domenica 30 dicembre 2012

Usa, tutte le promesse non mantenute di Obama per limitare l’uso delle armi. - Marco Quarantelli


Barack Obama


Nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d'affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. Dopo la strage di Tucson nel 2011 il Dipartimento di Giustizia mise a punto una lista di provvedimenti ma le elezioni erano troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.

Mercoledì 19 dicembre nella briefing room della Casa Bianca l’aria era irrespirabile. Dopo l’eccidio dei  20 bambini di NewtownBarack Obama sa che sul controllo delle armi non potrà limitarsi alle solite promesse. “Il vicepresidente Biden metterà a punto un piano da approvare entro gennaio per impedire che tragedie simili si ripetano”, ha scandito il presidente. Quando un giornalista gli ha fatto notare che finora non ha fatto nulla per evitare che pistole e fucili invadessero le case degli americani, Obama “è apparso irritato – scrive il New York Times - ha tirato in ballo la crisi, il collasso dell’auto e due guerre che hanno richiesto tutta la sua attenzione”. Un nervosismo dettato dalla consapevolezza: nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d’affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. “Obama è la miglior cosa che sia mai accaduta all’industria delle armi”, ha spiegato a theblaze.com Jim Barrett, analista di C.L. King & Associates Inc., società di analisi di New York.
Nella prima campagna elettorale, Obama aveva seminato promesse a piene mani. “Aveva giurato che avrebbe lottato contro le lobby  - ricorda il Brady Center To Prevent Gun Violence, la più attiva e potente tra le organizzazioni che si battono per il gun control - e che avrebbe fatto leggi in grado di frenare la diffusione delle armi“. Nella convention democratica dell’agosto 2008, il futuro presidente promette per la prima volta di reintrodurre il bando contro le armi automatiche in vigore tra il 1994 e il 2004: “Terremo gli AK-47 lontano dalle mani dei criminali”, annuncia nel discorso di investitura. Ma pochi giorni fa, dopo la strage di Newtown, è stato costretto a rinverdire l’impegno mai mantenuto.
Ogni mossa di Obama in materia è da sempre ponderata al millesimo. Il 26 giugno 2008 la Corte Suprema stabilisce il diritto degli americani ad essere armati, annullando una legge che da 32 anni a Washington proibiva di tenere in casa una pistola per difesa personale. La decisione è storica, l’argomento è delicato, le urne sono vicine: schierarsi contro il verdetto sarebbe un suicidio elettorale. Così Barack si limita ad un commento indolore: “Possiamo proteggere il diritto della gente a possedere una pistola e al contempo la sicurezza dei nostri bambini”. Undici mesi dopo, il 12 maggio 2009, il suo Senato dava l’ok a una legge voluta da George W. Bush per consentire di introdurre armi semi-automatiche nei parchi nazionali.  
L’ultima promessa, prima di Newtown, risale ai fatti di Tucson, in Arizona: l’8 gennaio 2011 un 22enne apre il fuoco durante un comizio della deputata Gabrielle Gifford e uccide 6 persone. Il Dipartimento di Giustizia mette a punto una lista di provvedimenti per migliorare il sistema di controllo sul background degli acquirenti: l’idea – scrive il New York Times - è quella di incrociare i dati della Social Security Administration e dell’Fbi su chi ha fatto richiesta della licenza, per evitare che l’arma finisca nelle mani di criminali o psicopatici. Il presidente ne parla due mesi dopo in un editoriale scritto per l’Arizona Daily Star, ma tutto si ferma lì: le elezioni del 2012 sono troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.
Ora che è stato rieletto e l’ondata emotiva per la strage di Newtown è fortissima, Obama ha un’occasione storica: infrangere il tabù del diritto garantito dal Secondo Emendamento di possedere armi. Al Congresso i democratici hanno il controllo del Senato, ma la Camera è rimasta in mano ai repubblicani e la partita si giocherà tutta lì. Il Grand Old Party promette battaglia: “I criminali troverebbero comunque il modo di entrare in possesso di armi – ha detto al New York Times Jim Jordan, deputato repubblicano dell’Ohio – quindi eventuali restrizioni sarebbero inutili”. Howard Coble, North Carolina, fa appello alle statistiche: “Tradizionalmente gli Stati che hanno regole più rigide non vedono diminuire il loro tasso di criminalità”.
Domenica 16 settembre la senatrice democratica Dianne Feinstein ha chiesto di riportare in vita il bando contro le armi d’assalto in vigore fino al 2004 e Obama si è detto d’accordo. Ma potrebbe non bastare. Quella legge, scrive il Washington Post, aveva una lunga serie di falle propiziate a suon di milioni dall’azione di lobbying della National Rifle Association e utilizzate dai costruttori per continuare a produrre indisturbati: fosse stata in vigore oggi, il fucile da guerra Colt AR-15 sarebbe stato fuorilegge e James Holmes non avrebbe potuto utilizzarlo il 20 luglio per fare strage nel cinema di Aurora, ma se l’assassino avesse deciso di usare il gemello Colt Match Target Rifle, differente dal primo solo per una manciata di particolari, avrebbe potuto comperarlo indisturbato. Magari anche sceglierlo su internet, sul catalogo dedicato ai fucili d’assalto dalla catena di supermercati Walmart. 

