sabato 19 gennaio 2013

Risate della Iurato, reazione del Comitato Casa Studente: 'Disprezzo e pena'.



Il Comitato casa dello Studente commenta l'intercettazione choc.

La reazione è di sbigottimento ma anche "di pena e di disprezzo": i Familiari delle Vittime della Casa dello Studente dell'Aquila sono sotto choc per l'intercettazione in cui l'ex prefetto della città, Giovanna Maria Iurato, dice di aver riso pensando alla sua finta commozione durante la visita, appena nominata prefetto, davanti allo studentato dove morirono 8 ragazzi nel sisma del 2009. "Se questi sono gli uomini dello Stato bisogna trovarne altri. Questi soggetti rappresentano solo fame di potere. Non sono rappresentanti delle istituzioni", afferma Antonietta Centofanti, rappresentante dei Familiari delle Vittime della Casa dello Studente. Le nuove risate sul sisma dell'Aquila, dopo quelle dell'imprenditore Francesco Maria Piscicelli ("Io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto"), "sono l'esempio dell'ennesima situazione mediatica che ha scandito questo nostro tempo durissimo - racconta Centofanti -. La più crudele e pazzesca è questa del prefetto Iurato; la più tragica quella messa in atto dalla Commissione Grandi Rischi su ordine di Guido Bertolaso". "Trovo che non ci siano parole per raccontare ciò che sta accadendo in questa città, quanta mancanza di pietà c'é". Antonietta Centofanti, aquilana, nel sisma del 2009 ha perso il nipote Davide proprio nel crollo della Casa dello Studente. Il suo sentimento, e quello di tanti altri cittadini, è di "grande solitudine" ma c'é anche "disprezzo per questa donna, che forse è anche una madre, e forse anche un po' di pena perché ci troviamo di fronte ad una figura di scarsissimo spessore", conclude la rappresentante dei Familiari delle Vittime della Casa dello Studente.
Poco dopo il suo insediamento nella carica di Prefetto dell'Aquila, città sconvolta dal terremoto, Giovanna Iurato "scoppiava a ridere ricordando come si era falsamente commossa davanti alle macerie e ai bimbi rimasti orfani". E' quanto stigmatizzano i pm di Napoli commentando una telefonata del prefetto intercettata. I magistrati napoletani - titolari dell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza nell'ambito della quale Iurato è indagata per turbativa d'asta - fanno riferimento a una telefonata fra la stessa Iurato e il prefetto Francesco Gratteri, intercettata il 28 maggio 2010. "Commentando la sua prima giornata ufficiale - scrivono i pm - nella città martoriata dal terremoto (definita sarcasticamente da Iurato 'una citta' inesistente, che non c'e"), scoppiava a ridere, ricordando come si era (falsamente) commossa davanti alle macerie e ai bambini rimasti orfani. Una risata non giustificabile dalle circostanze e dagli eventi tragici di quelle ore, che avrebbero imposto al rappresentante del Governo di assumere comportamenti ben diversi e non certo (a proposito di cinismo) legati alla predisposizioni di condotte e strumenti atti a prevenire e/o scongiurare indagini in corso". La vicenda è riportata nella richiesta di misure cautelari firmata dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e dai pm della Dda Vincenzo D'Onofrio, Raffaello Falcone e Pierpaolo Filippelli.
INTERDIZIONE PER IZZO E IURATO - Il gip di Napoli Claudia Picciotti ha firmato un'ordinanza di interdizione dai pubblici uffici nei confronti dei prefetti Nicola Izzo, ex vicecapo della Polizia, e Giovanna Iurato, ex prefetto dell'Aquila, indagati nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza.
