venerdì 6 luglio 2012

Diaz, danni.



Diaz, giustizia in Cassazione. Tra le varie, mi hanno sempre colpito forte le parole di Lorenzo Guadagnucci (all’epoca giornalista del Resto del Carlino): “Nessuno poteva venirti a salvare: la polizia era già lì, erano saltati tutti i punti di riferimento. Il momento in cui ho ricominciato a tornare alla normalità è stato quando è arrivato il magistrato; è paradossale perchè il magistrato veniva per accusarmi, ma io mi sono sentito sollevato perchè in quel momento significava tornare nell’ambito di una legge, di un ordine”.


http://www.tnepd.com/2012/diaz-danni

GIANNI DE GENNARO: UNA CARRIERA COL MARCHIO FBI.



Pare che anche a Monti possa capitare di dire la verità. Secondo alcuni organi d’informazione, Monti avrebbe infatti dichiarato che l’Italia non è una colonia dell’Unione Europea. [1]
L’Italia, e anche la stessa Unione Europea, sono infatti colonie della NATO. Monti, prima di diventare Presidente del Consiglio, era un advisor del Consiglio Atlantico della NATO; lo stesso vale per l’attuale ministro della Difesa, Di Paola, che è stato presidente del Comitato militare della NATO sino al novembre scorso.
Ma c’era bisogno di rafforzare la presenza americana nel governo, così Monti ha nominato Gianni De Gennaro a sottosegretario, con incarico di Autorità sulla “intelligence”, cioè sui servizi segreti. Già prima della nomina a sottosegretario, De Gennaro era il supercapo dei servizi segreti, ed ora ne diventa una sorta di divinità. De Gennaro è l’uomo la cui fama è legata soprattutto alla vicenda del massacro nella scuola Diaz di Genova, ma che avrebbe anche altri motivi per essere giustamente famoso.
De Gennaro è infatti l’uomo di fiducia del Federal Bureau of Investigation. Dal sito dello stesso FBI, si apprende infatti che De Gennaro nel 2006 è stato insignito della medaglia per “Meritorious Achievement”, una delle maggiori onorificenze concesse dal Bureau. [2]
Tra le imprese meritorie di De Gennaro di cui si parla nella motivazione ufficiale del premio, c’è anche quella di aver operato per più di trenta anni da “consigliere informale” degli ambasciatori statunitensi in Italia. Gli “informali” potrebbero quindi adottare De Gennaro addirittura come loro maestro. Qualcuno direbbe che De Gennaro fa la spia per conto degli ambasciatori americani, ma si tratterebbe chiaramente di calunnie senza fondamento.
A confermare l’assoluta affidabilità di De Gennaro provvedono infatti gli stessi Americani. Quando, nel 2010, Ciancimino figlio ha tirato in ballo il nome di De Gennaro a proposito di favoreggiamento nei confronti della mafia, il soccorso è immediatamente arrivato dal direttore FBI, Robert S. Mueller, che ci ha garantito che De Gennaro è un insospettabile, poiché egli ha collaborato per “quasi” trenta anni con la superpolizia federale statunitense. C’è questa piccola dissonanza tra le due dichiarazioni di fonte FBI: più di trenta anni nella motivazione ufficiale del premio, quasi trenta anni nella dichiarazione a sostegno. Forse non significa nulla, ma potrebbe anche indicare che la collaborazione di De Gennaro con gli USA era cominciata molto prima che avesse il crisma dell’ufficialità. [3]
Non c’è quindi da sorprendersi che sia stato Ciancimino a finire nei guai dopo le sue accuse a De Gennaro. A sua volta nel 2000 De Gennaro si era fatto garante di un altro poliziotto accusato di rapporti con la mafia, Ignazio D’Antone. In quell’occasione De Gennaro aveva agito facendo squadra con Antonio Manganelli (attuale capo della polizia, divenuto leggendario per il suo mega-stipendio) e, infine, con Arnaldo La Barbera. [4]
La Barbera è morto nel 2002, prima di dover rispondere di depistaggio per la strage di Borsellino e della sua scorta. A proposito di La Barbera è risultato anche che fosse al contempo capo della Squadra Mobile di Palermo ed agente del SISDE.[5]
Manco a dirlo, il trio De Gennaro-Manganelli-La Barbera è lo stesso che stava dietro i fatti di Genova. Insomma, ci si dava una mano quando era necessario. Il tutto però sotto la sacra tutela del Federal Bureau of Investigation.
Il bello è che non c’è assolutamente nulla di segreto, poichè l’FBI certe notizie su De Gennaro te le sbatte in faccia addirittura dal suo sito ufficiale. Tanto nessun giornalista andrebbe mai a recuperare certe informazioni sulle ingerenze USA in Italia per metterle nella opportuna evidenza. Eccoli invece gli opinionisti ufficiali, tutti seri e impegnati, a fare l’esegesi delle elucubrazioni di un poetastro mitomane, che chiaramente non ha nessun legame con l’attentato al manager di Ansaldo Nucleare.[6]
Il primo a rivelare agli Italiani che De Gennaro è un “manutengolo dell’FBI” è stato Francesco Cossiga, in un discorso in senato in seguito a delle sue interpellanze presentate al governo Prodi. Il discorso di Cossiga fu mandato suo tempo in tv, ed è reperibile ora su Youtube. [7]
Ciò non impedì allo stesso governo Prodi di nominare, nel gennaio 2008, De Gennaro alla carica di commissario straordinario all’emergenza-rifiuti in Campania, così che non fu difficile capire che in quella strana emergenza c’era di mezzo qualche interesse statunitense. [8]
In quella circostanza i due partiti comunisti al governo con Prodi ingoiarono il rospo, e qualche loro esponente farfugliò come scusa che l’incarico di commissario per l’emergenza-rifiuti avrebbe potuto costituire per De Gennaro l’occasione per riscattarsi dai fatti di Genova. In realtà la costante di tutti i passi della vicenda di De Gennaro è la presenza dei servizi segreti, che con lui sono andati a gestire direttamente l’emergenza- rifiuti.
Ma l’impronta dei servizi segreti non mancò neppure nei fatti di Genova. Pochi giorni prima del G8, il 23 giugno, il quotidiano “La Repubblica” infatti pubblicò un’allarmante informativa del SISDE, che narrava una di quelle fiabe inquietanti che fanno parte del tipico repertorio del vittimismo preventivo e pretestuoso del potere. Secondo il SISDE, i manifestanti di Genova avrebbero avuto l’intenzione di sequestrare dei poliziotti per usarli come “scudi umani”. Quindi il massacro di Genova era stato non solo preordinato, ma anche annunciato.[9]



