venerdì 6 luglio 2012

Appalti e grandi eventi: escort e case a politici per ottenere favori





Il manager Giacchetto le avrebbe messe a disposizione di una decina di parlamentari. Mazzette anche per aggiudicarsi le forniture in occasione della visita del Papa.


PALERMO - Per spianarsi la strada per guadagni futuri Fausto Giacchetto, titolare della Media Partners & Consulting srl, avrebbe messo a disposizione di una decina di parlamentari nazionali e regionali appartamenti nel centro di Palermo ed escort. I «favori» dell'imprenditore vengono fuori nell'inchiesta della Procura di Palermo su una serie di presunte turbative d'asta e corruzioni legate ad appalti e grandi eventi in cui Giacchetto è coinvolto assieme ad altre sette persone tra le quali una parente, un funzionario dell'assessorato regionale al Turismo, due suoi dipendenti e altri imprenditori.
I politici che, come risulta da alcune intercettazioni, avrebbero goduto di case e prostituite, che rilasciavano pure la fattura, non sono indagati: non è stato provato, infatti, che, in cambio, Giacchetto abbia ricevuto da loro favori. Tra i parlamentari che, secondo quanto emerge dall'indagine, avrebbero avuto, a vario titolo, contatti con il manager ci sarebbero esponenti del Pdl, Mpa, Udc e Fli.
Dall'inchiesta dei pm palermitani è venuto fuori che in cambio di denaro il funzionario dell'amministrazione regionale avrebbe agevolato Giacchetto e altri imprenditori da lui segnalati per ottenere appalti per alcuni grandi eventi della Regione siciliana come la visita del Papa a Palermo due anni fa. Mazzette piuttosto ingenti che arrivavano, a seconda dell'appalto, anche a 100-200mila euro. «Ti do 50mila a te e altri 50mila all'altro», dice Giacchetto in una delle intercettazioni finita agli atti dell'indagine. Per l'imprenditore la corruzione era un costume abituale. Tanto che quando uno dei suoi dipendenti fu interrogato dai pm, il manager non si preoccupò, ma si limitò a chiedere chi erano gli inquirenti e le forze dell'ordine che stavano indagando. In un altro caso, a novembre scorso, Giacchetto avrebbe dato 4000 euro in contanti a un ispettore della Forestale che aveva fatto degli accertamenti sulla regolarità della piscina a casa della suocera. Sarebbe stato l'ispettore a chiedere il denaro alla donna per chiudere un occhio e Giacchetto non avrebbe fatto una piega: ulteriore riprova che le mazzette, per lui, erano un'abitudine. A dare il via alle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dal sostituto Maurizio Agnello, è stato l'esposto di un imprenditore escluso dalle gare per la fornitura di servizi in occasione della visita del Papa. Adesso gli inquirenti stanno passando al setaccio i documenti di Giacchetto sequestrati nei suoi appartamenti e nei suoi uffici. In una cassetta di sicurezza sono stati trovati alcuni orologi da collezione e 400 mila euro in contanti. In tutto i pm avrebbero riscontrati irregolarità nell'aggiudicazione di appalti di 12 eventi, ma questa sarebbe solo la punta dell'iceberg. Giacchetto, infatti, si è occupato di numerose manifestazioni a livello nazionale.

Bpm, perquisizioni a Milano e Roma. Sisal e Capgemini, ad indagati: “Corruzione”. - Antonella Mascali

massimo ponzellini interna nuova


Nel decreto di perquisizione, che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere, c'è scritto che i due manager, Petrone e Mondani, “in qualità di amministratori delle società versavano o promettevano di versare denaro a Ponzellini attraverso una società a quest'ultimo riconducibile" perché amministrata da sua figlia.