LEGALI IURATO, HA DATO PROVA ABNEGAZIONE - "Nei due anni di presenza a L'Aquila il prefetto Giovanna Iurato ha dato ampia prova di attenzione, rispetto e grande senso di abnegazione nei confronti dei cittadini così duramente colpiti dalla tragedia del terremoto": lo affermano gli avvocati Claudio Botti e Renato Borzone, legali dell'ex prefetto del capoluogo abruzzese. I due legali hanno commentato così una telefonata di Iurato nella quale - secondo la procura - il prefetto userebbe un tono ironico parlando del sisma che aveva colpito L'Aquila.
PM, SPERPERATI MILIONI DI SOLDI PUBBLICI  - Con l'allestimento, a Napoli, della nuova sede del Cen, il Centro elettronico nazionale, "si sono buttati al vento e sperperati milioni di fondi pubblici": lo scrivono i pm di Napoli nella richiesta di misure cautelari per le presunte irregolarità negli appalti per la sicurezza.
SISMA AQUILA: MOTIVAZIONI SENTENZA COMMISSIONE GRANDI RISCHI - Affermazioni 'assolutamente approssimative, generiche e inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione': lo afferma il giudice del tribunale dell'Aquila Marco Billi nelle motivazioni della sentenza che nell'ottobre scorso ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi in relazione al sisma del 2009.
Nel documento di 940 pagine, depositato due giorni prima del termine previsto, si legge: "La contestazione agli imputati appare pienamente fondata: le affermazioni riferite alla valutazione dei rischi connessi all'attività sismica sul territorio aquilano sono risultate assolutamente approssimative, generiche e inefficaci". Ai 7 componenti della Grandi Rischi che si riunì all'Aquila pochi giorni prima del 6 aprile 2009 è stata inflitta una condanna a 6 anni per omicidio colposo e lesioni colpose.
Il giudice del Tribunale dell'Aquila Marco Billi scrive: "Gravi profili di colpa si ravvisano nell'adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del dipartimento della Protezione civile (all'epoca appunto Bertolaso) di fare una 'operazione mediatica' (come emerso da intercettazioni telefoniche che lo hanno fatto entrare nel processo come indagato per reato connesso) che si è concretizzata nell'eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la commissione e la popolazione aquilana".
"Il presente processo non è volto alla verifica della fondatezza, della correttezza e della validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio 'la scienza' per non essere riuscita a prevedere il terremoto del 6 aprile 2009", afferma il giudice. "Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l'ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla 'previsione e prevenzione del rischio'", prosegue il giudice su un tema, quello del 'processo alla scienza' è stato il più discusso durante tutta la vicenda e ha generato polemiche tra le istituzioni e sui media in Italia e nel mondo. "E', dunque, pacifico - prosegue Billi - che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno é in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa". "Proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione", continua il giudice Billi. 
Mancata analisi del rischio e risultanze rassicuratorie sono emerse dalla riunione della Commissione Grandi Rischi, che hanno indotto gli aquilani a restare in casa mentre, con una condotta più prudente, si sarebbero potute salvare alcune vite. Così le motivazioni della sentenza di condanna della Cgr confermano la tesi accusatoria.
La "migliore indicazione" sulle rassicurazioni della commissione Grandi Rischi, si legge nelle motivazioni, "si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l'assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: "Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa". Billi sottolinea, nel documento di oltre 900 pagine, che "la rassicurazione non costituisce un segmento della condotta che il pm contesta agli imputati, ma costituisce in realtà l'effetto prodotto dalla condotta contestata".
