mercoledì 13 marzo 2013

Umiliazione, avvilimento.



Il nostro capo dello stato, con il suo atteggiamento da reuccio, ci ha avviliti, umiliati.
Ci ha detto che lui non intende rispettare e far rispettare la Costituzione, ci ha detto che siamo tutti uguali: onesti e disonesti, ma non lo siamo con chi è al potere che è diversamente onesto anche se non lo è.
E lo ha fatto in più di un'occasione, quindi è recidivo.
Lo ha fatto quando ci ha negato di utilizzare una sua telefonata intrattenuta con un indagato in un processo relativo alla trattativa stato-mafia; 
lo ha fatto negando il ritorno in India dei due marò che avevano ucciso due padri di famiglia innescando un peggioramento dei rapporti con quel paese;
lo ha fatto ieri, difendendo un indifendibile che se ne frega della legalità e che mette sotto i piedi etica, pudore, onore e rispetto verso chi dovrebbe rappresentare.

Ci ha fatto capire che noi non contiamo nulla, siamo niente e che le loro faccende, per quanto ingarbugliate e fondamentalmente sospette, vanno coperta omertosamente.

In altri termini: "Loro sono loro e noi siamo un emerito cacchio!"


L’editto di Ponzio Pilato. - Marco Travaglio



L’estorsione del Pdl ha funzionato. Il presidente della Repubblica (ancora per poco) ha diramato ieri l’ennesimo monito (si spera l’ultimo) e ancora una volta (si spera l’ultima) ha posto sullo stesso piano i magistrati aggrediti e i politici aggressori. 
Come se indagini e processi fossero guerre per bande fra magistrati e imputati. 
Dopo aver ricevuto il presunto leader del Pdl a poche ore dalla radunata sediziosa al Tribunale di Milano anziché tenerlo fuori della porta, Napolitano ha pilatescamente espresso “rammarico per la manifestazione senza precedenti del Pdl”, ma subito dopo si è appellato “al comune senso di responsabilità”. 
Comune nel senso che anche i magistrati dovrebbero essere più “responsabili” per propiziare un “immediato cambiamento di clima”.
Escludendo che ce l’abbia con i meteorologi o con le avverse condizioni climatiche, resta da capire come i magistrati potrebbero migliorare il clima col partito del leader più imputato della storia: evitando le visite fiscali per verificare i legittimi impedimenti di un tizio che da vent’anni fugge dalla giustizia? 

Evitando di condannarlo se lo ritengono colpevole? 
Evitando di indagarlo se compra senatori un tanto al chilo? 
Dopo l’incredibile udienza concessa al capomanipolo, il capo dello Stato gli ha offerto una sponda istituzionale convocando d’urgenza il Consiglio di presidenza del Csm, come se indagini e processi, avviati da anni o da mesi e sospesi per la campagna elettorale, fossero eventi inattesi o eccezionali tali da giustificare iniziative estreme. 
Non contento, al termine del summit, il Presidente ha emanato un supermonito cerchiobottista pieno di miele per la banda del buco. 
Un colpo al cerchio: “È comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà del prossimo mese di aprile…”. 
E uno alla botte: “…anche se non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco – ‘per via giudiziaria’ come con inammissibile sospetto si tende ad affermare – uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare”. 
Dunque, inquirenti e inquisiti, guardie e ladri, si mettano d’accordo: “evitare tensioni destabilizzanti per il sistema democratico”, “ristabilire un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra giustizia e politica”, perché “i protagonisti e le istanze rappresentative della politica e della giustizia non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti in una comune responsabilità istituzionale”. 
Ecco: se l’ex senatore De Gregorio confessa di aver ricevuto da B. 3 milioni (di cui 2 in nero) per tradire i suoi elettori e passare da sinistra a destra, i magistrati non devono sospettare di B., ma anzi unirsi a lui nella “comune responsabilità istituzionale”, per non apparirgli “ostili” e instaurare con lui “un clima corretto e costruttivo”, evitando “tensioni destabilizzanti”, altrimenti il suo partito, che è “risultato secondo nelle elezioni” (fosse risultato terzo o quarto le cose cambierebbero), potrebbe nutrire la “comprensibile preoccupazione” che il leader venga escluso dalla “complessa fase politico-istituzionale” eccetera. 
C’è addirittura il rischio che un corruttore di senatori non possa diventare il prossimo presidente del Senato o della Repubblica. Il che, riconosciamolo, sarebbe una bella perdita. Ps. Siccome “è comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase” eccetera, B. potrà inventarsi legittimi impedimenti a manetta di qui ad aprile per scampare alle sentenze. 
E i membri della giunta per le elezioni del Senato dovranno ben guardarsi dal dichiarare ineleggibile B. ai sensi della legge 361/1957, anche se è ineleggibile da sempre. Insomma, siamo in buone mani (ancora per poco).

