venerdì 15 giugno 2012

Dl sviluppo in Cdm, sul tavolo anche la dismissioni di beni.



Credito di imposta su assunzioni qualificate, mini-bond Pmi. Sul tavolo anche 'vendita' beni.

ROMA - Arriva in consiglio dei ministri il decreto sviluppo. Il provvedimento, volto a creare "crescita sostenibile" e "occupazione di qualità", dovrebbe entrare in discussione in cdm anche con le misure su trasporti e infrastrutture, quelle cioé per cui si è cercata in questi giorni la copertura finanziaria, e che, secondo le bozze circolate finora, prevedono tra le altre cose l'aumento del bonus fiscale per le ristrutturazioni e l'esenzione dall'Imu delle case in vendita per meno di 200.000 euro. "Non c'é mai stato dubbio sul dl. - ha ribadito il ministro dello Sviluppo Corrado Passera - Ora si tratta solo di ottimizzare le coperture. Certe cose si possono fare subito, altre con la spending review e le dismissioni". La dismissione dei beni pubblici annunciata ieri dal premier è infatti "una delle tre leve di sviluppo", insieme a taglio della spesa pubblica e lotta all'evasione. Ecco alcune misure previste nel decreto.
ADDIO A 43 INCENTIVI, ARRIVA FONDO CRESCITA - Il dl cancella 43 sussidi considerati ormai obsoleti per far convogliare tutte le risorse in un unico fondo destinato a creare "crescita sostenibile" e "occupazione di qualità".
BONUS PER ASSUNZIONI DI ALTO PROFILO - Per favorire le assunzioni di giovani laureati altamente qualificati - ingegneri, biologi, fisici, matematici, farmacisti ecc - il provvedimento introduce un credito di imposta del 35%.
MINI-BOND PER PMI - Per consentire l'accesso delle pmi al mercato del debito saranno introdotte cambiali finanziarie e obbligazioni per le società non quotate di piccole e medie dimensioni.
A PALAZZO CHIGI OK FINALE INFRASTRUTTURE ENERGIA - La decisione definitiva sulla realizzazione di infrastrutture energetiche già approvate con la procedura Via, ma sulle quali le amministrazioni regionali mostrano "inerzia", spetterà alla Presidenza del Consiglio. L'obiettivo è sbloccare gli investimenti privati che ammontano potenzialmente a 10 mld.
POSSIBILE DEROGA 7 MIGLIA RICERCA IDROCARBURI - Il limite delle 12 miglia dal perimetro delle aree marine e costiere protette viene confermato, ma le bozze circolate prevedono che il limite possa essere "ridotto, sino a non meno di 7 miglia, per le attività individuate d'intesa fra i ministri di Sviluppo economico e Ambiente".
RINVIO SISTRI A DICEMBRE 2013 - L'entrata in vigore del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti viene prorogata al 31 dicembre 2013 per consentire la prosecuzione delle verifiche del funzionamento del sistema.
PROCESSI, MASSIMO 6 ANNI - Per essere di "ragionevole durata" un processo deve concludersi con la sentenza definitiva entro sei anni: non più di tre anni per il primo grado, due per l'appello e uno per il giudizio in Cassazione.
CHAPTER 11 ANTIFALLIMENTO - Il pacchetto messo a punto dal ministero della Giustizia e da inserire nel decreto prevede che le aziende colpite dalla crisi, ma che hanno prospettive di ripresa, non siano obbligate a dichiarare il fallimento ma possano ricorrere direttamente al concordato preventivo.
FONDO PER ALIMENTARI AI POVERI - Il dl istituisce un 'fondo per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti'. Il cibo sarà distribuito dalle organizzazioni caritatevoli.
BONUS RISTRUTTURAZIONI - Le detrazioni Irpef per la ristrutturazione salgono dal 36 al 50%, fino ad un ammontare complessivo delle spese non superiore ai 96.000 euro.

Trattativa Stato-mafia, indagini chiuse: 12 avvisi da Dell’Utri a Mannino. - Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza


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Dopo l’omicidio Lima diventa interlocutore dei vertici di Cosa nostra come mediatore dei benefici richiesti dalla mafia, agevola la prosecuzione della trattativa dopo l’arresto di Vito Ciancimino e Totò Riina, e alla fine favorisce la ricezione della minaccia mafiosa da parte di Silvio Berlusconi, “dopo il suo insediamento come capo del Governo”: Marcello Dell’Utri è “l’uomo cerniera” tra Stato e mafia, l’anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova Repubblica sorta nel ’92 a suon di bombe. Insieme a lui boss e ministri, gregari mafiosi e ufficiali dei carabinieri e, se fossero vivi, anche il capo della polizia Vincenzo Parisi e il vice capo del Dap Francesco Di Maggio: ecco i protagonisti del “ricatto allo Stato”, raccontato da un’indagine durata due anni e che è giunta alla sua conclusione con l’invio ieri pomeriggio delle notifiche dell’avviso di conclusione delle indagini ai 12 indagati dell’inchiesta sulla trattativa tra “mafia e Stato”, condotta, secondo la procura di Palermo, da uomini dello Stato e uomini di Cosa nostra.
Sono Leoluca BagarellaGiovanni BruscaAntonino CinàSalvatore Riina e Bernardo Provenzano, gli ufficiali del Ros Antonio SubranniMario Mori e Giuseppe De Donno, gli esponenti politici Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri (la cui condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa è stata recentemente annullata dalla Cassazione). Devono rispondere dell’art. 338 del codice penale: violenza o minaccia a corpi politici dello Stato, aggravata dall’art. 7 per avere avvantaggiato l’associazione mafiosa armata Cosa nostra e “consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle istituzioni a rappresentanti di detto corpo politico per impedirne o comunque turbarne l’attività”. Insieme a loro presto riceveranno una richiesta di rinvio a giudizio anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e il figlio di don Vito, Massimo Ciancimino per concorso esterno alla mafia e per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.
In un’indagine parallela, sono indagati per false dichiarazioni al pm, l’ex ministro Giovanni Conso, e altri ancora sconosciuti: per loro l’accusa ipotizzata (articolo 371 bis) prevede la sospensione del procedimento fino alla definizione, con sentenza di primo grado o con archiviazione, dell’inchiesta principale. Si chiude oggi una stagione tra le più impegnative per la Procura di Palermo, per la sua capacità di scandagliare la cattiva coscienza della classe politica italiana. I pm chiedono in sostanza di processare i protagonisti di una stagione segnata, secondo l’accusa, dalla svendita dei valori dello Stato da parte di alcuni uomini delle istituzioni in cambio della salvezza della vita di alcuni, identificati, uomini politici.
Il racconto dell’indagine è la narrazione oscura, rimasta sempre in ombra , delle radici della Seconda Repubblica, fondata, come dice il pm Antonio Ingroia, sul sangue dei servitori dello Stato. Ad avviare la trattativa sarebbe stato Calogero Mannino, esponente della sinistra dc, nel mirino delle cosche, accusato di avere contattato “a cominciare dai primi mesi del ’92” investigatori, in particolare dei carabinieri, “per far cessare la strategia stragista”. Scendono in campo, a questo punto, Subranni, Mori e De Donno, che su incarico “di esponenti politici e di governo” aprono un “canale di comunicazione con i capi” di Cosa nostra per far cessare la strategia stragista. Ed in seguito favoriscono lo sviluppo della trattativa rinunciando, insieme e reciprocamente, con i boss, “all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato”. Come? Assicurando, per esempio, “il protrarsi della latitanza di Provenzano, principale referente della trattativa”. Che si continua a snodare sul terreno politico: nel frattempo Mannino, infatti, avrebbe esercitato “indebite pressioni per condizionare l’applicazione del 41 bis ai detenuti mafiosi”.
Ma a parlare con i mafiosi, in quel periodo, sono in tanti. Prima di lui, infatti, sulla scena era apparso Marcello Dell’Utri, che dopo l’omicidio di Salvo Lima si pone come interlocutore di Totò Riina “per le questioni connesse all’ottenimento dei benefici”, per poi continuare a dialogare con Provenzano, dopo l’arresto di Vito Ciancimino e Riina. La cattura dei capi dei capi, e l’arrivo dei governi tecnici del ’93 inducono i boss a puntare sul “cavallo” considerato vincente: e per il tramite dello stalliere Vittorio Mangano e di Marcello Dell’Utri, Bagarella e Brusca portano ad Arcore le richieste di Cosa nostra. Tre in particolare: una legislazione penale e processuale più morbida, un condizionamento dei processi in corso e un trattamento penitenziario più leggero. Condizioni “ineludibili” per porre fine allo stragismo. A capo del governo si è appena insediato Berlusconi: e Dell’Utri deve oggi rispondere di avere favorito la ricezione della minaccia mafiosa da parte di Silvio Berlusconi dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi. È il 1994, l’inizio della Seconda Repubblica.
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La ex Sicilcassa vende gli immobili all'asta ville, palazzi e appartamenti. - Antonella Romano


La ex Sicilcassa vende gli immobili all'asta ville, palazzi e appartamenti

Il palazzo di vetro di piazza Castelnuovo


Oltre 700 lotti per un valore di 300 milioni di euro: dall'attico ai Parioli al palazzo di vetro di piazza Castelnuovo.


