ROMA - Il Tribunale del Riesame ha depositato stamattina le motivazioni in base alle quali il 7 agosto scorso ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva.«Ritengo che il sito non debba essere oggetto di decisioni irrimediabili come lo spegnimento» ha detto oggi il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Sequestro senza facoltà d'uso. Il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva senza concedere la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico.
Tribunale: interrompere i reati contestati. Il tribunale del Riesame, confermando il sequestro Ilva, dispone che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare. Sul percorso da seguire per interrompere i reati, i giudici - viene riferito da fonti giudiziarie - non si sbilanciano e affidano il compito ai custodi nominati dal gip e alla procura. Il provvedimento - notificato all'Ilva - è di circa 120 pagine. Nel dispositivo della propria decisione (depositato il 7 agosto scorso), il tribunale del Riesame scriveva: «I custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». Per rafforzare questa disposizione, il tribunale aveva nominato custode giudiziario proprio il massimo rappresentante Ilva, Bruno Ferrante: «Nella sua qualità - precisa il tribunale nel dispositivo - di presidente del Cda e di legale rappresentante di Ilva spa». La nomina di Ferrante, quattro giorni dopo la decisione del Riesame, è stata revocata dal gip Patrizia Todisco.
«Gestione ad alta potenzialità distruttiva». Le modalità di gestione dell'Ilva di Taranto, scrive il Riesame, sono state tali da produrre un "disastro doloso": «Azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente (...), tale da provocare un effettivo pericolo per l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone».
«Attività inquinante è stata una scelta voluta dalla proprietà». Per il Tribunale del Riesame, il «disastro» prodotto dall'Ilva a Taranto è stato «determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Proprietà e gruppi dirigenti «che si sono avvicendati alla guida dell'Ilva», secondo i giudici del tribunale del riesame di Taranto, «hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi». In un'altra parte del loro provvedimento i giudici del Riesame, sullo stesso tema, annotano: «Dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti d'intesa, volti a limitare e ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti». I giudici ritengono che «le emissioni nocive che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto, avvenuto nel 1995, sono proseguite successivamente», nonostante una condanna definitive per reati ambientali. Inoltre, nonostante i «molteplici» impegni assunti dall'Ilva con le pubbliche amministrazioni per migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico, i dirigenti dello stabilimento non hanno mai assolto agli obblighi.
«Grave pericolo per la vita di un numero indeterminato di persone». L'attività inquinante dell'Ilva - secondo il Riesame - ha provocato una «gravissima contaminazione ambientale» che consiste nella «contaminazione di una vasta area di terreno compresa tra i territori dei Comuni di Statte e Taranto». La contaminazione «ha comportato ingenti danni economici alle locali aziende zootecniche, ma soprattutto ha creato una situazione di grave pericolo per la salute e la vita di un numero indeterminato di persone». L'attività inquinante - sottolineano i giudici - si è protratta «per anni nonostante le osservazioni e i rilievi mossi al riguardo dalle autorità preposte alla salvaguardia dell'ambiente e della salute. Ciò emerge inconfutabilmente circa le emissioni inquinanti rivenienti dalla singole aree dello stabilimento». A questo riguardo i giudici rilevano, tra l'altro, che già nel maggio 2007 l'Arpa Puglia aveva reso noto che le emissioni di diossina attribuibili all'Ilva «avessero subito un decisivo incremento, passando il contributo complessivo dello stabilimento di Taranto, al totale nazionale prodotto, dal 32% dell'anno 2002 al 90% del 2005».
«Disastro eliminabile solo con misure imponenti». Il disastro ambientale doloso prodotto dall'Ilva, scrive il Riesame, è «ancora in atto» e «potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d'intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all'eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi».
«Produzione solo se resa ecocompatibile». L'Ilva - secondo il Riesame - deve, da un lato, eliminare «la fonte delle emissioni inquinanti (con la rimodulazione dei volumi di produzione e della forza occupazionale)», dall'altro «provvedere al mantenimento dell'attività produttiva dello stabilimento», solo dopo averla resa «compatibile» con ambiente e salute.