Da Il Fatto Quotidiano del 13/03/2013.


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Il ricatto. - Cristina Correani



Preambolo: in un paese con un così alto numero di politici delinquenti fra cui uno “naturalmente predisposto all’attivitá criminale” per sentenza di un giudice, un presidente della repubblica naturalmente predisposto contro i Magistrati crea la giusta atmosfera. Fa pendant, ecco.
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Se la Costituzione rassomigliava all’Italia e ancora oggi è la più bella del mondo, è anche perché è stata fatta da poveri che stavano dalla parte dei poveri. [Raniero La Valle-

E, come spesso, quasi sempre accade tutto quello che viene fatto dai poveri viene poi sfruttato o disprezzato dai ricchi. Ad esempio da un anziano signore al quale la sua professione impone, non chiede per favore e proprio in virtù di quella Costituzione fatta dai poveri nel momento peggiore di questo paese e che lui per primo dovrebbe difendere, di proteggere e tutelare l’onestà, la buona reputazione, promuovere un’idea di paese bello davvero nel mondo dove ognuno ha il suo ruolo e lo svolge con professionalità, competenza e perché no, se avanza anche un po’ d’amore, dove la distinzione fra persone non la fanno il ceto e il censo e dove la differenza fra delinquenti e disonesti dovrebbe essere la ratio, l’unica motivazione da cui partire quando si deve osservare, giudicare e prendere decisioni nel merito dei comportamenti di chi disonesto lo è per natura e che dovrebbe essere considerato diversamente, se questo fosse un paese normale, da chi per ruolo e mestiere è invece preposto ad applicare la le legge e la giustizia, ovvero i Magistrati che troppo spesso invece, sono stati bacchettati da lui, il loro capo supremo, quello che dovrebbe tutelarli e sostenerli.

E invece liscia il pelo per chissà quali ragioni ad uno dei personaggi più disonesti, tristi e ambigui che sia mai appartenuto – purtroppo – a questo paese, ha ceduto e cede ai suoi ricatti, lo ha sempre trattato non come farebbe un bravo padre col figlio discolo per educarlo al rispetto degli altri e delle cose ma facendo l’esatto contrario; in tutti questi anni gli ha concesso tutto come se fosse possibile che un delinquente di quella portata, una persona che non ha il minimo senso dello stato, che lo ha sfruttato pro domo sua,  si possa in qualche modo ravvedere cedendo ripetutamente ai suoi “capricci”.

A pochi mesi, per fortuna, dalla scadenza del mandato di Napolitano e nel giorno che saluta per sempre Teresa Mattei, la Partigiana Chicchi, la “ragazza di Montecitorio” che contribuì alla stesura di quella Costituzione mi chiedevo cosa ricorderà la Storia italiana di un presidente della repubblica che troppo spesso non ha onorato come avrebbe dovuto l’istituzione che rappresenta, che forse non ha mai capito che non si difende un paese né si allentano tensioni prendendo le parti di un cittadino disonesto ma si produce l’esatto contrario: tutti gli altri, quelli che disonesti non sono, che vorrebbero un paese dove la legge sia davvero uguale per tutti come ORDINA quella Costituzione, vengono umiliati, offesi, denigrati.

Napolitano è ancora per poco il presidente di questa repubblica, ed è evidentemente in grado di sapere che le sue decisioni non possono mai essere frutto di opinioni sue o di richieste specifiche, tipo la grazia concessa ad un diffamatore seriale, che  quello che lui esprime nel merito di vicende che riguardano tutto il paese dovrebbe essere espresso sulla base prima di tutto delle regole costituzionali che non prevedono che chi viola le leggi abbia un trattamento diverso da quello che prevede il codice penale.

Ché concedere un bonus dietro il ricatto significa cedere a quel ricatto, vuol dire far subire le conseguenze di quel ricatto a tutti gli italiani e ai cittadini che Napolitano, essendo presidente di questo stato rappresenta.
E se permette, il presidente, in questo paese c’è un mucchio di gente non disponibile a cedere ai ricatti di silvio berlusconi e nemmeno disposta a vendere e svendere la propria dignità a vantaggio e beneficio di un pluripregiudicato a cui è stato concesso il tutto, il troppo e l’oltre. 