Il Fondo pensioni ex Sicilcassa mette in vendita all'asta tutti i suoi gioielli non più in un unico blocco, come nel 2010 quando la vendita fece flop, ma singolarmente. Si tratta di 52 cespiti con 762 unità immobiliari, tra appartamenti, locali commerciali, palazzi e ville storiche, tra la Sicilia e Roma, per un valore globale di 300 milioni di euro. Si va da un attico ai Parioli (via Antonelli) di oltre 300 metri quadrati e valutato 3 milioni di euro, al palazzo di vetro di piazza Castelnuovo dal valore di 15 milioni sede di uffici, all'immobile di via Cordova che ospita la Procura generale della Corte di conti e il call center Alicos (65 milioni) alla sede del Monte dei Pegni di via Calvi (36 milioni).

TABELLA / Tutti i beni in vendita
E ci sono poi 52 appartamenti residenziali in via Notarbartolo 4, 20 appartamenti in via Crispi, 130 in via Giovanni Dotto, una villa del Settecento, palazzo Pezzano, in via Etnea a Catania, sede dell'ex Standa (sfitto da quando un incendio devastò i locali). Alcuni sono complessi immobiliari acquistati negli anni Ottanta come quello in via Giovanni Dotto, con 30 appartamenti, in corso Pisani, in largo S e in zona Zisa. In via Cesalpino, zona Università e ospedale Civico, è in vendita un'intera palazzina con singoli appartamenti e negozi. A Roma ci sono ancora appartamenti, posti auto e uffici in vendita via Gargano, in zona semi centrale. A Cefalù c'è un immobile commerciale. A Milazzo c'è l'affare di un intero complesso immobiliare a pochi metri dal porto.
 
La decisione di passare alla frazionata è stata presa all'unanimità dal cda del fondo pensioni, che nella delibera ha inserito i prezzi di mercato dei beni immobili che saranno venduti all'incanto. Le valutazioni, la nuova e quella del precedente bando del 2010, sono state effettuate dal Real estate advisor group (Reag). "Rispetto a due anni fa, per la crisi del settore immobiliare, il costo è stato abbattuto per gli appartamenti del 15 per cento, per il commerciale, fiore all'occhiello del fondo pensioni, del 20 per cento  -  spiega Girolamo Guicciardi, membro del cda  -  se sono immobili affittati a enti come la Corte dei conti o a supermercati, è un vantaggio per chi compra. Se si tratta di un appartamento affittato, l'acquirente lo compra a un prezzo più basso perché non immediatamente disponibile".

LEGGI / Crac Sicilcassa, chiesti 150 anni di carcere

L'asta si dovrebbe svolgere tra ottobre e novembre e sarà curata  -  sul modello delle aste giudiziarie  -  dalle associazioni notarili delle varie sedi. I bandi saranno resi pubblici a settembre. I beni non frazionati andranno all'asta indivisi. "E' l'operazione immobiliare più grossa immaginata anche in Sicilia. La prima che tentammo fallì, dopo trattative avviate e poi interrotte misteriosamente. Alcune, che apparivano interessanti, non sono arrivate mai a conclusione", racconta il presidente del cda del fondo Marcello Critelli. Tra gli interessati, cordate di imprenditori cinesi e domande giunte dal Lussemburgo, dall'Inghilterra e dalla Svizzera ma sempre senza nessuna cauzione depositata. 

Sulle stranezze della gara del 2010, che ha visto Mediobanca come advisor, è stato presentato il 7 settembre 2011 un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo da parte di un consigliere di amministrazione del fondo pensioni. Ne ha dato notizia di recente il ministro Fornero rispondendo a una interrogazione del senatore di Idv Elio Lannutti. La decisione di cambiare le modalità della gara, dopo le difficoltà registrate, è maturata quando a ottobre è cambiato il consiglio d'amministrazione.

I beni si trovano per il 90 per cento a Palermo, il resto è suddiviso tra Caltanissetta, Messina, Catania, Trapani, Siracusa, Cefalù, Termini Imerese. Le associazioni notarili cureranno la custodia e le visite agli immobili. Palazzo Castelnuovo e i nove piani dell'ex direzione della Sicilcassa di via Cordova saranno venduti in blocco. La quadratura media degli appartamenti è di 150-160 metri quadrati e di cinque vani. Ma ci sono anche bivani e garage. "Ci attendiamo una risposta consistente da parte degli attuali inquilini. Il momento non è facile. Stiamo lavorando a un accordo con un istituto di credito per finanziamenti a condizioni vantaggiose", aggiunge Critelli.