La trattativa e il Colle, Tremonti al “grande burattinaio”: “Vuoi le intercettazioni?” - Marco Lillo

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Alla fine di giugno i pm intercettano Ignazio Moncada (Finmeccanica) con l’ex ministro che gli offre il dvd con le telefonate tra il D'Ambrosio e Nicola Mancino. Al faccendiere sequestrato un dossier su Orsi.

Vuoi le intercettazioni di Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio?” Quando hanno ascoltato il colloquio nel quale l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti si proponeva come pusher di dvd al presidente della Fata (gruppo Finmeccanica) Ignazio Monca-da, più noto come Il grande burattinaio i carabinieri del Noe non credevano alle loro orecchie. La conversazione risale a due settimane fa ed è stata ‘contestata’ ieri a Ignazio Moncada e, prima ancora in mattinata, all’ex ministro, entrambi convocati d’urgenza a Napoli dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio come persone informate dei fatti. Sia l’ex ministro del Pdl che il manager del gruppo Finmeccanica davanti alla loro voce registrata, hanno detto all’unisono: “Scherzavamo”. Tremonti ha spiegato ai pm che conosce da anni Moncada e ama discutere con lui di scenari internazionali: “È stimato dai socialisti europei , come Giuliano Amato ma conosce anche Hollande e mi interessano le sue analisi”.
Altro che “scherzi” - Eppure l’inizio della telefonata non sembra alludere a scenari esteri: “Le vuoi le intercettazioni Mancino-D’Ambrosio?” chiede Tremonti a Moncada ricevendo dal Grande burattinaio una replica che svaluta la proposta: “ma sono quelle che ho scaricate da Youtube?”. Tremonti insiste affermando di avere anche il dvd completo. Poi i due analizzano le conseguenze deflagranti delle telefonate del Quirinale sulla tenuta del governo Monti e si danno appuntamento per vedersi. Quando parla con Tre-monti, Moncada è intercettato da qualche settimana dalla Procura di Napoli ma non è indagato nel procedimento che vede indagato invece per corruzione e riciclaggio il presidente del suo gruppo: Giuseppe Orsi. Il professore torinese di adozione (è nato in Sicilia nel 1949) è finito nel mirino degli inquirenti a causa delle parole pronunciate dal suo amico Ettore Gotti Tedeschi il 23 maggio del 2012 nella saletta riservata del ristorante Rinaldi al Quirinale. L’allora presidente dello Ior parlava di Moncada con Orsi come di un uomo in grado di garantirgli l’appoggio “del sistema”, lo definiva più di un agente della Cia, più di un semplice massoncello. Moncada “è veramente un grandissimo burattinaio”. Le parole registrate dalle cimici del reparto operativo del Noe guidati da Pietro Raiola Pescarini sono pesanti e impongono ai magistrati di prendere sul serio l’intercettazione con Tremonti. Tutti i cronisti giudiziari d’Italia erano in quei giorni a Palermo per cercare il dvd dove erano compulsati 76 fascicoli di atti (depositati dai pm di Palermo e non segreti) compresi gli audio delle telefonate tra D’Ambrosio e Mancino.
Tremonti e Moncada dicono che scherzavano ma la Procura di Napoli non considera la telefonata alla stregua di una barzelletta. Infatti i pm hanno convocato l’ex ministro a Napoli (un disturbo che gli era stato evitato nel’inchiesta Milanese) per contestargli praticamente solo quella telefonata. I medesimi pm hanno spedito i Carabinieri del Noe a perquisire casa e ufficio di Moncada dopo avere ascoltato la telefonata. E non c’è dubbio che Moncada abbia ottime relazioni nei servizi segreti a partire dal nuovo capo del Dis, Dipartimento informazioni sicurezza, Giampiero Massolo, che ha appena preso il posto di Gianni De Gennaro.
Ieri tutte le carte, compresa la trascrizione della telefonata, sono state spedite alla Procura di Palermo perché i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia valutino le parole dell’ex ministro. Nelle motivazioni del decreto di perquisizione a casa Moncada sono citate le presunte mazzette all’ombra degli affari internazionali di Finmeccanica ma quando hanno sequestrato alcuni dischetti, i magistrati probabilmente volevano controllare anche se quel dvd esiste davvero.
La busta anonima - Nell’occasione comunque a casa di Moncada è stato trovato un dossier su Giuseppe Orsi. A dimostrazione che forse Orsi non sa chi è Moncada (o almeno così dice a Gotti Tedeschi al ristorante ) ma Moncada sa benissimo chi è Orsi. “Cosa è questo documento dattiloscritto di 4 pagine con intestazione ‘Giuseppe Orsi?’”, è stato chiesto dai pm al presidente di Fata che dovrebbe occuparsi di macchine per la lavorazione dell’alluminio. La sua risposta è stata: “L’ho ricevuto in una busta anonima all’hotel circa sei mesi fa”. Dove l’hotel, non c’è nemmeno bisogno di specificarlo, è il Grand Hotel Saint Regis di Roma, un cinque stelle dove “Il Gobbo”, come lo chiama scherzosamente Gotti Tedeschi alludendo al potere più che alla conformazione fisica di Andreotti, riceve da decenni i suoi ospiti. Un po’ come faceva con ben altre modalità e scopi nell’altro hotel prestigioso della capitale, l’Excelsior, il venerabile Licio Gelli. “E perché ha tenuto quelle carte per mesi da parte?” gli hanno chiesto i pm. E Moncada: “le ho trovate interessanti”.
E interessanti, quelle pagine sugli assetti di potere del gruppo, lo erano davvero. Tremonti ieri si è mostrato incredulo e quasi divertito dalle domande sospettose dei pm sul dvd. “Mai avuto un dvd del genere. Era solo uno scherzo”. Chi sono gli “amici” che le avrebbero messo a sua disposizione quel materiale? Tre-monti ha replicato ai pm che “amici” è un modo di dire ironico usato per fare il verso ai siciliani. “Ma voi pensate davvero che io mi interessi di trattativa?”, ha chiesto Tremonti ai magistrati. Insomma nessun investigatore gli avrebbe messo a disposizione un materiale così delicato da girare a un uomo vicino ai servizi segreti come Moncada. Fantascienza, è sbottato l’ex ministro: “Io mi occupo dei problemi dell’euro non della mafia”.
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/05/trattativa-e-colle-tremonti-al-grande-burattinaio-vuoi-intercettazioni/285390/

