domenica 13 maggio 2012

Lugano addio: il paradiso fiscale più forte d’Europa è finito sotto assedio. - Vittorio Malagutti

banca svizzera interna nuova


Gli Stati Uniti demoliscono il segreto bancario. Gran Bretagna, Germania, Austria e ora Italia vogliono le tasse non pagate dagli evasori che hanno esportato capitali. E un intero sistema, quello della Svizzera, inizia a crollare.

“Sentito che cosa ha detto quella? Qui è finita per tutti. È solo questione di tempo, qualche anno, e poi ci costringono a chiudere bottega. La Svizzera intera può chiudere bottega”. Il cielo cupo sopra Lugano in una domenica di pioggia ispira pensieri tristi, ma il banchiere che si fuma l’ennesima sigaretta seduto a un tavolo con vista lago non ha l’aria, e neppure il curriculum, dell’uomo sentimentale. Se la prende con una donna, la maledice senza neppure nominarla.
La signora in questione si chiama Eveline Widmer-Schlumpf e siede al governo di Berna come presidente e responsabile delle Finanze. È lei, ormai, il nemico numero uno dei banchieri. La ministra svende agli stranieri il futuro della Confederazione, questa l’accusa. Peggio: si è arresa senza combattere di fronte alle pressioni di americani, tedeschi, inglesi, perfino degli italiani, tutti impegnati a dare la caccia al denaro nero degli evasori fiscali nascosto nelle banche elvetiche. Finanza contro politica, mai visto nulla di simile da queste parti, in un Paese che ha sempre visto il governo allinearsi scrupolosamente alle direttive dei signori del denaro. Per la prima volta l’esecutivo di Berna ha osato mettere in discussione il tabù nazionale, l’inviolabile segreto bancario su cui il Paese degli orologi a cucù e del cioccolato ha costruito la sua enorme ricchezza. “La Svizzera lava più bianco”, accusava più di vent’anni fa il sociologo ginevrino Jean Ziegler in un libro che faceva a pezzi la casta del potere elvetico, complice di un colossale sistema di riciclaggio.
Le nuove paure
I tempi cambiano. La Svizzera adesso ha paura. Gli Stati Uniti e l’Europa, travolti da una crisi economica senza precedenti, non possono più permettersi di ignorare il tesoro accumulato nei forzieri di Zurigo, Ginevra e Lugano da milioni di evasori fiscali. Mentre i tagli in bilancio massacrano il welfare, i governi devono dare un segnale d’impegno anche sul fronte delle entrate. E visto che le tasse, nuove e vecchie, finiscono per massacrare i soliti noti, che c’è di meglio di una crociata contro i santuari dell’evasione fiscale? A Berna hanno capito il messaggio.
“Il dovere di diligenza dei banchieri va esteso per evitare che giungano nei nostri istituti di credito fondi stranieri non dichiarati al fisco”. Ecco, testuali, le parole della ministra Widmer-Schlumpf che tre mesi fa hanno acceso le polemiche. Se una simile riforma andasse in porto sarebbe una mezza rivoluzione. Adesso i banchieri hanno il dovere di fare ogni accertamento possibile sulla provenienza del denaro depositato dal cliente. Se c’è il sospetto che i soldi siano il frutto di attività criminale allora scatta l’obbligo di denuncia all’autorità anti-riciclaggio. Il governo di Berna, questa la novità, vorrebbe che le verifiche del funzionario di banca fossero estese anche alle questioni fiscali. Non pagare le tasse diventa un crimine e quindi il cliente sospetto evasore va denunciato, proprio come il riciclatore del denaro della droga. E se un Paese straniero dovesse chiedere assistenza in un’indagine, anche amministrativa, su una presunta evasione tributaria, la banca svizzera sarebbe obbligata a fornire le informazioni richieste.
