mercoledì 15 agosto 2012

“Colpevoli di omicidio e ancora al loro posto. Federico, Stefano, Giuseppe e Michele invece un posto non l’avranno più. Caro Lino questa è la nostra giustizia”. Lettera di Ilaria Cucchi al padre di Federico Aldrovandi. - Ilaria Cucchi


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Mio fratello presumibilmente non ha rispettato la legge… per questo è morto… Per mio fratello si sono attivate due volanti dei carabinieri quella maledetta notte, non male con tutte le emergenze che ci sono ogni notte in una città come Roma.  E la mattina seguente la macchina della giustizia si è mossa rapidamente, così rapidamente da non dare il tempo ad un giudice ed un pubblico ministero  di accorgersi che il ragazzo che avevano di fronte non era un albanese senza fissa dimora, bensì un pestato visibilmente sofferente… Anche per questo è morto mio fratello. Se come spesso si dice ‘le responsabilità sono ancora da accertare’, una cosa  però è certa. Diversamente da quello che sostiene il nostro pubblico ministero, quel ragazzo seduto per venti minuti dolorante in un’aula di tribunale, sotto gli occhi di tutti, non era in fin di vita prima di essere scaraventato negli ingranaggi della nostra giustizia e delle nostre carceri. Dove è stato massacrato quasi immediatamente, senza una ragione valida. E senza una ragione valida isolato e lasciato morire. Sei giorni… un lasso di tempo brevissimo, dove però in tanti (e ognuno a  suo modo rappresentante delle istituzioni) hanno assistito al suo calvario, voltandosi dall’altra parte, ‘prendendo le distanze’ come uno di loro ha  dichiarato, in una consuetudine che fa rabbrividire.
Mio fratello è morto anche per questo. Stefano è morto perché la giustizia non è uguale per tutti… Ed oggi la giustizia per la sua morte, che avevo creduto fosse scontata e  automatica, ci sta richiedendo una battaglia dolorosa ed impari. E in tutto questo non una delle istituzioni coinvolte si è premurata di  ammettere che, come è ormai evidente, qualcosa al proprio interno non ha  funzionato e quel qualcosa ha interrotto una vita umana. E’ doveroso e fa onore applicare le leggi ed i regolamenti interni sugli sbagli personali di un singolo… guai a non farlo, ma è facile. Molto diverso è quando ci sono vittime di soprusi delle forze dell’ordine.  Perché vuol dire mettere in discussione un intero sistema. Ed evidentemente  i  nostri morti non ne valgono la pena. Così succede che cinque agenti di polizia, dichiarati in tutte le sedi  colpevoli di omicidio di un ragazzino appena diciottenne che non aveva fatto  niente di male, sono ancora lì a ‘rappresentarci’… mantengono il loro  posto  di lavoro. Mentre Federico, Stefano, Giuseppe, Michele e tutti gli altri un ‘posto di  lavoro’ non potranno averlo mai più… Questa, caro Lino, è la nostra giustizia.

Vatileaks, a giudizio il maggiordomo. Trovato un assegno intestato al Papa.


Paolo Gabriele

All'ex aiutante di camera di Benedetto XVI Paolo Gabriele sono stati trovati i documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato a Ratzinger, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Nella sentenza e nella requisitoria compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito indicati con semplici sigle. Il maggiordomo ha raccontato gli incontri con il giornalista Gianluigi Nuzzi.