Sequestro senza facoltà d'uso. Il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva senza concedere la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico.
Tribunale: interrompere i reati contestati. Il tribunale del Riesame, confermando il sequestro Ilva, dispone che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare. Sul percorso da seguire per interrompere i reati, i giudici - viene riferito da fonti giudiziarie - non si sbilanciano e affidano il compito ai custodi nominati dal gip e alla procura. Il provvedimento - notificato all'Ilva - è di circa 120 pagine. Nel dispositivo della propria decisione (depositato il 7 agosto scorso), il tribunale del Riesame scriveva: «I custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». Per rafforzare questa disposizione, il tribunale aveva nominato custode giudiziario proprio il massimo rappresentante Ilva, Bruno Ferrante: «Nella sua qualità - precisa il tribunale nel dispositivo - di presidente del Cda e di legale rappresentante di Ilva spa». La nomina di Ferrante, quattro giorni dopo la decisione del Riesame, è stata revocata dal gip Patrizia Todisco.
«Gestione ad alta potenzialità distruttiva». Le modalità di gestione dell'Ilva di Taranto, scrive il Riesame, sono state tali da produrre un "disastro doloso": «Azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente (...), tale da provocare un effettivo pericolo per l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone».
«Attività inquinante è stata una scelta voluta dalla proprietà». Per il Tribunale del Riesame, il «disastro» prodotto dall'Ilva a Taranto è stato «determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Proprietà e gruppi dirigenti «che si sono avvicendati alla guida dell'Ilva», secondo i giudici del tribunale del riesame di Taranto, «hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi». In un'altra parte del loro provvedimento i giudici del Riesame, sullo stesso tema, annotano: «Dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti d'intesa, volti a limitare e ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti». I giudici ritengono che «le emissioni nocive che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto, avvenuto nel 1995, sono proseguite successivamente», nonostante una condanna definitive per reati ambientali. Inoltre, nonostante i «molteplici» impegni assunti dall'Ilva con le pubbliche amministrazioni per migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico, i dirigenti dello stabilimento non hanno mai assolto agli obblighi.
«Grave pericolo per la vita di un numero indeterminato di persone». L'attività inquinante dell'Ilva - secondo il Riesame - ha provocato una «gravissima contaminazione ambientale» che consiste nella «contaminazione di una vasta area di terreno compresa tra i territori dei Comuni di Statte e Taranto». La contaminazione «ha comportato ingenti danni economici alle locali aziende zootecniche, ma soprattutto ha creato una situazione di grave pericolo per la salute e la vita di un numero indeterminato di persone». L'attività inquinante - sottolineano i giudici - si è protratta «per anni nonostante le osservazioni e i rilievi mossi al riguardo dalle autorità preposte alla salvaguardia dell'ambiente e della salute. Ciò emerge inconfutabilmente circa le emissioni inquinanti rivenienti dalla singole aree dello stabilimento». A questo riguardo i giudici rilevano, tra l'altro, che già nel maggio 2007 l'Arpa Puglia aveva reso noto che le emissioni di diossina attribuibili all'Ilva «avessero subito un decisivo incremento, passando il contributo complessivo dello stabilimento di Taranto, al totale nazionale prodotto, dal 32% dell'anno 2002 al 90% del 2005».
«Disastro eliminabile solo con misure imponenti». Il disastro ambientale doloso prodotto dall'Ilva, scrive il Riesame, è «ancora in atto» e «potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d'intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all'eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi».
«Produzione solo se resa ecocompatibile». L'Ilva - secondo il Riesame - deve, da un lato, eliminare «la fonte delle emissioni inquinanti (con la rimodulazione dei volumi di produzione e della forza occupazionale)», dall'altro «provvedere al mantenimento dell'attività produttiva dello stabilimento», solo dopo averla resa «compatibile» con ambiente e salute.