Nell’indagine sull’ex presidente della Banca popolare di Milano, Massimo Ponzellini, finisce sotto accusa anche l’amministratore delegato della Sisal, Emilio Petrone e quello di una importante società di servizi, la Capgemini, Maurizio Mondani. Il pubblico ministero di Milano, Roberto Pellicano li accusa entrambi di corruzione privata, come Ponzellini e come il suo ex braccio destro, Antonio Cannalire. Questi ultimi due agli arresti domiciliari.
Su disposizione del magistrato, il nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano ha eseguito diverse perquisizioni. Non solo negli uffici e nelle abitazioni di Petrone e Mondani ma anche in quelli del Consorzio del Parco dell’Aniene. Perqusizione, inoltre, a casa e nell’ufficio di un professionista, A. S., non indagato, sospettato di aver avuto un contratto fittizio con la Bpm di “200 mila euro” all’anno, annota la Gdf ma che potrebbe essere stato un mediatore di rapporti illeciti per conto dell’allora presidente Ponzellini. Il suo contratto “stranamente non firmato dal direttore generale ma da Enzo Chiesa, indagato per associazione a delinquere con Ponzellini e Cannalire”.
Nel decreto di perquisizione, che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere, c’è scritto che Petrone e Mondani “in qualità di amministratori delle società versavano o promettevano di versare denaro a Ponzellini attraverso la società GM762 a quest’ultimo riconducibile (l’amministratore è la figlia Rachele, ndr)”.
“Petrone, in qualità di Ad della Sisal versava o prometteva di versare la somma di 860 mila euro nel 2011. Mondani in qualità di Ad di Capgemini versava o prometteva di versare nel corso degli anni 2009, 2010 e 2011 la somma complessiva di 432 mila euro per indurre Ponzellini e Cannalire a compiere più atti di violazione dei doveri inerenti il loro ufficio, in modo da favorire le predette società o società collegate nei procedimenti di concessione e mantenimento del credito bancario o, nel caso di Capgemini, nell’affidamento di incarichi di consulenza da parte della Bpm a Milano tra il 2009 e il 2011″.
Nel decreto di perquisizione, il pm Pellicano smonta dal punto di vista dell’accusa la memoria difensiva della Sisal che giustifica i rapporti con la Bpm e con Cannalire: “Se infatti è vero che che i rapporti di Sisal con la Bpm precedono la nomina di Ponzellini a presidente della banca, lo è altrettanto il fatto che i rapporti sia con Cannalire e con la GM762 sono successivi a tale nomina”. Questi dati, prosegue il pm potrebbero essere una coincidenza ma “dovrebbe essere spiegato perché la Sisal affermi che a giugno 2011 si era perfezionato un accordo (per 120 mila euro, ndr), quando Rachele Ponzellini (amministratore della GM762) durante la conversazione del 29 settembre 2011 rivolta al proprio padre Massimo Ponzellini, subito dopo essersi lamentata che nessuno stava pagando ‘…Capgemini ci paga il 30….non ci paga nessuno….allora so che hai lì vicino (Petrone)’”, ne invochi l’intervento presso lo stesso Petrone al fine di ‘sapere se ci mandano innanzitutto il contratto firmato e pi anche col fatto che ci siamo messi d’accordo, avevamo emnesso la fattura, Pala ci aveva dato l’ok, però non è ancora arrivato niente….quindi di sentire un attimo…’”.
Gli inquirenti sono convinti, in base anche una serie di mail sequestrate, che l’iniziativa “partiva da Petrone….ed è ragionevole pensare che fossero già stati presi accordi con Ponzellini”. Per quanto riguarda i rapporti tra Ponzellni e la società di servizi Kapgemini, l’accusa sospetta anche che Ponzellini, in ottimi rapporti con il mondo politico del centrodestra potesse ricevere soldi o promesse di soldi in cambio di una sua attività da lobbista per far ottenere alla società eventuali commesse pubbliche.
Dalle perquisizioni emerge anche un altro finanziamento anomalo della Bpm dopo quello alla società Atlantis del latitante Francesco Corallo. In questo caso a segnalarlo alla procura di Milano sono stati i nuovi vertici della Bpm che hanno ordinato una verifica interna. Si tratta di 60 milioni di euro ottenuti tra maggio e luglio del 2010 dal Consorzio Aniene scarl per un progetto edilizio alla periferia di Roma.
In questa vicenda Ponzellini è interessato da molto vicino. Quel Consorzio (tra i partner il gruppo Salini e Stefano Todini) vede socio al 20% lo stesso Ponzellini con la Penta spa e la Mb sviluppo industria spa. Non c’è da stupirsi se il finanziamento “anomalo” aveva avuto parere negativo dall’ufficio crediti della Bpm ( non c’erano garanzie) ma aveva ottenuto il via libera dell’allora Cda, con l’astensione formale di Ponzellni. E sempre la Mb è la società che ha venduto al Consorzio il terreno su cui voleva costruire. Ponzellini, insomma, uno e trino. Finanziatore e doppio beneficiario

