fu indagato anche per truffa ai danni dello Stato e ricettazione: posizione archiviata anche per il mancato uso delle intercettazioni grazie alla sua carica di parlamentare.



Il sindaco di Verona Flavio Tosi e il tesoriere della Lega Stefano Stefani
Se questo è un nuovo. Stefano Stefani diventa tesoriere della Lega al posto di Francesco BelsitoUmberto Bossi si dimette, ma ottiene che i fedelissimi restino nella cabina di regia. Ecco allora il vicentino Stefani, classe 1938, nelle cronache leghiste da vent’anni. Il suo curriculum sul sito del Parlamento riporta: “Diploma di scuola superiore; imprenditore orafo; dirigente leghista; sottosegretario alle Attività produttive con delega al Turismo nel governo Berlusconi-2; 4 legislature (1994, 1996, 2001, 2006)”.

Stefani si è interessato di affari del Carroccio poco legati ai gioielli. Si è concentrato su case, banche e via discorrendo. Fu protagonista della realizzazione di un villaggio turistico in Istria: 180 appartamenti, albergo, golf, piscina a punta Salvore. Controlla l’operazione una piccola srl, la Ceit, con ben 114 azionisti tra cui 10 parlamentari e mezzo stato maggiore del Carroccio (Manuela Marrone, moglie del Senatùr, Stefano Stefani e Maurizio Balocchi, il tesoriere del partito che lasciò poi l’incarico al suo delfino Belsito). Stefani e Balocchi figurano anche nel cda. L’affarone si conclude con 10 avvisi di garanzia. Ipotesi di reato: bancarotta fraudolenta documentale e a scopo distrattivo. Stefani ne esce indenne risarcendo a una banca carinziana 500 mila euro di tasca propria .

L’accoppiata Stefani-Balocchi (poi scomparso) si butta in un’altra impresa: nel 2000 nasce Credieuronord, la banca leghista. Parte una sottoscrizione nelle sezioni, con tanto di lettera di Bossi. L’obiettivo: “Portare avanti gli ideali della Lega: la difesa del risparmio delle famiglie e della piccola e media impresa”. I militanti, purtroppo per loro, ci credono e affidano i risparmi a Credieuronord. Si raccolgono 3.000 sottoscrizioni fino a 100 milioni di lire l’una. Ma i primi bilanci si chiudono con 8 milioni di euro di perdite. La tecnica creditizia pare singolare: la metà delle sofferenze fa capo a cinque soggetti, tra cui la società Bingo.net   (un’altra disavventura leghista, la sfida “verde” ai bingo “rossi” dei Ds, altrettanto sfortunati). Nel cda della banca ben due sottosegretari: Balocchi e Stefani. Nel 2003 Bankitalia fa emergere il dissesto. Centinaia di risparmiatori padani sono sul piede di guerra. Ma arriva il salvatore, Gianpiero Fiorani, numero uno della Banca Popolare di Lodi. Se la Lega non finisce a gambe all’aria, lo si deve a lui. Che fino al 2004 garantisce milioni di euro. Il Carroccio offre come pegno la storica sede di via Bellerio, la scuola leghista di Varese e il prato di Pontida. Così evita la bancarotta.

Passano due anni e Stefani è indagato a Roma per concorso in truffa ai danni dello Stato e riciclaggio nella vicenda dei finanziamenti pubblici a Il Giornale d’Italia. Tutto comincia l’11 maggio 2007 con l’arresto di Massimo Bassoli, immobiliarista ed ex direttore-editore del quotidiano. È accusato di aver usato il giornale per rastrellare 14 milioni di contributi all’editoria di partito. Dalle telefonate di Bassoli gli investigatori scoprono conversazioni molto amichevoli con Stefani che è sospettato dal pm Olga Capasso di aver intascato una parte dei fondi ottenuti da Bassoli in cambio del “patrocinio” prestato o promesso dalla Lega a società editrici di Bassoli. In una telefonata, Bassoli e Stefani parlano di “bottiglie”. I pm dubitavano si trattasse di denaro. In un’altra occasione Bassoli chiama un collaboratore, pare intendere di aver raggiunto un accordo sulla cifra da versare in cambio dell’appoggio della Lega e dunque dell’accesso ai fondi. Più tardi, dopo cena, Bassoli invia un sms all’amico, precisando l’ammontare della presunta “ricompensa”: 1 milione. Di sicuro Bassoli versò alla Lega 117 mila euro regolarmente iscritti nel bilancio del partito. L’accusa voleva sapere se ci fosse altro. I pm chiesero al Senato l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni di Bassoli. Niente da fare, la legge Boato rendeva inutilizzabili le intercettazioni con la voce di un eletto dal popolo. Alla fine Stefani ottenne l’archiviazione.

