sabato 22 gennaio 2011

Provincia di Milano, assessore e assenteista E’ la nipotina di Daniela Santanché.


Silvia Garnero, classe '84, da maggio a novembre non è mai comparsa in Consiglio. L'opposizione ne ha chiesto le dimissioni con una mozione di sfiducia poi bocciata. L'assessorato rischia di costare 14 volte in più di quanto potrà spendere nel 2011

Assessore provinciale con record di assenze e uno scarnissimo contributo alla vita politica scandito da appena tre delibere in un anno e mezzo di legislatura. Il tutto a fronte di una spesa annua di 350mila euro. Tanto vale l’assessorato di Silvia Garnero, piemontese classe ’84, che nel dicembre scorso, grazie all’aiuto della maggioranza, ha rintuzzato una mozione di sfiducia firmata dall’intera opposizione. Alla fine di quel voto dirà: “Accetto questo atto in maniera rispettosa, ma anche con imbarazzo e stupore, perché speravo che un certo modo di fare politica non trovasse posto in quest’aula. Voi mi date della fannullona e dell’incapace e io questo non lo accetto perché è ingiusto e falso”.

Nella primavera del 2009 la sua nomina contribuisce a rafforzare le quote rose nella neo giunta provinciale di Milano governata da Guido Podestà. Il più giovane assessore d’Italia, appena 25 anni allora, bella presenza, un curriculum politico inevitabilmente scarno, ma una grande dote da spendere: la parentela con il sottosegretario del Pdl Daniela Santanché. Tanto basta per spingere la giovane Silvia a palazzo Isimbardi. A lei, Podestà, riserva l’assessorato alla Moda con delega di prestigio: quella all’Expo 2015.

Un bel successo per una ragazza che sul tavolo (politico) mette due lauree: in Graphic and Virtual Design alla facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e in Fashion Design a Milano. Il sito della Provincia di Milano, poi, aggiunge particolari: “Silvia Garnero ha lavorato nel settore della comunicazione a livello internazionale per approdare al mondo della pubblicità nel settore dell’editoria tradizionale e dei new-media”. Da qui parte la sua carriera politica. “Aderisce al progetto politico di Daniela Santanchè e si occupa in veste di capostaff della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2008. E’ nominata tra i coordinatori del Movimento per l’Italia e partecipa alla stesura del programma del nuovo soggetto politico. Attualmente è dirigente nazionale e ricopre la carica di tesoriere”. E sarà proprio l’Mpi a tirare la volata per la vittoria di Podestà che sul posto lascia il presidente uscente Filippo Penati. Il movimento della Santanché non ha candidati in lista, eppure puntella la campagna elettorale dell’ex agente immobiliare diBerlusconi. Spiegherà:”Io non faccio politica per le poltrone, né per lo stipendio, mi batto per un progetto politico. Pensiamo a vincere, e poi avremo il nostro riconoscimento politico”. Una poltrona, se non personalmente, la ottiene comunque. E’ propria quella alla Moda su cui siede la giovane Silvia.

Nel frattempo, qualche settimana dopo le nomine, il quotidiano Libero le riserva una pagina d’intervista. Solo una coincidenza che all’epoca la concessionaria per la pubblicità sia la Visibilia di proprietà della Santanché. La nipotina ha, però, le idee chiare: “Ho già in mente due cose da fare: un road show nei conuni della Provincia per far avvicinare le persone all’Esposizione universale e poi sfruttare la mia giovane età per coinvolgere il maggior numero di coetanei in questo progetto”. E zia Daniela? “Vivo con lei e già il fatto di starle accanto per me è stata una grande palestra di vita”. Perché “zia Daniela è molto severa e pretende tanto da sè stessa e da chi le sta accanto”. Da allora il ruolino di marcia in Provincia segna tre delibere per contribuiti ad associazioni e un’informativa per il Digital Music Forum, manifestazione sull’evoluzione della musica nel web. Ma il dato più eclatante, ricostruito nella stessa mozione, sono le spese: inizialmente, infatti, il budget dell’assessorato vale 220mila euro. Tesoretto diminuito di 50mila durante la revisione del bilancio. Mentre per il 2011 si prevede un massimo di 25mila. “Insomma – calcola il consigliere del Pd Ezio Casati – , a fronte di una spesa annua di 350mila euro (tanto vale il conto dell’assessorato), ci cui 100 (lordi) per lo stipendio della Garnero, la provincia di Milano rischia di pagare 14 volte di più di quanto (in teroria) l’assessore alla Moda potrà spendere dall’anno prossimo”.