Le affermazioni emerse nel corso della riunione della Commissione sui temi "della prevedibilità dei terremoti, dei precursori sismici, dell'evoluzione dello sciame in corso, della normalità del fenomeno, dello scarico di energia indotto dallo sciame sismico quale situazione favorevole, che costituiscono il corpo principale del capo di imputazione" hanno una "indubbia valenza rassicurante". I condannati in primo grado a sei anni di reclusione sono: Franco Barberi, all'epoca presidente vicario della commissione Grandi rischi; Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione civile; Enzo Boschi, all'epoca presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv); Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.a.s.e.; Claudio Eva, ordinario di Fisica all'Università di Genova; Mauro Dolce, direttore dell'ufficio rischio sismico di Protezione civile.
BOSCHI: 'NON MI SENTO ASSOLUTAMENTE COLPEVOLE' - "Non mi sento assolutamente colpevole": cosìl'ex presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Enzo Boschi, commenta le motivazioni della sentenza del Tribunale dell'Aquila che lo ha condannato in primo grado, con altre sei persone, in relazione al terremoto del 6 aprile 2009. "Non penserà, il giudice - ha detto Boschi all'ANSA - che dopo aver denunciato per anni la sismicità del territorio italiano, avrei detto improvvisamente che all'Aquila non c'é rischio di terremoti?". "Io e i miei colleghi - ha proseguito Boschi - non avremmo mai assolutamente potuto dare nessuna affermazione rassicurante: sarebbe stato dire che siamo in grado di prevedere i terremoti, oppure che i terremoti non sono prevedibili ma che all'Aquila non ci sarebbe stato nessun sisma". Quanto alla frase finale del verbale della riunione della Commissione Grandi Rischi, che riporta le affermazioni dell'assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, Boschi dice: "non so che cosa abbia detto Strati, io personalmente non l'ho sentita dire che andava a rassicurare la popolazione" Per l'ex presidente dell'Ingv "é tutto privo di senso: che scopo avremmo avuto a rassicurare? Che cosa ci avremmo guadagnato? Le cose disoneste si possono fare, ma si fanno per qualche scopo".
GRESTA (INGV), CONVINTO BUONA FEDE DEI COLLEGHI - "Sono intimamente convinto della buona fede dei miei colleghi": è questo il primo commento del presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Stefano Gresta, dopo aver appreso la motivazione della sentenza che nell'ottobre scorso ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi in relazione al terremoto del 6 aprile 2009. "Di sicuro - ha aggiunto Gresta - è stata gestita male la distribuzione dell'informazione". Inoltre, ha rilevato, "non è scientificamente corretto voler guardare, dopo che un evento è avvenuto, a quello che si sarebbe dovuto fare prima".
COMITATO CASA STUDENTE, ORA PROCESSO A BERTOLASO - "Non aggiungono niente di nuovo, sono una sintesi del lungo lavoro di inchiesta e di testimonianza arrivate alla conclusione della condanna. Oggi c'é la conferma nonostante quanto dice il ministro Clini che ha tacciato di oscurantismo il tribunale dell'Aquila". Lo ha detto Antonietta Centofanti, presidente del comitato vittime Casa dello Studente, commentando le motivazione della sentenza nei confronti della commissione Grandi Rischi. "Qui non è stata condannata la scienza ma un malcostume, cialtroneria e pressappochismo con cui si affrontano temi che riguardano il bene comune - ha continuato - lo confermano le intercettazioni telefoniche a carico dell'allora capo della protezione civile, Guido Bertolaso, che nei colloqui con l'assessore Stati ha parlato di riunione mediatica. Questa non é una invenzione, spero che anche Bertolaso finisca sul banco degli imputati e mi auguro che risponda di questa condanna che reputo criminosa".