Per abitudine e perché non c’è motivo per farlo non scrivo né parlo mai di vergogna applicata a me stessa ma questa volta di umiliazione sì: ecco io oggi mi sento umiliata, mortificata e avvilita, perché non possono essere che queste le sensazioni che prova una persona quando viene tradita da chi, invece, avrebbe dovuto rispettarla.


Anch'io mi sento profondamente umiliata.

martedì 12 marzo 2013

Giustizia, Napolitano: “Garantire partecipazione politica a Berlusconi”.


Giustizia, Napolitano: “Garantire partecipazione politica a Berlusconi”


In una nota il Colle giudica "comprensibile" la preoccupazione del Pdl, che vuole assicurare al suo leader la partecipazione a questa fase istituzionale fino all'elezione del nuovo Capo dello Stato. Si profilano legittimi impedimenti a raffica. E Cicchitto: "Presidente realmente super partes".

In mattinata ha incontrato lo stato maggiore del Pdl (Alfano, Cicchitto e Gasparri), nel pomeriggio ha riunito i vertici del Consiglio superiore della magistratura, in serata ha diramato una nota che non può non far piacere all’imputato Silvio Berlusconi. Perché per Giorgio Napolitano è “comprensibile la preoccupazione” del partito “che il suo leader possa partecipare adeguatamente a questa complessa fase politico-istituzionale”. Per il Presidente della Repubblica, tuttavia, rimane “inammissibile il sospetto” che qualcuno voglia metter fuori gioco il Cavaliere “per via giudiziaria”. 
Una presa di posizione ‘politica’, quella di Napolitano, presa al termine dell’annunciato incontro con il comitato di Presidenza del Csm. La riunione era stata decisa dal capo dello Stato dopo l’incontro con i parlamentari del Pdl che ieri hanno occupato il Tribunale di Milano per protestare contro i giudici che chiedevano il legittimo impedimento per il Cavaliere, ricoverato da venerdì all’ospedale San Raffaele prima per una infiammazione agli occhi, poi per delle complicazioni dovute alla terapia prescritta dai medici. Condizione che ha permesso l’accoglimento dell’istanza della difesa del Cavaliere nel processo Ruby. Dopo il faccia a faccia mattutino con Alfano, Cicchitto e Gasparri, tuttavia, la nota diramata dal Quirinale diceva ben altro e non faceva intendere un ulteriore intervento del Colle. Parole nette: “I rappresentanti del Pdl hanno altresì espresso piena consapevolezza della natura delle responsabilità e delle prerogative del Capo dello Stato che non può interferire nell’esercizio del potere giudiziario – era scritto nel comunicato del Quirinale – e quindi non gli hanno rivolto alcuna richiesta di impropri interventi in materia”. Così non è stato. E il capo dello Stato è intervenuto di nuovo, con parole forse meno chiare, ma dal senso politico ben più pesante. A conferma dell’importanza che la nota del Colle riveste per il centrodestra, è arrivata la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto, secondo cui ”il presidente della Repubblica ha espresso delle riflessioni che tengono conto delle preoccupazioni che gli abbiamo manifestato e ha messo in evidenza un alto grado di consapevolezza dei pericoli che corre la democrazia nel nostro Paese – ha detto l’ex capogruppo alla Camera del Pdl – Le parole di Napolitano non vanno strumentalizzate in nessun senso, ma su di esse tutti devono riflettere perché sono quelle di un uomo realmente al di sopra delle parti”. 