G8, le telefonate tra poliziotti e centrale "Speriamo che muoiano tutti, 1-0 per noi". - Marco Preve

<B>G8, le telefonate tra poliziotti e centrale<br>"Speriamo che muoiano tutti, 1-0 per noi"</B>


GENOVA (6 luglio 2007) - C'è la poliziotta che scherza sulla tragedia di Carlo Giuliani ("speriamo che muoiano tutti... tanto uno già...1 a 0 per noi.."), il funzionario che impreca per i ritardi, l'agente che non sa che accade, l'altro che racconta di teste spaccate, il capoufficio stampa di Gianni De Gennaro "dimenticato" per strada, il capo della celere distrutto dalla nottata, quello della Digos che cerca di disfarsi delle due molotov. Sono le 26 telefonate che gli avvocati delle parti offese del processo per il blitz alla Diaz nel luglio 2001 - 29 tra funzionari e agenti imputati per lesioni, falso e calunnia - depositeranno nell'udienza di oggi, l'ultima prima della pausa estiva. Le comunicazioni sono quelle che intercorrono tra i poliziotti sul campo e la centrale operativa del 113 in questura. 

Ore 21.35 l'irruzione deve ancora essere decisa ma vengono inviate pattuglie per verificare la situazione attorno alla scuola che ospita la sede del Genoa Social Forum. Una funzionaria della centrale operativa (Co) parla prima con una pattuglia della Digos: "In piazza Merani ci hanno segnalato questi dieci zecconi (i manifestanti ma anche i giovani di sinistra, ndr) maledetti che mettevano i bidoni della spazzatura in mezzo alla strada...". Alle 21.57 la stessa poliziotta parla via radio con un collega (R) il tono è rilassato e scherzoso. 

R: "Ma guarda che io dalle 7 di ieri e di oggi sono stato in servizio fino alle 11, quindi... ho visto tutti 'sti balordi queste zecche del cazzo... comunque...". Co: "... speriamo che muoiano tutti...". R: "Eh sei simpatica". Co: "Tanto uno già va beh e gli altri... 1-0 per noi... tanto siamo solo sul 113 e registrano tutto". 



A cavallo della mezzanotte, al 113, arrivano le telefonate allarmate di residenti della zona. Ore 23.58: "... via Cesare Battisti... guardi che è un macello... "; ore 23.59: "Lo sapete che hanno attaccato i ragazzi qui della scuola Diaz". 

I primi feriti. Ore 00.17, l'agente al posto di polizia dell'ospedale San Martino chiama il 113: "Ascolta ha chiamato il 118 che sta arrivando una valanga di feriti, è possibile?". 113: "Sì no, guarda io non te lo so dire...". 

Non hanno idea della situazione neanche gli agenti del reparto prevenzione mandati a piantonare i feriti all'ospedale. Alle 2.36 uno di loro chiama la Centrale operativa. "Sono 25 persone, uno ha problemi al torace... l'altro lo metti in chirurgia, l'altro in neurologia..", 113: "Sono in stato d'arresto?". Il poliziotto: "No devono essere accompagnati... si vede che questi sono i protagonisti degli scontri di oggi... però chi ha proceduto io non lo so". Co: "Guarda non lo so neanche io... ". 

Alla stessa ora il poliziotto al San Martino spiega al 113, che chiede se ci sono ferite da taglio: "No, no teste aperte a manganellate". 
Uno degli imputati il commissario Alfredo Fabbrocini parla al telefono con il 113 che chiede informazioni su quanto accaduto alla Diaz. Co: "Allora scusami esatto... quante persone avete accompagnato voi a Bolzaneto?". 

F: "Guarda ti direi una bugia, non lo so... c'era un tale caos, guarda, anche perché noi non accompagnavamo, noi facevamo la scorta... comunque c'era il funzionario della Digos, il funzionario della mobile". Co: "E lì ti fermi... perché non c'era altro". F: "Non lo so se non c'era altro, c'era qualche funzionario addetto della Digos, ce n'erano almeno tre o quattro.. c'era il dottor Sgalla, c'era anche Ciccimarra che li conosco, quella là più alta in grado non so chi era, comunque ce n'erano altri... ah c'era Gratteri, c'era il dottor Gratteri... loro hanno disposto il servizio, noi abbiamo fatto manovalanza...". 