Sempre meno segreti
Gli ambienti finanziari protestano: fin qui le questioni fiscali erano al riparo da qualsiasi indagine. Il segreto bancario copriva tutto. “Va a finire che ci tocca chiedere la dichiarazione dei redditi ai clienti”, esagera il banchiere ginevrino. I politici però insistono. Il governo di Berna, ha pubblicato un documento, una trentina di pagine, intitolato “Strategie per una piazza finanziaria competitiva e conforme alle leggi fiscali”. É la “Weissgeldstrategie”, la strategia del denaro bianco che serve a tagliare i ponti, almeno a parole, con un passato imbarazzante. Buoni propositi, niente di più. Ma le ipotesi di riforma su una materia tanto delicata hanno mandato in bestia i banchieri. Sentite che cosa ha detto, una decina di giorni fa, il ticinese Sergio Ermotti, l’ex braccio destro di Alessandro Profumo all’Unicredit approdato l’anno scorso sulla poltrona di numero uno di Ubs, colosso del credito elvetico: “Gli attacchi al segreto bancario non sono altro che una guerra economica”, ha dichiarato Ermotti al giornale zurighese SonntagsZeitung.
“Questa guerra mira a indebolire la piazza finanziaria elvetica per favorire i nostri con-correnti” ha aggiunto il capo di Ubs. Insomma, il mondo intero trama per svaligiare i forzieri svizzeri. La posta in gioco è colossale. Si calcola che le 320 banche della Confederazione gestiscano patrimoni per oltre 4.500 miliardi di euro. Più della metà di questo tesoro proviene da Paesi stranieri. La sola Italia avrebbe contribuito con 150 miliardi. Una stima per difetto, probabilmente. I banchieri temono che la semplice possibilità di un accordo sulla tassazione dei capitali esportati illegalmente sia sufficiente a mettere in fuga buona parte dei clienti. E questo sarebbe un problema serio per un’economia come quella elvetica in cui il settore finanziario produce oltre il 10 per cento del valore aggiunto complessivo.
La crisi oltre la finanza
La Svizzera però non è solo finanza. Nel territorio della Confederazione hanno sede migliaia di imprese che fanno business con l’Europa. E allora bisogna mantenere buoni rapporti con i Paesi vicini, altrimenti rischia di affondare l’economia, in gran parte orientata all’export.
Quando era ministro dell’Economia, Giulio Tremonti ha fatto in modo che la Svizzera venisse inserita nella black list dei Paesi non collaborativi in materia fiscale, tipo Cayman e Bahamas. Questa decisione ha creato enormi problemi alle aziende svizzere che lavorano con l’Italia. Per questo Berna non può fare a meno di inviare segnali distensivi. Che cosa succederebbe, per dire, se Londra sospendesse l’autorizzazione delle banche elvetiche a lavorare nella City? Nasce con queste premesse il negoziato per i nuovi trattati fiscali con Germania e Inghilterra. E anche il governo di Mario Monti adesso ha imboccato la stessa strada.
Il conto agli evasori
Una multa pesante, fino al 44 per cento della somma esportata illegalmente, e la promessa di pagare le tasse in futuro. Sono questi gli ingredienti del colpo di spugna per i furboni del fisco. Un regalo agli evasori, protesta l’opposizione socialdemocratica tedesca. E anche in Gran Bretagna l’accordo, deve ancora essere ratificato dal Parlamento. In Italia la trattativa con Berna ripartirà il 24 maggio, come annunciato mercoledì da una nota dei due governi. Trovare l’accordo non sarà facile. A meno che non siano gli svizzeri a mandare tutto a monte. L’Udc, il partito nazionalista di Cristoph Blocher minaccia di promuovere un referendum per bloccare i negoziati. I banchieri approvano.