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venerdì 18 gennaio 2013

La crisi va pagata da chi l'ha provocata.



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Movimento 5 stelle: gli aspiranti parlamentari a scuola di politica. - Giulia Zaccariello


Beppe Grillo


I candidati seguiranno a loro spese lezioni di costituzionalisti, economisti, professori di pedagogia e comunicazione all'università di Bologna e Milano. "Non vogliamo farci trovare impreparati quando e se entreremo in Parlamento".

Mentre Beppe Grillo è impegnato a girare le piazze d’Italia nel tentativo di riportare i consensi ai numeri delle regionali in Sicilia, gli aspiranti deputati del Movimento 5 stelle si preparano a entrare nei palazzi, per non farsi trovare impreparati al momento del debutto nelle istituzioni. Perché tra assemblee cittadine e discussioni in rete, e il lavoro quotidiano dentro le stanze del Parlamento c’è un abisso. Soprattutto per chi è completamente – o quasi – a digiuno di attività politica. Così in questi giorni di campagna elettorale, i candidati a 5 stelle sono tornati sui banchi di scuola: corsi di economia, lezioni di diritto parlamentare, costituzionale e amministrativo, con professori di diverse università, dalla Bicocca di Milano all’Ateneo di Bologna.
Tutto auto organizzato dai singoli gruppi locali e a costo zero. “Alle riunioni raccogliamo solo i soldi per l’affitto delle sale, e per pagare il viaggio ai relatori, i quali decidono di partecipare volontariamente, a titolo personale e senza prendere un euro”, spiegano gli organizzatori dei corsi di Bologna. Qui, nel capoluogo emiliano, ad esempio, è già in calendario per il 3 febbraio una lezione intensiva di economia con Loretta Napoleoni, studiosa dei sistemi finanziari, già consulente per il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Ma anche un’intervista via web all’ex senatore dei Verdi, Fiorello Cortiana, per “capire nella pratica come funziona il Parlamento e cosa fa un deputato da quando arriva la mattina fino alla fine della giornata”, un incontro sulla pedagogia e sulla formazione con Paolo Mazzotta, professore di Filosofia dell’educazione all’università Bicocca di Milano, e un altro con Toni Iero, esperto di mercati finanziari e redattore del mensile Cenerentola.
“Non so se si può definire una scuola di formazione politica, ma di sicuro ciascuno di noi si sta preparando, studiando libri, partecipando alle lezioni, e mettendo a disposizioni le proprie competenze a tutti gli altri”,  spiega Giulia Sarti, capolista alla Camera in Emilia Romagna. Classe 1986, laureata in Giurisprudenza appena due mesi fa, ha alle spalle anni di studi accademici e di attivismo nelle associazioni antimafia. Ma quella al Parlamento sarà per lei la prima vera e propria esperienza dentro le istituzioni. “Un po’ di pratica l’abbiamo fatta seguendo il lavoro di chi, prima di noi, è entrato nei consigli comunali e regionali. Anche se so che lì a Roma sarà comunque diverso. Per questo sto cercando di acquisire le basi del lavoro parlamentare”.
Un aiuto potrà arrivare dal corso di diritto parlamentare, uno degli appuntamenti clou del ciclo di lezioni bolognesi. “Stiamo ancora definendo i dettagli – chiariscono gli organizzatori – l’obiettivo è approfondire il funzionamento delle camere, quindi tutti gli aspetti paratici, dal regolamento delle commissioni, a come si presenta un’interrogazione o un progetto di legge”. In tutto 6 o 7 ore di lezione, aperte ai soli attivisti 5 stelle. “Sarà utile non solo a chi di noi andrà a Roma ma anche a chi starà a casa, che potrà così capire meglio l’attività dei nostri parlamentari”.

"Per noi Erasmus c'è il divieto di voto". La carica dei 20mila studenti all'estero. - Sara Bertuccioli


"Per noi Erasmus c'è il divieto di voto".  La carica dei 20mila studenti all'estero

Una delle foto di protesta degli studenti all'estero 

La rabbia e la frustrazione di centinaia di giovani che vivono temporaneamente in altri paesi europei e non potranno esercitare il voto per corrispondenza: "Non posso permettermi il volo per due giorni, sono furiosa". I commenti sui social network e una petizione online verso il ministro degli Esteri.


"QUESTA sarebbe stata la prima volta che avrei votato con piacere e coscienza... grazie...". A scrivere questo messaggio su Facebook è un ragazzo italiano che, essendo in Erasmus, non potrà votare alle elezioni politiche. Ed è solo uno dei tanti che racconta la sua amarezza sul social network. 

E la frustrazione per non poter apporre la X sulla loro scheda elettorale ha già preso la forma di una pagina, creata da pochi giorni e già con centinaia di utenti, solo una piccola parte dei 20mila italiani in Erasmus che saranno esclusi dal voto se non potranno tornare a casa il 24 e 25 febbraio. 

Voto per corrispondenza. Gli studenti che temporaneamente risiedono all'estero non sono infatti compresi nella lista di quelli che si trovano per motivi di servizio o missioni internazionali e che quindi possono beneficiare del voto per corrispondenza. Secondo le leggi in vigore (pdf) infatti, queste categorie sono "gli appartenenti alle  Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all'estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali; i dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all'estero per motivi di servizio e i professori e ricercatori universitari".

Per tutti gli altri la formula è perentoria: "Cittadini italiani che si trovino temporaneamente all’estero e non appartengano alle tre categorie sopraindicate potranno votare esclusivamente recandosi in Italia presso le sezioni istituite nel proprio comune di iscrizione nelle liste elettorali". Quindi la soluzione è o tornare in Italia, senza che il viaggio venga rimborsato se non nelle tratte nazionali, oppure niente voto. 
 