La natura.



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Horroris causa. - Marco Travaglio



Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso dichiara testualmente a La zanzara: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Ha introdotto leggi che ci han consentito in tre anni di sequestrare 40 miliardi di beni ai mafiosi”. Era dai tempi della candidatura di B. al Nobel per la Pace, iniziativa di alcuni zelanti parlamentari del Pdl, che non si rideva tanto. Dopo il premio Guido Carli “alla carriera” (niente male l’idea di consacrare un piduista a erede universale di un uomo che combatté la P2), il Cainano incassa e si appunta, honoris causa, la medaglietta “una vita contro la mafia”.

Sulla data d'inizio del suo impegno antimafia si fronteggiano varie scuole di pensiero. C'è chi sostiene che B. abbia cominciato a combattere Cosa Nostra nel 1974, quando (come ha appena confermato la Cassazione nella sentenza Dell'Utri) ricevette a Milano la visita dei boss Bontate, Teresi, Di Carlo e Cinà, portati in dote dall'amico Marcello per suggellare la promozione del mafioso Vittorio Mangano a fattore di Arcore. C'è chi invece data il suo furore antimafioso al 1975, quando la mafia gli fece saltare la villa in via Rovani a Milano e lui non denunciò nulla ai carabinieri perché, confessò anni dopo, sapeva che l’attentato era opera dell'amico Mangano. Altri lo fanno coincidere con l'attentato nella stessa villa del 1986, quando al telefono con Dell'Utri parlò di “bomba gentile e affettuosa” e concluse: “Se Mangano me li chiedeva, io 10 milioni glieli davo”. Altri infine fanno scattare la sua limpida coscienza antimafiosa da quando – scrive ancora la Cassazione – “pagò cospicue somme a Cosa Nostra” nell'ambito di “un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri”, il tutto almeno fino al 1992, l'anno delle stragi.