La nota del Colle: “Garantire partecipazione politica a Berlusconi”“Ho, negli anni del mio mandato, considerato e affrontato come problema essenziale quello del ristabilimento di un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra giustizia e politica” ha scritto Napolitano, secondo cui “a più riprese, anche e in particolare dinanzi al CSM, ho sottolineato come i protagonisti e le istanze rappresentative della politica e della giustizia non possano percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti in una comune responsabilità istituzionale. E ho indicato nel più severo controllo di legalità un imperativo assoluto per la salute della Repubblica” da cui nessuno può considerarsi esonerato in virtù dell’investitura popolare ricevuta. Con eguale fermezza – si legge nella nota del Quirinale – ho sollecitato il rispetto di rigorose norme di comportamento da parte di ‘quanti sono chiamati a indagare e giudicare’, guardandosi dall’attribuirsi missioni improprie e osservando scrupolosamente i principi del ‘giusto processo’ sanciti fin dal 1999 nell’art. 111 della Costituzione con particolare attenzione per le garanzie da riconoscere alla difesa“. Ieri i difensori del Cavaliere avevano presentato l’istanza di legittimo impedimento al processo Ruby dopo che era stata respinta analoga richiesta nel processo Mediaset  dopo l’esito della visita fiscale. 
“In vari momenti, anche relativamente recenti, ho potuto constatare il manifestarsi di tensioni meno acute e di occasioni di collaborazione tra le diverse forze politiche, in materia di giustizia, e più pacati rapporti con la magistratura requirente e giudicante. Ma troppe divergenze e vere e proprie contrapposizioni hanno finito per prevalere, bloccando in effetti la possibilità di talune, cruciali riforme nell’amministrazione della giustizia e nel corpo delle norme che la regolano. E in questo momento – argomenta Napolitano –  si registra purtroppo un’allarmante nuova spirale di polemiche tra voci che si levano dall’uno e dall’altro campo. Altamente apprezzabile è stata l’iniziativa adottata dal Comitato di Presidenza del CSM con la dichiarazione del 4 febbraio scorso, per auspicare ‘sia lo svolgimento della consultazione elettorale in corso sia la celebrazione dei processi in condizioni di maggiore serenità”, evitando nei limiti del possibile “interferenze tra vicende processuali e vicende politiche’. Quell’auspicio venne largamente accolto, ma non posso oggi che rinnovarlo con la massima convinzione. In effetti alle elezioni del 24 febbraio, e anche per effetto della situazione che ne è scaturita, ma soprattutto per l’estrema importanza e delicatezza degli adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza, occorre evitare tensioni destabilizzanti - è l’appello del presidente – per il nostro sistema democratico. Quegli adempimenti chiamano in causa ed esigono il contributo di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e in particolar modo di quelle che hanno ottenuto i maggiori consensi”. 
“E’ comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, nelle elezioni del 24 febbraio, di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà del prossimo mese di aprile. Non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco – ‘per via giudiziaria’ come con inammissibile sospetto si tende ad affermare – uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare nazionale. Rivolgo perciò con grande forza un appello al rispetto effettivo del ruolo e della dignità tanto della magistratura quanto delle istituzioni politiche e delle forze che le rappresentano. Un appello, che volentieri raccolgo dalle parole oggi pronunciate da autorevoli giuristi, affinché in occasione dei processi si manifesti da ogni parte ‘freddezza ed equilibrio’ e affinché da tutte le parti in conflitto – in particolare quelle politiche, titolari di grandi responsabilità nell’ordinamento democratico – si osservi quel senso del limite e della misura, il cui venir meno esporrebbe la Repubblica a gravi incognite e rischi”. Questa mattina il capo dello Stato aveva espresso rammarico per l’iniziativa del parlamentari del Pdl.
Sono schifata!