L'esclusione da queste tre categorie protette è quello che fa più male agli studenti perché non potendosi iscrivere all'Anagrafe Italiana Residenti all'Estero, soluzione possibile solo per chi è residente all'estero da più di 12 mesi e gli scambi di studio europei non raggiungono quella durata, speravano che venisse inserita la possibilità di poter votare per corrispondenza. Un voto che rischia di saltare per ventimila elettori, stando alle stime dell'ultimo rapporto annuale sulla mobilità Erasmus da parte dei ragazzi italiani (pdf).

Le reazioni su Facebook. Rabbia, frustrazione e disincanto verso la politica. Queste le reazioni maggiori che i ragazzi comunicano sui social network. C'è chi come Stefania Foresi parla di incostituzionalità: "Dal momento in cui non posso permettermi il lusso di tornare in Italia per votare, lo è. Sono furiosa! L'Erasmus non è un divertimento! E' un'opportunità! Perché per usufruire di un diritto devo perderne un altro? Ho studiato, rinunciando a tante cose per riuscire a partire! Sono delusa... delusissima".
 
Oppure c'è chi, come un'altra ragazza, comunica di aver coinvolto la Littizzetto in questa battaglia: ''perché ormai in Italia vengono ascoltati più i comici che i politici'''.

La pagina Facebook è stata creata da Valentina, studentessa trentina in Erasmus a Bath, Regno Unito: ''Mi è venuta l'idea pochi giorni fa, in pausa pranzo, dopo aver fatto una ricerca con altre ragazze italiane ed aver scoperto la situazione". Un computer, voglia di riscatto e attraverso il passaparola la pagina ormai è diventata il punto di riferimento per le migliaia di giovani che si ritrovano nella sua stessa situazione.  

"Il sentimento - dice ancora Valentina - che prevale è un forte senso di ingiustizia, come se un diritto fondamentale ci fosse stato strappato dalle mani, con prepotenza. L'esclusione dal voto è una ferita per noi ma vogliamo usare le ultime forze che ci rimangono per combatterla, almeno provando a far conoscere alle persone questa situazione. Sappiamo infatti che è troppo tardi per cambiare le nostre sorti, e che già altri studenti ci hanno provato negli anni scorsi, ma non vogliamo far passare questa ennesima esclusione come qualcosa di 'normale'".

La petizione. Da poche ore è stata lanciata una petizione online che chiede al ministro degli Esteri, Giulio Terzi, di prendere in considerazione la possibilità per gli studenti Erasmus di partecipare al voto.

Un esperimento simile era stato lanciato dal sito IoVotoFuoriSede, che da due anni si batte per introdurre anche in Italia il voto per delega, il voto per corrispondenza o il voto in un diverso seggio. Il disegno di legge è arrivato in Senato ma fermo lì, in discussione dal 16 ottobre 2012.

Quello che vogliono è un voto per corrispondenza anche per chi è all'estero temporaneamente, un po' come era successo alle Primarie del centrosinistra. Ed è proprio qui che emerge una contraddizione sui social network: primarie sì ed elezioni no. Come Paola, studentessa di Cesena in Erasmus a Berlino, che ci spiega: "Non posso permettermi di pagare 200 euro per tornare a casa solo per due giorni di votazioni. La cosa che mi è sembrata più assurda è stato il fatto che io sia riuscita a votare alle primarie del Pd e però mi risulti impossibile votare alle elezioni. Come dire che posso scegliere il mio leader che però non potrò mai votare”.

All'estero. In Europa, l'Italia è uno dei pochi Paesi rimasto a non utilizzare il voto per corrispondenza anche per chi risiede temporaneamente in un Paese diverso. Per quanto riguarda i studenti in Erasmus per le politiche del 2011 i Giovani Spagnoli socialisti avevano addirittura realizzato un video con le modalità di voto per chi non era nella penisola iberica ma vincitore della borsa di studio per lo scambio europeo.

http://www.repubblica.it/politica/2013/01/17/news/erasmus_elezioni_rischio-50752005/

Bisognerebbe impugnare il provvedimento, poichè la Costituzione così sancisce:


 Art. 48 - Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di
 voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.[7]

Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

Ars, i 29 furbetti del tesserino I grillini incalzano: "Ora fuori i nomi". - Accursio Sabella

Ars, i 29 furbetti del tesserino I grillini incalzano: "Ora fuori i nomi"

Dei 56 deputati ufficialmente presenti a Sala d'Ercole, ieri ne risultavano in Aula solo 27. E scoppia il "caso". Il Movimento cinque stelle ha chiesto ufficialmente i nominativi: "Vogliono evitare la decurtazione di 225 euro dalla diaria". Il presidente Ardizzone: "Comportamento non regolare, ma non è uno scandalo. Presto norme più restrittive in caso di assenza".