Poi c'è il B. premier, ventennale spina nel fianco di Cosa Nostra. Nel 1994 tuonò contro Caselli e i pentiti di mafia, in tandem con Riina (“ha ragione il presidente Belluscone”) e intimò alla Rai di piantarla con La Piovra che rovinava l'immagine dell'Italia e soprattutto della mafia nel mondo. Poi portò in Parlamento Dell'Utri e Cosentino. Promosse ministro Lunardi che voleva “convivere con la mafia ”. Depenalizzò il falso in bilancio e varò tre scudi fiscali, regalando ai mafiosi l'anonimato e il rientro dei capitali sporchi in cambio ora del 2,5% ora del 5% di tasse invece del 45%: un riciclaggio di Stato in concorrenza sleale con gli onesti spalloni. Consentì la vendita dei beni sequestrati, così i boss possono ricomprarseli tramite prestanomi. Disse: “Strozzerei con le mie mani gli scrittori che parlano di mafia” (tipo Saviano e altri). Modificò l'art. 2 della normativa antimafia: se prima si potevano confiscare in base a “sufficienti indizi”, ora invece ci vuole la prova certa (difficilissima da trovare) che “risultino” provenienti da attività illegali. Infine, per salvarsi la coscienza, il ministro Alfano varò un brodino pomposamente chiamato “testo unico antimafia”, giudicato dagli operatori seri fumo negli occhi, che nulla aggiunge di sostanziale alla lotta alla mafia (né ai sequestri dei beni, che si facevano tali e quali anche prima).

Forse Grasso si riferisce a quella cosa inutile quando propone addirittura il “premio speciale” antimafia per B. Nelle procure antimafia si ride di gusto. Ma le battute del super-procuratore non sono finite: “Ingroia fa politica utilizzando la sua funzione”, “ha sbagliato a parlare a un congresso di partito” e ora “deve scegliere”. E altre ne seguiranno, annuncia Gasparri, che lancia “la prossima campagna elettorale” di Grasso. Naturalmente Ingroia è uno dei pm che indagano sulle trattative Stato-mafia, che quando Grasso era procuratore a Palermo erano tabù, e che coinvolsero anchela Banda B. Quindi la regola è questa: indagare su mafia e politica e parlarne a un congresso di partito è “fare politica”, fare un soffietto a B. e Alfano invece è fare giustizia. E poi dicono che la satira è morta.


http://unmesedallafine.blogspot.it/2012/05/travaglio-e-grasso-la-mafia-e.html

Roma: morta Rita Levi Montalcini, senatrice a vita e premio Nobel.


Roma: morta Rita Levi Montalcini, senatrice a vita e premio Nobel


E’ deceduta all'età di 103 anni nella sua casa via di Villa Massimo nella Capitale. Nel 2001 entra a Palazzo Madama su nomina di Carlo Azeglio Ciampi "per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale". Durante il governo Prodi, tra il 2006 e il 2008, essendo il suo un voto decisivo per la tenuta dell'esecutivo di centrosinistra viene aspramente contestata dagli esponenti della minoranza. Storace, sul suo blog, nel 2007 proclamava: "Regaliamole un bel paio di stampelle". Oggi dice: "Un onore averla conosciuta".

