Non solo Minzo. Alla vigilia della soluzione del “caso Tg1“, in Rai si fanno nuovamente i conti di quanto i costi della politica abbiano gravato, negli anni, sui bilanci dell’azienda. Minzolini – è noto – resterà in Rai nonostante il “licenziamento” dalla poltrona più alta del Tg1 perché è stato assunto con la qualifica di caporedattore con funzioni di direttore, dunque non può essere allontanato dall’azienda come lo sarebbe stato se avesse avuto, invece, il contratto da direttore e basta. La Rai, quindi, si terrà Minzolini fino alla pensione, a 550 mila euro l’anno più benefit.
Ma il “direttorissimo”, come lo ha sempre chiamato il Cavaliere, in fondo è solo la punta dell’iceberg. Sono anni che i berlusconiani in Rai gravano in modo pesantissimo sui bilanci aziendali. Ce n’è uno che vale più di cento, in particolare, ed è ormai prossimo alla pensione, ma con speranze di rientrare direttamente al settimo piano di viale Mazzini come consigliere del prossimo cda. E’ Gianfranco Comanducci, vice direttore generale per gli acquisti e lo sviluppo commerciale, uomo di Previti in Rai, che nel corso degli anni non solo ha “blindato” contrattualmente ed economicamente i “famigli” del Cavaliere in azienda, ma ha anche provveduto mettere al sicuro se stesso e i suoi affetti più cari, dalla moglie fino alla tata della figlia.
Ebbene, Comanducci (assunto in Rai come annunciatore, più volte sull’orlo del licenziamento per il modo disinvolto con cui ha sempre svolto il suo mestiere fin dagli esordi) ha scalato i vertici Rai solo per meriti politici. Il momento più alto del suo “mandato” è stato durante l’era della direzione generale di Flavio Cattaneo (2003 al 2006) quando, come direttore Risorse Umane, mise a posto un sacco di posizioni di amici. E anche familiari.
Stiamo parlando di una vera “dinasty” Rai che si è dipanata nel corso degli anni, sotto gli occhi di tutti ma senza che nessuno in Rai gridasse allo scandalo. Ora, però, visti i conti sempre più magri dell’azienda, pare che il clima intorno a questi potentati stia cambiando. Comanducci, dunque. Si parte dalla moglie, Anna Maria Callini, nominata dirigente in azienda nonostante il parere contrario dell’allora direttore generale Claudio Cappon. Si passa per la cognata (sorella della moglie, Ida Callini), promossa funzionario proprio dell’uffico Risorse Umane, da pochi mesi in pensione, e per il cognato della moglie (Claudio Callini) assunto come tecnico e poi passato in un batter d’occhio a cineoperatore giornalista a tutti gli effetti; un salto di retribuzione di oltre il 40 per cento. E si arriva alla nipote (figlia della sorella), che per superare una regola Rai che blocca l’assunzione ai figli dei dipendenti, è stata presa nella consociata per la pubblicità Sipra. Dove – e qui si tocca veramente il punto più alto – c’è stata una new entry davvero fenomenale: alla direzione Sipra è stata presa anche una signora di buone speranze (Barbara Palmieri). Che non aveva particolari qualità se non quella di essere stata la “tata” della figlia.
Comanducci, insomma, è un vicedirettore generale Rai che negli anni ha saputo ottimizzare nel modo “migliore” il proprio potere di fonte politica in azienda. Padrone indiscusso anche del “Circolo sportivo dei dipendenti Rai”, un gioiello sul Tevere, che ha trasformato in un luogo quasi esclusivo. Poco prima che Cattaneo lasciasse la Rai, Comanducci provvide a blindare (economicamente) le posizioni di alcuni degli uomini i cui nomi sarebbero poi finiti in un’indagine della magistratura di Milano sul crac Hdc.
Si tratta del gruppo di persone poi ribattezzati dalla stampa “struttura Delta”, che è stata smantellata, ma solo in apparenza. Ebbene, nel 2005 Flavio Cattaneo lasciò viale Mazzini per diventare amministratore delegato di Terna, poco prima della vittoria di Prodi alle elezioni del 2006. Ad un passo dall’uscio della direzione generale Rai, Comanducci fece firmare a Cattaneo una serie di lettere indirizzate a Clemente Mimun, allora direttore del Tg1, Fabrizio Del Noce, Deborah Bergamini, Francesco Pionati e Carlo Nardello. Nelle lettere c’era scritto che, in caso di “cambio di ruolo” all’interno dell’azienda (un passaggio di direzione o altro, per intendersi), quest’ultima avrebbe dovuto pagare a ciascuno di loro, a titolo “di indennizzo”, ben 36 mensilità, tre anni di stipendio. Cifre, ovviamente, molto alte considerati i livelli di stipendio dei dirigenti in questione, che avrebbero reso – questa era l’obiettivo di Comanducci su ordine di Berlusconi – inamovibili gli “uomini Delta” all’interno di strutture chiave come, appunto, il Tg1 oppure la fiction (Del Noce) o il marketing strategico (Bergamini). Con le elezioni, Pionati e Bergamini sono finiti in Parlamento, Del Noce è ancora alla fiction, Nardello è stato nominato solo pochi giorni fa allo Sviluppo Strategico ed è il dirigente più pagato della Rai (la Corte dei Conti ha minacciato di comminare multe all’azienda se non fosse stato ricollocato dopo la chiusura di Raitrade, dove era amministratore delegato). Quanto a Clemente Mimun, prima di lasciare la Rai per Mediaset, il direttore del Tg5 fece valere la lettera firmata da Cattaneo, ma il nuovo direttore generale Cappon si rifiutò di riconoscerla, tanto che è ancora in corso un contenzionso tra Rai e Mimun dove “ballano” più di due milioni di euro.