PALERMO - Alla fine, i soldi non li avrebbero persi comunque. Ma ci hanno provato. Ed è questo il “fatto”. Una trentina di deputati regionali, ieri, erano presenti a Sala d'Ercole solo con lo spirito. E con un tesserino. Tesserino lasciato lì, nella fessura della macchinetta per la rilevazione delle presenze. Come fosse un bancomat in grado di prelevare sempre la stessa cifra: 224,90 euro. Soldi che i deputati assenti, ieri avrebbero perso, se si fosse andato al voto della mozione sul Ponte. Un voto che non è giunto, alla fine di una seduta “animalesca”. Ma nessuno poteva saperlo.

Erano 56 i presenti, alla fine di quella seduta. In carne e in spirito, ovviamente. Perché alle sette della sera, il capogruppo del Movimento cinque stelle ne contava appena 27. Presidente compreso. Un presidente, Giovanni Ardizzone, che aveva annunciato la trasformazione di Palazzo dei Normanni in un “palazzo di vetro”. E forse, si è partiti dai deputati: alcuni di loro, in effetti, ieri erano trasparenti. “Non vorrei – spiega però oggi a Live Sicilia il presidente dell'Ars – che si monti un caso, uno scandalo. I deputati erano presenti a Palazzo dei Normanni, ma in quel momento non erano in Aula”.

In molti, raccontano alcuni tra gli stessi “inquilini” del Palazzo, dopo ore di discussione sul Ponte sullo Stretto, hanno pensato bene di lasciare Sala d'Ercole. E dedicarsi ad altre occupazioni. Dal semplice caffè al bar, al lavoro all'interno dei gruppi parlamentari, o a qualche incontro propedeutico alle prossime elezioni politiche. “Si tratta di un comportamento certamente non regolare – precisa però Ardizzone – che riguarda non tanto e non solo i 29 che ieri non erano presenti, nonostante il tesserino. Io mi riferisco a tutta l'Aula. Non è concepibile che alla votazione per una mozione importante come quella si presenti solo un terzo dei deputati”.

Un terzo esatto. Che non ha digerito bene la cosa. “Siamo gli unici stupidi – commenta qualche deputato – che rimangono a lavorare tutto il tempo, mentre gli altri sono altrove”. E per questo, il gruppo all'Ars che ieri ha sollevato il problema è andato a caccia dei nomi. "Vogliono evitare - diceva ieri Cancelleri - la decurtazione di 224,90 euro in caso di assenza". E oggi i grillini hanno chiesto ufficialmente agli Uffici di Palazzo dei Normanni l'elenco dei presenti e dei “presunti presenti” alla seduta di ieri. Scontrandosi con le difficoltà oggettive dell'amministrazione del Parlamento più antico d'Europa. Questa mattina, infatti, il capogruppo del Movimento cinque stelle, Giancarlo Cancelleri ha depositato al protocollo dell'Ufficio di presidenza la richiesta formale di visione dell'elenco dei deputati presenti alla seduta di ieri. Se ne saprà di più, pare, la prossima settimana. Ma il caso ha già scatenato diverse reazioni, tra cui quella del presidente della Regione Rosario Crocetta: "Il fatto che ci siano stati dei deputati grillini che hanno posto la questione dei pianisti - ha detto intervenendo a una trasmissione televisiva di La7 - è il segno che in Sicilia qualcosa sta cambiando".

Ma anche in seno al Consiglio di Presidenza, presto, potrebbero sorgere qualche novità. Una, ad esempio, riguarda il sistema di rilevazione delle presenze. “Già in passato – spiega il deputato questore Paolo Ruggirello – mi ero interessato alla faccenda, verificando con gli uffici la possibilità che potesse venire introdotto il sistema di rilevazione presenze attraverso il riconoscimento delle impronte digitali. Credo che oggi si debba accelerare su questa strada. Questa innovazione – precisa il deputato – consentirà di escludere che un deputato assente al Palazzo possa risultare presente in Aula. Ma non potrà evitare di certo che un deputato si possa allontanare da Sala d'Ercole dopo aver fatto registrare la sua presenza”. E tra l'altro, spiega Ruggirello, “già buona parte dei deputati sono 'immuni' alla decurtazione: si tratta dei componenti l'Ufficio di presidenza, i presidenti di Commissione e i capigruppo. Per loro, anche in caso di assenza, la diaria rimane intatta. Si tratta di oltre trenta deputati”.