E’ morta Rita Levi Montalcini. Aveva 103 anni. La senatrice a vita è deceduta intorno alle 14 nella sua casa in via di Villa Massimo, in una zona residenziale di Roma a due passi da Villa Torlonia. La scienziata era con alcune persone care che, accortesi del peggioramento delle sue condizioni di salute, in un primo momento – come è stato riferito da loro stessi – hanno chiamato un’ambulanza per portarla alla vicina clinica Villa Margherita. Ma il quadro clinico è andato rapidamente peggiorando e il premio Nobel si è spenta nella sua abitazione.
Le sue ricerche in campo scientifico la portarono alla scoperta e all’identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa o Ngf (Nerve growth factor, ndr). Ricerche grazie alle quali, nel 1986, riceve il premio Nobel per la medicina. Socia nazionale dell’Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche, tra i soci fondatori della Fondazione Idis-Città della Scienza, è la prima donna ammessa alla Pontificia accademia delle Scienze. E’ stata sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Nel 1992 ha istituito, insieme alla sorella gemella Paola (morta nel 2000), la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del padre – Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico - rivolta alla formazione e all’educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario, con l’obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese. Sempre a favore dei giovani scienziati, nel marzo 2012 rivolge un appello al governo Monti insieme al senatore Ignazio Marino (Pd), “affinché non cancelli il futuro di tanti giovani ricercatori, che coltivano la speranza di poter fare ricerca in Italia. Il decreto legge su semplificazioni cancella i principi di trasparenza e merito alla base delle norme che dal 2006 hanno consentito di finanziare i progetti di ricerca dei giovani scienziati under 40 attraverso il meccanismo della peer review, la valutazione tra pari”.
Il 1° agosto 2001 viene nominata senatrice a vita da Carlo Azeglio Ciampi ”per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”. Per questo suo ruolo, sempre svolto con grande serietà e rigore, nel periodo del governo Prodi, tra il 2006 e il 2008, fu aspramente contestata dagli esponenti del centrodestra che, facendo leva sulla sua età avanzata, la insultarono arrivando a usare epiteti come “vecchia pannolona”. 
Nata a Torino il 22 aprile del 1909 da una famiglia ebrea sefardita, quando, nel 1938, Benito Mussolini pubblica il “Manifesto per la difesa della razza” – cui fa seguito la promulgazione delle leggi razziali e il blocco delle carriere accademiche e professionali a cittadini italiani non ariani – Rita è costretta a emigrare in Belgio con Giuseppe Levi (l’istologo che l’aveva accolta nella sua scuola medica quando la donna ha solo 20 anni). Poco prima  dell’invasione tedesca del Belgio (primavera del 1940), torna a Torino, dove, durante l’inverno del 1940, allestisce un laboratorio domestico situato nella sua camera da letto per proseguire le sue ricerche.
Tutti i rappresentanti politici esprimono cordoglio per la scomparsa della scienziata. Ma sono in molti a dimenticare le accuse che le rivolgevano tra il 2006 e il 2008 durante il governo Prodi. In primis Silvio Berlusconi che oggi parla di “donna di grande valore che ha onorato l’Italia”, ma nel 2006 la definiva “vergognosa” per il suo appoggio all’esecutivo dell’Unione. “La scomparsa di Rita Levi Montalcini è un gravissimo lutto non solo per la città di Roma e per l’Italia, ma per tutta l’umanità”, commenta per primo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Gli fa eco l’ex primo cittadino della Capitale Walter Veltroni: “Se ne va una personalità straordinaria”. Esprime “cordoglio a suo nome e a nome dell’Assemblea di Palazzo Madama” il presidente Renato Schifani. “Cordoglio” anche da parte dei leghisti: dal governatore del Piemonte Roberto Cota – “orgoglio per la città di Torino” – al presidente della Regione Veneto Luca Zaia: “Perdita immensa”. Parla anche il leader della Destra Francesco Storace che nel 2007 aveva proposto dal suo blog di regalare un paio di stampelle alla Montalcini, ma oggi dice: “Un onore averla conosciuta”

venerdì 28 dicembre 2012

I tempi cambiano...in peggio!



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Ex imprenditore clochard multato a Natale.



Vendeva piccoli oggetti per tirare avanti, adottato dai tassisti milanesi.


Lo hanno multato il 20 dicembre, il giorno dopo il suo 53/o compleanno, allo scalo di Linate per ''aver svolto attivita' di commercio su area pubblica senza autorizzazione''. Dovra' pagare circa tremila euro che non ha, Renato, ex imprenditore che da un anno e mezzo e' un senza fissa dimora adottato dai tassisti milanesi.
''Per cercare di tirare avanti vendo loro piccoli oggetti - racconta - come tagliaunghie, piccole lenti di ingrandimento, torce''. I tassisti hanno preso a cuore la sua situazione: ''E' una brava persona - dice Marco Marani, vicepresidente Unica Filt-Cgil - non fa nulla di male, non ruba. Sta semplicemente cercando di avere una seconda possibilita'''. Prima di finire in mezzo ad una strada Renato era un imprenditore tessile: in quattro anni ha perso tutto ed e' morta anche sua moglie.
Oggi cerca di fare quello che gli riesce meglio, ovvero il commerciante, anche se su piccola scala: ''Guai a chi mi tocca i tassisti - dice oggi - sono la mia famiglia, altro che lobby. A casa di uno di loro ho passato anche la vigilia di Natale''. 