Ancora più desolante il calendario delle presenze in Consiglio provinciale che il Partito democratico allega nella sua mozione di sfiducia, presentata il 28 ottobre e votata il 16 dicembre. Dal 10 luglio 2009 al 6 maggio 2010, lo score segna quota venti. Dopodiché fino al 4 novembre successivo di lei non si sa più nulla. Nel documento si fa notare come ”in sedici mesi di attività” Silvia Garnero “è stata relatrice di un’unica delibera di Giunta” e ha partecipato “a sole tre audizioni di Commissione”. Due delle quali con la presenza dell’allora amministratore delegato di Expo Lucio Stanca, ma “limitandosi alla sola presentazione”. Di più: il 14 ottobre, vigilia dell’appuntamento del Bie, la nipotina della Santanchè risulta assente in consiglio provinciale. Eppure è lei l’assessore con delega all’Expo. Sul tema la giovane Silvia inciampa di nuovo nel maggio scorso, quando è in pieno svolgimento la discussione sulle aeree di Expo. Il nodo è semplice: come acquisirle. Comune e Provincia sono irremovibili: comodato d’uso con la possibilità per i proprietari di costruire dopo la fine dell’ evento; il Pirellone, invece, insiste per l’ acquisto in modo da non avvantaggiare troppo i privati. Bene, la Garnero nel suo intervento parla addirittura di esproprio. Il grave incidente diplomatico viene salvato in zona Cesarini dall’intervento diretto di Guido Podestà che la smentirà pubblicamente. Insomma, la giovane designer non sembra essere apprezzata nemmeno dalla sua stessa maggioranza. La riprova arriva proprio il 16 dicembre quando Roberta Capotosti, ex Movimento sociale, ora Pdl vota a favore della mozione di sfiducia perché, dice, “la politica, per come mi hanno insegnato ad intenderla e per come ho imparato a farla, è innanzitutto un atto d’amore nei confronti di un Ideale che, a seconda delle epoche, si declina via via in maniera differente, senza perdere, però, la sua natura originaria”.



venerdì 21 gennaio 2011

Stragi '93. Grigoli: ''Ci fu detto di votare Berlusconi''




Al processo di Firenze la deposizione dei pentiti Salvatore Grigoli e Tulli Cannella.


di AMDuemila - 20 gennaio 2011.


Firenze.
La mafia, nei primi anni Novanta, voleva creare un suo partito, ‘Sicilia Libera’, ma poi abbandonò il progetto perché sarebbe stata data un’indicazione diversa agli affiliati: quella di votare per Berlusconi “perché solo lui ci poteva salvare”.