La liquidazione del fondo, oltre a portare denaro liquido sul mercato per oltre 300 milioni, distribuirà ai 4.300 iscritti storici e a un altro migliaio di beneficiari della nuova riforma del fondo pensioni la dotazione previdenziale in quota capitale.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/06/14/news/la_ex_sicilcassa_vende_gli_immobili_all_asta_ville_palazzi_e_appartamenti-37188550/

La voragine milionaria di Invitalia, la “supercontrollata” del ministero. - Thomas Mackinson

corrado passera mario monti vittorio grilli interna nuova


Mentre Bondi setaccia i conti e la spesa pubblica la società pubblica (erede della Sviluppo Italia) si porta dietro 14 partecipate con 669 dipendenti che costano 46 milioni di euro, ha perdite per 4, debiti per 45. Tra le imprese collegate anche la Valtur che ha un debito di 2 milioni di euro per l'affitto di un villaggio turistico in Calabria.

Inutile bussare non risponderà nessuno. A Palazzo Chigi lo descrivono come un fantasma, figurati se te lo passano al telefono. Nessuna comunicazione filtra, tanto meno ai sindacati in allerta da settimane. Enrico Bondi da un mese setaccia per conto del governo i conti e la spesa pubblica per tagliare entro giugno 4,2 miliardi. Sotto la lente il complesso degli acquisti della pubblica amministrazione ma, a dire il vero, il super commissario potrebbe anche partire dal Ministero dell’Economia e Finanze che, da sei mesi, fa capo a chi lo ha incaricato: il premier Mario Monti. Sprechi e costi si annidano anche in via XX Settembre, anche se è difficile stanarli.
Ci ha provato il servizio Bilancio del Senato due giorni fa con un documento di revisione della spesa che fornisce macro aggregati e qualche sorpresa. Il ministero per il proprio funzionamento, scrivono i funzionari del Senato, spende 28,5 miliardi di euro l’anno e altri 35,5 per interventi. Sul primo fronte spiccano alcuni costi incomprimibili, come le politiche previdenziali (11,2 miliardi), le politiche economiche (5,1) o l’ordine pubblico (1,4). Ma ci sono anche 2,8 miliardi di euro che sevono a mantenere in vita gli “organi costituzionali”, 411 milioni solo per sostenere la presidenza del Consiglio. C’è il solito assegno da 168 milioni di euro per il “sostegno all’editoria”, spese per servizi postali e telefonici pari 649 milioni di euro.
Ma i veri sprechi del ministro, forse, non sono neppure i costi di funzionamento. Lo ribadiscono anche i sindacati che tutelano 13mila dipendenti sui quali si sono già abbattuti in passato tagli a stipendi e pianta organica. Lì resta poco da tagliare mentre altrove resta tutto da fare. I rami secchi, infatti, partono dalla pianta del ministero e vanno lontano, ma non dall’occhio dei controllori dei conti.
Un caso per tutti, la controllata Invitalia, società pubblica che galleggia da tempo all’ombra del ministero portandosi dietro un carrozzone di 14 partecipate con 669 dipendenti che costano 46 milioni di euro (i dipendenti sono il 57%, 25% quadri, 9,3% dirigenti e 6,7 atipici), perdite per quattro milioni, debiti per 45 milioni e passività patrimoniali per 1,1 miliardi. Il fortunato amministratore delegato, di nomina governativa, si porta a casa da solo quasi un milione di euro. Di che si tratta? Della ex Società Sviluppo Italia Spa, l’agenzia che fa capo al Ministero come unico azionista, chiamata a promuovere lo sviluppo produttivo e imprenditoriale fungendo da catalizzatore delle risorse pubbliche e private. Tra i suoi progetti gli interventi nelle aree di crisi, la riqualificazione del polo industriale di Termini Imerese oggi in fase di istruttoria.
A metà maggio la Corte dei Conti ha messo sotto la lente la situazione sua e delle controllate. Da dove cominciare? Forse dagli emolumenti di chi guida la società pubblica. Tra cariche di rappresentanza e direttive, cda e collegio sindacale il costo di chi amministra Invitalia è di 1,3 milioni di euro l’anno. Il suo presidente si chiama Giancarlo Innocenzi Botti ed è espressione diretta del Pdl. Tra le altre cose è stato fondatore di Fininvest e sottosegretetario alle Comunicazioni dal 2001 al 2005 con l’incarico di presidenza della Commissione per lo Sviluppo del Digitale Terrestre che è stata, notoriamente, una fetta importante degli affari della famiglia Berlusconi. Negli ultimi tre anni il suo compenso è passato da 146 mila euro a 251 mila euro.
L’amministratore delegato è invece Domenico Arcuri, uomo della finanza cresciuto all’Iri e poi attraverso joint venture e società di consulenza (Diloitte). Al secondo mandato, il suo compenso è passato da 601mila euro a 806 mila euro nel giro di tre anni grazie al cumulo di tre compensi che comprende 357mila euro come dipendente dell’ente stesso, 192mila euro come amministratore e 252mila euro come premio di risultato legato al raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Cda ha definito e il comitato remunerazioni ha ratificato. Peccato che lo stato patrimoniale ed economico della società non abbiano avuto lo stesso andamento positivo. 