Documenti sottratti al Papa, un assegno intestato proprio a Ratzinger e una pepita d’oro. Paolo Gabriele, il maggiordomo del pontefice accusato di essere il “corvo” del Vaticano, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di furto aggravato. L’uomo, arrestato il 23 maggio scorso, avrebbe sottratto documenti dalle stanze di Joseph Ratzinger tra cui anche lettere private. Con lui, a processo, anche un analista programmatore della segreteria vaticana, Claudio Sciarpelletti, che risponde del reato di favoreggiamento. Era stato arrestato in maggio e poi gli era stata concessa la libertà provvisoria.
Gabriele, che rivestiva il ruolo di aiutante di camera di Benedetto XVI, sarà dunque processato. La sentenza di rinvio a giudizio rappresenta una “chiusura parziale” dell’istruttoria su Vatileaks. Nella sentenza e nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Piccardi compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito, ma i due magistrati li indicano con semplici sigle. Frutto delle perquisizioni contro Paolo Gabriele e ora sottoposti a sequestro, ci sono non solo documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato al Papa, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Gli oggetti erano regali fatti a Benedetto XVI. Uno dei documenti riservati, pubblicati in esclusiva sul Fatto, riguarda la sicurezza del Papa e la possibilità che potesse essere obiettivo di un complotto mortale. In seguito a quella e altre pubblicazioni, anche di libri, era scattata l’indagine a tutto campo sul corvo.
Gabriele ha precisato ai giudici di aver incontrato l’autore di Vaticano Spa e Sua santità Gianluigi Nuzzi: “Ci siamo incontrati in va Sabotino ed insieme siamo andati all’appartamento che lui aveva a disposizione a viale Angelico. Abbiamo quindi avuto una serie di incontri dapprima a distanza di circa una settimana e poi di due settimane. Questo nei mesi di novembre, dicembre 2011 e gennaio 2012. Successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di intensità”.
Il giudice istruttore Piero Bonnet ha contestato al maggiordomo il ritrovamento a casa sua,  insieme ai dossier con i documenti, di tre oggetti a lui non appartenenti e cioè l’assegno bancario intestato a “Santidad Papa Benedicto XVI”, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San Antonio di Guadalupe; una pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal signor Guido del Castillo, direttore dell’ARU di Lima (Perù); una cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, dono a Sua Santità delle “Famiglie di Pomezia”. Da parte sua, si legge nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Picardi, Paolo Gabriele ha giustificato questa circostanza con il caos nel quale erano le sue cose. “Nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo”, ha detto. Il giudice istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio. L’imputato ha risposto: “Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune suore e ciò fu da me portato a conoscenza di monsignor Alfred Xuereb. Monsignor Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi”.
Con il rinvio a giudizio di Gabriele per furto aggravato e Claudio Sciarpelletti per favoreggiamento, i giudici vaticani non concludono le indagini sulla fuga di documenti che continuano. Cioè la chiusura dell’istruttoria è parziale. E’ sempre stata “chiara l’intenzione del Papa di rispettare questo lavoro della magistratura e le sue risultanze” ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi e “ciò spiega la non pubblicazione di risultanze della commissione cardinalizia, per non condizionare il lavoro”. Il Papa “ha ricevuto questi documenti, ne ha preso conoscenza, rimane nel poter del Papa di intervenire qualora voglia o ritenga opportuno, ma finora – ha ricordato padre Lombardi – non lo ha fatto e possiamo pensare fondatamente che la linea che segue è questa, è quindi una ipotesi del tutto plausibile il dibattimento” in autunno. La pozione di Sciarpelletti, ha detto il portavoce vaticano, “è meno grave di quella di Gabriele”, non può essere considerato un “complice”, più che altro uno che aveva “rapporti di conoscenza con Paolo Gabriele”. Sciarpelletti ”non è stato considerato un complice dai magistrati – ha sottolineato Lombardi – e non è rinviato per questo”. Le sue testimonianze sono state incoerenti sulla provenienza di una busta, ma nulla dice che fosse corresponsabile. I magistrati vaticani nella requisitoria e sentenza pubblicate oggi “non affermano, ma neppure escludono – ha spiegato Lombardi – la possibilità di continuare le indagini su eventuali complici di Paolo Gabriele” e su “eventuali rogatorie internazionali. Facciamo un passo per volta. L’istruttoria vaticana va avanti, anche con tempi consistenti per la sua meticolosità, difficile fare passi avanti se non hai ancora compiuto quelli iniziati”.

martedì 14 agosto 2012

L’assedio alla procura di Palermo sotto il “Generale Agosto”. - Giorgio Bongiovanni