E’ quanto ha riferito il pentito Salvatore Grigoli al processo di Firenze sulle stragi del ‘93 rispondendo agli avvocati di parte civile. Fu il boss Nino Mangano a dirlo al Grigoli, il quale ha sottolineato: “Quando Cosa Nostra si prende una decisione (su chi votare ndr) è collettiva, altrimenti i partiti che prendono voti da Cosa Nostra non prenderebbero tutti quei voti”.
L’ex boss di Brancaccio ha detto che “scopo delle stragi era far scendere a patti lo Stato con Cosa Nostra” ricordando che gli attentati di Firenze, Milano e Roma furono rivendicati con la firma ‘Falange armata’, “sigla che sarebbe servita a far contattare Cosa Nostra dallo Stato”. Secondo Grigoli il messaggio da mandare allo Stato era: “Noi di Cosa Nostra possiamo fare le stragi ma possiamo anche farle cessare quando lo decidiamo. Io percepivo questo in quel periodo”.
Il collaboratore di giustizia ha aggiunto inoltre che tra il '93 e il '94 avrebbe saputo da Mangano “che i Graviano avevano in mano un personaggio. All'epoca quel nome non mi diceva nulla, ma oggi mi dice qualcosa: Dell'Utri”; ma ci fu anche una seconda occasione in cui tra i mafiosi del mandamento di Brancaccio emerse il nome di Marcello Dell'Utri. “Mi ricordo che all'epoca - ha affermato Grigoli rispondendo alle domande del pm - si parlava tra di noi di un ragazzino che giocava bene a calcio, tale D'Agostino (oggi calciatore della Fiorentina, ndr). Venne a sapere che i Graviano si interessarono per farlo giocare nel Milan, e fu in quest'altra occasione che venne fuori il nome di Dell'Utri”.
Anche il pentito Tullio Cannella, in aula, ha tratteggiato i contorni del piano politico di Cosa Nostra ‘Sicilia Libera’ definendolo: “un progetto autonomista che prendeva spunto da esperienze politiche preesistenti in Sicilia e nel sud. Condizione era che tutti i candidati fossero persone scelte o di fiducia dell'organizzazione (Cosa Nostra, ndr)”. Il programma politico “era di durata medio-lunga” e l'obiettivo - ha sempre riferito Cannella – “fu cambiato per caldeggiare e appoggiare singoli candidati siciliani nel movimento di Forza Italia. Sapevo che per Cosa Nostra i vari personaggi appoggiati eventualmente alle elezioni politiche avrebbero dato garanzie”.
Poi “il progetto fu accantonato - ha proseguito Cannella - perché Bagarella mi disse che un suo amico e lui avevano optato per caldeggiare e appoggiare dei candidati politici siciliani nel movimento di Forza Italia”. La mafia voleva “riferimenti per sistemare la questione pentiti, la revisione dei processi, per questo era necessaria la politica”, ha detto ancora Cannella, riferendo che Bagarella gli disse che “con i vari personaggi che stavano appoggiando alle elezioni o con le nuove formazioni politiche avrebbero avuto garanzie, che si sarebbero interessati alla loro situazione”.


giovedì 20 gennaio 2011

Hanno vinto. - elezioni2008 - Antonio Albanese



NIENTE DI PERSONALE - Intervista a Nicola Gratteri




Il procuratore aggiunto della Direzione Antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, ribalta la tesi di Maroni: è della polizia il merito principale degli arresti, e non dei ministri o governi. L'intervista integrale, e tutta la puntata del programma, è su www.la7.tv

mercoledì 19 gennaio 2011

Pronti gli assi nella manica della procura.


Il procuratore di Milano, Bruti Liberati: "Queste prove le teniamo per noi"

Ilda Boccassini

Accogliendo la richiesta del relatore AntonioLeone, la Giunta per le Autorizzazioni della Camera ha deciso all’unanimità di iniziare martedì prossimo l’esame della richiesta di perquisizione domiciliare nei confronti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi presentata dalla Procura della Repubblica di Milano. Una richiesta “ragionevole” l’ha definita il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti, spiegando che il dibattito proseguirà mercoledì e giovedì e probailmente la settimana successiva, prima della decisione da sottoporre all’Aula.

Berlusconi e i suoi fedelissimi in ogni caso tremano, perché temono che la Procura di Milanopossa avere altri elementi di prova non inviati alla Camera. Ma già le 389 pagine finite a Montecitorio compromettono decisamente il presidente del Consiglio. E non è tutto. Dai tabulati acquisiti dagli investigatori, figurano circa un centinaio di telefonate fra Ruby e un’utenza privata del premier. Documenti che ancora non sono stati prodotti perché il loro contenuto è protetto dall’immunità. Così come le trascrizioni delle telefonate fra B. e le altre persone coivolte nell’inchiesta.

I magistrati hanno individuato due grossi vantaggi per Silvio Berlusconi: quando la sera del 27 maggio scorso racconta ai funzionari di polizia l’ormai celebre bufala sulla nipote di Mubarak, pur di far rilasciare l’incontrollabile e soprattutto minorenne, Ruby. Scrivono i magistrati nell’invito a comparire per il presidente del Consiglio: ha ottenuto “per sé e per la minore un indebito vantaggio di carattere non patrimoniale, consistito per la minore, nella sua fuoriuscita dalla sfera di controllo delle autorità minorili e, per esso indagato, nell’evitare che El Mahroug Karima (Ruby,ndr) potesse riferire del reato (prostituzione minorile, ndr) e comunque della risalente frequentazione, nonché di altri reiterati episodi di prostituzione verificatasi nella sua dimora privata in Arcore, fatti di rilevanza penale non a lui ascrivibili ma comunque suscettibili di arrecare nocumento alla sua immagine di uomo pubblico”.