giovedì 5 luglio 2012

Diaz, confermate le condanne ai 25 poliziotti. Interdizione agli alti dirigenti. - Mario Portanova

scuola diaz interna nuova


La sentenza della Quinta sezione mette la parola fine al processo per il blitz del G8 di Genova nel 2001. Gli imputati non andranno in carcere, ma l'interdizione dai pubblici uffici colpisce alti dirigenti come Gratteri, Caldarozzi e Luperi.

Sono definitive tutte le condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione della polizia alla scuola Diaz al termine del G8 di Genova la notte dei 21 luglio 2001. Lo hanno deciso i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione. Confermata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che dunque colpisce alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani: Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo,Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Tutti condannati per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni, in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate.
Nessuno dei condannati rischia invece il carcere, grazie ai tre anni di sconto dall’indulto approvato nel 2006. La Suprema corte ha dichiarato prescritte le condanne per le lesioni inflitte ai capisquadra dei “celerini” del Reparto mobile di Roma. 
In dettaglio, il collegio presieduto da Giuliana Ferrua ha confermato 4 anni a Giovanni Luperi e Francesco Gratteri, 5 anni per Vincenzo Canterini (all’epoca comandante del Reparto mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici (questi ultimi all’epoca dirigenti di diverse Squadre mobili), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di genova), Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al VII nucleo sperimentale del Reparto mobile di Roma. 
Oltre 60 feriti e 93 arrestati e poi prosciolti, tra i quali molti giovani stranieri. Il blitz alla scuola Diaz-Pertini, dove alloggiavano manifestanti antiliberisti giunti nel capoluogo ligure per le manifestazioni contro il G8 del 2001, avviene nella notte tra il 21 e il 22 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani. All’operazione presero parte centinaia di poliziotti, e nessuno è mai stato in grado di fornirne il numero esatto, dato che – come è emerso ai processi – molti agenti e funzionari si aggregarono spontaneamente al contingente.
La scuola era ritenuta il “covo” dei black bloc, protagonisti di due giorni di violenti scontri con le forze dell’ordine. Dai processi, però, è emersa anche la volontà dei vertici della polizia di portare a termine un’azione eclatante per bilanciare il disastro dell’ordine pubblico al G8 genovese. L’ex vicecapo della polizia Ansoino Andreassi, per esempio, ha testimoniato in aula la sua ferma contrarietà all’intervento, avvenuto quando il vertice e le relative contromanifestazioni erano finite. Ma, secondo Andreassi, alla fine prevalse la volontà dei dirigenti inviati da Roma dal capo della polizia Gianni De Gennaro
VIDEO – SENTENZA DIAZ: L’ATTESA DELLE VITTIME A ROMA
L’IRRUZIONE. Nel corso dell’irruzione nel complesso scolastico, aperta dagli uomini del VII Nucleo Sperimentale del Primo Reparto mobile di Roma, comandato da Vincenzo Canterini, la maggior parte degli occupanti viene picchiata selvaggiamente. Al pestaggio, però, non partecipano soltanto i “celerini”, ma anche uomini delle Squadre mobili e delle Digos, distinguibili dai primi dalle divise o dal fatto di essere in borghese. La brutalità dell’intervento sarà confermata al processo di primo grado, oltre che dalle testimonianze di decine di vittime costituitesi parte civile, da Michelangelo Fournier, comandante del VII nucleo, che parlerà di “macelleria messicana” e “colluttazioni unilaterali” in cui i sui colleghi pestavano e gli occupanti subivano. Due vittime arrivarono al pronto soccorso in codice rosso, in pericolo di vita. Fournier racconterà anche di un collega che davanti a una ragazza gravemente ferita a terra “mimò il gesto del coito”.
Molti degli arrestati verranno poi rinchiusi per giorni nella caserma di Bolzaneto, dove subiranno altre violenze.Tutti gli occupanti della Diaz-Pertini sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, un reato che prevede fino a 15 anni di carcere. In sostanza la polizia li accusa di essere tutti dei “black bloc“, protagonisti di gravi incidenti in piazza il 20 e il 21 luglio. Ma le prove verbalizzate dalla polizia si riveleranno false. A cominciare dalle due bottiglie molotov portate all’interno della Diaz dai poliziotti stessi, come accertato definitivamente dal processo di primo grado.
L’INCHIESTA E I PROCESSI. Dopo il G8, finiscono sotto inchiesta agenti e alti funzionari: 29 vengono rinviati a giudizio, accusati a vario titolo di falso, arresto arbitrario, lesioni e calunnia. Il tribunale di Genova, il 13 novembre 2008, con una sentenza che sarà al centro di polemiche, assolve 16 imputati – funzionari e dirigenti – mentre ne condanna 13, che sono soprattutto uomini del VII Nucleo. 
La Corte d’appello genovese, però, ribalta il verdetto il 18 maggio 2010: 25 le condanne – tra cui quella di Francesco GratteriGiovanni LuperiVincenzo CanteriniSpartaco Mortola,Gilberto Caldarozzi, tutti alti funzionari di polizia – comprese tra i 5 e i 3 anni e 8 mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Come in primo grado, nessuno degli imputati è riconosciuto responsabile di specifici episodi di violenza, anche per la difficoltà, da parte delle vittime, di riconoscere gli agenti coperti da caschi e fazzoletti sul volto. Ma dalla ricostruzione dei giudici di secondo grado appare chiara la responsabilità dei vertici per non essere intervenuti a fermare i pestaggi e, per i firmatari dei verbali d’arresto e perquisizione, di aver avallato false accuse verso i 93 “no global”.
Nel processo di cassazione, il pg Pietro Gaeta ha chiesto la conferma delle condanne per tutti gli imputati, mentre fuori dal “palazzaccio” le vittime e le associazioni chiedevano “verità e giustizia”. 
L’ASSOLUZIONE DI DE GENNARO. Un processo parallelo poi, ha riguardato l’ex capo della polizia, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni de Gennaro, accusato di aver istigato alla falsa testimonianza sulle violenze alla Diaz l’allora questore di Genova Francesco ColucciDe Gennaro, assolto in primo grado, ma condannato in appello a un anno e 4 mesi, viene prosciolto definitivamente da ogni accusa dalla Cassazione, che, nel novembre 2011, annulla la sentenza d’appello “perché il fatto non sussiste”.

