Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 17 settembre 2012
Domanda retorica.
Ma se la Fiat dovesse CHIUDERE DEFINITIVAMENTE gli stabilimenti italiani (come presto farà, ora che la legge Fornero permette i licenziamenti), creando CENTINAIA DI MIGLIAIA di disoccupati nell'indotto, questi BUFFONI "demoKratici" convintamente pro-Marchionne CON CHE FACCIA pensano di poter chiedere ancora il "voto dei lavoratori" alle prossime elezioni? (VB)
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PROCEDIMENTI GIUDIZIARI A CARICO DI SILVIO BERLUSCONI.
1 Elenco riassuntivo
2.1 Indagine su rapporti con società svizzere
2.2 Traffico di droga
2.3 Falsa testimonianza
2.4 Tangenti alla Guardia di Finanza
2.5 Bilanci Fininvest 1988-1992
2.6 Processo All Iberian
2.6.1 All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI)
2.6.2 All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato)
2.7 Processo Lentini (falso in bilancio)
2.8 Medusa cinematografica
2.9 Falso in bilancio nell'acquisto dei terreni di Macherio
2.10 Lodo Mondadori
2.11 Consolidato Fininvest
2.12 Processo SME
2.12.1 Processo SME, capo di accusa A
2.13 Spartizione pubblicitaria Rai-Fininvest
2.14 Tangenti fiscali sulle pay-tv
2.15 Stragi del 1992-1993
2.16 Concorso esterno in associazione mafiosa
2.17 Diffamazione aggravata dall'uso del mezzo televisivo
2.18 Telecinco (in Spagna)
2.19 Caso Saccà
2.20 Compravendita di diritti televisivi
2.21 Mediatrade
2.22 Inchiesta Mediatrade di Roma
2.23 Corruzione dell'avvocato David Mills
2.24 Voli di Stato
2.25 Inchiesta di Trani
2.26 Il caso Ruby
2.27 Unipol
2.28 Laurea di Antonio Di Pietro
2.4 Tangenti alla Guardia di Finanza
2.5 Bilanci Fininvest 1988-1992
2.6 Processo All Iberian
2.6.1 All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI)
2.6.2 All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato)
2.7 Processo Lentini (falso in bilancio)
2.8 Medusa cinematografica
2.9 Falso in bilancio nell'acquisto dei terreni di Macherio
2.10 Lodo Mondadori
2.11 Consolidato Fininvest
2.12 Processo SME
2.12.1 Processo SME, capo di accusa A
2.13 Spartizione pubblicitaria Rai-Fininvest
2.14 Tangenti fiscali sulle pay-tv
2.15 Stragi del 1992-1993
2.16 Concorso esterno in associazione mafiosa
2.17 Diffamazione aggravata dall'uso del mezzo televisivo
2.18 Telecinco (in Spagna)
2.19 Caso Saccà
2.20 Compravendita di diritti televisivi
2.21 Mediatrade
2.22 Inchiesta Mediatrade di Roma
2.23 Corruzione dell'avvocato David Mills
2.24 Voli di Stato
2.25 Inchiesta di Trani
2.26 Il caso Ruby
2.27 Unipol
2.28 Laurea di Antonio Di Pietro
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Romano, ambasciator porta ritardo. - Marco Travaglio
Carta Canta - l'Espresso, 14 settembre 2012
Con tutto il rispetto per l'ambasciatore Sergio Romano, quando si legge un suo editoriale sulCorriere della sera, non si capisce mai se ci è o ci fa. L'altro giorno, in uno stupefacente articolo intitolato “Le liste pulite prima garanzia”, auspicava partiti “capaci di accordarsi sui concetti di corruzione e concussione” per punirle più adeguatamente con una nuova legge. Come se non fosse fin troppo chiaro che non ne vogliono sapere, visto che corruzione e concussione sono due specialità della casa. Poi, tomo tomo cacchio cacchio, Romano si spingeva a scrivere: “Non vorremmo trovare nelle liste persone impresentabili”. Come se fosse appena calato da Marte e non fosse al corrente del fatto che dal 1996 i maggiori partiti italiani inbottiscono le loro liste di personaggi impresentabili. A cominciare dal leader del centrodestra che, essendo lui stesso impresentabile, attira e candida i suoi simili. E che un certo Sergio Romano, in tutti questi anni, ha ripetutamente difeso dall'”accanimento” dei magistrati cattivi e dei giornalisti giustizialisti. Il 14 marzo 2001, per esempio, chi scrive fu ospite del “Satyricon” di Daniele Luttazzi e rivolse alcune domande a Silvio Berlusconi sui suoi rapporti con la mafia e sull'odore dei suoi soldi. Tre giorni dopo un certo Sergio Romano scrisse sul Corriere: “Non si può pretendere che Berlusconi spieghi come si è arricchito. Una pretesa inquisitoria, frutto di vecchio anticapitalismo, a cui non furono assoggettate le dinastie dei Kennedy e dei Bush”. Lo svagato ambasciatore dimenticava, pur avendo girato il mondo, le centinaio di inchieste, programmi tv e libri sui Kennedy e su tutti gli altri presidenti e aspiranti presidenti degli Stati Uniti, culla del capitalismo. Tant'è che di lì a poco la bibbia del capitalismo, The Economist, uscì con la copertina dedicata ai misteri delle fortune del Cavaliere, anche per questo “unfit” a governare l'Italia.