Nel ricostruire quella notte, i pm Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermanoavallano la versione dei fatti fornita pubblicamente, e con una lettera al Csm, dalla collega del tribunale dei minori, Annamaria Fiorillo. Il magistrato minorile, smentendo il ministro dell’interno Maroni, in Parlamento, ha negato di aver mai autorizzato la polizia ad affidare Ruby alla presunta maitresse, Nicole Minetti. Con riferimento all’altra accusa per Berlusconi, di concussione, si legge: “Abusando della sua qualità di presidente del Consiglio, la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, avendo appreso che la minore (Ruby, ndr) da lui in precedenza frequentata, era stata fermata, si metteva in contatto con il capo di gabinetto del questore, dottor Pietro Ostuni e rappresentandogli che tale ragazza minorenne, gli era stata segnalata come nipote di Mubarak (circostanza peraltro palesemente falsa), lo sollecitava ad accelerare le procedure per il suo rilascio, aggiungendo che il consigliere regionale Nicole Minetti si sarebbe fatta carico del suo affido e, quindi, induceva il dottor Ostuni a dare disposizioni alla dottoressa Giorgia Iafrate(funzionaria di polizia, ndr) affinché venisse affidata a Minetti Nicole…”, ponendosi “in contrasto con le disposizioni al riguardo impartite dal pm di turno presso il Tribunale per i minorenni,Annamaria Fiorillo” .

Non solo, anche “in palese violazione delle istruzioni impartite” dalla stessa pm che aveva disposto di mandare Ruby in comunità o di trattenerla in questura. Delle telefonate alla questura e dei suoi rapporti con la ragazza marocchina, i magistrati potrebbero parlarne direttamente con Berlusconi tra venerdì 21 e domenica 23 gennaio, i tre giorni indicati dagli inquirenti al presidente del Consiglio, perché si presenti per farsi interrogare. Ma intanto la procura continua le indagini. A chi gli chiede se ci siano altri elementi ad aggravare la posizione di Berlusconi, il procuratore BrutiLiberati risponde: “Permettetemi che queste prove me le tenga per me”. Un’altra grana per il premier potrebbe essere la deposizione di una ragazza che ha sostenuto con la polizia di essere stata costretta da lui a fare cose che non voleva. Una testimonianza tutta da valutare. Il Cavaliere ha deciso di non presentarsi al Palazzo di Giustizia, “Non vado da quei pm”.

Dato che il premier non ha nessuna intenzione di fardi interrogare, gli investigatori possono fare la richiesta al gip anche se Berlusconi non risponde all’invito senza giustificazione o con impedimenti pretestuosi. A decidere se la procura abbia “prove evidenti” per un giudizio immediato (entro 5 giorni dalla richiesta) sarà il gip Cristina Di Censo. Proprio nel suo ufficio e in quello del suo capo, Laura Manfrin, l’estate scorsa ci furono due tentativi, falliti, di scassinare i loro armadietti.

Il 20 luglio scorso la procura aveva ottenuto dal gip l’autorizzazione per intercettare i telefoni diLele Mora, di Ruby e di Nicole Minetti. E oggi al plenum del Csm durante il dibattito per approvare il documento della prima commissione a tutela di Fabio De Pasquale (accusa ai processi Mills, Mediaset e Mediatrade) definito da Berlusconi “pm famigerato”, ci sarà un riferimento del relatore Roberto Rossi anche agli attacchi del premier contro i pm del caso Ruby (“vogliono eliminarmi dalla scena politica”). Potrebbe quindi essere approvato non solo un documento a tutela di De Pasquale, ma dell’intera Procura di Milano.