All'1.23 Lorenzo Murgolo alto funzionario della questura di Bologna, indagato e poi prosciolto, si infuria con il 113 perché non arriva un pullman per il trasferimento dei "prigionieri" arrestati: "Sono il dottor Murgolo porca... perché non rispondete porca.. è tutt'oggi che non rispondete a sto ca... di 113.. ". 
Cinque minuti dopo è ancora lui, in sottofondo si sente la gente che urla "assassini assassini". L'operatrice del 113 è in difficoltà di fronte alla rabbia di Murgolo e chiama un funzionario ma la musica non cambia: "Ma porca... ma mi volete dire dov'è 'sto pullman..". 113: "La navetta è sul posto...". M: "Mah.. io non la vedo". 

Alle 2.07 Mario Viola funzionario collaboratore di Roberto Sgalla capo ufficio stampa del capo della polizia chiama ripetutamente il 113 per avere una volante che li riporti indietro perché tutti i mezzi sono partiti "scordando" i due dirigenti. Alle 2.44 richiama e dice che è stato accompagnato dal capo della mobile "perché se aspettavamo una volante stavamo ancora lì". 

Mentre attendono di essere collegati dal centralino Viola parla con dei colleghi: "Che ha detto?... ha detto che non è stata proprio una bella cosa quella che abbiamo fatto" e un altro ribatte "che se ne andasse a fan... ". 

Alle 3.05 Vincenzo Canterini ("... sai che non connetto più io.. dissociato.. davvero so dissociato...") capo della celere romana parla con un suo attuale coimputato, Spartaco Mortola, ex dirigente Digos di Genova che agli agenti nel suo ufficio dice: "Oh ragazzi le molotov non lasciatemele qui...". Sono le due bottiglie che, scoprirà la procura, furono introdotte nella Diaz dagli stessi poliziotti. 



http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/cronaca/g8-genova/telefonate-poliziotti/telefonate-poliziotti.html

Diaz, danni.



Diaz, giustizia in Cassazione. Tra le varie, mi hanno sempre colpito forte le parole di Lorenzo Guadagnucci (all’epoca giornalista del Resto del Carlino): “Nessuno poteva venirti a salvare: la polizia era già lì, erano saltati tutti i punti di riferimento. Il momento in cui ho ricominciato a tornare alla normalità è stato quando è arrivato il magistrato; è paradossale perchè il magistrato veniva per accusarmi, ma io mi sono sentito sollevato perchè in quel momento significava tornare nell’ambito di una legge, di un ordine”.


http://www.tnepd.com/2012/diaz-danni

GIANNI DE GENNARO: UNA CARRIERA COL MARCHIO FBI.