I figli...


Mia figlia, la più piccola. 
L'ho cresciuta con amore insegnandole ad usare la sua testa. 
Io sono per il movimento 5 stelle, avrei votato Riccardo Nuti, lei avrebbe votato, Ferrandelli, PD.
Cose che capitano quando si cerca di mettere in pratica il "libero arbitrio".
Sono incazzata...ma non troppo.
Perchè? 
Perchè sono del parere che ogni individuo ha il diritto sacrosanto di fare la propria esperienza. 
Non sono d'accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee. (Voltaire)

sabato 12 maggio 2012

Il sindaco va al lavoro.



Paese che vai, usanze che trovi. A noi toccano sempre le peggiori...


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Libia, la Nato ammette due bombardamenti «per errore»


Gli insorti denunciano: «L'occidente non ci aiuta»

Forze ribelli in Libia
Forze ribelli in Libia
MILANO - Dopo quello di giovedì, la Nato ha ammesso un secondo «errore» che ha provocato vittime civili. Giovedì vicino al centro petrolifero di Marsa el-Brega, in mano alle truppe governative, aerei alleati hanno per errore bombardato una colonna delle milizie schierate con le forze di opposizione libiche. Dagli accertamenti Nato effettuati è emerso che «i veicoli colpiti facevano parte di una pattuglia degli oppositori» al regime. Pur ricordando che l'episodio «è avvenuto in un'area di conflitto» tra insorti e lealisti, dove dunque era possibile una certa confusione, l'Alleanza esprime «rammarico per ogni eventuale perdita di vite umane o ferimento causati da un così malaugurato incidente».
SECONDO ERRORE - Domenica sera l'Alleanza Atlantica ammette un secondo errore. Una casa distrutta in una quartiere orientale di Tripoli con nove morti, tra cui due bambini, e 18 feriti, accusano i libici di un raid aereo notturno sulla capitale. La Nato ammette di avere provocato vittime civili precisando in un comunicato che l'errore potrebbe essere stato dovuto a un malfunzionamento tecnico. In un comunicato pubblicato sul sito Internet dell'Alleanza, l'obiettivo prescelto era un sito missilistico a Tripoli. «Sembra che un'arma non abbia però raggiunto l'obbiettivo prestabilito e che un malfunzionamento di sistema possa avere provocato alcune vittime civili», afferma la Nato. Il generale Charles Bouchard, il comandante in capo dell'operazione Unified Protector, ha detto che l'Alleanza «esprime il proprio rammarico per la perdita di vite innocenti. Anche se stiamo ancora cercando di stabilire con esattezza quanto accaduto, sembra proprio che l'incidente sia stato provocato da un errore di sistema», ha detto ancora il generale Buouchard.
LE ACCUSE DEI RIBELLI - Intanto il ministro del Petrolio e delle finanze del Consiglio nazionale di transizione in Libia ha denunciato che le risorse sono finite, accusando l'Occidente di non mantenere le promesse fatte ai ribelli. «Noi non abbiamo contanti - ha detto Ali Tarhouni -. Stiamo esaurendo ogni risorsa». «È un fallimento completo - ha continuato Ali Tarhouni - O i paesi occidentali non capiscono, o a loro semplicemente non interessa». «Non stiamo producendo petrolio per i danni. E non mi aspetto che la produzione riprenda a breve - ha spiegato -. Le raffinerie non hanno greggio, quindi non lavorano». Al reporter che gli ha chiesto come in questo scenario le istituzioni dei ribelli possano sopravvivere, Tarhouni ha risposto: «C'è gente che è morta per questa rivoluzione. E ancora si muore. Troveremo un modo. Una cosa è certa: non molleremo mai». Il ministro del Petrolio e delle finanze ha raccontato inoltre che i ribelli stanno trattando con compagnie straniere per una futura cooperazione, aggiungendo di non avere problemi ad avere a che fare con chi prima faceva affari con il governo di Gheddafi. A riguardo, Tarhouni ha fatto anche dei nomi, citando la tedesca Wintershall e la francese Total come compagnie con le quali ci sarebbero già contatti in corso.

Addio ticket, via alla franchigia tutti pagheranno in base al reddito. - Roberto Petrini


Addio ticket, via alla franchigia tutti pagheranno in base al reddito

Il ministro della Salute Renato Balduzzi (lapresse)

Il progetto del ministro della Salute rivoluzionerà il meccanismo con cui gli italiani pagano per la sanità. Verrà data a tutti una smart card che rivela quanto si è pagato fino a quel momento. Il ministro della Salute: ciascuno verserebbe di tasca propria fino a un certo livello, poi si carica sullo Stato.


IL SISTEMA di compartecipazione o "copayment", in vigore da più di trent'anni (fu introdotto con la Finanziaria del 1982), potrebbe andare in pensione: scompariranno i ticket che oggi paghiamo su farmaci, visite specialistiche, analisi strumentali e di laboratorio, ricoveri al Pronto soccorso. Il tutto attualmente per un costo per i cittadini di circa quattro miliardi all'anno che potrebbe salire a sei quando, nel 2014, entreranno in vigore le norme delle manovre estive dello scorso anno che prevedono un rincaro dei ticket per quasi due miliardi. 

Scomparsi i ticket come si pagherà? Ciascuno di noi avrà una franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Ad esempio, un pensionato con 10 mila euro di reddito lordo, avrà una franchigia pari al 3 per mille dunque 30 euro: questa cifra sarà il costo massimo che dovrà sborsare per accedere a qualsiasi prestazione sanitaria, pochi medicinali o un maxi intervento chirurgico. 

Oltre questo plafond, sarà tutto gratuito. Naturalmente chi ha un reddito lordo di 100 mila euro, come un professionista, avrà una franchigia più alta, circa di 300 euro: ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.

La franchigia varrà per l'arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell'accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.

Chi terrà questa contabilità? Una tessera sanitaria intelligente, dotata di chip come un bancomat, che sostituirà di qui ad un anno le attuali tessere. Naturalmente parlare di contabilità ha un senso solo quando sono in ballo piccole prestazioni e pochi farmaci, quando c'è di mezzo un intervento chirurgico quello che conta è che si pagherà fino al raggiungimento del proprio plafond e il resto sarà a carico del Servizio sanitario. 