Aggiornato il 19 gennaio 2011 alle 11:44

martedì 18 gennaio 2011

Viaggio nell'inferno delle carceri italiane - Riccardo Iacona - Cadoinpiedi.it




Riccardo Iacona
L'articolo 27 della Costituzione recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ma nella realtà è proprio così? Come si vive nelle carceri italiane? Il numero dei suicidi cresce (65 nel 2010). E casi come quelli di Stefano Cucchi e Marcello Lonzi spingono alla riflessione.Riccardo Iacona, autore di "L'Italia in Presadiretta" (Chiarelettere) e giornalista Rai, ha realizzato un'inchiesta sul mondo carcerario italiano per Presadiretta, il suo programma in onda su Rai Tre. Ecco cosa ci racconta:


La situazione delle carceri italiane è esplosiva. Sovraffollamento, diritti calpestati, suicidi, costi alle stelle. Cosa non funziona nel sistema detentivo italiano?

Sono appena tornato da un viaggio nelle carceri italiane dal Sud al Nord, perché una delle puntate che manderemo in onda è tutta dedicata alla questione delle carceri. La prima cosa da dire è che sono dei luoghi di tortura, così come sono adesso. Il numero dei detenuti presenti nelle carceri è spesso il doppio di quelli che la struttura dovrebbe ospitarne, il che crea concretamente delle condizioni di vita impossibili. Faccio un esempio concreto che conoscono in pochissimi, perché tutti si immaginano le carceri vecchie, l'umidità. C'è anche questo, certo. Ma per esempio a Poggioreale, per il fatto che i detenuti sono più del doppio di quelli che dovrebbero essere, passano 22 ore al giorno chiusi a chiave in cella
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A cosa è dovuto un sovraffollamento così esagerato? Si ricorre al carcere con troppa facilità?

E' la prima domanda che ci siamo posti, poiché l'aumento della popolazione dei detenuti è stata negli ultimi anni esponenziale (siamo arrivati a 70 mila detenuti). Il punto è: gli italiani commettono più reati? No. Non è così. Sono andato a parlare con gli esperti, con le persone che queste cose le studiano da un sacco di tempo. Il sovraffollamento non è altro che il risultato di una serie di leggi criminogene. Una è la Bossi - Fini, l'altra è la Giovanardi - Fini, la legge sulla tossicodipendenza, e l'altra è la ex Cirielli del 2005. Sono tutte leggi che producono carcere.
Per esempio, guardiamo cosa succede per la tossicodipendenza.
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I problemi italiani sono simili a quelli di altri Paesei, o il caso Italia fa storia a sé?

Noi siamo, dal punto di vista del trattamento carcerario, in una graduatoria molto bassa e del resto basta leggere le notizie di cronaca che purtroppo leggiamo tutti i giorni al punto che facciamo pure fatica a mantenere la contabilità, il numero dei suicidi. Certamente anche nel resto dell'Europa questa è una materia sensibile, perché si tratta di parlare all'opinione pubblica. Ogni volta che si fanno dei ragionamenti a medio e a lungo termine sul funzionamento della giustizia e sulla depenalizzazione, la sensazione è che la gente dica: "ma questi vogliono svuotare le carceri, poi ci ritroviamo i delinquenti nei quartieri, ma comunque un accanimento, questo panpenalismo che c'è in Italia, determinato da una cattiva politica che legifera male, che quando non sa cosa fare si inventa un nuovo reato. E questa roba non c'è negli altri paesi d'Europa.



Dal caso Cucchi a quello Lonzi. Morti sospette e troppi suicidi. Perché è così facile morire di carcere?

Intanto perché nel carcere non sei più una persona, sei una pratica con un numero. Molti dei ragazzi che si suicidano, per esempio, sono al primo ingresso. Sono andato a vedere come funziona questo meccanismo da vicino, devo dire che gli operatori del carcere, generalmente direttori, agenti penitenziari, psicologi, sono molto consapevoli di queste cose che ci stiamo dicendo, tant'è vero che ci hanno aperto le porte. Il viaggio che ho fatto dentro Poggioreale per me è stata un'esperienza straordinaria da questo punto di vista. Ci sono le testimonianze dei detenuti. Quando un detenuto entra nel carcere di Poggioreale, nella sezione dei primi ingressi che conta dalle 350 alle 370 persone a seconda dei periodi di sovraffollamento, a valutare psicologicamente il carcerato c'è una persona che ha un contratto di 20 ore al mese.
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Qui di seguito
Il commento del dr. Luigi Morsello, Ispettore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria.