Pare che anche a Monti possa capitare di dire la verità. Secondo alcuni organi d’informazione, Monti avrebbe infatti dichiarato che l’Italia non è una colonia dell’Unione Europea. [1]
L’Italia, e anche la stessa Unione Europea, sono infatti colonie della NATO. Monti, prima di diventare Presidente del Consiglio, era un advisor del Consiglio Atlantico della NATO; lo stesso vale per l’attuale ministro della Difesa, Di Paola, che è stato presidente del Comitato militare della NATO sino al novembre scorso.
Ma c’era bisogno di rafforzare la presenza americana nel governo, così Monti ha nominato Gianni De Gennaro a sottosegretario, con incarico di Autorità sulla “intelligence”, cioè sui servizi segreti. Già prima della nomina a sottosegretario, De Gennaro era il supercapo dei servizi segreti, ed ora ne diventa una sorta di divinità. De Gennaro è l’uomo la cui fama è legata soprattutto alla vicenda del massacro nella scuola Diaz di Genova, ma che avrebbe anche altri motivi per essere giustamente famoso.
De Gennaro è infatti l’uomo di fiducia del Federal Bureau of Investigation. Dal sito dello stesso FBI, si apprende infatti che De Gennaro nel 2006 è stato insignito della medaglia per “Meritorious Achievement”, una delle maggiori onorificenze concesse dal Bureau. [2]
Tra le imprese meritorie di De Gennaro di cui si parla nella motivazione ufficiale del premio, c’è anche quella di aver operato per più di trenta anni da “consigliere informale” degli ambasciatori statunitensi in Italia. Gli “informali” potrebbero quindi adottare De Gennaro addirittura come loro maestro. Qualcuno direbbe che De Gennaro fa la spia per conto degli ambasciatori americani, ma si tratterebbe chiaramente di calunnie senza fondamento.
A confermare l’assoluta affidabilità di De Gennaro provvedono infatti gli stessi Americani. Quando, nel 2010, Ciancimino figlio ha tirato in ballo il nome di De Gennaro a proposito di favoreggiamento nei confronti della mafia, il soccorso è immediatamente arrivato dal direttore FBI, Robert S. Mueller, che ci ha garantito che De Gennaro è un insospettabile, poiché egli ha collaborato per “quasi” trenta anni con la superpolizia federale statunitense. C’è questa piccola dissonanza tra le due dichiarazioni di fonte FBI: più di trenta anni nella motivazione ufficiale del premio, quasi trenta anni nella dichiarazione a sostegno. Forse non significa nulla, ma potrebbe anche indicare che la collaborazione di De Gennaro con gli USA era cominciata molto prima che avesse il crisma dell’ufficialità. [3]
Non c’è quindi da sorprendersi che sia stato Ciancimino a finire nei guai dopo le sue accuse a De Gennaro. A sua volta nel 2000 De Gennaro si era fatto garante di un altro poliziotto accusato di rapporti con la mafia, Ignazio D’Antone. In quell’occasione De Gennaro aveva agito facendo squadra con Antonio Manganelli (attuale capo della polizia, divenuto leggendario per il suo mega-stipendio) e, infine, con Arnaldo La Barbera. [4]
La Barbera è morto nel 2002, prima di dover rispondere di depistaggio per la strage di Borsellino e della sua scorta. A proposito di La Barbera è risultato anche che fosse al contempo capo della Squadra Mobile di Palermo ed agente del SISDE.[5]
Manco a dirlo, il trio De Gennaro-Manganelli-La Barbera è lo stesso che stava dietro i fatti di Genova. Insomma, ci si dava una mano quando era necessario. Il tutto però sotto la sacra tutela del Federal Bureau of Investigation.
Il bello è che non c’è assolutamente nulla di segreto, poichè l’FBI certe notizie su De Gennaro te le sbatte in faccia addirittura dal suo sito ufficiale. Tanto nessun giornalista andrebbe mai a recuperare certe informazioni sulle ingerenze USA in Italia per metterle nella opportuna evidenza. Eccoli invece gli opinionisti ufficiali, tutti seri e impegnati, a fare l’esegesi delle elucubrazioni di un poetastro mitomane, che chiaramente non ha nessun legame con l’attentato al manager di Ansaldo Nucleare.[6]
Il primo a rivelare agli Italiani che De Gennaro è un “manutengolo dell’FBI” è stato Francesco Cossiga, in un discorso in senato in seguito a delle sue interpellanze presentate al governo Prodi. Il discorso di Cossiga fu mandato suo tempo in tv, ed è reperibile ora su Youtube. [7]
Ciò non impedì allo stesso governo Prodi di nominare, nel gennaio 2008, De Gennaro alla carica di commissario straordinario all’emergenza-rifiuti in Campania, così che non fu difficile capire che in quella strana emergenza c’era di mezzo qualche interesse statunitense. [8]
In quella circostanza i due partiti comunisti al governo con Prodi ingoiarono il rospo, e qualche loro esponente farfugliò come scusa che l’incarico di commissario per l’emergenza-rifiuti avrebbe potuto costituire per De Gennaro l’occasione per riscattarsi dai fatti di Genova. In realtà la costante di tutti i passi della vicenda di De Gennaro è la presenza dei servizi segreti, che con lui sono andati a gestire direttamente l’emergenza- rifiuti.
Ma l’impronta dei servizi segreti non mancò neppure nei fatti di Genova. Pochi giorni prima del G8, il 23 giugno, il quotidiano “La Repubblica” infatti pubblicò un’allarmante informativa del SISDE, che narrava una di quelle fiabe inquietanti che fanno parte del tipico repertorio del vittimismo preventivo e pretestuoso del potere. Secondo il SISDE, i manifestanti di Genova avrebbero avuto l’intenzione di sequestrare dei poliziotti per usarli come “scudi umani”. Quindi il massacro di Genova era stato non solo preordinato, ma anche annunciato.[9]



La trattativa e il Colle, Tremonti al “grande burattinaio”: “Vuoi le intercettazioni?” - Marco Lillo

tremonti napolitano interna new ok


Alla fine di giugno i pm intercettano Ignazio Moncada (Finmeccanica) con l’ex ministro che gli offre il dvd con le telefonate tra il D'Ambrosio e Nicola Mancino. Al faccendiere sequestrato un dossier su Orsi.