Su questo la Corte dei Conti, proprio a inizio maggio, ha fornito un’analisi impietosa: chiudono in perdita le controllate Strategia Italia (di 110mila euro), Sviluppo Italia Aree produttive (-1,7 milioni), Italia Turismo (-1,9 milioni), Italia Navigando (-3,9 milioni), Nuovi Cantieri Apuana (-5,6 milioni). Ci sono poi le perdite delle succursali regionali (Invitalia Abruzzo perde 810mila euro, 1,5 milioni quella campana, 721 quella sarda e 5 milioni quella calabrese). Aprendo i faldoni relativi alle singole controllate si trovano atri spunti non proprio felici come gli affari spericolati di “Italia Turismo” che ha rilevato complessi e villaggi sull’orlo del fallimento per poi darli in affitto a operatori privati. In pratica le perdite sono pubbliche, i ricavi sono privati. Un caso per tutti quello del Villaggio di Cefalù comprato per 73 milioni di euro, un’operazione finanziaria sulla quale già un anno prima la Corte aveva espresso riserve legate al rischio di accollare allo Stato perdite economiche, finanziare e patrimoniali insieme a quello di concentrare tante risorse su un’unica operazione quando anche allo sportello bancario la regola è diversificare. Ma la controllata è andata per la sua strada, nonostante abbia accumulato perdite negli ultimi tre esercizi per 7,5 milioni di euro.
Altra società in cui ha messo piede è Valtur, oggi commissariata. La vicenda riguarda la Società Alberghiera Porto d’Orra (Sapo) oggi incorporata in Italia Turismo. Sapo nel 2003 aveva concesso in affitto il villaggio turistico di Simeri Crichi (Catanzaro) a Valtur che non ha pagato i canoni annui maturando nei confronti di Sapo un debito che, a novembre 2011, sfiorava i 2 milioni di euro. La stessa Valtur nel 2001 aveva stipulato un contratto d’affitto con la Leasing Roma Spa per il villaggio di Pollina con una garanzia nominale di Investitalia all’acquisto irrevocabile dell’immobile in caso di mancato pagamento dei canoni. Leasing Roma sta bussando alle porte della società pubblica per chiedere 16 milioni di euro oltre le spese. Il giudizio sulla causa, con gli attuali vertici di Invitalia che si rifanno sui precedenti amministratori, pende al Tribunale di Bologna. Anche la controllata “Italia Navigando” naviga in cattive acque con una pendenza da parte dell’azionista di minoranza “Mare 2 Srl” che chiede 16 milioni di euro di danni anni imputando all’Agenzia e ai suoi dirigenti una gestione inefficiente.
Invitalia sostiene poi lo sviluppo di impresa e il sostegno alle aree di crisi. Una pioggia di milioni che non sempre porta i frutti sperati: nel 2010 ha erogato 32,1 milioni a 26 iniziative imprenditoriali per le quali a regime si prevedono ricadute occupazionali per 680 lavoratori, 289 milioni di aiuti a 4.395 imprese, 55 milioni per 6 progetti occupazionali con la speranza di creare 367 posti di lavoro. Su queste operazioni la magistratura contabile ancora una volta raccomandato maggiore attenzione ai beneficiari, “al reale tasso di sopravvivenza garantito con le risorse pubbliche, al tasso di rientro dei finanziamenti erogati e ai connessi problemi relativi a sofferenze e incaglie. Speciale riflessione meritano – dicono i giudici – i criteri sulla base dei quali vengono realizzate le iniziative ed allcolte le domande, anche con riferimento alle priorità riferite alle aree del Mezzogiorno”.