Tirando le somme, la Rai negli anni ha fatto fronte ad esborsi economici pazzeschi per coprire veri e propri “mandarinati” di stretta osservanza politica, ma soprattutto per pagare dirigenti che mai, neanche per caso, hanno perseguito il bene aziendale ma solo ed esclusivamente il proprio tornaconto personale e del proprio dante causa nel Palazzo. Minzolini, quindi, è solo l’ultimo di una lunga serie. Ma anche lui, come gli altri, resterà in Rai fino alla pensione. A meno non sia la Rai, stavolta, a chiudere i battenti prima di quel tempo.
articolo modificato da redazioneweb alle ore 20
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA PRECISAZIONE DI DEBORAH BERGAMINI
Gentile Direttore,
l’articolo a firma di Sara Nicoli, pubblicato oggi sul sito del Fatto Quotidiano Online, contiene alcune falsità che mi chiamano in causa. La prego pertanto di ospitare queste mie righe affinchè mi sia consentito tornare ancora una volta su questioni relative al mio trascorso rapporto lavorativo con la Rai. Vorrei precisare quanto segue:
1) Non ho mai ricevuto alcuna lettera da parte dell’allora Direttore Generale della Rai Flavio Cattaneo destinata a “blindare (economicamente)” la mia posizione dirigenziale in Rai;
2) Non sono mai stata al centro di alcuna indagine della magistratura di Napoli in cui è stato coinvolto Agostino Saccà;
3) Non è mai esistita alcuna Struttura Delta, che, come per moltissime altre cose, è parto esclusivo della fantasia “investigativa” di uno specifico quotidiano.
Secondo me dovreste verificare le cose che scrivete, lo dico per la qualità della vostra copiosa produzione editoriale. Magari, se vi serve qualche informazione, chiamatemi senza problemi.
Cordiali saluti,
Deborah Bergamini
La replica di Sara Nicoli
Gentile onorevole Bergamini, prendiamo atto volentieri del fatto che lei non ha ricevuto, come altri berlusconiani in Rai, alcuna lettera dal direttore Cattaneo. Probabilmente perché lei è stata la prima della cosiddetta “struttura Delta” (il copyright non è come lei ricorda del Fatto Quotidiano) a lasciare la Rai in seguito allo scandalo intercettazioni Hdc scoppiato nel novembre 2007 – i fatti risalivano al 2005. Il 30 novembre del 2007 infatti la Rai, in attesa di chiarimenti, decise di sospenderla dalla Direzione del Marketing Strategico. Una sospensione contestata, con tanto di minaccia di causa contro, la Rai che si è poi risolta con un divorzio consensuale, sulla base di un accordo di cui si ignorano i contenuti economici . Il nome “struttura Delta”, come lei ricorda, è poi stato per la prima volta utilizzato da Repubblica e poi ripreso da quasi tutti i quotidiani per indicare una sorta di team che all’interno della Rai agiva a volte accordandosi con la concorrenza
Sara Nicoli
La controreplica di Deborah Bergamini
Gentile signora Nicoli,
mi rendo conto che quando, magari per la fretta, si scrivono cose false e non si vuole ammetterlo né tantomeno scusarsi, diventa impervio il cammino per mantenere il punto ed essere allo stesso tempo congruenti. Lei dice che probabilmente non ho ricevuto, come altri, una presunta lettera di Cattaneo nel 2005 perché ho lasciato la Rai dopo lo scandalo intercettazioni avvenuto a fine 2007. Va bene che la posta interna di Viale Mazzini è un pò lenta, ma non le pare di esagerare? E’ ovvia la sua intenzione di richiamare una vicenda che nulla ha a che fare con quella in oggetto, in modo da generare confusione in più. Dopodichè, lei richiama molto correttamente la conclusione del mio rapporto professionale con la Rai, compreso l’accordo di cui si ignorano i contenuti economici, come è giusto che sia (e meglio così perché temo che rimarreste molto molto delusi). Infine preciso che non ho mai attribuito il copyright del nome Struttura Delta al Fatto, ho solo citato “uno specifico quotidiano”, e mi riferivo ovviamente a Repubblica. Legga meglio.
Cordiali saluti, Deborah Bergamini