Vuoi le intercettazioni di Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio?” Quando hanno ascoltato il colloquio nel quale l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti si proponeva come pusher di dvd al presidente della Fata (gruppo Finmeccanica) Ignazio Monca-da, più noto come Il grande burattinaio i carabinieri del Noe non credevano alle loro orecchie. La conversazione risale a due settimane fa ed è stata ‘contestata’ ieri a Ignazio Moncada e, prima ancora in mattinata, all’ex ministro, entrambi convocati d’urgenza a Napoli dai pm Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio come persone informate dei fatti. Sia l’ex ministro del Pdl che il manager del gruppo Finmeccanica davanti alla loro voce registrata, hanno detto all’unisono: “Scherzavamo”. Tremonti ha spiegato ai pm che conosce da anni Moncada e ama discutere con lui di scenari internazionali: “È stimato dai socialisti europei , come Giuliano Amato ma conosce anche Hollande e mi interessano le sue analisi”.
Altro che “scherzi” - Eppure l’inizio della telefonata non sembra alludere a scenari esteri: “Le vuoi le intercettazioni Mancino-D’Ambrosio?” chiede Tremonti a Moncada ricevendo dal Grande burattinaio una replica che svaluta la proposta: “ma sono quelle che ho scaricate da Youtube?”. Tremonti insiste affermando di avere anche il dvd completo. Poi i due analizzano le conseguenze deflagranti delle telefonate del Quirinale sulla tenuta del governo Monti e si danno appuntamento per vedersi. Quando parla con Tre-monti, Moncada è intercettato da qualche settimana dalla Procura di Napoli ma non è indagato nel procedimento che vede indagato invece per corruzione e riciclaggio il presidente del suo gruppo: Giuseppe Orsi. Il professore torinese di adozione (è nato in Sicilia nel 1949) è finito nel mirino degli inquirenti a causa delle parole pronunciate dal suo amico Ettore Gotti Tedeschi il 23 maggio del 2012 nella saletta riservata del ristorante Rinaldi al Quirinale. L’allora presidente dello Ior parlava di Moncada con Orsi come di un uomo in grado di garantirgli l’appoggio “del sistema”, lo definiva più di un agente della Cia, più di un semplice massoncello. Moncada “è veramente un grandissimo burattinaio”. Le parole registrate dalle cimici del reparto operativo del Noe guidati da Pietro Raiola Pescarini sono pesanti e impongono ai magistrati di prendere sul serio l’intercettazione con Tremonti. Tutti i cronisti giudiziari d’Italia erano in quei giorni a Palermo per cercare il dvd dove erano compulsati 76 fascicoli di atti (depositati dai pm di Palermo e non segreti) compresi gli audio delle telefonate tra D’Ambrosio e Mancino.
Tremonti e Moncada dicono che scherzavano ma la Procura di Napoli non considera la telefonata alla stregua di una barzelletta. Infatti i pm hanno convocato l’ex ministro a Napoli (un disturbo che gli era stato evitato nel’inchiesta Milanese) per contestargli praticamente solo quella telefonata. I medesimi pm hanno spedito i Carabinieri del Noe a perquisire casa e ufficio di Moncada dopo avere ascoltato la telefonata. E non c’è dubbio che Moncada abbia ottime relazioni nei servizi segreti a partire dal nuovo capo del Dis, Dipartimento informazioni sicurezza, Giampiero Massolo, che ha appena preso il posto di Gianni De Gennaro.
Ieri tutte le carte, compresa la trascrizione della telefonata, sono state spedite alla Procura di Palermo perché i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia valutino le parole dell’ex ministro. Nelle motivazioni del decreto di perquisizione a casa Moncada sono citate le presunte mazzette all’ombra degli affari internazionali di Finmeccanica ma quando hanno sequestrato alcuni dischetti, i magistrati probabilmente volevano controllare anche se quel dvd esiste davvero.
La busta anonima - Nell’occasione comunque a casa di Moncada è stato trovato un dossier su Giuseppe Orsi. A dimostrazione che forse Orsi non sa chi è Moncada (o almeno così dice a Gotti Tedeschi al ristorante ) ma Moncada sa benissimo chi è Orsi. “Cosa è questo documento dattiloscritto di 4 pagine con intestazione ‘Giuseppe Orsi?’”, è stato chiesto dai pm al presidente di Fata che dovrebbe occuparsi di macchine per la lavorazione dell’alluminio. La sua risposta è stata: “L’ho ricevuto in una busta anonima all’hotel circa sei mesi fa”. Dove l’hotel, non c’è nemmeno bisogno di specificarlo, è il Grand Hotel Saint Regis di Roma, un cinque stelle dove “Il Gobbo”, come lo chiama scherzosamente Gotti Tedeschi alludendo al potere più che alla conformazione fisica di Andreotti, riceve da decenni i suoi ospiti. Un po’ come faceva con ben altre modalità e scopi nell’altro hotel prestigioso della capitale, l’Excelsior, il venerabile Licio Gelli. “E perché ha tenuto quelle carte per mesi da parte?” gli hanno chiesto i pm. E Moncada: “le ho trovate interessanti”.
E interessanti, quelle pagine sugli assetti di potere del gruppo, lo erano davvero. Tremonti ieri si è mostrato incredulo e quasi divertito dalle domande sospettose dei pm sul dvd. “Mai avuto un dvd del genere. Era solo uno scherzo”. Chi sono gli “amici” che le avrebbero messo a sua disposizione quel materiale? Tre-monti ha replicato ai pm che “amici” è un modo di dire ironico usato per fare il verso ai siciliani. “Ma voi pensate davvero che io mi interessi di trattativa?”, ha chiesto Tremonti ai magistrati. Insomma nessun investigatore gli avrebbe messo a disposizione un materiale così delicato da girare a un uomo vicino ai servizi segreti come Moncada. Fantascienza, è sbottato l’ex ministro: “Io mi occupo dei problemi dell’euro non della mafia”.
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/05/trattativa-e-colle-tremonti-al-grande-burattinaio-vuoi-intercettazioni/285390/