Ior, il governo vieta agli ispettori antiriciclaggio di testimoniare in Europa. - Marco Lillo

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Per ordine del ministero dell'Economia l'Unità di informazione finanziaria (Uif) di Bankitalia non interviene a Strasburgo di fronte all'organismo Moneyval. Per protesta il direttore dell'Uif ritira la delegazione. E il Vaticano va verso un'insperata promozione dalla lista nera a quella grigia.

Il governo italiano ha imbavagliato la delegazione della propria Autorità antiriciclaggio in Europa per aiutare il Vaticano. E il capo dell’UIF ( l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia), per protesta contro il Governo, ha ordinato il ritiro dei suoi uomini da Strasburgo. Ieri la Santa Sede è stata sottoposta all’esame finale dagli ispettori di Moneyval, l’organismo antiriciclaggio del Consiglio d’Europa riunito in seduta plenaria a Strasburgo. Ma il Governo italiano ha scelto di non parlare alla sessione plenaria in cui si discuteva il caso. Anche grazie a questo assordante silenzio italiano sulle tante inadempienze delle autorità della Santa Sede, il Vaticano è riuscito a ottenere una mezza promozione insperata alla vigilia. La partita vinta dalla Santa Sede con l’aiuto del governo italiano era fondamentale per lo Ior e le istituzioni finanziarie d’Oltretevere. Moneyval è il fratello minore della principale organizzazione internazionale antiriciclaggio, il GAFI, e si occupa di dare le pagelle agli Stati membri del Consiglio d’Europa o agli esterni (come è accaduto prima della Santa Sede con Israele) che chiedono di essere valutati. Lo scopo di chi si assoggetta alle forche caudine di Moneyval è quello di essere inseriti nella lista dei Paesi affidabili per accedere poi alle procedure semplificate delle operazioni bancarie.
La promozione insperata
La sessione plenaria dell’organismo europeo è iniziata il 2 luglio e si concluderà domani. Ieri però è stato il giorno del Vaticano. Il Fatto aveva già pubblicato i contenuti della bozza della valutazione sulla Santa Sede stilata dagli ispettori di Moneyval e spedita ai Paesi membri (tra cui l’Italia) nella quale il Vaticano aveva ottenuto un voto insufficiente: solo 8 delle 16 raccomandazioni fondamentali del GAFI erano rispettate. Grazie anche all’atteggiamento dell’esecutivo italiano, ieri si è passato da un 5 in pagella (8 su 16) a un 6 risicato: 9 promozioni e 7 bocciature. In polemica con questa scelta del governo Monti, il direttore dell’UIF Giovanni Castaldi ha ritirato i suoi due dirigenti dalla delegazione che rappresentava il nostro Paese a Strasburgo per non essere complice di una posizione sbagliata.
Grilli: “Non c’entro”
La decisione di tacere davanti al Consiglio di Europa sulle inadempienze di Oltretevere in materia bancaria – secondo quanto riferito da alcuni membri autorevoli della delegazione ministeriale a Strasburgo – sarebbe stata sponsorizzata dal viceministro dell’Economia Vittorio Grilli. Una circostanza molto grave, se confermata, perché il ministro dell’Economia (Monti che delega Grilli) è la prima autorità dello Stato in materia di antiriciclaggio secondo il decreto 231 del 2007. Grilli ha negato al Fatto ieri tramite il suo portavoce di avere fatto pressioni sulla delegazione, ma il risultato di cui l’esecutivo si dovrà assumere la responsabilità è che lo Stato italiano non ha tutelato gli interessi dei cittadini alla trasparenza bancaria, ma quelli del Vaticano e dello Ior all’opacità dei conti dei suoi correntisti incappati in indagini come Luigi Bisignani o Angelo Balducci.