Non v’è dubbio che l’intervista fatta a Riccardo Iacona è molto impressionante. Egli descrive una situazione quasi da bolgia infernale che sarebbe presente nelle carceri italiane. Io che di carceri ne ho diretto una trentina in 40anni sono molto sorpreso dai contenuti dell’intervista, che sembra generalizzare situazioni di disagio estremo presenti in quella forma acuta in carceri antichi come Poggioreale a Napoli o in carceri moderne come la Dozza di Bologna. Io aggiungo carceri vecchie come San Vittore a Milano (costruito nel 1879), Regina Coeli a Roma (un convento adattato a carcere nel 1881, l’Ucciardone a Palermo (progettato come carcere nel 1800 ed entrato in funzione nel 1842).

Ve ne sono altri, ma ai fini del presente commento non interessa.

Spero che Iacona, bravo giornalista, si sia occupato anche di carceri che funzionano, come la II^ casa di reclusione di Milano-Bollate.

Per primo desidero parlare delle immagini presentate nel video. La maggior parte sembra non sia si carceri italiane, le celle sono di tipo cubicolare, delle quali ne sopravvivono poche unità (per certo ad Alessandria, carcere che io diretto, salvo da allora i cubicoli non siano stati modificati con imponenti lavori strutturali, mentre la Casa di Reclusione di Firenze, dove ho prestato servizio quale vicedirettore è stata dismessa contemporaneamente alla casa circondariale – non a sistema cubicolare – per l’entrata in funzione del nuovo carcere di Firenze-Sollicciano).

Ma soprattutto io non ho contezza di celle affiancate e numerate.

Iacona afferma che le carceri in Italia sono “luoghi di tortura” e basta, dando l’impressione che si pratica la tortura fisica, il che, ovviamente, non è vero. Quindi, si tratta di sollecitazioni anche gravi di natura psicologica, nettamente connesse col sovraffollamento, affermando – ed è vero – che alcune carceri hanno il doppio dei detenuti previsti dalla capienza.

Poi passa a descrivere la vita interna a Poggioreale, il carcere vecchio di Napoli, laddove i detenuto languono in cella per 22 ore su 24, ed è vero, per mancanza di attività trattamentali e di tempo libero pur previste dall’ordinamento penitenziario e dal suo regolamento di esecuzione. Le due ore sono distribuite nel passeggio nei relativi cortili all’aria aperta, un’ora al mattino e l’altro al pomeriggio.

Egli afferma che, rebus sic stantibus, l’esecuzione della pena detentiva sono soldi buttati via, perché ogni detenuto costa intorno ai 150 euro al giorno. Anche questo è vero come è vero che un giornalista deve svolgere attività di denuncia e non deve presentare soluzioni, che non gli competono.

Passando ad esaminare i motivi del sovraffollamento, lavoro improbo, Iacona li individua in tre leggi che definisce criminogene: 1) la Bossi-Fini; 2) la Giovanardi-Fini; 3) la ex-Cirielli.

Non chiarisce perché ma l’ambito di una intervista non consente chiarimenti agevoli.

LA BOSSI-FINI (IMMIGRAZIONE)

Fissa dei limiti molto ristretti per l'immigrazione regolare(bisogna già avere un contratto di lavoro prima di partire) e riduce la durata del permesso di soggiorno (due anni).

In pratica da un lato non tiene conto che è davvero raro che qualcuno venga assunto a distanza senza nemmeno un colloquio, e dall'altro impone il rinnovo del permesso ogni due anni indipendentemente dalla durata del contratto.

Parallelamente introduce sanzioni penali anche per quelle violazioni precedentemente sanzionate solo in sede amministrativa.

Si realizza dunque un meccanismo secondo il quale la difficoltà di adempiere alle prescrizioni induce più facilmente alla violazione. E, inoltre, sanzionare allo stesso modo comportamenti diversi significa non già scoraggiarli, ma far ritenere "conveniente" commettere il reato più grave.