La presa della pastiglia. - Marco Travaglio



Chi ha in mente la scena finale del Caimano di Nanni Moretti sarà rimasto un po' deluso, ieri, dinanzi alla marcetta sul Tribunale di Milano dei parlamentari Pdl capitanati da Angelino Jolie. 
Si temeva di molto peggio: un assalto possente, drammatico, sinistro, almeno vagamente nibelungico. Invece per fortuna non siamo la Germania delle Valchirie e nemmeno la Francia della presa della Bastiglia. 
Siamo il paese dell'operetta, che non conosce il dramma: al massimo il melodramma. Dunque dobbiamo accontentarci di questa tragicomica scampagnata sul marciapiede, tipo gita delle pentole, di una corte dei miracolati sbarcati a Milano come Totò e Peppino, ma molto più ridicoli, visto che alle pellicce e ai colbacchi fuori stagione aggiungono quintali di silicone, botulino, pròtesi di lattice, fard, toupet e trapianti abortiti, e alle caciotte sostituiscono trillanti iPhone con la suoneria di "Meno male che Silvio c'è". Il quale Silvio, pover'ometto, giace esanime sul letto di dolore, piegato e piagato da un'uveite bilaterale isterica con scappellamento a destra che da un momento all'altro, stando ai medici e agli avvocati di corte, potrebbe portarlo alla tomba. Insomma, al posto della presa della Bastiglia, abbiamo la presa per il culo, o al massimo della pasticca per curare patologie fasulle e allontanare sentenze vere. Spiccano, nella foto di gruppo dell'allegra brigata sanculotta in gita premio al Palagiustizia, Danton Alfano, Marat Cicchitto, Saint Just Gasparri e Robespierre Lupi, mentre Santanchè, De Girolamo, Gelmini, Giammanco, Ravetto, Prestigiacomo, Mussolini e Casellati si contendono i panni di Charlotte Corday prima del bagno. Alcuni assedianti conoscono bene il posto e fanno da ciceroni: chi per curriculum, come Denis Verdini (cinque processi), Matteoli (uno) e Raffaele Fitto (due processi e una condanna fresca fresca a 4 anni), chi per motivi professionali, tipo gli on. avv. Ghedini e Longo. Ma anche Caliendo, l'amico della P3, e Nitto Palma, che in teoria sarebbero addirittura magistrati e non si sa bene contro chi protestino: forse contro se stessi. Va comunque apprezzato il generale sprezzo del ridicolo di chi denuncia l'uso politico della giustizia mentre fa un uso giudiziario della politica. Ma anche lo sprezzo del pericolo di alcuni noti condannati e imputati che sono financo entrati in tribunale col rischio di essere identificati, vista la somiglianza con le facce patibolari di alcuni ricercati ritratti nei "Wanted" in bacheca, e di non uscire più. Pare che Formigoni sia rimasto prudenzialmente a casa. Notevole anche la faccia dell'acuto Razzi, reclutato all'ultimo momento per far numero, che ancora in tarda serata non aveva capito dove l'avessero portato, e soprattutto perché. Capezzone e Giovanardi invece si sono molto felicitati con se stessi perché, dopo anni di oscuramento, hanno strappato un'inquadratura di alcuni nanosecondi al Tg4 . In ogni caso si è persa l'occasione per una bella retata: è raro trovare tanta bella gente insieme a portata di manette. L'implume Alfano, tornato leader per un giorno in assenza del padrone travestito da cieca di Sorrento, minacciava tutto accaldato un imprecisato "Aventino". Intanto Gasparri capiva tutto al volo e prenotava un tavolo nel noto ristorante "Da Rino all'Aventino". Poi Jolie s'appellava a Napolitano, ma sbagliava indirizzo: com'è noto, il Presidente non si occupa di processi e inchieste, tranne quando gli telefona Mancino.Ps. Mentre chiudo l'articolo, alle ore 20, non risulta sull'Ansa una sola dichiarazione di esponenti del Pd contro la gazzarra del Pdl al Palazzo di Giustizia di Milano. Solo un dolente commento di Bersani alla minaccia aventiniana di Alfano: "Spero siano voci che smentiscano (sic, ndr), che siano suggestioni di un momento". Si vede subito che è cambiato e ha capito la lezione: gliele ha cantate chiare.

https://www.facebook.com/notes/graziano-bruschini/la-presa-della-pastiglia-di-marco-travaglio/422359447853725