Riguardo al porcellum…


NAPOLITANO: MANCATA RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE, UN FALLIMENTO
I giochetti del Pdl che hanno portato allo scioglimento anticipato delle Camere hanno bloccato di fatto la discussione della legge elettorale. Ne è consapevole anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano definendo “un fallimento” la mancata volontà da parte del Parlamento di discutere di una modifica che gli stessi cittadini avevano richiesto.
Il fatto imperdonabilmente grave – ha sostenuto il Capo dello Stato – è stato fallire la prova della riforma della legge elettorale del 2005, su cui pure la Corte Costituzionale aveva sollevato seri dubbi di legittimità. Tante voci sono arrivate in tal senso dalla società civile e dal mondo del diritto. Più forte è stato il sopravvivere delle peggiori logiche conflittuali tra le forze politiche. Nessuno – ha tuonato – potrà fare a meno di darne conto ai cittadini- elettori e la politica nel suo insieme rischia di pagare un prezzo pesante per questa sordità”.
COME SI VOTA SE TUTTO RIMANE COM’E’
Quali sono le caratteristiche del Porcellum? Le liste bloccate, il premio di maggioranza, la soglia di sbarramento con deroghe.
Con l’attuale legge l’elettore può scegliere soltanto alcune liste senza la possibilità di indicare i nomi di chi vorrebbe effettivamente portare in Parlamento. L’elezione di deputati e senatori resta così di esclusivo appannaggio dei partiti in base alle graduatorie da loro decise.
Nella maggior parte dei casi quando il partito si aggiudica il seggio è solo il primo della lista ad entrare in parlamento. Se si è fortunati entra il secondo, per il terzo non c’è quasi mai speranza.
Per ottenere seggi ci sono delle regole incontrovertibili che bisogna rispettare:innanzitutto le soglie di sbarramento per ogni partito. Per la Camera il 55% dei seggi viene assegnato allo schieramento che ha ottenuto più voti. Per accaparrarsi i seggi la soglia da superare è del 10% dei voti nazionali. La soglia minima viene ridotta al 4% per le liste non collegate.
Tradotto in numeri tutto questo significa che 340 seggi sono assegnati come premio di maggioranza e i restanti 278 divisi fra le rimanenti liste.
Al Senato la soglia di sbarramento è fissata al 20% per le coalizioni, al 3% per le liste coalizzate e all’8% per quelle che si presentano da sole. Il territorio nazionale è diviso in 27 circoscrizioni plurinominali. Ognuna di esser comprende una o più province.
Un  meccanismo complesso che rischia di frammentare un sistema politico già diviso in tanti micro- partiti che rischiano di rimanere senza rappresentanza parlamentare. La legge fu voluta, lo ricordiamo, da Berlusconi che nel 2005 minacciò una crisi di governo se non fosse stata approvata.
Per modificarla non sono bastati tre referendum abrogativi del 2009 che non riuscirono ad oltrepassare il quorum del 50%.
Proposte di cambiare la legge elettorale ce ne sono state ma nessuna è andata realmente in porto. Per il momento resta tutto com’è nonostante i tentativi di Idv e di altre forze extraparlamentari di parlarne. Il Pd invece per aggirare l’ostacolo pensa alle primarie di Capodanno. Quanto e come cambieranno le sorti delle liste elettorali lo vedremo all’inizio del prossimo anno. Nei partiti di centrodestra resta tutto com’è e l’Italia dei Valori si ricava il suo “spazio primarie” con la pubblicazione on line della cosiddetta “ lista di nozze” che consiste nella pubblicazione on line sul suo sito del curriculum del candidato che si propone. Toccherà ad organi di garanzia fuori dai candidati decidere poi se accettare o meno il nome in base a eventuali segnalazioni.
Chi vivrà vedrà ma lo spettro del porcellum sulle elezioni del 2013 è sempre più reale: un fantasma che prende anima e corpo e non è uno scherzo di carnevale.