giovedì 19 luglio 2012

Di Matteo: “La solitudine si percepisce ma andremo avanti a cercare la verità”.


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Palermo. “Andando avanti nelle indagini abbiamo percepito sempre più crescere la diffidenza e il fastidio verso le stesse. Molti erano convinti che queste non avrebbero portato a nulla o al massimo ad una richiesta di archiviazione.” ha detto il pubblico ministero della Dda di Palermo Nino Di Matteo.
“Quando poi è stato chiaro che si sarebbe arrivati ad una contestazione di reato e forse anche ad un processo ecco che si è fatto evidente il cambiamento. E quel malcelato fastidio è diventato un manifesto attacco per delegittimare in partenza le inchieste ed i magistrati che le conducono”. “Un attacco continuo – ha aggiunto Di Matteo – quando autorevoli esponenti politici che hanno definito i magistrati di Palermo come schegge eversive della magistratura con obiettivi intimidatori, e che è poi continuato anche su certa stampa che ha chiesto provvedimenti disciplinari a nostro riguardo. Nessuno ha ritenuto di dover intervenire per difendere e proteggere l'autonomia e la dignità personale dei magistrati, né il ministro della Giustizia né il Csm, né l'Anm nei suoi organismi centrali, che danno voce ad un assordante silenzio. Mi auguro che assieme all'isolamento non tornino i rischi che questo porta. Certo forse rispetto al passato la forza militare di Cosa nostra è più debole ma non è sufficiente questa speranza per accettare il rischio della delegittimazione e dell'attacco continuo”. Quindi ha concluso: “Noi continueremo a fare il nostro dovere, a cercare le verità senza paure, anche quelle verità troppo scomode, senza cedere allo scoramento e alla tentazione della polemica e della rassegnazione. A chiedercelo è la sete di verità e giustizia della parte migliore di questo Paese, oltre a tutti i nostri morti, come Falcone e Borsellino, e l'amore per il nostro Paese”.

Paolo Borsellino.



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Che colpe hanno?



 

 

 
 
 
 
 

Che colpe hanno?

Ventiseimila bimbi morti al giorno E la metà dei decessi è per fame.




ROMA - Ventiseimila ogni giorno, una strage continua: è questo il numero dei bambini che muoiono nel mondo prima di arrivare ai cinque anni d'età. E le cause sono facilmente prevenibili, dalle malattie infettive alla diarrea, dalla fame alle scarse condizioni igieniche. La fotografia illustrata oggi nell'ultimo rapporto dell'Unicef sulla condizione dell'infanzia presenta zone d'ombra soprattutto nell'Africa subsahariana e nell'Asia meridionale, dove si verificano l'80 per cento dei decessi infantili: percentuale lontana anni luce dalla condizione dei paesi occidentali. 

Il rapporto dell'agenzia Onu per i bambini è dedicato quest'anno al diritto alla salute, per "nascere e crescere sani" e traccia un quadro che lascia ancora molto a desiderare rispetto al quarto obiettivo di sviluppo del millennio, che prevede la riduzione di due terzi della mortalità infantile nel mondo entro il 2015. 

Passi avanti ne sono stati fatti, ricorda l'agenzia: nel 2006 per la prima volta le morti sono scese sotto quota 10 milioni, mentre nel 1960 erano bel il doppo, 20 milioni. Ma ancora 9.7 milioni di piccoli non sopravvivono a causa delle guerre, dei disastri naturali, dell'Aids, o ancora per le condizioni di miseria in cui sono costretti a vivere e per la mancanza di strutture medico-sanitarie adeguate. 

Un bambino su quattro nel mondo è sottopeso; percentuale che nei paesi meno sviluppati arriva ad uno ogni tre; cinque milioni di bambini sotto i cinque anni d'età muoiono di malnutrizione o fame. L'allarme dell'Unicef non risparmia poi le madri, la cui condizione non è certo incoraggante: mezzo milione di donne ogni anno muoiono per complicazioni di parto o di gravidanza. E il rischio aumenta per le più giovani: le ragazze sotto i 15 anni di età hanno cinque volte più possibilità di morire rispetto alle ventenni durante il parto. La maglia nera, sotto questo aspetto, tocca al Niger, dove le donne hanno una possibilità su sette di morire dando alla luce il proprio bambino; seguono Sierra Leone e Afghanistan (una su otto), mentre all'altro estremo della classifica ci sono l'Argentina (una possibilità su 530), la Tunisia (una su 500) e la Giordania (una su 450). 


Fra i paesi in via di sviluppo le condizioni dei bambini, invece, sono nettamente migliorate a Cuba (sette morti ogni mille nati vivi), in Sri Lanka (13) e Siria (14). Va male invece in Sierra Leone (270), Angola (260) e Afghanistan (257), lontanissime dall'Occidente, in cui svettano Svezia e Singapore, al 189esimo posto nella classifica mondiale per la mortalità infantile che vede l'Italia al 175esimo posto. 

