Ominidi più colti e intelligenti di quanto pensassimo
Considerato rozzo e primitivo, in realtà l'Uomo di Neanderthal sapeva utilizzare sostanze quali la corteccia di pioppo da cui si estrae l'acido acetilsalicilico e il fungo da cui si ricava la penicillina a scopo di automedicazione. Probabile anche l'abitudine di scambiarsi effusioni e baci.
La ricerca, pubblicata su Nature, è davvero sensazionale. Stando a quanto scoperto da un gruppo internazionale di scienziati guidato dall’Australian Centre for Ancient Dna (Acad), dalla Dental School dell'università di Adelaide, e dall’Università di Liverpool, l’Uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis) - considerato rozzo e primitivo - era già in grado di utilizzare medicinali.
In Spagna, nel tartaro di un esemplare adolescente di questo ominide vissuto nel periodo paleolitico medio (compreso tra i 200 mila e i 40 mila anni fa) sono state trovate tracce della corteccia di pioppo dalla quale si estrae l’acido acetilsalicilico, il principio attivo della moderna aspirina, e del fungo penicillio oggi utilizzato per produrre l'antibiotico penicillina. Secondo David Caramelli, del Dipartimento di biologia dell’Università di Firenze, «è assai probabile che queste sostanze venissero assunte dai nostri antenati proprio a scopo di automedicazione».
Del resto, già nel 2012 e sempre in Spagna, tra i denti di altri Neanderthal erano state rinvenute tracce di camomilla e achilea, piante dal sapore particolarmente amaro che, dunque, presumibilmente venivano assunte unicamente per le loro proprietà medicamentose. L’anno successivo si scoprì addirittura che, per evitare la formazione di ascessi, i nostri antenati utilizzavano già rudimentali stuzzicadenti.
Dunque, come afferma Laura Weyrich, coordinatrice dello studio: «ce li immaginiamo come ‘uomini delle caverne’, ma dovremmo riscrivere i libri di storia: i Neanderthal avevano un comportamento simile al nostro, erano competenti e intelligenti».
Un’ultima curiosità, emersa dalla ricerca, è la presenza di un batterio rinvenuto nella bocca di alcuni degli antenati ritrovati, un batterio che si trova anche nella nostra saliva; «segno, questo - sostiene Caramelli - che forse che questi ominidi sapevano già scambiarsi effusioni e baci».
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