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“Un’iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra”. Le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, arrivano a seguito della notizia dell’apertura di un fascicolo preliminare da parte del pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, contro il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, e contro  il procuratore capo, Francesco Messineo. La possibilità che il procuratore generale della Cassazione mandi alla sezione disciplinare del Csm un atto di incolpazione a carico del pm Di Matteo per violazione del riserbo sulle indagini, e del procuratore Messineo, per non aver autorizzato il suo sostituto a rilasciare un'intervista è alquanto realistica.
E altrettanto oscena. Questo ennesimo assedio alla procura di Palermo avviene immancabilmente sotto il “Generale Agosto”, clima ideale per attuare strategie criminali ordite ad alti vertici istituzionali nel silenzio assordante di un’opinione pubblica distratta da ferie ed olimpiadi. Sul fronte giudiziario palermitano il prossimo autunno si preannuncia decisamente “caldo”. Il processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano si avvia verso la fase conclusiva. L’inchiesta sulla “trattativa” Stato-mafia approderà all’udienza preliminare che potrà sfociare in un rinvio a giudizio. Tra gli imputati “eccellenti” vi sono mafiosi del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino. Come è noto tra i magistrati del pool che investigano sulla “trattativa” vi sono Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Gli attacchi scomposti nei loro confronti, ai quali abbiamo assistito in questi mesi, si sono acuiti ulteriormente proprio in prossimità dell’autunno giudiziario che si avvicina. Con la temporanea uscita di scena di Antonio Ingroia (dovuta alla sua trasferta in Guatemala per ricoprire l’incarico affidatogli dalle Nazioni Unite) l’obiettivo da colpire con ogni mezzo resta quindi il pm Di Matteo e a seguire gli altri componenti del pool: Lia Sava, Francesco Del Bene, Paolo Guido, così come quei magistrati che a vario titolo stanno investigando su delicate inchieste di mafia e politica. L’ingerenza del Quirinale nei confronti della procura di Palermo (attraverso la sollevazione del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta in merito alle intercettazioni tra Napolitano e Mancino) ha rappresentato la punta massima di un attacco violento, mirato e del tutto preventivo nei confronti di determinati magistrati. Così come ha ricordato lo stesso Ingroia un pugno di magistrati è entrato nella “stanza della verità”. All’interno si cominciano ad intravedere le sagome dei corresponsabili di quelle stragi sulle quali lo Stato-mafia non intende fare luce. Gli attacchi istituzionali nei confronti di Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo segnano il punto di non ritorno di un Paese colpevole e senza più dignità, attraversato da una classe politica che, salvo rarissime eccezioni, si rende consapevolmente strumento di un potere criminale per delegittimare, isolare e sovraesporre chi persegue unicamente la verità per rendere giustizia a tutti i martiri della violenza politico-mafiosa. 
Più di dieci anni fa il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto, si era rivolto a centinaia di ragazzi e adulti intervenuti ad un convegno riprendendo l’appello lanciato poco tempo prima da Antonio Ingroia: “Uomini e donne di buona volontà se ci siete battete un colpo!”. A quella “chiamata” ognuno di noi ha il dovere morale di continuare a rispondere. Ora.
Non saranno certamente i “sepolcri imbiancati” delle istituzioni a dare la solidarietà ai magistrati sotto assedio, né tantomeno quella magistratura pavida pronta solo a commemorare i propri colleghi uccisi, o quegli esponenti politici collusi con i peggiori criminali. Mai come oggi la responsabilità di stringersi attorno a questi magistrati è di quella parte della società che si definisce “civile”.
Ci eravamo sbagliati quando avevamo scritto che il Csm oggi è tornato ad essere il Sinedrio che perseguita i propri eroi (basta citare l’esempio del trattamento riservato a Falcone e Borsellino). Sì, ci siamo sbagliati perché al Sinedrio dobbiamo associare una parte del vertice della Procura Generale della Cassazione che può essere tranquillamente definita la procura di Erode al servizio del potere del Governatore politico Ponzio Pilato.