Chi sarà soggetto al sistema della franchigia? Praticamente tutti: scompariranno le esenzioni in base al reddito (ora 36 mila euro circa), l'età (bambini fino a sei anni e anziani oltre i 65), cronici e invalidi. Tutti avranno una franchigia in base al reddito familiare complessivo. Con due varianti: il reddito sarà valutato non solo in base all'Irpef, ma in base all'Isee (che tiene conto della consistenza patrimoniale) e moderato da una sorta di "quoziente familiare" che terrà conto del numero dei figli.

Il piano dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute. Per ora le reazioni sono negative: "Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta", ha dichiarato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Il ministero della Salute assicura comunque che gli incassi del nuovo sistema a franchigia saranno pari a quelli con i vecchi ticket.


Sanità, il call center lombardo è in Sicilia. La Lega insorge e fa moltiplicare i costi. - Adele Lapertosa

call-center interna nuova


Il 29 marzo è stata approvata una delibera con cui la Regione ha siglato con l'Asl di Milano la convenzione per l'approntamento della sede meneghina del centro per le prenotazioni telefoniche e l'assistenza. Costo: 3,5 milioni solo per l'avviamento del progetto. Il Pd: "Si buttano i soldi in un momento di forti tagli".

Anche se hanno tentato gli investimenti in Tanzania e sono andati in Albania per prendersi qualche laurea, ai consiglieri leghisti della Regione Lombardia deve essere sembrato un pesante affronto avere il call center sanitario per le prenotazioni telefoniche e l’assistenza alla carta sanitaria in Sicilia, a Paternò (che ha dato i natali alla famiglia La Russa) e a Biancavilla. Sarà per questo che lo scorso 29 marzo è stata approvata la delibera n.3201, con cui la Regione Lombardia ha siglato con l’Asl di Milano e le controllate Infrastrutture Lombarde Spa e Lombardia Informatica Spa la convenzione per l’approntamento della sede lombarda del Call center. “La Lombardia deve avere un call center con lavoratori lombardi, che conoscono il territorio”, spiega il capogruppo leghista al Pirellone, Stefano Galli.
Ma per il Pd si tratta di un ‘capriccio’ che costerà alle casse regionali ben 3,5 milioni di euro solo per l’avviamento (di cui 1,1 milioni per ristrutturare la futura sede di via Juvara a Milano, 1,3 milioni per hardware, software e servizi professionali, 472mila euro per la progettazione organizzativa e la selezione e formazione degli operatori, 472mila euro per sperimentare nuove modalità di integrazione con i centri di prenotazione aziendali), mentre le sedi siciliane di Paternò e Biancavilla, che costano oltre 22 milioni di euro l’anno, non verranno ridimensionate. “In un momento di tagli pesanti, in cui si arriva a chiedere agli ospedali di risparmiare sui farmaci salvavita e ai cittadini di pagare prestazioni che fino a poche settimane fa erano gratuite – si chiede il vicesegretario del Pd lombardo, Alessandro Alfieri – è proprio il caso di buttare i soldi per duplicare il call center? Se l’operazione leghista serviva a mettere una bandierina su Milano, occorre dire che non è riuscita bene”.
Da quanto emerge, infatti, grazie al rinnovo del contratto con la società Transcom Worldwide siglato lo scorso 15 marzo, le sedi siciliane lavoreranno ancora a pieno ritmo per due anni con i loro 560 dipendenti, mentre il call center milanese, che avrà 54 postazioni, inizierà a lavorare tra un anno. Tra due anni però, nel 2014, i due rami d’azienda dovranno essere venduti in blocco. Se così non sarà, la controllata della Regione, Lombardia Informatica, rischia di dover assorbire i dipendenti, siciliani e lombardi. Ipotesi questa però subito smentita da Galli, che spiega: “I dipendenti siciliani del call center, al termine dei due anni, andranno a casa, come le altre persone che stanno perdendo il lavoro ora”.
Secondo il Pd però anche la stessa Regione non è convinta del buon senso dell’operazione “visto che, dopo aver commissionato uno studio preliminare al Politecnico di Milano per la realizzazione del call center (che valutava l’operazione molto azzardata in quanto faceva lievitare i costi operativi, gli investimenti e gli organici di Lombardia Informatica spa) – continua Alfieri – ha deciso con un’altra delibera, di chiedere un’ulteriore valutazione al proprio centro studi Eupolis. Dovrà individuare un soggetto terzo a cui affidare l’incarico della durata di 60 giorni per la verifica del progetto esecutivo e la supervisione delle tempistiche delle attività progettuali, in particolare per la realizzazione del nuovo Call Center Lombardo“, anche se si precisa che per evitare ritardi, contestualmente alla verifica, “è fondamentale dare avvio al processo di ristrutturazione dell’immobile individuato come sede del call center lombardo. Quindi, ancora prima di avere gli esiti dello studio commissionato per valutare se il progetto sia coerente e fattibile – aggiunge Alfieri – si procede di gran passo per assecondare questo capriccio leghista che impegna ingenti risorse del bilancio sanitario e costringerà i cittadini a pagare per il servizio di prenotazioni telefoniche 50 centesimi per ogni contatto da cellulare“.
Certo, se al termine dei due anni effettivamente i dipendenti del call center siciliano andranno a casa, i 54 posti del call center ‘lumbard’ saranno pochi per gestire la mole di richieste e prenotazioni sulla sanità lombarda. “Se il call center verrà ingrandito o meno non lo so – chiosa Galli – non ho la sfera di cristallo. E sul perchè sia stato fatto in Sicilia, bisogna chiederlo a chi è venuto prima di noi”. Quello che è sicuro è che i cittadini lombardi pagheranno per avere un doppio servizio.

