Passaparola / Luigi Morsello è stato per 36
anni direttore di case di pena.
Il suo libro ripercorre decenni di storia
d'Italia attraverso quel mondo
E la realtà carceraria dura nel tempo, fra il sovraffollamento endemico delle celle, il personale carente, i fondi spesso inadeguati, la burocrazia che frena e tutte le difficoltà che rendono arduo, quando non impossibile, il percorso di rieducazione e di reinserimento che ai detenuti dovrebbe essere garantito per legge.
Una realtà sulla quale ora riaccende i riflettori il libro di memoria (non di memorie) La mia vita dentro. Lo ha scritto Luigi Morsello, per trentasei anni direttore carcerario in sette case di pena e funzionario in missione in altre ventidue, grande conoscitore del pianeta carcerario; e lo ha pubblicato Infinito edizioni, una casa editrice da sempre attenta all'attualità che sarà a Modena al Buk Festival della piccola e media editoria il 13 e il 14 marzo prossimi.
Ripercorre decenni di "carcere" Morsello , durante i quali hanno trovato spazio gli eventi più devastanti vissuti dal Paese. Attraversa gli anni foschi del terrorismo, gli scandali, la mafia, la criminalità grande e piccola. Ecco i luoghi di massima sicurezza come Gorgona o Pianosa, gli istituti " a custodia attenuata". Non ricostruisce, offre lampi. Significativi. Evasioni, Rivolte, scontri con amministrazioni non sempre trasparenti. Ma anche vita quotidiana, fatica, dolore. E i detenuti, facce, storie, una galleria di fatti, e di ritratti. Da Epaminonda a Gianni Guido, da Renato Curcio a Marco Donat Cattin, fino a Sindona.
Una lettura istruttiva che, se è vero che anche dal carcere passa la nostra memoria, può aiutare la capacità di stare nel presente.
Morsello, qual è il ricordo più duro della sua vita dentro?
L'evasione da San Gimignano di Giovanni Guido, detto Gianni, (uno dei responsabili della strage del Circeo del 1976). Che ebbe l'effetto di un ciclone nella mia vita e in quella della mia famiglia. Guido fuggì con modalità di una banalità incredibile. Lavorava come scopino in portineria; a mia insaputa, durante un mese di assenza dovuto a una missione nel carcere di Pianosa, aveva ottenuto, in aggiunta alle mansioni di scrivano presso lo Spaccio Agenti, il compito di inserviente in caserma agenti e portineria. Un lavoro normalmente affidato a due detenuti. Ma, appena arrivò Guido, uno di loro chiese di essere esentato dal servizio. Così, quando il 25 gennaio 1981, domenica, alle ore 19, Guido si presentò da solo, la cosa non destò sospetti nel portinaio. Pochi minuti dopo Guido lo colpì alla testa, con un pesante posacenere. Così aprì senza problemi il portone di ingresso e si dileguò nella campagna. Una latitanza durata molti anni. Io fui sottoposto a procedimento penale per 'procurata evasione' (ripeto, non ero presente in quei giorni, né mi era stata comunicata la mansione di Guido), derubricata in 'evasione per colpa' dal Giudice istruttore, assieme ad altri. La Corte d'Assise d'appello confermò l'applicazione dell'amnistia per la "culpa in vigilando", come anche la Cassazione.
Anni di piombo, criminalità. Chi sono i detenuti che sono rimasti nella sua memoria?
Fra tutti spicca la figura di un anziano, Guerrino Costi, in carcere dal 1954 per duplice omicidio volontario non premeditato, scarcerato nel 1976. Un delitto maturato nel mondo di tensioni tra ex partigiani e nuovi democristiani. Lo accompagnai in centro a San Gimignano, dopo avergli fatto ottenere la liberazione condizionale, gli regalai una cravatta e dovetti fargli il nodo, che non aveva mai saputo fare. Aveva lavorato nel mio alloggio di servizio, conosceva la mia famiglia, scrisse dopo un anno dalla scarcerazione una lettera a mia moglie, per ringraziarla dell'umanità col quale era stato trattato.
Poi Angelo Epaminonda, mafioso, in carcere a Busto Arsizio, sezione per semiliberi trasformata in sezione speciale. Un uomo tremendo, irascibile, aggressivo, collaborava col pm Francesco Di Maggio, aveva confessato diverse decine di omicidi, mandando in carcere molti componenti del suo gruppo milanese, con i quali conviveva nella stessa sezione, loro stessi divenuti tutti collaboratori di giustizia. E ancora, Patrizio Peci, Sezione Pentiti, Marco Donat Cattin, Sezione Dissociati ad Alessandria.
Il carcere, come è e come dovrebbe essere.
Come è: invivibile. Il sovraffollamento mortifica ogni possibilità di intervento trattamentale efficace. A distanza di appena tre anni dall'indulto del 2006. Le cause: l'inesistenza di una politica criminale e dell'esecuzione penale. Troppi tipi di reati a basso allarme sociale nel codice penale e nelle altre centinaia di leggi penali, che potrebbero essere derubricati a infrazione amministrativa e sanzione pecuniaria; una politica sbagliata di approccio al gravissimo fenomeno delle tossicodipendenze, che portano in carcere persone per tipi di droghe e quantità insignificanti. Vi sono carceri e sezioni di carceri in attesa di essere utilizzati, fermi per mancanza di personale e risorse economiche.
Come dovrebbe essere: ho letto che un intervento normativo produrrebbe la rapida scarcerazione di almeno ventimila detenuti. Le nuove carceri dovrebbero essere di 300 posti per le case circondariali e 200 per le case penali, con celle standard di venti metri quadri servizi compresi per tre detenuti, laboratori per attività lavorative e corsi professionali. Occorrono educatori, psicologi e criminologi a tempo pieno, le misure alternative alla detenzione debbono essere applicate con rigore ma, in modo massiccio e rigorosamente mirato al trattamento dei detenuti invece che trasformate in una sorta di area di parcheggio.
Luigi Morsello
La mia vita dentro
A cura di Francesco De Filippo e Roberto Ormanni
Infinito edizioni
Pag 203, euro14