Emergenza rifiuti, notte di fuoco nel Palermitano.

















rifiuti napoli

E’ emergenza rifiuti in numerosi comuni del Palermitano. Da giorni i 
dipendenti della Coinres, l’azienda che effettua il servizio di raccolta, sono in stato di agitazione per il mancato pagamento degli ultimi tre stipendi. E così quella appena trascorsa è stata una notte di gran lavoro per i vigili del fuoco di Palermo, che sono dovuti intervenire a ripetizione, per spegnere incendi nella zona di Misilmeri, Casteldaccia, Monreale e soprattutto a Carini, dove le strade sono invase da cumuli di spazzatura. Così, è anche scoppiata la protesta dei residenti, e qualcuno potrebbe aver deciso di appiccare il fuoco per eliminare le montagne di rifiuti in strada.


http://palermo.blogsicilia.it/emergenza-rifiuti-notte-di-fuoco-nel-palermitano/90580/

giovedì 14 giugno 2012

Violenza omofoba nella Capitale quattro aggressioni in pochi giorni. - Marco Pasqua


Violenza omofoba nella Capitale quattro aggressioni in pochi giorni

Il volto di Guido Allegrezza dopo l'aggressione 


Una coppia lesbica a Velletri accerchiata, minacce a una transessuale a Ardea , un attivista preso a sassate all'Eur, un gay picchiato a Campo de' Fiori: dilaga per le vie di Roma l'intolleranza e la violenza. Preoccupazione nella comunità Glbt: "Servono pene esemplari".


ROMA - Tre aggressioni, tra Roma e provincia, ai danni di una coppia lesbica, una transessuale e un noto attivista omosessuale. Tutte contraddistinte dalla ferocia omofoba dei protagonisti, spesso giovanissimi convinti di poterla fare franca. Una vera e propria escalation che, nei giorni scorsi, era già stata segnata dagli insulti e dalle botte a un ragazzo gay 1, nella zona di Campo de' Fiori e dal ferimento alla testa di una ragazza lesbica, nella Gay Street. 

In tutti i casi, le vittime hanno avuto il coraggio di rivolgersi alle forze dell'ordine, sporgendo denuncia. Ora sono assistite dalle associazioni che si battono per i diritti delle persone omosessuali e che hanno dato la loro disponibilità ad assisterli legalmente, oltre che a costituirsi parte civile nei processi che saranno istruiti a carico dei violenti. Ma nella comunità omosessuale, intanto, cresce la preoccupazione.

Le reazioni 2

I primi due casi vengono denunciati dal Gay Center e da Arcigay Roma, che hanno ricevuto la segnalazione delle vittime alla Gay Help Line (800713713). Ad Ardea, una transessuale ha subito ripetute minacce, ingiurie e danneggiamenti, all'inizio di giugno. Poco meno di 50 anni, originaria della Serbia (da dove è fuggita per salvarsi dalla pulizia etnica messa in atto dall'esercito croato), Stefania - il nome è di fantasia - stava prendendo il sole, sulla spiaggia libera. "Ero sdraiata - racconta a Repubblica.it - e leggevo un libro. A un certo punto, senza alcun motivo, si sono avvicinati a me quattro ragazzi, intorno ai 20 anni di età". 

L'hanno insultata e umiliata, pubblicamente, con espressioni come "fai schifo, noi i travestiti li uccidiamo" e per metterle paura l'hanno minacciata con dei racchettoni, arrivando quasi a colpirla. A quell'ora  -  erano circa le 14  -  quel tratto di spiaggia era poco frequentata, e in zona non c'erano altre persone. "Sono stata colpita - prosegue - dalla loro tranquillità, impressionante. Sono venuti da me a freddo, soltanto per intimidirmi e offendermi. Volevano anche sapere se fossi straniera". 

Da quel momento è iniziata una vera e propria persecuzione. Il giorno dopo, uscendo di casa, Stefania si accorge che la sua auto è stata danneggiata: le era stato rotto lo specchietto. "Segno che mi avevano seguita fino a casa", osserva. Nulla a confronto di quello che le accade il giorno dopo, quando sulla stessa auto vengono rovesciate feci e banane. "Non ho mai avuto problemi -  racconta Stefania, che ha sporto denuncia ai carabinieri della locale stazione  -  di questo tipo. L'ultima volta che sono stata insultata in questo modo vivevo ancora in Serbia".  

Dal mare ai Castelli, la seconda aggressione è avvenuta a Velletri. Due giovani lesbiche sono state insultate da alcuni ragazzi mentre si trovavano all'interno di un pub. Sono state notate, perché non avevano nascosto il fatto di essere una coppia: una mano che stringe l'altra, forse anche un abbraccio. Dimostrazioni d'affetto come se ne vedono tante, sul versante eterosessuale. Costrette a uscire, sono state inseguite e minacciate con calci e pugni sulla loro auto, al grido di "sporche lesbiche". 