I rappresentati dell’UIF di Bankitalia, cioè i principali testimoni “a carico” del Vaticano e a favore della trasparenza del sistema bancario nel piccolo processo allo Ior, al Vaticano e alle sue prassi opache che si teneva a Strasburgo, ieri erano assenti. Non c’era dall’inizio della sessione di Moneyval il rappresentante del ministero della Giustizia, che avrebbe potuto raccontare le rogatorie mai arrivate alla Procura di Roma da Oltretevere nelle indagini sui misteri della morte di Roberto Calvi. Ma non c’erano nemmeno i dirigenti dell’UIF che all’inizio erano partiti convinti di poter dire la loro e che invece si sono sentiti imporre un bavaglio dal ministero.
Il 3 luglio, infatti, alla vigilia dell’esame decisivo, la dirigente del ministero dell’Economia che guidava la delegazione del governo italiano ha comunicato al rappresentante UIF che non avrebbe parlato nessuno perché così era stato deciso a Roma. A quel punto Castaldi, informato dai suoi due dirigenti dell’accaduto, ha ordinato loro di rientrare a Roma. A nome dell’UIF, Castaldi aveva inviato a fine giugno una lettera al ministero dell’Economia nella quale specificava la sua posizione sulla bozza di rapporto trasmesso da Moneyval come base della discussione che si sarebbe tenuta a Strasburgo di lì a poco. In quella bozza, svelata dal Fatto, il Vaticano riceveva 8 bocciature e 8 promozioni sulle 16 raccomandazioni del GAFI in materia di antiriciclaggio. L’UIF riteneva quella pagella troppo benevola ed elencava le ripetute inadempienze del Vaticano: le mancate risposte alle rogatorie, l’involuzione della nuova normativa voluta dal segretario di Stato Tarcisio Bertone nel gennaio del 2012 rispetto alla legge del dicembre 2010 che rappresentava un passo avanti e istituiva l’AIF, l’autorità antiriciclaggio del Vaticano e via elencando inadempienze su inadempienze della Santa Sede.
Bertone e così sia
Dopo avere letto quella lettera il governo italiano ha deciso di impedire all’UIF di commentare pubblicamente il rapporto ieri davanti agli ispettori Moneyval. Così a rappresentare l’Italia in questo dibattito sono rimasti solo gli uomini della quinta direzione del ministero dell’Economia preposta alla lotta contro il riciclaggio, guidata da Giuseppe Maresca che però ha inviato l’avvocato Francesca Picardi, la dirigente del ministero che, in qualità di capo della delegazione, ha trasmesso il diktat di Roma.
Castaldi, per evitare l’effetto silenzio-assenso, ha ordinato ai suoi due uomini di rientrare a Roma immediatamente. Una scelta accolta con sollievo dalla delegazione vaticana guidata dal braccio destro del segretario di Stato Tarcisio Bertone, monsignor Ettore Balestrero. L’obiettivo del Vaticano era quello di ottenere almeno una valutazione migliore di quella di partenza che permettesse l’inserimento della Santa Sede nella cosiddetta grey list, la lista grigia dei Paesi ancora inadempienti secondo i parametri Moneyval che però stanno migliorando il loro sistema al fine di aderire alle raccomandazioni del GAFI.
L’ostacolo principale per il Vaticano sulla strada verso la lista grigia era proprio l’UIF, l’autorità aveva segnalato infatti il peggioramento del sistema antiriciclaggio nel 2012 grazie alla nuova normativa voluta da Bertone. E così l’obiettivo del Vaticano è stato raggiunto.
Aggiornamento. Nel primo pomeriggio il ministero dell’Economia ha diffuso una nota in cui non smentisce l’accaduto ma afferma:
“Non siamo membri di Moneyval e quindi nella veste di osservatori non votiamo. Anche la Uif è osservatore in Moneyval quindi non vota”.
“Da parte italiana il rapporto Moneyval viene giudicato completo in quanto contiene sia le riforme sia le carenze rimanenti. Nulla è stato taciuto”.
“Nella sua veste di osservatore il rappresentante del Tesoro ha svolto un intervento tecnico per spiegare il meccanismo alla base del sequestro dei fondi Ior da parte della magistratura italiana”.  

CALCOLI DELLA COLECISTI - (Calcolosi Biliare, Litiasi Colecistica)