“Credo che a questo punto – annuncia il presidente Ardizzone – sia il caso di introdurre nuove regole. Porterò in Consiglio di presidenza la proposta di estendere la decurtazione alla diaria a tutte le sedute d'Aula. Insomma, il deputato che non si presenterà a Sala d'Ercole vedrà dimagrire il suo stipendio a prescindere dal fatto che si voti, o meno”.

Fino ad oggi, le norme impongono, come detto, una decurtazione alla diaria (che ammonta a 3.500 euro) mensili, di “224,90 euro per ogni giorno in cui il Deputato non partecipi alle attività parlamentari nelle sedute d’Aula in cui si svolgono votazioni su testi legislativi o su atti di indirizzo politico iscritti all’ordine del giorno”. Tra gli atti di indirizzo politico figura appunto la mozione. Ma ieri, due terzi dei parlamentari non hanno ritrovato in tempo la strada che porta tra gli scranni di Sala d'Ercole. Avranno, evidentemente, sbagliato indirizzo.


http://m.livesicilia.it/2013/01/18/ars-i-29-furbetti-del-tesserino-i-grillini-incalzano-ora-fuori-i-nomi_246883/

Il Pdl spiava il Procuratore di Parma: nei cassetti trovati gli estratti conto bancari. - Silvia Bia ed Emiliano Liuzzi


Il Pdl spiava il Procuratore di Parma: nei cassetti trovati gli estratti conto bancari


Le carte erano a casa di Villani, capogruppo del partito alla Regione Emilia Romagna. Laguardia: “Sono rimasto sorpreso anche io ma su questo non posso indagare sono parte lesa". Nella costruzione di una vera e propria "macchina del fango" contro i nemici, anche gli avversari politici dell'ex sindaco e del sodale di partito.