Nel curriculum di Stefani c’è anche un incidente internazionale che nel 2003 lo costrinse alle dimissioni da sottosegretario al Turismo. Erano i tempi in cui Berlusconi definiva Kapò il socialdemocratico tedesco Martin Shultz. Stefani intervenne con un frase non molto diplomatica: “Se in passato è bastato un automobilistico ‘test dell’alce’ per capire la fallibilità della Germania, paese ubriaco di tronfie certezze, chissà quante coscienze potrebbe far crollare un doveroso e indispensabile test d’intelligenza. I tedeschi sono noti per le loro roboanti gare di rutti dopo pantagrueliche bevute di birra e scorpacciate di kartoffeln fritte…”. Già, i rutti, orgoglio leghi-sta.

Ce n’è abbastanza per spiegare l’attestato di Matteo Salvini: “La Lega non è morta. C’è un nuovo tesoriere che conosco e stimo. Bravo a far di conto. Quindi si va avanti”.

Lega, mazzette a Brancher. - di Paolo Biondani e Giovanna Trinchella






Nello scandalo sul Carroccio spunta un pagamento di almeno 150 mila euro all'onorevole pregiudicato del Pdl che da sempre gestisce i rapporti più segreti tra Berlusconi e Bossi.


Nello scandalo di fondi neri, mafia, truffe allo Stato e bustarelle ai politici che martedì 3 aprile ha portato tre Procure a perquisire la sede della Lega Nord, non poteva mancare un pacco di soldi destinati ad Aldo Brancher, l'onorevole pregiudicato che, come risulta da vent'anni di processi che lo hanno coinvolto, custodisce molti segreti sulla Fininvest di Silvio Berlusconi e sul partito di Umberto Bossi. Al centro delle indagini dei pm di Milano, Napoli e Reggio Calabria c'è Francesco Belsito, un discusso imprenditore genovese diventato prima portaborse del parlamentare che gestiva la cassa del Carroccio (nel frattempo defunto) e dal 2010 unico tesoriere del partito di Bossi, che lo ha infilato anche nel consigliere d'amministrazione della Fincantieri. Belsito, in Liguria, è in affari con un imprenditore chiacchieratissimo: Romolo Girardelli, detto "l'ammiraglio", ora inquisito per mafia e riciclaggio. 

Secondo l'accusa avrebbe ripulito soldi sporchi della cosca De Stefano, storico clan della 'ndrangheta di Reggio Calabria, finanziando pure la latitanza di un boss. 

Nel tempo libero il tesoriere della Lega curava anche un altro business personale: organizzava truffe allo Stato, secondo le tre procure, insieme a un faccendiere veneto, Stefano Bonet, detto "lo shampato" dagli stessi intercettati per il suo "look stravagante". L'incredibile trio di indagati - il leghista, il presunto mafioso e il sospetto truffatore - è unito dall'utilizzo dello stesso canale di riciclaggio: un giro di conti esteri gestiti da un amico di Bonet, un certo Paolo Scala, italo-cipriota. E' appunto la coppia Bonet-Scala a ricevere da Belsito, per smistarli tra Cipro e la Tanzania, almeno 5,7 milioni di euro di finanziamenti pubblici versati dallo Stato alla Lega Nord. Soldi che Bonet e Scala, intercettati, spiegano di aver cominciato a far rientrare in Italia di nascosto, "segregati" e "dopo due processi di filtrazione". Belsito è stato registrato e pedinato, nonostante i primi articoli del "Secolo XIX", mentre intasca buste piene di soldi, recapitategli dall'autista di Bonet. E i pm ritengono che abbia provveduto alle spese del cerchio magico bossiano con i soldi del partito. 