Una volta entrate nella macchina sono state accerchiate dal branco, che ha impedito loro di allontanarsi, bloccando la strada con un'altra auto: soltanto l'arrivo dei carabinieri, chiamati pochi minuti prima dalla coppia, ha evitato che la situazione degenerasse ulteriormente.

Il caso più grave, però, dal punto di vista della prognosi, è quello che vede protagonista Guido Allegrezza, noto attivista per i diritti delle persone Glbt, aggredito la notte scorsa nel quartiere dell'Eur, in una zona abitualmente frequentata da gay. Allegrezza, che si trovava nei pressi di un bar, è stato affrontato da quattro ragazzi tra i 25 e i 30 anni, che gli hanno iniziato a lanciare contro delle pietre, ferendolo alla testa e procurandogli la frattura delle costole, oltre a varie contusioni. 

Trasportato al San Camillo, i medici lo hanno giudicato guaribile in 30 giorni (la denuncia è scattata d'ufficio). La vicenda è stata anche segnalata all'Oscad, l'osservatorio contro le discriminazioni della polizia di stato e dei carabinieri, che monitora le violenze omofobe anche al fine di suggerire alle Questure possibili contromisure, a livello di vigilanza e servizi mirati. Nel giugno dello scorso anno 3, tra l'altro, nella stessa zona dell'Eur, un altro ragazzo aveva denunciato di essere stato rincorso da un gruppo di giovanissimi armati di bastoni.

"Siamo di fronte ancora una volta a casi violenti. Quello che ci preoccupa - dicono Fabrizio Marrazzo, di Gay Center e Roberto Stocco, presidente di Arcigay Roma - è il ripetersi quasi quotidianamente di episodi di insulti e aggressioni. E se si pensa che quelli denunciati sono solo una parte dei casi che accadono realmente c'è di che allarmarsi. Occorre che le forze dell'ordine intervengano, che le istituzioni rispondano ma bisogna mobilitare anche l'opinione pubblica. I casi di cui abbiamo notizia sono un forte campanello di allarme che non si tratta di casi isolati ma che c'è una vasta area di disagio e di sottocultura che produce azioni di questo tipo. Secondo i dati di Gay Help Line, solo due casi di aggressioni su dieci vengono  denunciati. Per questo chiediamo a tutti di reagire e di partecipare numerosi alla manifestazione-concerto di Piazza Farnese il 22 giugno, al quale prenderà parte il ragazzo aggredito a Campò dè Fiori. Da quella piazza può venire una significativa risposta collettiva contro l'omofobia". 

"L'aggressione chiaramente omofoba ad Allegrezza si aggiunge a quelle denunciate in questi giorni e sta suscitando allarme e sconcerto in tutta la comunità gay romana. Chiediamo pene esemplari per gli aggressori dopo gli episodi di questi giorni e ribadiamo la necessità di una legge contro l'omofobia: le istituzioni si facciano portatrici di questo messaggio al Parlamento", afferma il Coordinamento Arcobaleno, invitando tutti a partecipare alla manifestazione del 22 giugno. 

Ed è "sdegnato" anche il circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. "Chiunque ferisce fisicamente o moralmente le persone omosessuali e transessuali si pone fuori dal consesso civile di un paese. La risposta della comunità gay sarà ferma e decisa. Invitiamo quindi tutti i cittadini romani e non solo a partecipare a tutte le iniziative in programma a giugno nella capitale e che culmineranno nella grande parata del Pride il 23 con lo slogan quanto mai
opportuno "Vogliamo tutto": vogliamo anche una legge contro l'omofobia. 


Prodotti tipici, con l’italian sounding il nostrano sa di bufala. - Gianluca Schinaia

made-in-Italy


Dalla bresaola uruguaiana al pecorino romeno, sono decine i cibi tipici spacciati per italiani ma prodotti all'estero. Un giro d'affari che ruba al nostro Paese 60 miliardi di euro.