Luigi Giuseppe Villani aveva copie degli estratti conto del procuratore capo di Parma Gerardo Laguardia. È uno dei nuovi elementi emersi dalla perquisizione dell’abitazione del capogruppo Pdl in Regione e vicepresidente di Iren che mercoledì è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato e corruzione nell’ambito dell’inchiesta Public Money, lo scandalo destinato a mutare profondamente gli equilibri di Parma, un tempo la piccola Parigi dell’Emilia Romagna, oggi l’esempio di come sia rimasta tale e quale alla Milano da bere degli anni Ottanta. E’ una Parma che gli uomini del Pdl si sono non solo bevuti, ma l’hanno spolpata fino all’osso, lasciandola con quasi un miliardo di debiti e poche possibilità di risollevarsi entro breve termine.
Gli uomini della Guardia di finanza hanno trovato in uno dei cassetti della scrivania di Villani copie degli estratti conto dei conti correnti privati di Laguardia. A rivelarlo è stato il procuratore stesso: “Sono rimasto sorpreso anche io – ha detto – ma su questo non posso indagare perché sarei parte lesa. Più avanti vedremo di cosa si tratta”.
Perché Villani possedeva quei documenti? A cosa sarebbero serviti? Come ha fatto a procurarseli? A chiarire questi interrogativi dovrebbe essere la Procura di Ancona, che tratta i reati che coinvolgono i magistrati, e gli sviluppi della vicenda potrebbero portare a ipotizzare nuovi reati e allargare il campo delle indagini.
Di certo, come dimostrano le 145 pagine dell’ordinanza del gip Maria Cristina Sarli, che ha dato il via libera all’arresto del consigliere regionale Pdl, dell’ex sindaco di Parma Pietro Vignali, dell’ex amministratore della partecipata Stt Andrea Costa e dell’editore e imprenditore Angelo Buzzi, Villani e l’ex primo cittadino erano ossessionati dal conoscere i movimenti dei loro “nemici” per scatenare contro di loro una “macchina del fango”. Lo facevano con gli avversari politici: dall’ex sindaco Elvio Ubaldi, che aveva simbolicamente investito del proprio mandato il suo assessore all’Ambiente, sostenendolo nella corsa elettorale, per poi distaccarsi da Vignali, arrivando addirittura a criticare il suo operato in consiglio comunale e a mezzo stampa, fino all’ex alleata politica Maria Teresa Guarnieri, che poi aveva lasciato il centrodestra per fondare un movimento indipendente.
Anche la Procura era nel mirino del Pdl, con attacchi ripetuti attraverso le interrogazioni parlamentari del senatore Filippo Berselli, a cui Villani e Vignali avevano chiesto più volte aiuto per fermare le indagini dopo gli arresti di Green Money, Spot Money e Easy Money che avevano fatto tremare il Comune, arrivano perfino a scomodare l’ex ministro alla Giustizia Angelino Alfano.  
Lo scrive il gip nell’ordinanza: dopo gli arresti del 24 giugno 2011 che avevano coinvolto anche dirigenti comunali e stretti collaboratori del sindaco Vignali, “frenetica e immediata era l’attività dei due volta ad acquisire notizie sulle indagini, ma soprattutto a cercare il sistema di arginarle”.  A inizio luglio Villani chiama Vignali e il sindaco gli chiede di prendere appuntamento con Alfano. In un’altra conversazione il primo cittadino spiega a Villani che avrebbe incontrato Alfano perché “adesso ho scatenato Letta”. È lo stesso Vignali a raccontare al consigliere di aver parlato con la segreteria del sottosegretario Gianni Letta e di avergli riferito di “un problema riguardante Parma di cui doveva parlare con il ministro Alfano”.
Il tentativo di remare contro il lavoro della Procura prosegue anche dopo l’arresto a settembre 2011 dell’allora assessore comunale alle Politiche educative Giovanni Paolo Bernini, membro del Pdl, che poi porterà alle dimissioni Vignali. L’avvenimento provoca una serie di reazioni e la mano del Pdl è sempre tesa verso i vertici nazionali con l’obiettivo di assestare un colpo alla giustizia ducale. Il gip scrive che Villani chiama  Vignali dicendogli che “deve  parlare  con  Berlusconi e che gli deve dire che c’è stato un ulteriore  assalto della magistratura e che per poter tenere la maggioranza è necessario che firmino  un decreto”.
Purtroppo a nulla serve la richiesta di aiuto. A inizio ottobre Vignali non è già più sindaco, ma tenta comunque di mettersi in contatto con la Finanza per avere informazioni sulle indagini e cercare di arginarle. Intanto la strategia continua: Villani con un sms comunica di avere incontrato Berselli che “ha detto di fare una cosa come presidente della Commissione Giustizia”. E puntuali, nei mesi successivi, arrivano le interrogazioni parlamentari di Berselli contro Laguardia e il pm Paola Dal Monte, fino alla richiesta di ispezioni da parte del Csm nella sede della Procura di Parma.
Gli attacchi del Pdl alla magistratura ducale non si fermano nemmeno con l’arresto di uno dei loro più illustri rappresentanti. Dopo lo scandalo Public Money che ha stretto le maglie intorno a Villani, Berselli punta ancora il dito contro Laguardia insieme al coordinamento provinciale del Pdl, esprimendo solidarietà al consigliere regionale. “La particolare tempistica degli arresti, in piena campagna elettorale, alla vigilia della presentazione delle liste per le elezioni politiche, rappresenta l’ennesimo tentativo di condizionare il voto popolare – scrive nella nota il coordinamento – Questa vicenda rafforza in noi la determinazione nel condurre la campagna elettorale a fianco di Silvio Berlusconi per salvare il paese dalle oligarchie e dalla sinistra conservatrice loro alleata”. Il gruppo ducale però questa volta si spacca: non tutti condividono il testo e tre di loro si rifiutano di firmarlo. Tra questi anche Paolo Zoni, l’ex assessore al Commercio di Vignali, che insieme ad Alessandro Corvi, presidente della sezione di Parma della Giovane Italia, l’associazione giovanile del Pdl, e a Maria Cristina Mangiarotti, si sono astenuti dalla mozione.