Un ragno conficcato in un orecchio, choc in Cina. - Elmar Burchia


La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia
La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia

Solo un'operazione delicata ha consentito ai medici di estrarlo senza che pungesse la vittima.

MILANO - Una terribile leggenda metropolitana è diventata realtà in Cina. Una donna si è recata nei giorni scorsi all'ospedale di Changsha, nella provincia di Hunan, lamentandosi per un fastidioso prurito all'interno dell'orecchio sinistro. Dopo un primo esame, ecco la diagnosi dei medici, tanto incredibile quanto spaventosa: un ragnetto si era infilato nel condotto uditivo. L'animale, potenzialmente pericoloso, era lì da cinque giorni.
RAGNO CURIOSO - Per chi soffre di aracnofobia non c’è incubo peggiore: un ragno vivo conficcato nell'orecchio, a tua insaputa. Un incubo diventato realtà per una signora cinese identificata solo col nome di «Lee». La vicenda, raccontata dai quotidiani locali, ha subito fatto il giro del mondo. Soprattutto la foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia furoreggia su Internet. I medici sono stati in grado di rimuovere l’aracnide con una procedura non invasiva: hanno riempito l'orecchio della paziente con una soluzione salina per stimolarne l'uscita. E così è stato. Quando il ragno è venuto fuori la donna «è quasi scoppiata in lacrime», riferiscono i media cinesi. Anche perchè si è trattato di un intervento relativamente delicato: i dottori dovevano infatti far attenzione che il ragno non mordesse la donna o che si conficcasse ancora più profondamente nel condotto uditivo.
CAUSE - Resta la domanda: come ci è finito lí? Potrebbe essere uscito fuori durante i lavori di ristrutturazione della casa in cui la donna vive ed entrato nell’orecchio mentre questa dormiva, suppongono i medici. In quest’estate 2012, il numero di ragni e insetti è esploso in molte regioni del pianeta, riferiscono gli esperti, innanzitutto a causa delle alte temperature e della siccità perdurante. Negli ultimi mesi si sono registrate temperature record anche in diverse regioni della Cina.

In Italia 120 punti di mare inquinati "Colpa di fiumi e fogne non in regola"




Legambiente: ogni 62 chilometri di costa ci sono acque fuori legge.

Un punto inquinato ogni 62 chilometri di costa, con una maggiore concentrazione di acque inquinate in Calabria, Campania e quest’anno a sorpresa anche in Liguria, mentre Sardegna e Toscana sono le regine del mare pulito italiano. Nemici numero uno delle acque marine sono torrenti, fiumi, canali, con un allarme inquinamento legato soprattutto alle foci dei corsi d’acqua.

Sono i risultati finali del tour 2012 di Goletta Verde, la campagna di Legambiente che per due mesi ha circumnavigato lo Stivale monitorandone lo stato di salute del mare. Un bilancio, presentato oggi a Roma, che quest’anno riserva almeno una sorpresa nelle pagelle per le regioni italiane, negativa per giunta. È il caso della Liguria che balza al secondo posto in classifica per il mare più inquinato e si fregia della maglia nera con 15 prelievi risultati oltre i limiti di legge, dietro alla Calabria con 19 punti inquinati e quasi a pari merito con la Campania dove ne sono stati registrati 14. Quarto posto da "bollino nero" per il Lazio. Dati contestati dalla Regione Liguria che ribatte a Legambiente sostenendo che i punti di balneazione conformi sono pari al 97% (364 su 373).

Regioni col mare più pulito si confermano Sardegna e Toscana, rispettivamente con un campione inquinato ogni 433 e 200 chilometri di costa. Bene anche l’Emilia Romagna. Il monitoraggio scientifico quest’anno è stato ancora più capillare grazie alle segnalazioni di cittadini e bagnanti tramite SOS Goletta, contribuendo a quasi metà dei campionamenti effettuati in tutta Italia. Su un totale di 205 analisi microbiologiche effettuate in mare dal laboratorio itinerante di Goletta Verde, col contributo del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati e la partecipazione di Corepla, Novamont e Nau!, i campioni risultati «fuori legge» sono 120, di cui 100 quelli «fortemente inquinati», cioè con concentrazioni di batteri di origine fecale pari ad almeno il doppio dei limiti di legge. Per la maggior parte, l’86%, questi punti si concentrano in corrispondenza di foci di corsi d’acqua.