Cosa sono ?
I calcoli della della colecisti (o litiasi della colecisti, spesso impropriamente denominata anche come "calcoli al fegato") rappresentano una situazione caratterizzata dalla presenza di formazioni dure simili a sassi, di dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro, all'interno della colecisti (o cistifellea).
È una malattia assai frequente, presente nel 10-15% della popolazione adulta. La sua diffusione è maggiore nel sesso femminile e si associa spesso con gravidanze multiple, obesità o rapidi cali ponderali.
Perché si formano i calcoli ? Le cause
Ci sono 2 tipi fondamentali di calcoli: calcoli di colesterolo e calcoli pigmentati.
I calcoli di colesterolo rappresentano circa il 70% dei casi dei Paesi Occidentali. La  nascita è dovuta a più di una causa e la formazione avviene in 3 stadi:
- saturazione del colesterolo,
- nucleazione e
- formazione dei calcoli.
Requisito essenziale è che il fegato del il paziente produca una bile satura in colesterolo. Il mantenimento del colesterolo nella bile dipende dall'equilibrio con alcuni fattori quali i sali biliari e i fosfolipidi. Se questo equilibrio si rompe, si produce una bile satura in colesterolo che rappresenta il fattore favorente la precipitazione del colesterolo stesso. Il successivo passo consiste nella formazione, da minuti cristalli di colesterolo, di agglomerati più grandi, già visibili ad occhio nudo. A questo punto, la formazione di calcoli veri e propri è inevitabile.
I calcoli pigmentati vengono a loro volta distinti in bruni, associati di solito ad infezioni e di riscontro soprattutto in Asia, e neri, non associati ad infezioni biliare (di comune riscontro nei pazienti con concomitanti malattie del sangue o cirrotici e presenti solo nella colecisti). La matrice di questi calcoli è rappresentata da bilirubina non coniugata che si combina e precipita con il calcio a formare bilirubinati di calcio.
Come si manifestano i calcoli della colecisti ? I sintomi
Molti dei pazienti con litiasi biliare rimangono senza sintomi per molti anni (circa il 50-70%) e possono anche non svilupparne mai alcuno. In altri casi, con una frequenza difficilmente stimabile, i calcoli possono causare sintomi o complicanze anche severe, come la colecistite acuta, l'empiema della colecisti, le angiocoliti o la pancreatite acuta.
Il sintomo più comune riferibile con certezza ai calcoli della colecisti è la colica biliare postprandiale. È necessario che il medico definisca con molta cura i sintomi, prima di ascriverli con sicurezza ai calcoli. La "colica" biliare si distingue per:
- la sua localizzazione (generalmente all'epigastrio, la zona al di sotto dello sterno, e solo nel 30% dei casi all'ipocondrio destro, il fianco destro),
- la durata (da 30 minuti a 3 ore) e
- l'intensità
e può essere associata a nausea e a vomito. Il dolore ha intensità massima nella regione epigastrica (la zona al di sotto dello sterno), con una irradiazione verso l'ipocondrio destro nel 30% dei casi ed un'irradiazione verso la schiena nel 6%; solo in una percentuale poco superiore al 10% la sede del dolore ‚ esclusivamente l'ipocondrio destro. I pazienti sintomatici presentano il 25% di possibilità in più, rispetto a quelli asintomatici, di sviluppare complicanze legate alla presenza di calcoli.
La colica biliare regredisce con l'uso di farmaci antispastici. La diagnosi, in presenza di una sintomatologia tipica, è confermata dall'ecografia addominale, con il riscontro di calcoli di varie dimensioni all'interno della colecisti.
Solo una percentuale dell'1-4% per anno sviluppa sintomi legati ai calcoli o alle sue complicanze. Circa il 10% dei pazienti sviluppa sintomi nei 5 anni successivi alla diagnosi di calcolosi e circa il 20% nei 20 anni successivi.
Numerosi altri sintomi generali aspecifici, come la cefalea, o sintomi digestivi, quali le turbe del transito o le turbe dispeptiche, la nausea ed il vomito in assenza di dolore, possono condurre all'esecuzione di un'ecografia addominale e quindi al rilievo di litiasi della colecisti. Questi sintomi non sono però generalmente legati alla presenza dei calcoli. La loro contemporaneità in assenza di dolore biliare non modifica il carattere "asintomatico" di un'eventuale calcolosi della colecisti.
Cosa può succedere ? Le complicanze dei calcoli
La "colecistite acuta" è sicuramente la complicanza più frequente della litiasi colecistica. È di solito causata da un'ostruzione acuta del dotto cistico da parte di un calcolo incuneato nel dotto o nell'infundibolo. Il dolore è simile a quello della colica biliare, ma persiste per più di qualche ora e può rimanere anche qualche giorno. Si può associare a nausea, vomito, tensione addominale con reazione addominale in ipocondrio destro. La colecisti si può distendere (idrope della colecisti) e può comparire la "febbre" con leucocitosi. In questi casi l'evoluzione è la comparsa di un empiema della colecisti con materiale purulento al suo interno.
La "perforazione della colecisti" è una rara complicanza che compare soprattutto negli anziani e negli immunodepressi. E' caratterizzata dalla comparsa di un addome acuto che richiede un intervento d'urgenza. Talvolta si può formare una fistola bilio-enterica ("fistola bilio-digestiva) e il calcolo può portare ad un'ostruzione determinando il noto "ileo biliare da calcoli". In questi casi, il trattamento consiste nella laparotomia d'urgenza.
La litiasi della colecisti è causa di "pancreatite acuta" nel 30-70% dei casi. I sintomi sono simili alla classica pancreatite acuta. Il trattamento dipende dalla severità del quadro clinico. Se possibile è meglio far precedere il trattamento medico alla colecistectomia. Se la situazione è in progressivo peggioramento si deve ricorrere alla laparotomia d'urgenza.
Chi deve essere operato ?