Ora, d'improvviso, Romano scopre le “liste pulite”. Il finale dell'articolo è roba da far impallidire il Tartuffe di Molière: “Siamo garantisti e sappiamo che un'indagine non equivale a una condanna. Ma le segreterie, dal momento che non vogliono privarsi del diritto di scegliere i candidati, dovrebbero almeno impegnarsi pubblicamente a rispettare questo elementare principio di moralità politica: non servirsi del Parlamento per mettere qualche loro compagno al riparo dalla giustizia”. E quando mai, di grazia, negli ultimi 15 anni, Romano ha denunciato con nomi e cognomi i leader che candidavano inquisiti per sottrarli alla giustizia, compresi se stessi? Nei “V-day” del 2007 e del 2008 Beppe Grillo riunì centinaia di migliaia di persone nelle principali piazze d'Italia per raccogliere firme su tre referendum e tre leggi d'iniziativa popolare che chiedevano, fra l'altro, un “Parlamento pulito”: una norma semplice semplice, già in vigore negli enti locali, per l'ineleggibilità dei condannati per reati dolosi di una certa entità. Non risulta che Romano abbia mai sostenuto quella battaglia, anzi, al contrario, la demonizzò dalle colonne del Corriere. A suo avviso, quelle centinaia di migliaia di cittadini che chiedevano “liste pulite” cinque anni prima di lui, erano protagonisti di un “carnevale plebeo e volgare”, animati da “sentimenti beceri e forcaioli”. Infine l'ambasciatore fulminava Grillo, che quella proposta lanciava, con una memorabile previsione-maledizione: “La irresistibile ascesa del comico-politico dura generalmente qualche mese o pochi anni e si spegne quando il pubblico si stanca di ascoltare sempre le stesse battute o si accorge che nessuna soluzione politica potrà mai venire dal mondo dell'avanspettacolo. Cosa che accadrà, suppongo, anche nel caso di Beppe Grillo”.
Ora che il Movimento 5 Stelle si è talmente “spento” da insidiare il Pdl e il Pdl e finalmente, con la dovuta calma, Romano è giunto alle stesse conclusioni, gli basterebbero tre paroline per riconoscerne la primogenitura al legittimo titolare e magari fare ammenda: “Aveva ragione Grillo”. Invece Romano scrive come se le liste pulite fossero una sua folgorante invenzione. Ambasciator non porta pena. Ma porta parecchio ritardo.
Ora, d'improvviso, Romano scopre le “liste pulite”. Il finale dell'articolo è roba da far impallidire il Tartuffe di Molière: “Siamo garantisti e sappiamo che un'indagine non equivale a una condanna. Ma le segreterie, dal momento che non vogliono privarsi del diritto di scegliere i candidati, dovrebbero almeno impegnarsi pubblicamente a rispettare questo elementare principio di moralità politica: non servirsi del Parlamento per mettere qualche loro compagno al riparo dalla giustizia”. E quando mai, di grazia, negli ultimi 15 anni, Romano ha denunciato con nomi e cognomi i leader che candidavano inquisiti per sottrarli alla giustizia, compresi se stessi? Nei “V-day” del 2007 e del 2008 Beppe Grillo riunì centinaia di migliaia di persone nelle principali piazze d'Italia per raccogliere firme su tre referendum e tre leggi d'iniziativa popolare che chiedevano, fra l'altro, un “Parlamento pulito”: una norma semplice semplice, già in vigore negli enti locali, per l'ineleggibilità dei condannati per reati dolosi di una certa entità. Non risulta che Romano abbia mai sostenuto quella battaglia, anzi, al contrario, la demonizzò dalle colonne del Corriere. A suo avviso, quelle centinaia di migliaia di cittadini che chiedevano “liste pulite” cinque anni prima di lui, erano protagonisti di un “carnevale plebeo e volgare”, animati da “sentimenti beceri e forcaioli”. Infine l'ambasciatore fulminava Grillo, che quella proposta lanciava, con una memorabile previsione-maledizione: “La irresistibile ascesa del comico-politico dura generalmente qualche mese o pochi anni e si spegne quando il pubblico si stanca di ascoltare sempre le stesse battute o si accorge che nessuna soluzione politica potrà mai venire dal mondo dell'avanspettacolo. Cosa che accadrà, suppongo, anche nel caso di Beppe Grillo”.