Ma di cosa muoiono i bambini? Complicazioni neo-natali (36 per cento), polmonite (19 per cento), diarrea (17 per cento), malaria (8 per cento), morbillo (4 per cento), Aids (3 per cento). La situazione non è identica fra i paesi in via di sviluppo: dove sono stati fatti interventi, i risultati si sono avuti. Paesi poveri con enormi difficoltà come Mozambico, Malawi, Eritrea ed Etiopia sono infatti riusciti a ridurre la mortalità dei più piccoli del 40 per cento dal 1990 ad oggi. E a fare la differenza sono spesso le piccole cose: misure salvavita semplici ed economicamente sostenibili come l'allattamento al seno esclusivo e le vaccinazioni, l'uso di zanzariere con insetticidi, gli integratori di vitamina A. Tutti questi accorgimenti hanno contribuito negli ultimi anni a ridurre il tasso dei decessi, sottolinea il direttore generale dell'Unicef, Ann M. Veneman. 

Con qualche investimento in più, di modesta entità, si potrebbe migliorare di molto: l'agenzia stima che un pacchetto minimo per l'Africa subsahariana porterebbe ad un calo del 30 per cento dei decessi fra i più piccoli, e del 15 per cento per le madri, con un costo di 2-3 dollari in più a persona rispetto ai programmi già adottati. Percentuali che salirebbero al 60 per cento per mamma e bambino con un investimento ulteriore di 12-15 dollari pro capite. (art. del 22 gen. 2008)




http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/unicef-rapporto-infanzia/unicef-rapporto-infanzia/unicef-rapporto-infanzia.html

Leggi anche:
http://www.cosechenonvanno.com/cronaca/ogni-giorno-muoiono-ben-26-mila-bambini-uno-ogni-3-secondi











Che colpe hanno?

mercoledì 18 luglio 2012

L'agenda rossa...




Possibile che nessuno in Italia riconosca questa persona con la borsa di Borsellino in mano??? 


Dell’Utri: “Cosa mi aspetto da questo processo? Un cazzo”. - Giuseppe Pipitone e Silvia Bellotti




E’ cominciato a Palermo il nuovo processo d’appello contro Marcello dell’Utri, accusato di concorso esterno a Cosa nostra, dopo l’annullamento con rinvio deciso dalla Cassazione nel marzo scorso. “Pensate che io ho ancora fiducia nella giustizia quindi se c’è uno da ricoverare sono io, giusto? Assieme a Ingroia però, andiamo insieme perché se c’è un pazzo è proprio lui”, ha nicchiato il senatore del Pdl che proprio stamattina è stato raggiunto dalla nuova accusa di estorsione nei confronti di Silvio Berlusconi. “Che gliene frega ai magistrati dei soldi miei? Io ho costruito per Berlusconi un impero: punto”. Poi dedica una battuta al Fatto Quotidiano: no, non dico niente perché sono bravi e ci sanno fare, però quante ingiustizie, non si fa il mestiere così per attaccare le persone dicendo cose parziali. Io non lo leggo mi arrivano le rassegne stampa ma una lira per comprare il Fatto non l’ho mai spesa”  

Guarda anche

Due pallottole a testa. - Kumi Naidoo

                                                                Kumi Naidoo,  direttore di Greenpeace International


Che ci fareste voi con 1.738 miliardi di dollari? Se vi dicessero che dovreste spenderli quest’anno, per garantire la sicurezza di tutti noi, come li spendereste?
Secondo le stime dello Stockholm International Peace Institute (SIPRI), 1.738 miliardi di dollari è quello che si è speso l’anno scorso in armamenti.

Poiché le spese militari sono una delle poche categorie dei bilanci che non hanno subito tagli, vorremmo sapere se forse questo mondo è diventato più sicuro. Che consolazione possono trovare in queste ingenti spese militari i genitori di quei 7,6 milioni di bambini di meno di cinque anni che ogni anno muoiono, soprattutto nei Paesi in Via di Sviluppo? E che razza di sicurezza può esserci in un mondo in cui 925 milioni di persone non hanno abbastanza da mangiare e il 98% di loro si trova, sempre, nei Paesi in Via di Sviluppo? Che pace ci portano questi soldi così spesi?

In un mondo dove milioni di persone sono costrette a sfollare per cause collegate ai cambiamenti climatici come siccità, erosione delle coste, alluvioni e distruzione dei raccolti, saranno i militari a fornire case e cibo a queste persone?

I “falchi” e i loro leccapiedi riterranno probabilmente che questo è un prezzo da pagare accettabile per mantenere la sicurezza nazionale e internazionale. Ma loro cosa intendono per “sicurezza”? Cos’è, davvero, la sicurezza? 

Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) nel 1994 ha detto: “La sicurezza per gli uomini è un bambino che non muore, una malattia che non si diffonde, un lavoro che non è stato perso, una tensione etnica che non esplode in atti di violenza, un dissenso che non è stato messo a tacere. La sicurezza per gli uomini non ha a che fare con le armi – ha a che fare con la vita umana e con la dignità ”. E mi sembra un’ottima definizione.

A Greenpeace abbiamo sempre lavorato per la vera sicurezza: è il cuore stesso dei principi per cui ci battiamo. Noi crediamo che invece di spendere un sacco di soldi e - forse ancor peggio - di ingegnosità per i macchinari di guerra, dovremmo piuttosto dirigere le nostre risorse economiche e intellettuali verso la vera sicurezza. Dobbiamo contrastare la minaccia senza precedenti del cambiamento climatico che sta mettendo sempre più sotto pressione le nostre risorse fondamentali: cibo, acqua, energia e terra. Sono pressioni che stanno già scatenando conflitti, guerre e sofferenze.

Ci sono un sacco di soldi sprecati in nome della sicurezza e sono pochi i Paesi di cui potremmo condividere l’ordine delle priorità. Diamo un’occhiata a chi spende di più. Guardiamo a chi è incaricato, per conto della comunità internazionale, a mantenere la pace. Guardiamo cioè aicinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Se consideriamo i dati forniti dal SIPRI, non ci sono grandi sorprese: i primi cinque investitori in spese militari sono proprio questi Paesi. Gli USA primeggiano con quasi la metà della spesa militare globale. Gli altri quattro sono piuttosto indietro ma se li sommiamo assieme fanno tutti parte del Club mondiale dei cinque stati dai mille miliardi di dollari di spese militari!

Proviamo a metterla così:  è come quel luogo comune un po’ macho che si sente in tanti film di guerra, quello che dice che la fuori c’è una pallottola con sopra il tuo nome. Bene, secondo Oxfam in realtà sono due, o di più: quest’anno, si produrranno due pallottole per ogni abitante della Terra.  

Si spendono un sacco di soldi per preparare la guerra, ma quanti se ne spendono per prevenirla? Quanto spendiamo per mitigare i rischi del cambiamento climatico? Molto poco in confronto e niente che si avvicini a quello che serve.

Nel 2009, alla Conferenza sul Clima di Copenhagen, i Capi di Stato dei Paesi Sviluppati hanno promesso ai Paesi in Via di Sviluppo 30 miliardi di dollari, nel periodo 2010-2012, per i processi di adattamento e le misure di mitigazione. Hanno pure promesso che avrebbero aumentato questa somma fino a creare un fondo annuo di 100 miliardi di dollari USA, entro il 2020. Sembra tanto fino a che non fai un confronto: 10 miliardi l’anno è l’1% del budget militare dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mentre 100 miliardi è solo il 10%. Gli USA, da soli, potrebbero pagare tutti i 100 miliardi di dollari prendendoli dalle spese militari e comunque sorpassare il secondo in classifica, la Cina, di cinquecento miliardi di dollari.

I cambiamenti apportati dalle alterazioni del clima aumentano i rischi di guerre e conflitti e pongono minacce alla sicurezza, quella vera, senza precedenti. Per assicurare sicurezza, dobbiamo combattere la minaccia climatica e investire in soluzioni verdi. 

Per esempio, che ne dite di investire nella protezione dei nostri mari? Secondo gli scienziati, per tutelare con riserve marine il 20-30% dei nostri oceani servirebbero tra 5 e 19 miliardi di dollari l’anno. Si creerebbero un milione di posti di lavoro e si garantirebbero catture sostenibili per la pesca per un valore stimato in 70-80 miliardi di dollari l’anno e servizi “ecosistemici” per un valore lordo che sarebbe compreso tra 4.500 e 6.700 miliardi di dollari l’anno!

Un’altra idea potrebbe essere quella di investire per salvare le nostre foreste, che ne dite? L’economia mondiale a causa della deforestazione perde ogni anno tra 2.000 e 5.000 miliardi di dollari. Il costo per dimezzare la deforestazione è stimato in 15 miliardi di dollari l’anno.

E, ultimo ma certo non per importanza, che ne pensate di una rivoluzione nel settore della produzione di energia? Mettersi alle spalle i combustibili fossili che stanno distruggendo il clima e abbandonare una fonte pericolosa come il nucleare richiede investimenti addizionali equivalenti a circa 280 miliardi di dollari l’anno. Sono investimenti che si ripagherebbero con gli interessi sia per il risparmio sull’acquisto di carburanti che per i posti di lavoro che si creerebbero. E non ci vuole un’arca di scienza per capire che tutto ciò diminuirebbe in modo drastico la minaccia di guerre riducendo la nostra dipendenza dalle fonti fossili.

Usiamo una quantità incredibile di soldi, immaginazione e ingegno umano per preparare e combattere guerre. Pensate a dove potremmo arrivare se la stessa energia, immaginazione, ingegnosità fosse investita per la pace, per una pace verde.



http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/due-pallottole-a-testa/blog/41317/