L'insorgenza delle complicazioni è quasi sempre preceduto dalla comparsa dei sintomi. Nessun elemento, né l'età, né il sesso, né il tipo o le dimensioni dei calcoli, né la durata della malattia, né la coesistenza di malattie associate permette attualmente di definire che una litiasi asintomatica si complicherà o darà origine a coliche biliari.
Viene quindi consigliato l'intervento chirurgico di asportazione della colecisti a chi ha avuto almeno un episodio di colica biliare. 
L'unica eccezione è rappresentata dalla presenza di una colecisti a pareti calcifiche (cosiddetta "a porcellana") in cui, anche in assenza di calcolosi, l'associazione con il cancro è estremamente alta (circa il 25% dei casi). In considerazione della maggiore incidenza di morbidità e mortalità nei pazienti diabetici operati d'urgenza, è opportuno in questi casi procedere alla colecistectomia al primo insorgere dei sintomi.
Chi NON deve essere operato ?
Dal quadro sinora descritto non sembra giustificato proporre un trattamento profilattico della calcolosi nei pazienti senza sintomi, ma solo una sorveglianza ecografica annuale.
Numerosi altri sintomi generali aspecifici o sintomi digestivi possono condurre all'esecuzione di un'ecografia addominale e quindi al rilievo di litiasi della colecisti. Questi sintomi non sono generalmente legati alla presenza di litiasi biliare e la loro presenza, in assenza di dolore biliare, non modifica il carattere "asintomatico" di un'eventuale calcolosi della colecisti. Questi sintomi non regrediranno con l'asportazione della colecisti e quindi questi pazienti non dovrebbero essere operati.
Il ruolo causale tra litiasi e cancro della colecisti è tuttora da definire (i dati riportati sono di 1 caso su 1000 pazienti con litiasi per anno). Non esistono dati per giustificare l'indicazione ad asportare la colecisti nei pazienti con calcolosi asintomatica. 
Rimane invece controverso se l'asportazione della colecisti debba essere eseguita nei pazienti con calcolosi asintomatica durante interventi di chirurgia addominale non diretti verso il fegato. Sicuramente la colecistectomia non deve essere eseguita nei pazienti ad alto rischio di complicanze postoperatorie, quali i cirrotici o gli ipertesi portali. Non sono invece disponibili dati sufficienti per determinare se esista un indicazione alla colecistectomia in altri gruppi di pazienti con litiasi asintomatica, quali i pazienti pediatrici con sferocitosi, i pazienti in lista di attesa per trapianto di rene o di cuore e/o gli immunodepressi che possono presentare un importante aumento dell'incidenza di complicanze e di mortalità correlata alle complicanze della litiasi.
Come si curano i calcoli della colecisti ? La terapia
L'approccio alla litiasi della colecisti ‚ stato decisamente modificato, del tutto recentemente, dallo sviluppo della chirurgia laparoscopica e della sua rapida diffusione in tutte le strutture chirurgiche universitarie, ospedaliere o private. Questa metodica, impone una valutazione critica di tutte le altre metodiche di trattamento della litiasi, chirurgiche e non, ed una riconsiderazione dell'atteggiamento da tenere di fronte alla litiasi asintomatica che viene sempre più frequentemente segnalata grazie allo screening ecografico.
Negli ultimi 20 anni sono stati proposti numerosi alternative alla chirurgia per il trattamento della litiasi della colecisti.
La dissoluzione farmacologica con acidi biliari è stata introdotta nei primi anni '70. Il farmaco di scelta è l'acido ursodesossicolico. L'indicazione migliore è rappresentata dai pazienti sintomatici con piccoli (< 5 mm) calcoli di colesterolo mobili in una colecisti funzionante. Tale evenienza comprende circa il 15% dei pazienti portatori di litiasi biliare. La terapia ha una durata variabile fra i 6 ed i 12 mesi ed è necessario monitorare con cura i pazienti per verificarne l'efficacia. In una percentuale di pazienti variabile fra il 60 ed il 90% la terapia è efficace, ma in circa nella metà di questi pazienti i calcoli si ripresenteranno nell'arco di 5 anni. Non ci sono dati sufficienti che supportino una terapia di mantenimento a lunghissimo termine. La percentuale di successo della terapia farmacologica è maggiore e la recidiva dei calcoli inferiore nei pazienti giovani, non obesi e con calcolo unico. Le indicazioni attuali sono limitate a pazienti sintomatici che rientrano nei criteri di sicura efficacia del farmaco e nei quali esista un rischio anestesiologico per età o malattie associate.
La litotrissia con onde d'urto è stata proposta a metà degli anni '80 e diverse sono le modalità di produzione delle onde. È stato rilevato che l'efficacia della terapia è proporzionale alla quantità di energia trasferita ai calcoli. La metodica prevede la frammentazione dei calcoli in pezzi più piccoli che possano poi essere dissolti farmacologicamente o che possano passare nell'intestino. È quindi necessaria l'esecuzione di una terapia medica adiuvante con acido ursodesossicolico. Il successo del trattamento ‚ dipendente dal numero e dal volume dei calcoli così come anche la recidiva è dipendente dal numero dei calcoli precedentemente eliminati. La procedura prevede la possibilità di insorgenza di alcune complicanze minori quali una transitoria ipertransaminasemia, pancreatite ed ematuria. I risultati migliori vengono ottenuti per calcoli unici di diametro inferiore a 20 mm: in questo caso ‚ stata registrata una percentuale di successo dall'80 al 90% ad 1 anno. Il ruolo della litotrissia ‚ sempre più ristretto, limitandosi l'indicazione alle forme sintomatiche di litiasi con colecisti funzionante e calcoli di piccole dimensioni e numero limitato, in pazienti a rischio chirurgico elevato o che comunque rifiutino anche l'intervento laparoscopico.