giovedì 5 luglio 2012

Diaz, confermate le condanne ai 25 poliziotti. Interdizione agli alti dirigenti. - Mario Portanova

scuola diaz interna nuova


La sentenza della Quinta sezione mette la parola fine al processo per il blitz del G8 di Genova nel 2001. Gli imputati non andranno in carcere, ma l'interdizione dai pubblici uffici colpisce alti dirigenti come Gratteri, Caldarozzi e Luperi.

Sono definitive tutte le condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione della polizia alla scuola Diaz al termine del G8 di Genova la notte dei 21 luglio 2001. Lo hanno deciso i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione. Confermata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che dunque colpisce alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani: Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo,Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Tutti condannati per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni, in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate.
Nessuno dei condannati rischia invece il carcere, grazie ai tre anni di sconto dall’indulto approvato nel 2006. La Suprema corte ha dichiarato prescritte le condanne per le lesioni inflitte ai capisquadra dei “celerini” del Reparto mobile di Roma. 
In dettaglio, il collegio presieduto da Giuliana Ferrua ha confermato 4 anni a Giovanni Luperi e Francesco Gratteri, 5 anni per Vincenzo Canterini (all’epoca comandante del Reparto mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici (questi ultimi all’epoca dirigenti di diverse Squadre mobili), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di genova), Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al VII nucleo sperimentale del Reparto mobile di Roma. 
Oltre 60 feriti e 93 arrestati e poi prosciolti, tra i quali molti giovani stranieri. Il blitz alla scuola Diaz-Pertini, dove alloggiavano manifestanti antiliberisti giunti nel capoluogo ligure per le manifestazioni contro il G8 del 2001, avviene nella notte tra il 21 e il 22 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani. All’operazione presero parte centinaia di poliziotti, e nessuno è mai stato in grado di fornirne il numero esatto, dato che – come è emerso ai processi – molti agenti e funzionari si aggregarono spontaneamente al contingente.
La scuola era ritenuta il “covo” dei black bloc, protagonisti di due giorni di violenti scontri con le forze dell’ordine. Dai processi, però, è emersa anche la volontà dei vertici della polizia di portare a termine un’azione eclatante per bilanciare il disastro dell’ordine pubblico al G8 genovese. L’ex vicecapo della polizia Ansoino Andreassi, per esempio, ha testimoniato in aula la sua ferma contrarietà all’intervento, avvenuto quando il vertice e le relative contromanifestazioni erano finite. Ma, secondo Andreassi, alla fine prevalse la volontà dei dirigenti inviati da Roma dal capo della polizia Gianni De Gennaro
VIDEO – SENTENZA DIAZ: L’ATTESA DELLE VITTIME A ROMA