LA GIOVANARDI-FINI (DROGA)

La nuova legge sulla droga, la Fini-Giovanardi, non fa più alcuna distinzione tra le varie sostanze ai fini della determinazione delle sanzioni, ossia delle pene detentive. Tutte sono state aumentate, indistintamente.

Ciò provoca l'orientamento della criminalità sullamassimizzazione del profitto. In pratica visto che il rischio di condanna è uguale, meglio spingere le droghe che costano di più e rendono di più. Naturalmente sono quelle dagli effetti più dannosi.

Morale: più di un terzo della popolazione carceraria totale è rappresentato da detenuti accusati di reati connessi agli stupefacenti.

In sintesi: la nuova legge ha eliminato il criterio della “modica quantità” per uso personale per introdurre le soglie massime consentite.

Oltre questa soglia qualunque siano le condizioni soggettive, le circostanze del fatto, non si può mai parlare di detenzione per uso personale ma di spaccio. Dunque la pena va da 6 a20 anni.

In teoria il principio potrebbe essere giusto ma in pratica si rivela dannoso.

Ecco perché: le tabelle fissano i limiti di possesso personale di “principio attivo” – e non di stupefacente complessivamente inteso - di ciascuna sostanza.

Ora il punto è questo: un assuntore di cannabis (ad esempio) che è riuscito a trovare sostanza più “pura”, dove il principio attivo è al 20 per cento (accade spesso a coloro che se la producono da soli coltivandosi le piantine nell’orto), va in galera per 10 anni se viene beccato con 5/7 spinelli perché si suppone, automaticamente, che sia uno spacciatore.

Al contrario (cosa che accade molto frequentemente) le organizzazioni criminali, dopo la legge, hanno quasi dimezzato il principio attivo in modo che uno spacciatore di cocaina sorpreso con 20 dosi pronte per essere vendute possa agevolmente sostenere che si tratti in realtà di uso personale perché il principio attivo non supera la soglia della tabella legislativa.

Ciò provoca due conseguenze:

1) mettiamo in carcere i consumatori “privati” etichettandoli come spacciatori.

2) lasciamo liberi, e gli paghiamo anche una riabilitazione che in realtà non serve a nulla, degli spacciatori professionisti alle dipendenze della criminalità definendoli semplici consumatori.

Per giunta quella stessa criminalità, diminuendo la quantità di principio attivo, raddoppia i propri guadagni e, come non bastasse, adoperando spesso per il taglio sostanze dannose fa aumentare i morti.

LA EX-CIRIELLI (PRESCRIZIONE)

Con la riforma introdotta dalla legge 251 del 5 dicembre 2005 (la cosiddetta ex - Cirielli), il tempo necessario per la prescrizione corrisponde al massimo della pena edittale, cioè della pena prevista dal codice penale senza tenere conto di attenuanti o aggravanti che possono, in concreto, far aumentare la condanna sotto il minimo o oltre il massimo rispetto a quanto previsto dal codice.

Oggi ciò che conta è la pena massima: se è di 7 anni il reato si prescrive in 7 anni (e non in 10 come prima), se è di 10, indieci anni.

Sono però previsti due “limiti”: nessun delitto può prescriversi in meno di 6 anni (ad esempio per l’abuso d’ufficio la pena massima è 3 anni ma la prescrizione è di 6), e nessun reato contravvenzionale si può prescrivere in meno di 4 anni.

Che significa tutto questo?

Oggi, il reato di ricettazione (pena massima stabilita dal codice: 8 anni) si prescrive, appunto, in 8 anni. Prima invece siccome 8 sta tra 5 e 10 si prescriveva in 10 anni.

In sostanza la prima conseguenza della riforma è che la prescrizione è stata quasi sempre ridotta, almeno per i reati più gravi.

E visto che non è stato fatto nulla per abbreviare i tempi della giustizia questo significa che sono di più i processi che si concludono con la prescrizione.

Una seconda conseguenza è che al contrario i reati di minore importanza (come il disturbo della quiete pubblica che certo non crea alla società gli stessi problemi della corruzione) si prescrivono in tempi più lunghi.