La litolisi per contatto è la metodica per la quale l'esperienza clinica è minore. L'agente chimico proposto è il metil-terbutil-etere (o MTBE). L'MTBE è solitamente introdotto nella colecisti attraverso un catetere transepatico percutaneo. Una pompa automatica peristaltica agevola una distribuzione efficace e la rimozione del solvente. Tuttavia, i calcoli composti in prevalenza da colesterolo possono dissolversi in un periodo che va da ore a giorni. L'impiego è consigliato in pazienti che sono ad alto rischio chirurgico. Resta comunque una tecnica con indicazioni eccezionali giustificabile solo per ragioni di ricerca presso Centri altamente specializzati.
Terapia Chirurgica. La colecistectomia laparotomica (l'intervento che viene eseguito con l'apertura dell'addome, con un taglio che segue il margine inferiore delle ultime costole di destra) è stata la terapia di scelta per la rimozione dei calcoli della colecisti negli ultimi 100 anni ed ancora fino alla fine degli anni '80 era considerata il punto di riferimento nel trattamento della litiasi. L'intervento è sicuro, con una mortalità operatoria intorno allo 0,05%. Complicanze maggiori sono poco frequenti. I dati che si riportano le complicanze e la mortalità della colecistectomia convenzionale si riferiscono oggi a casistiche "storiche", che includono pazienti a diverso rischio anestesiologico e chirurgico e talvolta operati in urgenza. L'intervento è da proporre oggi in prima istanza in pazienti con empiema della colecisti o in pazienti con precedenti interventi sull'addome superiore o quando ci sia il sospetto di un cancro.
La colecistectomia effettuata attraverso una minilaparotomia di pochi centimetri è stata proposta come modificazione della tecnica originaria con l'obiettivo di ridurre il dolore postoperatorio. I dati pubblicati si riferiscono tuttavia a pochi pazienti altamente selezionati per la facilità dell'accesso chirurgico. Tuttavia la tecnica non presenta nessun vantaggio rispetto alla colecistectomia effettuata per via laparoscopica e non ha incontrato un'ampia diffusione.
La colecistectomia laparoscopica è un intervento proposto relativamente di recente e dopo 10 anni dalla sua applicazione ‚ possibile affermare che garantisce un trattamento sicuro ed efficace per i pazienti portatori di litiasi della colecisti. In rapporto alla colecistectomia convenzionale, la colecistectomia laparoscopica offre il grande vantaggio di ridurre il dolore postoperatorio ed il periodo di convalescenza, di abolire l'ileo paralitico, senza incrementi nella mortalità o nella morbilità. I problemi estetici legati alla cicatrice laparotomica sono assai ridotti. Il rischio di lesioni alla via biliare principale è sostanzialmente sovrapponibile a quello presente con la tecnica convenzionale. L'intervento ‚ comunque effettuato in anestesia generale per poter far fronte alla possibilità di una conversione immediata in laparotomia, nei casi non sia possibile completare l'intervento per la presenza di aderenze o flogosi o situazioni anatomiche particolari che aumentino notevolmente il rischio di lesioni iatrogene della via biliare o dell'arteria epatica. I pazienti vengono dimessi mediamente entro 2 giorni dall'intervento (anche se ‚ possibile ridurre il ricovero postoperatorio alle 12 ore successive all'intervento). Il ritorno ad una attività lavorativa regolare può essere fatto entro la prima settimana dall'intervento. La tecnica laparoscopica riduce sostanzialmente i costi legati alla degenza ospedaliera ed al recupero fisico postoperatorio. Resta da sottolineare che i risultati clinici sono comunque influenzati dall'abilità e dall'esperienza del chirurgo che esegue l'intervento. La possibilità di convertire l'intervento da laparoscopico a laparotomico ‚ intorno al 2-10% e non rappresenta un insuccesso della tecnica, ma deve riflettere il risultato della valutazione chirurgica intraoperatoria. Inoltre, all'inizio dell'esperienza ("learning curve"), è stato riportato un aumento d'incidenza rispetto alla via tradizionale di complicanze legate a lesioni iatrogene della via biliare.
La colecistectomia laparoscopica è più problematica in corso di colecistite acuta o in presenza di aderenze per interventi pregressi sull'addome superiore; queste condizioni, se non rappresentano delle controindicazioni assolute all'intervento, impongono una maggiore prudenza ed una particolare esperienza del chirurgo. Diverse strategie combinate fra colecistectomia laparoscopica ed estrazione endoscopica vengono eseguite con successo nei pazienti con calcolosi della via biliare principale. Le uniche controindicazioni reali sono rappresentate dall'ipertensione portale, dalle fistole bilio-biliari, dal sospetto della carcinoma della colecisti, dalla presenza di colecisti "a porcellana". La tecnica laparoscopica ha ormai assunto un ruolo preponderante nel trattamento della litiasi colecistica ‚ da considerarsi oggi l'intervento di prima scelta nella litiasi sintomatica non complicata.

Giustizia: figlia Rocco Chinnici capo dipartimento minorile.


ROMA - Sarà Caterina Chinnici, figlia del giudice istruttore Rocco Chinnici ucciso dalla mafia nel 1983, il nuovo responsabile del Dipartimento della Giustizia Minorile del ministero della Giustizia. Alla guida di uno dei più delicati settori del dicastero di Via Arenula il Guardasigilli Paola Severino ha così scelto un magistrato con alle spalle una lunga e approfondita esperienza nel campo dei minori.
Caterina Chinnici è stata la più giovane magistrato in Italia nominato capo di un ufficio giudiziario, quello di procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, dal 1995 al 2008, e presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, dal 2008 al 2009.
Numerosi gli incarichi di consulenza e di collaborazione che ha ricoperto al ministero della Giustizia e presso la Presidenza del Consiglio dei ministri prima di accettare l'incarico, nel giugno del 2009, di Assessore nel Governo della Regione Sicilia. Al Dipartimento della Giustizia minorile Caterina Chinnici subentra a Manuela Romei Pasetti, dimessasi lo scorso marzo per motivi personali.