L’IRRUZIONE. Nel corso dell’irruzione nel complesso scolastico, aperta dagli uomini del VII Nucleo Sperimentale del Primo Reparto mobile di Roma, comandato da Vincenzo Canterini, la maggior parte degli occupanti viene picchiata selvaggiamente. Al pestaggio, però, non partecipano soltanto i “celerini”, ma anche uomini delle Squadre mobili e delle Digos, distinguibili dai primi dalle divise o dal fatto di essere in borghese. La brutalità dell’intervento sarà confermata al processo di primo grado, oltre che dalle testimonianze di decine di vittime costituitesi parte civile, da Michelangelo Fournier, comandante del VII nucleo, che parlerà di “macelleria messicana” e “colluttazioni unilaterali” in cui i sui colleghi pestavano e gli occupanti subivano. Due vittime arrivarono al pronto soccorso in codice rosso, in pericolo di vita. Fournier racconterà anche di un collega che davanti a una ragazza gravemente ferita a terra “mimò il gesto del coito”.
Molti degli arrestati verranno poi rinchiusi per giorni nella caserma di Bolzaneto, dove subiranno altre violenze.Tutti gli occupanti della Diaz-Pertini sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, un reato che prevede fino a 15 anni di carcere. In sostanza la polizia li accusa di essere tutti dei “black bloc“, protagonisti di gravi incidenti in piazza il 20 e il 21 luglio. Ma le prove verbalizzate dalla polizia si riveleranno false. A cominciare dalle due bottiglie molotov portate all’interno della Diaz dai poliziotti stessi, come accertato definitivamente dal processo di primo grado.
L’INCHIESTA E I PROCESSI. Dopo il G8, finiscono sotto inchiesta agenti e alti funzionari: 29 vengono rinviati a giudizio, accusati a vario titolo di falso, arresto arbitrario, lesioni e calunnia. Il tribunale di Genova, il 13 novembre 2008, con una sentenza che sarà al centro di polemiche, assolve 16 imputati – funzionari e dirigenti – mentre ne condanna 13, che sono soprattutto uomini del VII Nucleo. 
La Corte d’appello genovese, però, ribalta il verdetto il 18 maggio 2010: 25 le condanne – tra cui quella di Francesco GratteriGiovanni LuperiVincenzo CanteriniSpartaco Mortola,Gilberto Caldarozzi, tutti alti funzionari di polizia – comprese tra i 5 e i 3 anni e 8 mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Come in primo grado, nessuno degli imputati è riconosciuto responsabile di specifici episodi di violenza, anche per la difficoltà, da parte delle vittime, di riconoscere gli agenti coperti da caschi e fazzoletti sul volto. Ma dalla ricostruzione dei giudici di secondo grado appare chiara la responsabilità dei vertici per non essere intervenuti a fermare i pestaggi e, per i firmatari dei verbali d’arresto e perquisizione, di aver avallato false accuse verso i 93 “no global”.
Nel processo di cassazione, il pg Pietro Gaeta ha chiesto la conferma delle condanne per tutti gli imputati, mentre fuori dal “palazzaccio” le vittime e le associazioni chiedevano “verità e giustizia”. 
L’ASSOLUZIONE DI DE GENNARO. Un processo parallelo poi, ha riguardato l’ex capo della polizia, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni de Gennaro, accusato di aver istigato alla falsa testimonianza sulle violenze alla Diaz l’allora questore di Genova Francesco ColucciDe Gennaro, assolto in primo grado, ma condannato in appello a un anno e 4 mesi, viene prosciolto definitivamente da ogni accusa dalla Cassazione, che, nel novembre 2011, annulla la sentenza d’appello “perché il fatto non sussiste”.