Benvenuti al Bazar Italia, specialità prodotti tipici nati e confezionati all’estero. Vi chiederete: com’è possibile un tale paradosso alimentare? Venghino, siore e siori, a vedere cosa espone la vetrina made in Italy, che di italiano ha solo la faccia (tosta). E’ il fenomeno dell’Italian sounding: prodotti che sembrano nostrani e invece sono elaborati, confezionati e venduti all’estero benché usino nomi italiani.
Ecco un esempio: non suona bene e probabilmente sa di bufala, anche se al primo assaggio si presenta come pecorino romano “Dolce Vita”. Poi assaggiate la bresaola uruguayana, gustate la caciotta rumena o inebriatevi del culatello statunitense: sicuramente più esotico, che tipico.  Una questione che da almeno vent’anni caratterizza le critiche dei piccoli produttori tradizionali che si lanciano nell’export e devono competere con i colossi agro-alimentari. Ma nell’ultimo periodo è stata la Coldiretti a guidare le proteste, accusando una società a maggioranza azionaria pubblica di incentivare le grandi imprese che all’estero vendono prodotti stranieri usando nomi italianissimi. «L’agroalimentare italiano rappresenta oltre il 16% del Pil nazionale», spiega Sergio Marini, presidente di Coldiretti, «l’export del comparto raggiunge quasi 28 miliardi di euro e in questi anni di crisi ha comunque segnato tassi di crescita annuali vicini al 13%: il problema è che i prodotti italian sounding rubano all’economia nazionale oltre 60 miliardi di euro! E soprattutto che lo Stato incentiva questo danno». Come? Secondo Coldiretti attraverso la Simest, società per azioni con il 60% di azionariato pubblico (controllata dal ministero dello Sviluppo economico) e il resto in mano ad associazioni imprenditoriali ed istituti di credito. Impresa nata nel 1991, su proposta dell’allora ministro del Commercio estero Renato Ruggiero, per dotare l’Italia di uno strumento utile a promuovere l’internazionalizzazione delle aziende italiane. Oggi invece, secondo Marini, «la Simest aiuta imprese italiane che usano materie prime, lavoratori e stabilimenti stranieri per realizzare alimenti presentati come nostrani: queste azioni non solo non aiutano il made in Italy ma ledono lo sforzo di chi esporta veramente prodotti tipici».
Possibile allora che una società sottoposta al controllo dello Stato, che usa anche fondi pubblici, lavori contro l’interesse nazionale? A rispondere è l’amministratore delegato della Simest spa, Massimo D’Aiuto: «Per legge, la società che rappresento non può finanziare investimenti in imprese italiane all’estero che delocalizzino le proprie unità produttive o amministrative. Noi finanziamo solo imprese sane appartenenti ai settori tipici del made in Italy, tra i quali l’elettromeccanico, la moda e l’agroalimentare. Nei primi 11 mesi del 2011 abbiamo avviato 64 nuovi progetti (+3% rispetto al 2010) ai quali partecipiamo con 156 milioni di euro (+45% rispetto all’anno scorso): in totale abbiamo 256 partecipazioni societarie che ammontano a circa 330 milioni di euro». Una storia di successo, quella della Simest, incrinata dalle critiche di Coldiretti che si sostanziano in due casi emblematici: la bresaola uruguayana e il pecorino romeno. Secondo le accuse dell’associazione degli agricoltori, il gruppo Parmacotto nel suo punto vendita “Salumeria Rosi” al 283 di Amsterdam Avenue di New York, vende a fianco di prodotti tipici realmente made in Italy come il prosciutto crudo, cotto o lo zampone, anche la bresaola fatta e confezionata in Uruguay. L’accusa di Coldiretti muove dall’investimento di 11 milioni di euro, appena accordato dalla Simest, nella Parmacotto in Italia per lo sviluppo della produzione italiana. Più grave appare il secondo caso citato da Coldiretti, quello di Lactitalia, s.r.l. rumena costituita nel 2005 e controllata dalla Roinvest dei fratelli Pinna di Thiesi (70,5%) e quindi dalla Simest. L’azienda commercializza in Italia e in altri paesi europei formaggi di tradizione italiana col marchio “Dolce vita” (mozzarella, pecorino, mascarpone, caciotta) e di tradizione rumena, tra cui una ricotta chiamata “toscanella”: tutti prodotti in Romania da lavoratori autoctoni, usando materie prime romene. In questo caso, difficile non vedere un chiaro tentativo di confondere il consumatore straniero a prescindere dalla correttezza dell’etichettatura della provenienza del prodotto. Per il made in Italy, oltre al danno anche la beffa visti gli incarichi che i due fratelli Pinna rivestivano fino a qualche tempo fa: Andrea come vicepresidente del Consorzio di Tutela del Pecorino Sardo e Pierluigi come consigliere dell’organismo che certifica ilcontrollo di qualità dello stesso formaggio nostrano.
Un’operazione sfacciata, ai limiti della legalità? Forse, ma esiste un’espressione anglosassone per definire un “colpo ben riuscito”, una frase che richiama il Bel Paese anche se con questo non ha nulla a che vedere, proprio come i prodotti visti prima: the Italian job.