RIASSUMENDO

Il fatto più grave è che la criminalizzazione di comportamenti non previsti come reato o l’aggravamento della sanzione detentiva per reati di minimo allarme sociale, comporta l’effetto definito massimizzazione dei profitti”. E ciò in riferimento alla clandestinità e al relativo reato, che comporta però solo una sanzione pecuniaria che l’interessato non potrà mai pagare, visto che è povero in canna, che produce la involuzione del comportamento criminoso verso altri reati, tipico quello ben più grave di spaccio di sostanze stupefacenti.

Quanto sopra è evidente soprattutto per la Bossi-Fini e perla Giovanardi-Fini, mentre la ex-Cirielli accorcia i termini di prescrizione dei reati gravi, riducendola ad almeno sei anni, e allunga tali termini per i reati contravvenzionali, che adesso si prescrivono tutti in 4 anni.

Nel redigere questi chiarimenti sulle tre leggi ho chiesto aiuto al dr. Roberto Ormanni e alla sua sapienza giuridica.

Tornando all’intervista di Iacona, i dati che egli fornisce sono impressionanti.

Il 30% di detenuti stanno in carcere per reati di tossicodipendenza o ad essa connessi, per gli stessi, sostiene a ragione Iacona occorrerebbero cure presso comunità protette esterne al carcere. Però, ve ne sono pochissime e non sono praticabili per reati commessi in stato di assunzione di droghe, di evidente maggiore gravità. Dunque le comunità potrebbero curare solo i detenuti tossicodipendenti trovati in possesso di droghe con principio attivo superiore alle tabelle.

Ciò non consente di definire il carcere una ‘discarica sociale’, considerato che detenuti per possesso di droga per uso personale non sono la maggioranza.

Poi vi sono un 30% di stranieri ed un 20% di detenuti affetti da turbe psichiche (17.000 unità).

Infine, i detenuti autori di reati gravi sono il 4%, quindi mancano all’appello un16% di detenuti non incasellati in una categoria.

Quindi, il giornalista tocca il tema della estrema povertà. A Natale 2010 nel carcere La Dozza di Bologna il 50% dei detenuti avevano 10 euro sul conto corrente carcerario.

Quindi sono poveri già in libertà che diventano ancor più poveri in carcere, dove non ci sono, aggiungo io, attività lavorative remunerate, posto che il lavoro è considerato a ragione dal legislatore come il vero fattore risocializzante.

Quindi propone la riforma del Codice Penale, nel testo licenziato da Giuliano Pisapia, depenalizzando circa 300 tipi di reato (Bruno Tinti parlava di 200). Mi chiedo quanti di essi prevedono la carcerazione preventiva (custodia cautelare) e una pena detentiva tale da non consentire l’accesso alle misure alternative alla detenzione (4 anni pena detentiva anche residua).

Però è certo che senza intervenire sulla legislazione penale, eliminandone storture e illogicità, l’aumento dei detenuti non si fermerà.

Alcune opinioni di Iacona sembrano conseguenza di disinformazione. Chi entra in carcere non diventa un numero, non indossa la casacca a strisce col numero di matricola stampato sul petto, non viene chiamato col numero ma con nome e cognome.

Altrettanto accade per il personale del carcere.

Ciò non vuol dire, però, che si abbia molta cura, oggi, del profilo umano dei detenuti, non sempre per motivi ideologici, spessissimo per carenze di ogni genere.

Per i detenuti provenienti dalla libertà mai stati in carcere c’è un servizio specifico, chiamato “Nuovi Giunti), vero è che lo psicologo addetto nei carceri di media e piccola grandezza ha contratti di lavoro a tempo determinato di pochissime ore (Iacona dice 28, in realtà il numero di ore è variabile in ordine alle risorse economiche assegnate. Ma uno psicologo non è una unità di personale (tra l’altro, non lavoro subordinato), è una unità lavorativa qualificata.

Tra le cause di suicidio di detenuti (66 l’anno 2010) Iacona individua la vergogna per essere finito in carcere, può essere ma da sola non basta. Fortemente condizionante è il clima psicologico cupo che caratterizza il carcere, anche il meglio organizzato, che finisce col rompere un fragile equilibrio psicologico con conseguenze nefaste.

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/01/viaggio-nellinferno-delle-carceri.html


"Tutto partì dalla mia denuncia"