Ora che il Movimento 5 Stelle si è talmente “spento” da insidiare il Pdl e il Pdl e finalmente, con la dovuta calma, Romano è giunto alle stesse conclusioni, gli basterebbero tre paroline per riconoscerne la primogenitura al legittimo titolare e magari fare ammenda: “Aveva ragione Grillo”. Invece Romano scrive come se le liste pulite fossero una sua folgorante invenzione. Ambasciator non porta pena. Ma porta parecchio ritardo.
Caro presidente, non è stagione di segreti. - Guido Scorza
Caro Presidente,
milioni di cittadini italiani, in un momento di crisi economica ed istituzionale senza precedenti nella storia nel nostro Paese, stanno assistendo ad un indecoroso spettacolo nel quale alla magistratura che indaga su una presunta trattativa tra lo Stato e la mafia, cercando di accertare fatti e responsabilità, la Presidenza della Repubblica oppone il segreto e la riservatezza delle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato.
Questo media e politici, ormai da settimane, vanno raccontando – a torto o a ragione – e di questo i cittadini sono ormai convinti.
Che si tratti di una distorsione dei fatti o della realtà, conta, a questo punto, davvero poco.
Milioni di cittadini italiani assistono o sono convinti di assistere ad un vergognoso scontro tra poteri dello Stato, proprio nel momento in cui avrebbero più bisogno di guardare verso il colle che Lei abita e di trovarvi la più alta e rassicurante espressione delle istituzioni e dei valori democratici sui quali è fondato il nostro Paese.
Non sono tra quelli – e come sa ce ne sono molti anche illustri – che ritengono che Lei non avrebbe dovuto chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità o illegittimità delle intercettazioni di alcune conversazioni tra Lei e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino.
Se lo ha fatto nella sincera convinzione che il segreto delle conversazioni del Presidente della Repubblica anche rispetto alle orecchie dei magistrati sia una garanzia prevista dalla legge ed indispensabile a consentire al Capo dello Stato – chiunque esso sia – di svolgere al meglio il proprio compito, ha fatto il suo dovere.
Personalmente non credo che certi segreti siano istituzionalmente né utili né sostenibili, ma questo, naturalmente, conta davvero poco.
Il punto, ora, è un altro.
Lei sa benissimo, caro Presidente, che il contenuto delle conversazioni tra Lei e Nicola Mancino è, ormai, noto ad alcuni – non molti ma neppure pochissimi – e non può sfuggirLe da grande ed attento osservatore della storia che, come insegna la recente vicenda Wikileaks, il contenuto di quelle conversazioni, nelle mani di pochi, rappresenta, allo stato, uno straordinario strumento di ricatto e minaccia democratica e istituzionale.
Nelle prossime settimane – se non è già avvenuto – il contenuto di quelle conversazioni finirà nell’agone politico pre-elettorale e sarà utilizzato per influenzare l’esito delle consultazioni, per garantire a qualcuno seggi, poltrone e potere e chissà per quali altri imponderabili impropri utilizzi.
Il privilegio informativo sul contenuto di quelle telefonate costituisce una pericolosissima mina di destabilizzazione istituzionale che deve essere disinnescata senza ritardo.
Solo Lei può farlo.
È per questo che Le chiedo di procedere alla pubblicazione, sul sito internet del Quirinale, del contenuto di quelle conversazioni che prima che l’accidentale risultato investigativo di una procura, rappresenta un fatto storico di grandissimo rilievo: il Capo dello Stato e l’ex seconda carica dello Stato che parlano al telefono a proposito – presumibilmente – di una trattativa tra lo Stato e la mafia.
È l’unico modo per disinnescare la vera minaccia che incombe sul Paese, per dimostrare ai cittadini italiani che esiste ancora un’Istituzionie repubblicana che antepone il bene democratico all’egoistico interesse di chi la rappresenta e, soprattutto, per insegnare che nell’era di Internet e dell’informazione globale la migliore medicina democratica è la trasparenza perché non è più stagione di segreti anche ammesso che esistano ancora.
La ringrazio, se avrà avuto la bontà di leggermi, per l’attenzione e aspetto di leggerLa sul sito del Quirinale.