venerdì 11 maggio 2012

Il 'cassiere della mafia' Pippo Calò colpito da crisi cardiaca.






pippo calò 

Proprio mentre si diffondeva la notizia del presunto tentato suicidio di Bernardo Provenzano, una crisi cardiaca avrebbe colpito un altro dei boss di Cosa nostra. Si tratta del ‘cassiere della mafia’ Pippo Calò, 81 anni,  detenuto nel carcere di Ascoli. Secondo quanto si è appreso sarebbe stato trasportato in un ospedale di Ancona.La notizia arriva da Palermo dove oggi il boss avrebbe dovuto presenziare in teleconferenza a un processo per un delitto di mafia in provincia di Agrigento. E’ lo stesso processo in cui è imputato Bernardo Provenzano che, ieri sera, ha tentato di togliersi la vita in carcere.


http://oltrelostretto.blogsicilia.it/il-cassiere-della-mafia-pippo-calo-colpito-da-crisi-cardiaca/86900/


Superboss Provenzano tenta suicidio in carcere



Ma per Dap sarebbe stata solo una simulazione. Crisi cardiaca, ricoverato Pippo Calo'


Il superboss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano ha tentato il suicidio nel carcere di Parma: è stato salvato da personale della polizia penitenziaria. Il fatto è avvenuto nella tarda serata di ieri nell'area riservata della struttura: secondo quanto ha appreso l'ANSA, Provenzano, che era a letto, ha infilato la testa in una busta di plastica con il proposito di uccidersi. In uno dei ripetuti controlli, si è subito accorto del fatto un poliziotto penitenziario del Gom (Gruppo Operativo Mobile), il quale è intervenuto, evitando il suicidio. L'episodio non ha avuto conseguenze su Provenzano, che non è stato neppure portato in ospedale. Sono stati informati l'autorità giudiziaria e il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria. 

Considerato il capo di tutti i capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano - che ha 79 anni ed è detenuto dal 2006, in regime di 41 bis (il carcere duro), dopo essere stato protagonista di una latitanza record di 43 anni - sta scontando nella sezione protetta del carcere di Parma alcune condanne all'ergastolo. Nonostante sia gravemente malato - reduce da un tumore alla prostata, soffre di un inizio di Parkinson e di un'encefalite destinata a peggiorare - recentemente è stato ritenuto in grado di partecipare ai processi e di "difendersi utilmente". 

Qualche tempo fa è stato chiesto di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane, che non sarebbe più in grado di assolvere. Potrebbe essere stato, dunque, uno stato di prostrazione legato alle sue precarie condizioni di salute a indurre Provenzano a tentare un gesto estremo. Ma c'é anche chi - tra gli addetti ai lavori - si chiede se davvero il boss volesse togliersi la vita; o, se, piuttosto, il suo sia stato un gesto per segnalare il suo grave disagio o, addirittura, un messaggio per altri. L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si interroga su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?". Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss "é stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Beneduci - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale". 
E l'altro sindacato, il Sappe, ricorda che "nel 2011 la polizia penitenziaria ha salvato la vita a 1.037 persone che hanno tentato il suicidio in carcere". Un dato - osserva il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, che testimonia una "attenzione altissima da parte degli agenti in servizio, nonostante le tante carenze da cui, purtroppo, il carcere di Parma non è esente". Insieme a Provenzano, a Parma sono una cinquantina i detenuti in regime di 41 bis. "Sorprende che un boss come Provenzano - aggiunge Durante - abbia compiuto un gesto del genere. Per un criminale del suo calibro è un fatto inusuale, forse sintomo delle sue precarie condizioni di salute".