Sul banco degli imputati resta la mancata o inadeguata depurazione dei reflui fognari che, stando alle elaborazioni di Legambiente su dati Istat, riguarda 24 milioni di abitanti che scaricano direttamente in mare o indirettamente attraverso canali utilizzati come vere e proprie fognature. «Il mare italiano continua ad essere minacciato da troppi scarichi fognari non depurati - spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente -, nonostante siano trascorsi ben 36 anni dall’approvazione della prima legge sulla trattamento delle acque reflue». «Bisogna investire subito e al meglio risorse adeguate - aggiunge -, a partire da quelle stanziate dalla delibera Cipe dell’aprile scorso che prevede 1,8 miliardi di euro per le regioni del Mezzogiorno». Le regioni ’peggiorì per numero di abitanti senza adeguata depurazione sono Sicilia, Lazio e Lombardia. Un vero e proprio «problema ambientale e sanitario», denuncia Legambiente, «che sta per diventare anche economico vista la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea arrivata a fine luglio perchè 109 agglomerati urbani medio grandi, distribuiti in 8 regioni, non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue».

Fermiamo la svendita del Serengeti.



Pubblicato il: 9 Agosto 2012
Da un momento all'altro un'importante multinazionale della caccia sportiva potrebbe siglare un accordo che porterebbe allo sgombero di fino a 48 mila membri della famosa tribù africana dei Masai dalla loro terra per fare posto a danarosi re e principi del Medio Oriente a caccia di leoni e leopardi. Gli esperti dicono che il via libera all'accordo da parte del Presidente della Tanzania potrebbe essere imminente, ma se agiamo ora possiamo fermare la svendita del Serengeti. 

L'ultima volta che la stessa multinazionale ha costretto i Masai a lasciare le loro terre per fare spazio a ricchi cacciatori, uomini e donne sono stati picchiati dalla polizia, le loro case sono state date alle fiamme e il loro bestiame è morto di fame. Ma non appena la stampa ha cominciato a parlarne in modo critico, il Presidente della Tanzania Kikwete ha cambiato posizione e ha fatto tornare i Masai nella loro terra. Questa volta non c'è stata ancora una grande copertura da parte della stampa, ma possiamo sbloccare la situazione e forzare Kikwete a bloccare l'accordo se da subito mettiamo assieme le nostre voci. 

Se 150 mila di noi firmeranno, i media in Tanzania e in giro per il mondo inizieranno a parlarne e così il Presidente Kikwete riceverà il messaggio e dovrà ripensare a questo accordo mortale. Firma la petizione ora e mandala a tutti. 


I Masai sono gruppi semi-nomadi che hanno vissuto in Tanzania e in Kenya per secoli, giocando un ruolo fondamentale nel preservare il delicato ecosistema. Ma dal punto di vista delle famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti, sono ostacoli per i loro lussuriosi party di caccia. Un accordo per sfrattare i Masai per fare posto a ricchi cacciatori stranieri è un male tanto per la fauna protetta quanto per le comunità che verrebbero spazzate via. Mentre il Presidente Kikwete si sta rivolgendo alle elite locali a lui più vicine per convincerle dell'utilità dell'accordo per lo sviluppo, la maggior parte delle persone vorrebbe solo mantenere la terra che sanno il Presidente potrebbe confiscare per decreto. 

Il Presidente Kikwete sa che questo accordo sarebbe contestato dai turisti della Tanzania, una fonte fondamentale di entrate per il paese, e perciò sta cercando di tenere questa operazione lontana dal dibattito pubblico. Nel 2009 un simile esproprio di territorio in quest'area effettuato dalla stessa multinazionale che ci sta provando anche questa volta ha generato una copertura mediatica globale che ha contribuito a convincere Kikwete a fare marcia indietro. Se riusciamo a generare lo stesso livello di attenzione sappiamo che la pressione può funzionare. 