Trattativa: un iscritto al Pci e un difensore di Berlusconi i relatori alla Consulta. Gianni Barbacetto
Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo: saranno loro, gemelli diversi, i giudici relatori della Consulta a cui toccherà d’impostare il lavoro della Corte costituzionale sul conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal presidente Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo. Silvestri e Frigo avranno una parte importante nel disporre le carte sul tavolo da gioco, per la delicatissima partita che sarà poi decisa dai giudici costituzionali, alle prese con la questione spinosa delle telefonate del capo della Stato restate indirettamente registrate nei file dei pm palermitani che indagano sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Sono due giuristi che provengono da opposte sponde politiche, il centrosinistra per Silvestri, il centrodestra per Frigo. Ora si troveranno a dover affrontare insieme il caso più spinoso tra quelli capitati alla Corte costituzionale negli ultimi anni e forse in tutta la storia della Repubblica.
Gaetano Silvestri è entrato alla Corte costituzionale nel giugno 2005, eletto (con 587 voti) dal Parlamento in seduta comune, su indicazione del centrosinistra. Resterà in carica fino al 28 giugno 2014. Giurista e professore universitario, ma anche uomo di partito. Nato a Patti nel giugno del 1944, è dal 1970 docente all’università di Messina, di cui diventa rettore nel 1998, dopo gli scandali (“il verminaio”) che coinvolsero l’ateneo e i poteri della città siciliana. Resterà rettore fino al 2004, anno in cui diventa vicepresidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane. Iscritto al Pci e poi al Pds, dunque compagno di partito di Napolitano negli anni Ottanta e Novanta, mantiene sempre buoni rapporti con i vertici del partito, che nel 1990 lo mandano a Roma, al Consiglio superiore della magistratura, come membro laico. Ci resterà fino al 1994 (sono gli anni roventi delle stragi di mafia e della trattativa). Tra il 1988 e il 1991 era stato membro del Comitato direttivo dell’associazione italiana dei costituzionalisti. Dal 1997, dopo la morte del professor Temistocle Martines, porta a compimento il lavoro di quest’ultimo, curando il suo manuale universitario di Diritto costituzionale.
Nel maggio 2010 i giornali scrivono che il nome di Gaetano Silvestri sarebbe presente nella cosiddetta “lista Anemone”, ossia l’elenco di 370 persone che avrebbero usufruito di ristrutturazioni edilizie fornite dall’immobiliarista della “cricca”, Diego Anemone. Il giudice Silvestri smentisce con decisione e dichiara la sua assoluta estraneità a quella vicenda. La primavera scorsa è un suo parente, invece, a inciampare in un caso giudiziario: il cognato Giuseppe Fortino, avvocato a Messina, è condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per corruzione, in relazione a una speculazione edilizia realizzata con l’intervento di politici locali. L’avvocato Fortino è ora in attesa dell’appello.
L’altro relatore del caso Napolitano-trattativa presso la Corte costituzionale è Giuseppe Frigo, entrato alla Consulta nell’ottobre 2008, eletto dal Parlamento in seduta comune con 690 voti, su proposta del centrodestra. Bresciano, nato nel 1935, Frigo diventa avvocato di fama e docente all’università di Brescia. Nella sua carriera legale ha difeso Silvio Berlusconi, suo fratello Paolo e Cesare Previti in più processi. Ha rappresentato in aula la famiglia Soffiantini nel dibattimento per il sequestro dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini. Ha chiesto la revisione del processo sull’assassinio del commissario Luigi Calabresi, a nome del suo assistito Adriano Sofri, condannato per omicidio. Ha patrocinato il finanziere bresciano Emilio Gnutti nel processo per la scalata alla banca Antonveneta. E ha difeso il cantante napoletano Gigi D’Alessio dall’accusa di concorso esterno in associazione camorrista. Dal 1998 al 2002, per due mandati consecutivi, è stato presidente dell’Unione delle Camere penali, che rappresenta 9 mila legali italiani. In questa veste, si è particolarmente distinto nella battaglia per la separazione delle carriere dei magistrati (pm e giudici) e in quella per il cosiddetto “giusto processo”. L’inserimento nella Costituzione dell’articolo 111 può essere considerata anche una sua vittoria, ottenuta da leader dei penalisti italiani. Ha sostenuto con vigore il principio dell’oralità della prova, che si deve formare in aula, davanti a un giudice terzo, nel contraddittorio delle parti. Chissà se ora avrà dubbi sul caso di cui è chiamato a fare il relatore: elementi raccolti nelle indagini (le telefonate del capo dello Stato) dovrebbero essere distrutti direttamente dal pm, senza intervento del giudice e senza il controllo delle parti…
Da Il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2012
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domenica 16 settembre 2012
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