Cisl, spunta un tesoretto da 64,5 milioni. - Stefano Sansonetti


I vorticosi affari della Cisl, tra società lussemburghesi, fiduciarie e partner messicani, non rappresentano “questioni strettamente di attualità sindacale, economica e politica”. Sono le parole utilizzate dallo staff di Raffaele Bonanni, il segretario generale del sindacato di via Po che in questo modo preferisce non rispondere alle domande che avrebbe voluto rivolgergli lanotiziagiornale.it, dopo l’inchiesta dedicata al multiforme business della Cisl. Anche perché il contesto è quello di un periodo in cui in Italia i disoccupati hanno raggiunto quota 3 milioni, ed è come minimo naturale chiedere a un sindacato se sia normale fare affari con l’informatica, le assicurazioni, i viaggi, gli immobili, i fondi comuni d’investimento e via dicendo. L’entourage di Bonanni, però, non può negare che ci troviamo di fronte “ad assetti societari a dir poco confusi, e che risalgono tra l’altro anche a epoche precedenti”. Ma l’impressione è che gli uomini del segretario generale vogliano allontanare il problema da via Po, per scaricarlo su qualcun altro. Non si spiegherebbe altrimenti la richiesta di rivolgersi “ai responsabili legali delle società, totalmente autonome sul piano della gestione”, come se la Cisl non fosse a capo della catena di controllo.
CISL
Un tesoretto immobiliare da 64 milioni di euro. Nel frattempo nei meandri degli interessi economici del sindacato spunta fuori anche un corposo pacchetto di immobili. In questo caso la gestione passa per le mani di tre società immobiliari. La prima si chiama Unitas, ed è controllata al 95% dalla sigla oggi guidata da Bonanni. Ebbene, in pancia alla Unitas si trova una cinquantina di sedi provinciali del sindacato, a cui si aggiungono terreni e qualche centro studi sparso per l’Italia. I cespiti in questione, sulla base dell’ultimo bilancio relativo al 2011, valgono 21 milioni di euro. Ma la società vanta anche riserve di utili distribuibili per 7,4 milioni e quote in fondi comuni di investimento per un controvalore di 2,1 milioni. Di più, perché la Unitas detiene anche una partecipazione del 100% nell’Immobiliare Nuova Esperide, ennesimo veicolo che custodisce immobili e terreni per 16,1 milioni. A tutto questo va affiancato il patrimonio immobiliare che fa capo all’Inas, il patronato della Cisl. In questo caso il punto di riferimento è la Inas Immobiliare, che gestisce soprattutto immobili sociali e fabbricati destinati a uffici, per un valore in bilancio di 27,4 milioni. Insomma, se si sommano tutti gli asset in carico alle immobiliari del sindacato viene fuori un tesoretto da 64,5 milioni.
Non c’è che dire, con quelli emersi dall’inchiesta, sono e rimangono numeri degni di una multinazionale. Non certo di un sindacato che dovrebbe mettere la tutela del lavoro in cima alla sua agenda.

Nicola Cosentino, il difensore del deputato uscente: “Dovrebbe costituirsi venerdì”.


Nicola Cosentino


E' quanto apprende l'Ansa dall’avvocato Stefano Montone, difensore del deputato Pdl ed ex sottosegretario del governo Berlusconi. Sull'ex sottosegretario del governo Berlusconi pendono due ordinanze di custodia cautelare per corruzione e concorso esterno in associazione camorristica.

Nicola Cosentino dovrebbe costituirsi in carcere venerdì, quando saranno terminate le procedure di insediamento del nuovo Parlamento. E’ quanto apprende l’Ansa dall’avvocato Stefano Montone, difensore del deputato Pdl ed ex sottosegretario del governo BerlusconiNei giorni i giudici hanno rigettato le richieste di revoca delle ordinanza di custodia cautelare che pendono sul politico. Cosentino è imputato di collusione con la camorra e in particolare col clan dei Casalesi nella gestione del business dei rifiuti ma anche di aver mercanteggiato con la criminalità favori in cambio di appoggio elettorale. Il processo è già in corso e Cosentino, che ha sempre respinto le accuse, ha finora partecipato a tutte le udienze del processo. Le ordinanze sono state emesse nell’ambito di procedimenti nei quali Cosentino è accusato di corruzione, in uno, e di concorso esterno in associazione camorristica, in un altro e sono state confermate dal Tribunale del Riesame. Quando il Parlamento venerdì si riunirà per la prima volta Cosentino perderà il suo status e sarà un cittadino come gli altri. 
Montone, che difende Cosentino insieme all’avvocato Agostino De Caro, ha precisato che al momento non si sa a quale struttura il deputato uscente dovrebbe presentarsi. Tra le ipotesi, oltre a una delle case di reclusione campane (in particolare, quelle di Napoli), vi è anche quella di un penitenziario fuori regione, per esempio Rebibbia, a Roma. “La decisione definitiva sulla struttura in cui verranno scontati gli arresti – ha concluso Montone – spetta all’autorità giudiziaria e sotto il profilo amministrativo al Dap”.Lo scorso 21 gennaio Cosentino non fu ricandidato e nel Pdl si scatenò una sorta di psicodramma dopo che l’ex sottosegretario sembrava essere scappato con la lista dei candidati da presentare alle corti d’appello, le liste erano state recuperate e Cosentino come previsto era rimasto fuori dalle elezioni. In una drammatica conferenza stampa Cosentino aveva poi puntato il dito contro chi lo aveva voluto lasciare fuori e di Alfano aveva detto: “Un perdente di successo”. Intanto il 18 febbraio scorso un collaboratore di giustizia al processo aveva dichiarato che il boss Francesco Schiavone aveva ordinato di votare per Cosentino.