Una petizione firmata da migliaia di persone può fare in modo che tutti i maggiori media globali presenti nell'Africa dell'Est e in Tanzania permettano spazzino via questo accordo controverso. Firma ora per chiedere a Kikwete di stracciare l'accordo

http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?braSkbb&v=17062 

Alcuni rappresentanti della comunità Masai proprio oggi si sono appellati urgentemente ad Avaaz per dare forza ad un appello globale per salvare la loro terra. Innumerevoli volte l'incredibile risposta di questa fantastica comunità ha fatto diventare cause apparentemente perse in partenza in risultati di enorme valore. Proteggiamo i Masai e salviamo gli animali per quei turisti che li vogliono catturare con le loro macchine fotografiche, invece che con le loro armi letali! 

Con speranza e determinazione, 

Sam, Meredith, Luis, Aldine, Diego, Ricken e il resto del team di Avaaz 


http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?braSkbb&v=17062

Benzina, la Finanza passa al setaccio i distributori: su 2.400 irregolari il 15 per cento.



Fiamme Gialle in azione per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti: "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".

Roma, 14 agosto 2012 - Distributori di benzina nel mirino delle Fiamme Gialle. Ad agosto la Guardia di Finanza ha effettuato controlli su 2.400 impianti stradali di carburante nei giorni di traffico da "bollino nero" scoprendo 356 irregolarità (15%). Lo ha comunicato la Guardia di Finanza. Centinaia di finanzieri hanno proseguito i controlli, avviati a fine luglio, passando al setaccio le stazioni di servizio per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti; "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".

I PROVVEDIMENTI - Nei casi più gravi, "23 gestori sono stati denunciati alle Procure della Repubblica territorialmente competenti per frode in commercio; sequestrate 53 tra colonnine e pistole erogatrici. In due casi, a Palermo, il gasolio per autotrazione è risultato annacquato con sostanze chimiche di bassa qualità: olio sintetico pari al 30% del prodotto, in un caso e sostanze non adatte all’autotrazione nell’altro". Ammontano a 21.079 litri i prodotti petroliferi che sono stati sequestrati in Liguria ed in Sicilia unitamente ai distributori, dopo che è stata riscontrata la manomissione dei contatori volumetrici delle colonnine. Negli altri casi sono stati sanzionati: - 114 gestori, per violazione alla disciplina sui prezzi esposti, non corrispondenti a quanto indicato dalle colonnine dopo il rifornimento; - 18 gestori per la rimozione dei sigilli che assicurano il corretto e regolare funzionamento degli impianti.

In 197 casi "è stata avviata - spiega la Gdf - la procedura per la revisione degli erogatori da parte dell’Ufficio Metrico della Camera di Commercio, che dovrà procedere ad una nuova taratura degli impianti. Le frodi sui carburanti colpiscono non solo gli automobilisti, ma anche le casse dello Stato. Infatti, la miscelazione con prodotti petroliferi diversi, non soggetti ad imposte e di minor costo, da un lato fornisce agli utenti un prodotto scadente quando non dannoso per la meccanica, dall’altro consente di creare 'riserve occulte' di carburante venduto separatamente 'in nero'".

Tra i casi più eclatanti scoperti negli ultimi mesi: le fiamme gialle di Sondrio hanno scoperto 56 aziende lombarde e piemontesi che hanno contrabbandato da Livigno quasi 1 milione di litri di gasolio installando serbatoi supplementari nei propri camion. Infatti, la normativa consente di introdurre nel territorio dello Stato, in esenzione dal pagamento di imposte, esclusivamente il carburante contenuto nel serbatoio installato "di serie" dalla casa costruttrice; a Palermo, due pregiudicati avevano aperto una pompa di benzina completamente abusiva in un’area recintata, videosorvegliata e chiusa da un cancello elettrico comandato a distanza cui potevano accedere soltanto gli autotrasportatori conosciuti. Il gasolio era contenuto in cisterne nascoste in container o autocarri parcheggiati nel piazzale.