Ma in mezzo allo scandalo lumbard ora spunta un infiltrato: Aldo Brancher, un parlamentare vicinissimo a Berlusconi. Segni particolari: si è appena visto infliggere una condanna definitiva per appropriazione indebita e ricettazione. E adesso dagli atti dell'inchiesta su Belsito salta fuori che il suo presunto compagno di truffe, lo "shampato" Bonet, avrebbe versato almeno 150 mila euro proprio a Brancher.

In attesa che le indagini chiariscano le cifre e il movente, le intercettazioni sull'onorevole restano un mistero. Uno dei tanti di cui è costellata la sua vita. Ex sacerdote, Brancher negli anni Ottanta entra alla Fininvest e diventa il cassiere delle tangenti. Arrestato per mazzette all'ex ministro De Lorenzo e al Psi di Craxi, resta tre mesi a San Vittore: i giudici lo accusano di coprire i vertici del Biscione, ma lui giura di aver fatto tutto da solo. Quindi risarcisce 300 milioni di lire e conquista la prescrizione. 

In politica ci entra da grande burattinaio: è lui a ricucire l'alleanza tra Berlusconi e Bossi che nel 2001 riporta il centrodestra al governo. Sui retroscena di quel patto, gli spioni della Pirelli si scatenano in dossier scandalistici, ma nessuno trova prove. Quindi Brancher diventa parlamentare e smette di pagare: da allora le tangenti le incassa. Il banchiere Giampiero Fiorani confessa di aver "comprato il suo appoggio politico" versandogli "almeno 827 mila euro". Fiorani aggiunge di avergli consegnato "anche una busta di soldi per Roberto Calderoli, che aspettava nell'altra stanza". Il ministro leghista però nega. Ed è proprio Brancher, smentendo Fiorani, a far assolvere Calderoli. 

Il peso politico del sacerdote convertito sulla via di Arcore nasce proprio dalla capacità di arbitrare nel silenzio i patti con la Lega Nord. Tra un processo e l'altro, l'onorevole diventa ministro di un dicastero molto padano che prima si chiama "per il federalismo" e subito diventa "per la sussidiarità e il decentramento", ma deve dimettersi dopo 17 giorni. Perduto lo scudo Alfano, nel marzo 2011 si vede confermare in Cassazione la condanna a due anni (coperti dall'indulto) per i soldi rubati alla Banca Popolare di Lodi. Tre settimane dopo, Berlusconi e Tremonti lo nominano al vertice di un nuovo ente parastatale, chiamato Odi, con 160 milioni di euro da distribuire tra i comuni di confine con il Trentino. A rivelarlo è "l'Espresso", che nell'agosto scorso documenta anche il suo legame con l'allora sconosciuto Stefano Bonet: Brancher lo presenta ai sindaci veneti come il "consulente privato" che con la sua società Po.la.re. può aiutarli a "ottenere fondi pubblici". L'inchiesta giornalistica svela anche un aggancio con le feste pirotecniche organizzate da Brancher come presidente dell'associazione dei comuni del Lago di Garda. Ora si scopre che proprio Bonet con la sua Po.la.re. è sotto accusa come regista di una truffa napoletana che, attraverso finti progetti di ricerca, avrebbe garantito indebiti rimborsi statali a società come la Siram spa.

Ma nelle carte giudiziarie si parla pure del Garda. 

Il 2 agosto 2011, poco prima della più spettacolare nottata di fuochi d'artificio targati Brancher, il suo amico Bonet ordina un versamento misterioso. La sua segretaria non vuole saldare una fattura di 40 mila euro per "il progetto Garda", perché le sembra gonfiata. Al che il faccendiere s'infuria: "E' un problema politico... E' un'operazione politica e bisogna pagare, fine della questione". Chi sarà mai il beneficiario del versamento "politico" deciso dal presunto truffatore-riciclatore? E perché nello scandalo leghista spuntano altri soldi che le intercettazioni collegano a Brancher? Ai giudici l'ardua sentenza. 



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lega-mazzette-a-brancher/2178010